Sentenza n. 204 del 1972

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 SENTENZA N. 204

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Costantino MORTATI, Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFR1DA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo e terzo comma, ultima parte, della legge 13 marzo 1950, n. 120 (norme relative all'ordinamento dell'Istituto nazionale di assistenza per i dipendenti da enti locali), promossi con ordinanze emesse il 21 gennaio 1971 e il 28 novembre 1970 dalla Corte dei conti - sezione terza pensioni civili - sui ricorsi rispettivamente di Bolletta Umberto, Micheletti Pierina e Perri Salvatore contro l'Istituto nazionale d’assistenza per i dipendenti da enti locali, iscritte a nn. 199, 200 e 254 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 7 luglio 1971 e n. 233 del 15 settembre 1971.

Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1972 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Umberto Bolletta, dipendente del Comune di Foligno dal 1935, veniva collocato a riposo nel 1945 per abbandono del posto.

Non avendo diritto a pensione, stante la durata del servizio prestato, avanzava domanda onde ottenere l'assegno vitalizio, ma questo gli veniva negato perché il collocamento a riposo non era avvenuto per motivi indipendenti dalla sua volontà sibbene per dimissioni d'ufficio a seguito del detto abbandono del posto.

Contro codesto provvedimento di diniego, il Bolletta proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti, chiedendo nei confronti dell'INADEL il riconoscimento del diritto all'assegno vitalizio.

La Corte dei conti, in accoglimento dell'eccezione del p.m., sottoponeva a questa Corte, considerandola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma primo, della legge 13 marzo 1950, n. 120, nella parte in cui la norma subordina il conferimento dell'assegno vitalizio alla condizione che il personale degli enti locali sia cessato dal servizio per motivi indipendenti dalla propria volontà, ed in riferimento all'art. 36 della Costituzione.

Sotto il profilo della rilevanza, osservava che, qualora fosse stata dichiarata l'illegittimità della detta norma in parte qua, il ricorrente avrebbe avuto diritto al richiesto assegno vitalizio.

Circa la non manifesta infondatezza, rilevava che l'assegno vitalizio fa parte della retribuzione differita al momento della cessazione dal servizio e non potrebbe essere negato al lavoratore anche se il servizio stesso abbia avuto termine per motivi inerenti alla volontà del dipendente. Ed a tal riguardo ricordava che questa Corte, con le sentenze nn. 3 del 1966 e 75 del 1968, aveva deciso analoghe questioni, escludendo che la colpa del lavoratore o le sue dimissioni e perfino la condanna penale potessero incidere sul diritto a pensione o ad altri assegni similari.

L'ordinanza, del 21 gennaio 1971, veniva ritualmente comunicata, notificata e pubblicata.

2. - A Pierina Micheletti, quale vedova di Giuseppe Piazzano, segretario del Comune di Lessona Biellese, deceduto in attività di servizio il 15 maggio 1933, veniva conferito dall'INADEL l'assegno vitalizio a decorrere dal 1 maggio 1950.

Successivamente, l'Istituto, venuto a conoscenza che la Micheletti era titolare di pensione dell'INPS a carico della gestione speciale per i coltivatori diretti, con deliberazione del 27 settembre 1969, la dichiarava decaduta dal beneficio concessole, stante il divieto di cumulo dell'assegno vitalizio con altri trattamenti di quiescenza a carico dello Stato o di altri enti pubblici, sancito dall'art. 11 della legge 13 marzo 1950, n. 120.

Avverso la deliberazione, la Micheletti proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti, sostenendo nei confronti dell'INADEL, di avere diritto alla conservazione dell'assegno. A suo avviso, essendo il di lei marito deceduto nel 1933, sarebbe applicabile alla specie l'art. 99 (recte: 45) del regolamento approvato con il r.d. 20 dicembre 1928, n. 3239 (nel testo modificato dall'articolo unico del r.d. 15 novembre 1937, n. 2652), che consentiva il cumulo in questione, e non la legge n. 120 del 1950 vigente nel momento in cui il diritto stesso era stato per la prima volta esercitato. E tale interpretazione, per altro, sarebbe più consona allo spirito delle norme similari, dettate per i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici.

L'Istituto chiedeva il rigetto del ricorso. Richiamava la giurisprudenza contraria della Corte dei conti e faceva presente che la legge n. 120 del 1950 aveva completamente innovato la precedente normativa in materia di assegni vitalizi. Considerava non valido il riferimento della ricorrente alle norme che consentono il cumulo per altre categorie di pubblici dipendenti.

Il p.m., premesso che il citato art. 45 del r.d. n. 3239 del 1928 era stato abrogato e che l'art. 11 della legge n. 120 del 1950 é applicabile agli assegni in corso di godimento in base alla precedente normativa, sollevava questione di legittimità costituzionale del citato art. 11, commi primo e terzo, perché in contrasto con gli artt. 36 e 3 della Costituzione.

La Corte dei conti, ritenute pienamente applicabili alla specie le norme denunciate, considerava rilevante la sollevata questione. Circa la non manifesta infondatezza di essa, a proposito dell'assegno vitalizio osservava che era indubbio il carattere di ristoro dell'emolumento configurantesi come sostitutivo della pensione. In particolare, sulla base delle sentenze nn. 3 del 1966 e 75 del 1968 della Corte costituzionale, che hanno riconosciuto la natura retributiva sia della pensione e sia degli assegni similari (quale l'indennità di anzianità), reputava sufficientemente fondato il denunciato contrasto con l'art. 36 che ha inteso verosimilmente tutelare anche il diritto del lavoratore a fruire di una pluralità di retribuzioni (attuali o differite) in corrispondenza di una pluralità di prestazioni. Con riferimento all'art. 3, la norma denunciata non sarebbe conciliabile col fatto che il cumulo di più trattamenti retributivi aventi titolo in un rapporto di lavoro (sotto il duplice profilo del trattamento di attività concorrente con quello di quiescenza e della pluralità di trattamenti di pensione) sia ammesso dal vigente ordinamento per talune categorie di pubblici dipendenti, senza che alla disparità di regolamentazione corrisponda una obbiettiva diversità di situazioni regolate; e neppure, e soprattutto, con l'art. 4 del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 759, che ha abrogato, con effetto dal 1 marzo 1966,l'articolo 8 della legge 27 novembre 1956, n. 1407, contenente il divieto di cumulo degli assegni vitalizi a carico dell'opera di previdenza per i personali civile e militare dello Stato (ora gestita dall'ENPAS) con trattamenti di attività derivanti da rapporto di impiego o di lavoro a carattere continuativo e con pensioni o altri assegni di quiescenza a carico dello Stato o di altri enti pubblici o amministrazioni private, il cui importo fosse superiore a lire 45.000 mensili.

La Corte dei conti, infine, osservava che le precedenti argomentazioni erano valide anche per l'ipotesi, ricorrente nella specie, in cui il destinatario dell'assegno vitalizio sia non il lavoratore, ma il congiunto avente causa ed in cui questi sia titolare di una propria posizione previdenziale. Il congiunto, infatti, é designato dalla legge quale soggetto del diritto derivato in quanto già compartecipe, per essere stato a carico del dante causa, della retribuzione corrisposta in vita al lavoratore. E poi, in materia previdenziale e di quiescenza, é generale il principio della riversibilità ai congiunti aventi causa, talvolta anche con l'assenza di determinate condizioni, come avviene nei confronti della vedova del lavoratore o dei figli minori.

L'ordinanza, del 28 novembre 1970, veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata.

3. - Salvatore Perri, applicato del Comune di S. Giovanni in Fiore e cessato dal servizio l'8 agosto 1936 per motivi di salute, otteneva da parte dell'INADEL l'assegno vitalizio a decorrere dal 1 maggio 1950. Successivamente l'Istituto, venuto a conoscenza che al Perri era corrisposta dall'INPS la pensione di invalidità per contributi volontariamente versati dall'iscritto, con deliberazione del 27 settembre 1969, dichiarava l'interessato decaduto dal beneficio in precedenza concessogli, stante il divieto di cumulo dell'assegno vitalizio con altri trattamenti a carico dello Stato o di altri enti pubblici, sancito dall'art. 11 della legge 13 marzo 1950, n. 120.

A seguito di ciò il Perri proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti, dolendosi nei confronti dell'INADEL del provvedimento adottato e chiedendo il riconoscimento del diritto alla pensione a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali per il servizio prestato dal 1. maggio 1914 all'8 agosto 1936.

L'INADEL chiedeva il rigetto del ricorso, mettendo tra l'altro in evidenza la portata innovativa della legge n. 120 del 1950.

Il p.m. sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi primo e teno, della citata legge n. 120, in riferimento agli artt. 36 e 3 della Costituzione.

La Corte dei conti, premesso che in via principale il ricorrente aveva reclamato il diritto alla conservazione dell'assegno vitalizio oggetto del provvedimento di revoca, considerava rilevante la sollevata questione. Circa la non manifesta infondatezza, ripeteva le argomentazioni svolte con l'ordinanza emessa nel giudizio vertente tra Pierina Micheletti e l'INADEL e riportate al precedente numero di questa esposizione in punto di fatto.

L'ordinanza, del 28 novembre 1970, veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata.

4. - Nei tre giudizi, come sopra promossi, non si é costituita alcuna delle parti, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Le cause, per tanto, a sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, vengono decise in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1. - I tre giudizi, in quanto aventi ad oggetto questioni identiche o strettamente connesse, vanno riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - La prima questione, che la Corte ritiene di dovere esaminare, é sollevata dalla Corte dei conti con ordinanza del 21 gennaio 1971 e concerne l'art. 11, comma primo, della legge 13 marzo 1950, n. 120 (norme relative all'ordinamento dell'Istituto nazionale di assistenza per i dipendenti da enti locali). Secondo la Corte dei conti tale norma sarebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, nella parte in cui "subordina il conferimento dell'assegno vitalizio alla condizione che il personale degli enti locali sia cessato dal servizio per motivi indipendenti dalla propria volontà", perché l'assegno vitalizio, così come il trattamento pensionistico, costituisce parte della retribuzione differita al momento della cessazione dal servizio e come tale non può essere negato al lavoratore anche se il servizio stesso abbia termine per motivi inerenti alla sua volontà.

La questione così proposta presenta punti di stretta analogia con altre già considerate favorevolmente da questa Corte (cfr. sentenze nn. 3 del 1966, 78 del 1967, 75 e 112 del 1968 e 25 del 1972) e comunque é di per sé sicuramente fondata.

L'assegno vitalizio, in favore dei dipendenti da enti locali, istituito con il r.d.l. 23 luglio 1925, n. 1605, ha trovato la sua disciplina quale prestazione di diritto con la citata legge n. 120 del 1950, la cui normativa é applicabile alla specie, e una nuova regolamentazione con la legge 8 marzo 1968, n. 152.

Secondo le norme della legge n. 120 del 1950, tale assegno spetta e viene concesso dall'INADEL a quei dipendenti a cui non compete la pensione da parte della Cassa pensioni dipendenti enti locali. Praticamente, quindi, esso, avendo una funzione sostitutiva nei confronti della pensione, integra un particolare trattamento di quiescenza.

Ora, per l'assegno vitalizio, stante la sua natura e funzione, non può non valere, ai fini della valutazione della questione de qua, ciò che questa Corte ha avuto occasione di dire a proposito della pensione, spettante al personale statale.

Anche l'assegno vitalizio dell'INADEL trova in un rapporto di impiego la sua giustificazione e la sua misura. E per ciò la norma che ne esclude la spettanza quando il personale sia collocato a riposo per motivi dipendenti dalla sua volontà, appare chiaramente in contrasto con l'art. 36 della Costituzione. Essa viene, infatti, a negare al detto personale (non avente diritto a pensione) quella parte del complessivo trattamento la cui corresponsione é differita per consentirgli di far fronte alle esigenze connesse alla cessazione del rapporto e che trova, nel suo insieme, proprio nell'art. 36 la sua tutela costituzionale.

Di conseguenza, ricorrono i presupposti perché sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma primo, della citata legge n. 120 del 1950, nella parte in cui nega la concessione di diritto dell'assegno vitalizio al personale degli enti locali che sia collocato a riposo per motivi dipendenti dalla sua volontà.

3. - La seconda questione sottoposta dalla Corte dei conti con ordinanze del 28 novembre 1970 (nn. 200 e 254 del reg. oR.D. 1971) riguarda i commi primo e terzo, ultima parte, del citato art. 11 della legge n. 120 del 1950 ed é prospettata in riferimento agli artt. 36 e 3 della Costituzione. Si ritiene, da un canto, che vadano contro l'art. 36, che tutelerebbe, tra l'altro, il diritto del lavoratore a fruire di una pluralità di retribuzioni (attuali o differite) in corrispondenza di una pluralità di prestazioni, le norme che non consentono all'iscritto all'INADEL di cumulare l'assegno vitalizio con la pensione (primo comma) e negano la riversibilità dell'assegno ai congiunti dell'iscritto fruenti anch'essi di una pensione propria (terzo comma, ultima parte); e si prospetta, d'altro canto, il dubbio che codeste norme violino l'art. 3 della Costituzione, perché dal vigente ordinamento é ammesso per talune categorie di pubblici dipendenti il cumulo di più trattamenti retributivi aventi titolo in un rapporto di lavoro, e alla disparità di trattamento non corrisponde una obiettiva diversità di situazioni regolate, e perché il divieto di cumulo degli assegni vitalizi a carico dell'ENPAS con trattamenti di attività derivanti da rapporto di impiego o di lavoro a carattere continuativo e con pensioni od altri assegni di quiescenza a carico dello Stato o di altri enti pubblici o amministrazioni private, era previsto nell'art. della legge 27 novembre 1956, n. 1407, e tale norma é stata abrogata dall'art. 4 del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 759.

Le ordinanze della Corte dei conti sono state emesse, con contenuto sostanzialmente identico, in due procedimenti in cui la legittimità costituzionale dell'anzidetto divieto era stata contestata rispettivamente da un congiunto (vedova) di iscritto all'INADEL e direttamente da un iscritto. Stante ciò, nel giudizio nascente dalla prima ordinanza, potrebbe anche essere constatata la mancanza della rilevanza a proposito della questione relativa al primo comma dell'art. 11, ma nello stesso tempo la risoluzione di questa stessa questione non può non dirsi sicuramente pregiudiziale per la decisione del merito di cui al secondo giudizio.

Considerando quindi la questione nel suo insieme e sotto i suoi specifici profili, é il caso di notare che le ipotesi configurabili a proposito del primo e del terzo comma dell'art. 11, presuppongono che i due trattamenti in conflitto non siano dovuti per un'unica prestazione di lavoro: ed in particolare non può venire in considerazione il caso che la pensione sia dovuta all'iscritto per la stessa causale di lavoro per cui gli spetta l'assegno vitalizio.

Ora limitatamente alle ipotesi rientranti nella previsione normativa é ravvisabile un sicuro contrasto con l'art. 36 della Costituzione.

Dato che il trattamento pensionistico del lavoratore é ritenuto costituzionalmente garantito da detta disposizione ed il principio é da considerare valido ed operante per ogni altro trattamento, successivo alla cessazione del rapporto, che presenti una componente retributiva, non si può non ammettere che a pluralità di prestazioni faccia riscontro una pluralità di retribuzioni (attuali o) differite.

E ne consegue che, entro codesti limiti, il divieto di cumulo dei trattamenti economici sia costituzionalmente illegittimo perché per quello che ne resta escluso, si realizza una sostanziale disapplicazione del principio della giusta retribuzione.

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme denunciate nella parte in cui la concessione dell'assegno vitalizio all'iscritto e la riversibilità ai suoi congiunti sono negate a coloro che abbiano diritto ad una pensione propria a titolo differente.

E rimane assorbito l'esame del secondo profilo della questione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma primo, della legge 13 marzo 1950, n. 120 (norme relative all'ordinamento dell'Istituto nazionale di assistenza per i dipendenti da enti locali), nella parte in cui subordina la concessione di diritto degli assegni vitalizi al personale alla condizione che il collocamento a riposo abbia luogo per motivi indipendenti dalla sua volontà, e di detto comma nonché del terzo comma dello stesso articolo nella parte in cui le relative norme negano all'iscritto la concessione dell'assegno e ai suoi congiunti la riversibilità quando ai detti aventi diritto, per titolo differente, spetti una pensione propria.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1972.

Costantino MORTATI – Vincenzo Michele TRIMARCHI

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1972.