Sentenza n.52 del 1973
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SENTENZA N. 52

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1951, nn. 1429, 1440 e 1444 (riforma fondiaria), promosso con ordinanza emessa il 21 ottobre 1970 dal tribunale di Rossano nel procedimento civile vertente tra Filippelli Giuseppe e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 10 marzo 1971.

Visti gli atti di costituzione di Filippelli Giuseppe e dell'Opera per la valorizzazione della Sila;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1973 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Rodolfo Grimaldi, per il Filippelli, ed il vice avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Opera Sila.

Ritenuto in fatto

1. - Con atto di citazione del 10 ottobre 1953 Mazziotti Mannina conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Rossano l'Opera per la valorizzazione della Sila e Filippelli Giuseppe, assumendo che i decreti di espropriazione nn. 1429, 1440 e 1444 del 18 dicembre 1951, aventi ad oggetto terreni dei quali ella era proprietaria in comune con Filippelli Giuseppe, dovevano essere considerati illegittimi perché emanati soltanto nei confronti del Filippelli.

Oltre all'Opera Sila, che chiedeva il rigetto della domanda, si costituiva in giudizio Filippelli Giuseppe, il quale deduceva la illegittimità dei menzionati decreti di espropriazione sotto il profilo che sarebbero stati compresi nell'esproprio terreni gravati da usufrutto a favore della Mazziotti di cui egli era solo nudo proprietario.

La causa veniva cancellata dal ruolo per inattività delle parti; successivamente, con atto di citazione del 27 novembre 1967, il Filippelli riassumeva la causa chiedendo che il tribunale: 1) accertasse che, nell'accantonamento della quota di rispetto dei trecento ettari, il Governo aveva esorbitato dai limiti della delegazione, includendo nella quota stessa beni di cui il soggetto scorporato non aveva la piena proprietà, ma solo un diritto di nuda proprietà; 2) dichiarasse rilevante e non manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dei dd.PP.RR. 18 dicembre 1951, nn. 1429, 1440 e 1444; 3) emettesse i provvedimenti consequenziali alla pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale. In seguito all'atto di riassunzione, si costituiva soltanto l'Opera per la valorizzazione della Sila, la quale chiedeva il rigetto della domanda sostenendo la piena legittimità dei decreti di espropriazione.

Dopo l'espletamento di una consulenza tecnica diretta ad accertare la complessiva estensione dei terreni rimasti di pertinenza del Filippelli in seguito allo scorporo ed a individuare tra questi quelli appartenetegli a titolo di nuda proprietà, il tribunale di Rossano, con ordinanza emessa il 21 ottobre 1970, proponeva la questione di legittimità costituzionale dei decreti presidenziali 18 dicembre 1951, nn. 1429, 1440 e 1444, in relazione agli artt. 2 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Osserva il giudice a quo che, sulla scorta dei risultati della consulenza, alla stregua dei quali la parte residuata al Filippelli corrisponde a complessivi ha. 298.41.53, dei quali ha. 185.33.63 in piena proprietà ed ha. 113.07.90 in nuda proprietà, la questione di legittimità va proposta sotto un duplice profilo. Il primo va individuato nell'eccesso di delega, per avere i decreti di esproprio intaccato in senso assoluto la quota intangibile dei trecento ettari che, a norma dell'art. 2 della legge n. 230 del 1950, doveva essere lasciata al proprietario espropriato; il secondo, che consiste sempre nell'eccesso di delega, deriva dalla constatazione che nella quota di rispetto risultano compresi ha. 113.07.90 di terreni in nuda proprietà. A questo proposito il tribunale rileva che il legislatore, con la espressione "terreni di proprietà privata" adottata dalla legge n. 230 del 1950, non può che essersi riferito al concetto di proprietà nel significato espresso dall'art. 832 cod. civ.; inoltre egli, stabilendo il limite insuperabile di trecento ettari per la quota residua, mostrò chiaramente di ritenere tale estensione indispensabile per la gestione utile dell'azienda da rilasciare al proprietario espropriato.

Sulla base di queste premesse il tribunale ritiene che l'Ente espropriante, se poteva tenere conto della nuda proprietà ai fini dello scorporo, non poteva invece comprendere i terreni in nuda proprietà nella quota di rispetto dei trecento ettari, perché in tale caso il soggetto espropriato verrebbe ad essere sacrificato oltre misura, in contrasto con i motivi ispiratori della legge di esproprio.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 10 marzo 1971.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti sia il Filippelli che l'Opera per la valorizzazione della Sila.

Nell'aderire alle censure prospettate nell'ordinanza di rinvio, la difesa del Filippelli osserva che la questione relativa alla integrità quantitativa della quota di riserva é di agevole soluzione, perché, alla stregua dei precedenti giurisprudenziali, é sufficiente la lesione della quota di rispetto dei trecento ettari per integrare gli estremi dell'eccesso di delega.

In ordine alla seconda questione, che riguarda la composizione della quota inespropriabile, il Filippelli deduce la violazione degli artt. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e 3 della Costituzione. Al riguardo egli rileva che il legislatore, con la legge di riforma fondiaria, stabilì la misura della quota di riserva proprio in considerazione del fatto che una minore estensione non avrebbe consentito ai proprietari espropriati la organizzazione di una azienda produttiva che rispondesse alle esigenze della economia agricola nazionale. La realizzazione di tale finalità avrebbe dovuto comportare da parte dell'Ente di riforma l'applicazione degli stessi criteri nella formazione della quota inespropriabile ed intangibile per assicurare a tutti i soggetti espropriati parità di trattamento di fronte alla attuazione della legge di riforma fondiaria.

L'Opera per la valorizzazione della Sila, costituitasi a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, rileva in via preliminare che la questione relativa alla integrità quantitativa della quota non forma oggetto del giudizio di merito in cui, alla stregua delle domande proposte dal Filippelli, si discute esclusivamente sul punto se la quota di riserva debba essere costituita soltanto da beni in piena proprietà o se in essa possano essere compresi anche i terreni in nuda proprietà. Pertanto, poiché l'accertamento della violazione della quota inespropriabile non forma oggetto della causa pendente dinanzi al tribunale di Rossano, la proposizione del giudizio incidentale di costituzionalità sarebbe, su tale questione, priva dei presupposti richiesti dalla legge.

Con riferimento alla questione se tra i terreni inclusi nella quota esente da scorporo possano essere compresi quelli gravati di diritti reali di terzi, l'Avvocatura ritiene che la soluzione affermativa derivi dalla interpretazione testuale delle norme della legge n. 230 del 1950, le quali, quando si riferiscono al diritto di proprietà, non fanno alcuna distinzione tra la situazione del proprietario e quella del nudo proprietario.

D'altra parte, il legislatore, nei casi in cui ha voluto prendere in considerazione l'incidenza degli altri diritti reali sul diritto di proprietà, lo ha detto espressamente, sia quando ha escluso dal computo della quota esente il diritto di proprietà del concedente o direttario di beni concessi in enfiteusi (art. 2, secondo comma), sia quando ha stabilito la sorte dei diritti reali di godimento sui terreni soggetti ad espropriazione (articolo 9).

Ora tale interpretazione, anche se desunta dall'esame delle norme che riguardano i beni da espropriare, vale anche, secondo l'Avvocatura, per i beni da lasciare all'espropriando, dal momento che in entrambi i casi la legge parla di "proprietà" senza differenza alcuna.

3. - All'udienza le parti hanno ulteriormente svolto le questioni già prospettate.

Considerato in diritto

Il tribunale di Rossano, in un giudizio in cui si contesta la legittimità di tre decreti presidenziali delegati, aventi per oggetto l'espropriazione di terreni promossa in base alla legge di riforma agraria n. 230 del 1950 (c.d. legge Sila), assume che quei decreti avrebbero violato gli artt. 76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non avrebbero rispettato le norme della anzidetta legge di delegazione. Il che, essendosi, secondo il giudice a quo, verificato sotto due profili diversi, darebbe luogo alle seguenti due questioni di costituzionalità:

a) la prima, relativa al mancato rispetto quantitativo della quota intangibile di 300 ettari da lasciarsi in proprietà dell'espropriato ai sensi dell'art. 2 della stessa legge;

b) la seconda, concernente la composizione quantitativa della medesima quota, perché formata con terreni in parte spettanti all'espropriato non in piena, ma in nuda, proprietà, per essere gravati da usufrutto vitalizio a favore di terzi.

Con riferimento alla prima questione, la difesa dell'espropriante Opera di valorizzazione della Sila eccepisce la irrilevanza, in quanto mancherebbe la richiesta dell'espropriato sulle provvidenze da emettersi dal tribunale in suo favore per l'eccedenza quantitativa dei terreni espropriati, rilevata dal consulente ed importante, per circa un ettaro e mezzo, la violazione della quota non espropriabile.

L'eccezione di irrilevanza non é fondata, non essendo esatto che l'espropriato abbia omesso in proposito ogni richiesta.

Egli, anche se in forma generica, ha in realtà chiesta la restituzione dei terreni, e subordinatamente il risarcimento del danno prodotto dalle espropriazioni di cui lamentava la illegittimità; il che era sufficiente per autorizzare il tribunale a proporre alla Corte in via incidentale, anche d'ufficio, come in ogni altro giudizio, le questioni di legittimità costituzionale che emergevano in ordine alle norme da applicare, nulla rilevando che queste avessero il particolare carattere di singolarità e specialità che é proprio di tutte le leggi-provvedimento.

Nel merito, detta prima questione é fondata.

Posto infatti che quanto ha ritenuto il tribunale, interpretando e coordinando le consulenze d'ufficio e di parte, sia esatto, i tre decreti di espropriazione sono affetti da illegittimità nella parte in cui hanno, nel complesso, ordinato l'espropriazione anche di ha. 1.58.47 che invece dovevano essere lasciati in proprietà dell'espropriato perché, sommati agli altri 298.41.53, formassero i 300 ettari della quota esente, indicata nell'art. 2 della legge.

La Corte infatti (v., tra le altre, sent. n. 72 del 1957, n. 106 del 1969) ha sempre ritenuto che quell'articolo, disponendo che all'espropriazione erano soggette persone e società che, al 15 novembre 1949, avevano più di trecento ettari, non solo ha esentato dall'esproprio coloro che avevano in proprietà terreni in misura non eccedente quella indicata, ma ha anche stabilito che dovessero essere lasciati trecento ettari a coloro che ne possedevano di più.

Con la seconda questione, il tribunale pone il dubbio se possano, nella detta quota intangibile, essere inclusi, in tutto o in parte, terreni di proprietà dell'espropriato, ma gravati di usufrutto a favore di terzi.

Ma tale dubbio é infondato, perché, quale che possa essere la ratio che ha mosso il legislatore a limitare l'esproprio alle quantità eccedenti i trecento ettari, e di cui qui non interessa discutere, certo é che ha indicato la quota intangibile soltanto in termini di estensione, prescindendo cioè dal valore e dal rendimento dei beni che devono entrare a comporla. Cosicché, come non potrebbe dirsi violata la disposizione se al proprietario, nella scelta discrezionale spettante all'Amministrazione sui beni oggetto dell'esproprio, venissero lasciati terreni che producono poco o magari nulla, così non può dirsi, e a maggior ragione, non rispettata quella norma, perché a comporre la quota esente sono stati lasciati beni di cui l'espropriato non percepisce reddito a causa dell'usufrutto di cui essi sono gravati a favore di terze persone. E la minore incidenza, in termini economici, della non redditività dei terreni in questo secondo caso é data dalla temporaneità del vincolo di usufrutto, laddove la mancanza di rendimento di terreni per naturale improduttività é virtualmente perpetua.

Ma a questo argomento, fondato su considerazioni di ordine economico, non irrilevante in un primo approccio al problema, altri possono aggiungersi di carattere più propriamente giuridico.

Va infatti posto in evidenza che la legge, pur ponendosi, all'art. 9, il tema dei diritti reali di terzi gravanti sulle proprietà espropriate, che dichiara trasferiti sull'indennità, nulla prevede al riguardo allorché, all'art. 2, parla della quota non espropriabile.

Il che é sufficiente per ritenere che, quanto alla composizione di tale quota, i beni in piena e quelli in nuda proprietà sono considerati sullo stesso piano, venendo loro così conferito carattere di fungibilità.

Né può dirsi ingiustificata ed ingiusta tale soluzione, giacché, nella consistenza, nell'intero patrimonio dell'espropriando, di beni liberi e di beni gravati da usufrutto, la inclusione o la esclusione dei primi nella quota esente risulta in concreto equivalente per l'espropriato. Comprendendo infatti in tale quota i beni liberi e nel compendio da espropriare i beni gravati, egli otterrà subito il reddito in natura, ma avrà alla fine dell'usufrutto il possesso e il reddito in interessi per quanto concerne la indennità di espropriazione. Viceversa, se i beni gravati da usufrutto sono compresi nella quota esente e quelli liberi assoggettati all'esproprio, egli otterrà alla fine dell'usufrutto il godimento dei terreni di cui conserva la proprietà, ma conseguirà invece subito il possesso e il reddito della somma dovutagli a titolo di indennità.

Il che pone su un piano di indifferenza l'attribuzione dei beni gravati da usufrutto nella prima o seconda parte dei terreni che vengono a cadere sotto la normativa della legge di riforma.

Va infine considerato che, se si dovesse ammettere, così come la difesa del ricorrente sostiene, che, in presenza di terreni in piena e in nuda proprietà, nella quota esente debbano essere compresi i primi ed esclusi i secondi, si verrebbe ad imporre all'ente espropriante un limite nella scelta dei terreni da espropriare che é incompatibile con i fini pubblicistici che quell'ente persegue.

Le seconda questione va pertanto dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1951, nn. 1429, 1440 e 1444, in quanto assoggettino ad esproprio terreni compresi nella quota non espropriabile di 300 ettari.

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla inclusione, nella anzidetta quota, di terreni gravati da usufrutto vitalizio a favore di terzi, questione proposta con ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione ed in relazione all'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1973.

Francesco PAOLO BONIFACIO - Giuseppe VERZI - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI

 Arduino SALUSTRI Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 aprile 1973.