Sentenza n. 52 del 1972

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 SENTENZA N. 52

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

  composta dai signori:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 296, secondo e terzo comma, e 392, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze;

1) ordinanza emessa il 5 novembre 1969 dal pretore di Sant'Agata di Militello nel procedimento penale a carico di Vulcano Domenico, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell'8 aprile 1970;

2) ordinanze emesse il 22, 23, 20 febbraio e 2 marzo 1971 dal pretore di Bitonto nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Sblano Nicola ed altro, Gasparre Cosimo, Parisi Gaetano ed altro e Grottolo Teodoro ed altro, iscritte ai nn. 139, 140, 157 e 158 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 del 12 maggio 1971, n. 140 del 3 giugno 1971 e n. 151 del 16 giugno 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1972 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Vulcano Domenico, imputato del delitto di furto aggravato, il giudice istruttore presso il tribunale di Patti, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 296, secondo comma, del codice di procedura penale, delegava il pretore di Sant'Agata di Militello per l'esecuzione dell'interrogatorio dell'imputato medesimo e di alcuni testimoni residenti in quel comune, compreso nella circoscrizione dello stesso tribunale.

Il pretore, con ordinanza 5 novembre 1969, (n. 103 del 1970) ritenuto che l'art. 296, secondo comma, violasse i precetti enunciati negli artt. 102, primo comma, 25, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, ha sollevato, di ufficio, la relativa questione.

Ha osservato al riguardo che la disposizione in esame consentirebbe al giudice istruttore di estendere a sua discrezione la competenza del pretore: e ciò sia in contrasto con il principio secondo cui "la funzione giurisdizionale é esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario" (art. 102, primo comma), sia con quello per cui "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" (art. 25, secondo comma).

Nell'ordinanza si é posta, poi, in rilievo l'opportunità che al compimento degli atti istruttori proceda sempre il giudice che, per aver formulato l'imputazione, appare essere in grado, più che altro giudice da lui delegato, di valutare i risultati delle indagini in rapporto ad ogni altra prova raccolta ed all'interesse della difesa.

Diversamente, in applicazione della norma impugnata, si verificherebbe disparità di trattamento fra l'imputato e i testimoni che venissero interrogati dallo stesso giudice istruttore nel comune ove ha sede l'ufficio, e l'imputato e i testimoni che fossero interrogati per rogatoria fuori di tale comune.

E poiché questa disparità non potrebbe trovare giustificazione in ragioni obiettive di rapidità ed economia processuale, risulterebbe violato anche il principio di uguaglianza enunciato nell'art. 3 della Costituzione.

Davanti a questa Corte si é costituita, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso perché le questioni predette vengano dichiarate non fondate.

L'Avvocatura ha dedotto che la delegazione per l'espletamento di atti istruttori non inciderebbe su alcuno dei precetti costituzionali richiamati nell'ordinanza di rimessione: non sul principio di eguaglianza, giacché il legislatore, per prevalenti ragioni di economia funzionale e finanziaria, avrebbe discrezionalmente determinato di non distogliere il magistrato istruttore dal normale svolgimento delle sue funzioni, per attendere ad indagini fuori del comune ove ha sede l'ufficio. E del pari senza fondamento sarebbe stato invocato nella specie il principio del giudice naturale. La delega istruttoria non importerebbe, infatti, spostamento di competenza in ordine alla valutazione delle prove raccolte ed alla decisione istruttoria di rinvio a giudizio o di proscioglimento.

Né, infine, potrebbe dirsi violato l'art. 102, primo comma, Cost., dato che la delegazione istruttoria non modificherebbe le attribuzioni dei giudici, quali sono stabilite dall'ordinamento giudiziario.

La questione di costituzionalità dell'art. 296, secondo comma, c.p.p., in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, con ordinanza 20 febbraio 1971 (n. 157 del 1971), é stata sollevata, con analoga motivazione ed in relazione a fattispecie identica a quella indicata dal pretore di S. Agata di Militello, anche dal pretore di Bitonto, il quale ha inoltre prospettato la violazione dell'art. 107, terzo comma, della Costituzione.

Nell'affermare quale unico criterio di distinzione dei magistrati la loro "diversità di funzioni", detta norma darebbe rilevanza costituzionale a tale distinzione e implicherebbe il divieto che magistrati diversi, per le funzioni loro affidate, svolgano, per delegazione, competenze non proprie.

La disposizione impugnata sarebbe perciò illegittima in quanto derogherebbe ai criteri di separazione della competenza pretoria da quella del giudice istruttore.

Con altra ordinanza (n. 139 del 1971), emessa il 22 febbraio 1971, il pretore di Bitonto, chiamato ad espletare atti istruttori, a seguito di delegazione disposta dal giudice istruttore presso il tribunale di Macerata, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, ha sollevato il dubbio circa la costituzionalità anche del terzo comma dell'art. 296 del c.p.p., per la parte nella quale si dispone che per gli atti da eseguire nella circoscrizione di un altro tribunale, é richiesto il pretore del luogo.

Lo stesso pretore, con altre ordinanze, (iscritte ai nn. 140 e 158 del 1971), rispettivamente in data 23 febbraio e 2 marzo 1971, ha denunziato, di ufficio, sotto profili analoghi a quelli in precedenza enunciati ed in riferimento agli stessi artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, 107, terzo comma, della Costituzione, l’illegittimità dell'art. 392, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui, analogamente a quanto disposto nell'art. 296, secondo e terzo comma, dello stesso codice nei riguardi del giudice istruttore, é stabilito che, "al pretore del luogo può essere richiesto dal procuratore della Repubblica l'espletamento di singoli atti che debbono compiersi fuori del comune di sua residenza".

E ciò nel corso della istruzione sommaria svolta sia nei procedimenti ordinari sia in quelli di competenza dei tribunali per i minorenni, ai sensi degli artt. 9 e 13 del r.d. 20 luglio 1934, n. 1404.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le suindicate ordinanze dei pretori di Sant'Agata di Militello e di Bitonto, vengono proposte, per motivi in gran parte comuni, questioni di legittimità costituzionale riguardanti le disposizioni, fra loro connesse, degli artt. 296, secondo e terzo comma, e 392, secondo comma, del codice di procedura penale.

Occorre pertanto riunire i rispettivi giudizi onde pervenire ad unica decisione.

2. - Il quesito circa la legittimità costituzionale dell'art. 296, secondo comma, del c.p.p. é prospettato nelle ordinanze sotto cinque diversi profili, peraltro fra loro complementari, fra i quali appare di rilievo logico-giuridico pregiudiziale, quello concernente la violazione del principio del giudice naturale stabilito nell'art. 25, primo comma, della Costituzione.

Dai giudici del merito si osserva al riguardo che la norma impugnata, nella parte in cui dispone che per gli atti da eseguire fuori del comune di residenza, nell'ambito della stessa circoscrizione territoriale del tribunale cui appartiene, il giudice procedente ad istruzione formale può delegare il pretore del luogo, lederebbe la garanzia di precostituzione del giudice, derogando alla disciplina della competenza che il codice detta in termini generali ed astratti e non in vista di un concreto procedimento.

Il che si verificherebbe, invece, nella ipotesi in esame, per il fatto che la norma del secondo comma dell'art. 296, farebbe dipendere la delegazione istruttoria da una determinazione discrezionale dello stesso giudice istruttore.

La questione non é fondata.

3. - Come emerge dall'interpretazione dell'art. 25, primo comma, della Costituzione costantemente adottata da questa Corte, il principio del giudice naturale é ispirato alla garanzia di obiettività ed imparzialità del giudizio e, nella materia processuale penale, ha riferimento alla precostituzione del giudice al quale spetta di giudicare, nei limiti della cognizione sulla imputazione, propria di ciascuna fase processuale e per i fini cui ciascuna fase é preordinata.

Il che non si verifica nella fattispecie normativa in oggetto, atteso che nel sistema della istruzione formale la delegazione non comporta sostituzione del pretore nell'esercizio delle funzioni di cognizione della causa che spettano al giudice istruttore delegante, ma deve essere inderogabilmente limitata al compimento di indagini probatorie ed alla precisazione delle difese dell'imputato, qualora la delega comprenda l'interrogatorio di quest'ultimo.

Ne resta, conseguenzialmente, escluso non soltanto il potere di trarre elementi di valutazione in merito all'accusa, ma anche di pronunziarsi in ordine alla rilevanza di ulteriori mezzi istruttori, che non siano stati specificamente delegati o che dallo svolgimento di questi appaiono (interinalmente e salvo l'apprezzamento definitivo del giudice istruttore) necessari od utili, escluse in ogni caso le perizie non assolutamente urgenti.

E ciò, come risulta dalla relazione del Guardasigilli al progetto preliminare del c.p.p. appunto per evitare che il pretore proceda ad atti che richiedano formale e discrezionale deliberazione del giudice istruttore.

Va ricordato in proposito che la lettera della legge, alludendo ad atti specificamente delegati, esclude la possibilità di una delegazione generica e totale. Né va trascurato, a conferma, l'indirizzo giurisprudenziale, generalmente seguito dalla Corte di cassazione, affermante l'illegittimità della delega a procedere ad istruzione, senza che il giudice delegante preventivamente formuli l'imputazione, specie ai fini della emissione di un mandato nei confronti dell'imputato, e senza che indichi in modo specifico i mezzi istruttori da espletare ratione loci da altro giudice.

Eventuali violazioni della norma sono ipotizzabili, come si accenna nelle ordinanze con riguardo alle delegazioni che hanno provocato la denunzia di essa, ma come é ovvio non ne infirmano la legittimità costituzionale.

Se dunque la delegazione preveduta dalla norma impugnata non comporta sostituzione del pretore delegato nella legittimazione a giudicare, che la legge attribuisce invece al giudice istruttore, cui rimane riservata la direzione dell'istruttoria nonché la decisione finale circa il rinvio a giudizio o il proscioglimento dell'imputato, essa non incide sulla precostituzione del giudice stesso e non può incrinare il fondamentale principio della imparzialità del giudizio a tutela del quale sono dettate le norme sulla competenza. Risulta preordinata, al contrario, ad esigenze obiettive dell'amministrazione della giustizia; quelle che nella sopracitata relazione ministeriale sono qualificate di economia funzionale e finanziaria e possono identificarsi nella opportunità di evitare non necessari spostamenti di magistrati e funzionari o di privati, con gli inevitabili disagi nonché il dispendio che quelli comporterebbero.

La valutazione della ricorrenza, in concreto, di tali esigenze é riservata al giudice istruttore, con l'imparzialità propria della funzione giurisdizionale, in riferimento all'importanza di ciascun atto del procedimento istruttorio.

É opportuno ricordare quanto già chiarito da questa Corte con la sentenza 139 del 1971 nella quale si é precisato che la nozione di giudice naturale non si cristallizza nella determinazione legislativa della competenza, ma risulta anche da tutte quelle disposizioni che derogano a tale competenza sulla base di criteri rispondenti a razionale valutazione dei disparati interessi in controversia.

4. - E poiché la delegazione istruttoria, razionalmente rispondente, del resto, ad effettive esigenze dell'amministrazione della giustizia, non modifica la competenza in ordine alla cognizione sulla imputazione, deve ritenersi che venga meno il fondamento anche della asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Dal fatto che all'assunzione di talune prove proceda lo stesso giudice istruttore che ha formulato l'accusa o che ad altre indagini attenda, invece, il pretore, non può desumersi ragione di diseguale trattamento, una volta chiarito che le valutazioni definitive rimangono affidate al giudice delegante.

5. - Per quanto concerne poi le censure dei giudici di merito fondate su asserite violazioni degli artt. 102, primo comma, 101, secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, va rilevato, senza diffondersi in più ampia motivazione, che esse non hanno rispondenza puntuale nel reale contenuto di tali norme costituzionali e che, comunque, muovono dall'erroneo presupposto che la delegazione di atti istruttori, per il suo contenuto di discrezionalità, sia sottratta all'imperio della legge e svolga effetti tali da modificare l'ambito delle funzioni giurisdizionali del pretore, vincolandolo autoritativamente al compimento di atti eccedenti dalla sua competenza istituzionale.

Il che é smentito chiaramente dalla normativa del c.p.p. così come dalla disciplina dell'ordinamento giudiziario, richiamata nelle ordinanze di rinvio.

L'istituto della delega ha base, infatti, nella legge ed appunto la legge demanda al pretore, ratione loci, il compimento di quegli atti, che, in ottemperanza ad esigenze dalla legge medesima indicate e in quanto esplicazione di poteri-doveri che sono espressione e specificazione e, nel contempo, limitazioni di esercizio della potestà giurisdizionale, non possono non implicare margini valutativi di adattamento della norma al caso concreto e in tali sensi, quindi, non possono non essere discrezionali.

Simili atti non importano modificazione o estensione delle funzioni del pretore che l'ordinamento giudiziario (art. 33) stabilisce con lato riferimento a tutte le norme di legge contenenti particolari attribuzioni: comprese quelle in materia di delegazione, ai sensi anche della legge processuale penale.

6. - Gli argomenti che precedono valgono, ed a maggior ragione, a dimostrare prive di fondamento le censure analogamente mosse in riferimento agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, 107, terzo comma, della Costituzione avverso il terzo comma dell'art. 296, nella parte in cui si dispone che per gli atti istruttori da compiersi nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice istruttore debba, senz'altro, richiedere il pretore (o, alternativamente, il giudice istruttore) del luogo, abilitandolo all'esercizio degli stessi poteri di cui al comma precedente, salvo che per ragioni d'urgenza o per altro grave motivo non ritenga di procedere personalmente a tali atti.

É evidente in questa norma l'attribuzione di una discrezionalità ancora più ristretta che nel caso precedente.

7. - Vanno in ultimo esaminate le censure che le ordinanze di rinvio muovono sempre in riferimento ai sopracitati artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, all'art. 392, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui si dispone che il Procuratore della Repubblica, (procedente ad istruzione sommaria) o, per il richiamo implicito che anche a tale norma é fatto dall'art. 13, primo comma, r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, anche esso procedente con rito sommario, può, per i singoli atti istruttori che debbono compiersi fuori del comune di sua residenza, richiedere il pretore del luogo: al detto pretore in tal caso spetta la facoltà preveduta dal secondo comma del già esaminato art. 296.

Orbene la norma di cui al secondo comma dell'art. 392 disciplina, con riguardo all'istruzione sommaria svolta dagli organi del P.M. summenzionati, fattispecie analoghe a quelle prevedute dall'art. 296 del codice di procedura penale.

Ciò comporta che le ragioni addotte per la infondatezza delle censure mosse contro quest'ultima norma valgono, analogicamente, per giungere ad uguale conclusione in ordine alle stesse censure rivolte contro l'art. 392, secondo comma.

Per vero le differenze fra istruzione formale e istruzione sommaria non sono tali da incidere sui rapporti che, in sede di espletamento della istruzione sommaria, possono sorgere fra pubblico ministero inquirente e pretore, sì da consentire una diversa interpretazione delle garanzie e dei precetti costituzionali che sono dettati nei tre articoli cui le ordinanze si riportano.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 296, secondo e terzo Comma, e 392, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevate dai pretori di Bitonto e di Sant'Agata di Militello, con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Nicola REALE

Depositata in cancelleria il 15 marzo 1972.