Sentenza n. 192 del 1970
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SENTENZA N. 192

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legge 3 febbraio 1970, n. 7, recante norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli, convertito, con modificazioni, in legge 11 marzo 1970, n. 83, promosso con ricorso del Presidente della Regione Trentino - Alto Adige, notificato il 18 aprile 1970, depositato in cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 1970.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1970 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione Trentino - Alto Adige, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con atto notificato il 18 aprile 1970 e depositato il 24 aprile successivo, il Presidente della Regione Trentino - Alto Adige ha proposto ricorso per la dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 3, 4 e 10 del D.L. 3 febbraio 1970, n. 7, convertito con la legge 11 marzo 1970, n. 83, per violazione degli artt. 2, 6, 11, 13 e 18 e seguenti dello statuto regionale, anche in relazione agli artt. 3, 6 e 41 della Costituzione.

Premessi alcuni cenni sulla composizione secondo gruppi linguistici delle aziende agricole condotte da coltivatori diretti nella provincia di Bolzano e sulla disciplina ad esse relativa dettata dall'art. 11, n. 6, della legge 29 aprile 1949, n. 264, contenente "provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza ai lavoratori involontariamente disoccupati", il ricorso sostiene che il decreto legge impugnato e la sua legge di conversione - ove dovesse escludersi la sopravvivenza della menzionata disposizione dell'art. 11 della legge del 1949 - avrebbero introdotto in materia alcune innovazioni incompatibili con diverse norme della Costituzione e statutarie.

In particolare il decreto legge e la legge di conversione, stabilendo all'art. 10, primo e nono comma, la libertà di iscrizione del lavoratore agricolo nelle liste di collocamento di qualsiasi sezione del territorio nazionale, indipendentemente dalla sua residenza, ed imponendo l'obbligo per chi intenda assumere lavoratori agricoli di farne richiesta alla sezione nella cui circoscrizione deve essere eseguita la prestazione, senza riprodurre fra le eccezioni quella di cui al predetto art. 11, n. 6, della legge del 1949 concernente le aziende rurali con non più di sei dipendenti in zone mistilingue, violerebbero: a) il principio di autonomia organizzativa delle imprese, limitabile unicamente per il perseguimento di fini di utilità generale e nel rispetto comunque del canone fondamentale della parità (artt. 3 e 41 Cost.): le aziende agricole condotte da comunità familiari di lingua italiana nell'intero territorio nazionale avrebbero, infatti, a differenza di quelle di lingua tedesca nella provincia di Bolzano, la possibilità di scegliere lavoratori appartenenti allo stesso gruppo linguistico;

b) il principio di tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.), che dovrebbe valere anche in tema di avviamento al lavoro; c) il principio di salvaguardia per tutti i cittadini delle rispettive caratteristiche etnico - culturali, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengano (art. 2 St. T. - A.A.).

La stessa normativa, inoltre, attribuendo con l'art. 3, primo comma, n. 1, compiti in materia di formazione professionale dei lavoratori agricoli alla commissione regionale per la manodopera agricola ed ignorando all'art. 7 (rectius: art. 3, primo comma, n. 7) qualsiasi riconoscimento per il titolo conseguente al superamento dei corsi provinciali di addestramento, si porrebbe in contrasto con le leggi che la provincia di Bolzano aveva in precedenza emanato nel settore (legge prov. 27 agosto 1962, n. 9, e legge prov. 27 novembre 1967, n. 15) e lederebbe il principio della competenza esclusiva della provincia in materia di istruzione e di avviamento professionale ad indirizzo agricolo (artt. 11, n. 2, e 13 St. T. - A.A.).

Ed ancora, inserendo con l'art. 3, ultimo comma, il direttore dell'ufficio regionale del lavoro nella composizione del comitato regionale per la programmazione economica, il decreto legge come la relativa legge di conversione altererebbero la composizione del Consiglio e della Giunta regionale, cui sono appunto affidati i compiti del suddetto comitato (art. 18 e segg. St. T. - A.A.).

Infine gli atti legislativi impugnati, muovendo negli articoli 4 segg. e 15 dal presupposto che la denuncia di malattia debba essere presentata per il tramite dell'ufficio contributi unificati in agricoltura, anziché direttamente alla Cassa malattia, non rispetterebbero il principio della competenza integrativa regionale in materia di previdenza e di assicurazione sociale (art. 6 St. T. - A.A.) ed il concreto esercizio operatone dalla Regione con la legge regionale 7 dicembre 1962, n. 23.

Le conclusioni della Regione sono pertanto intese ad ottenere una declaratoria di incostituzionalità per i vizi sopra indicati.

2. - Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura dello Stato, eccependo preliminarmente la inammissibilità del ricorso perché tardivo rispetto a quelle parti del decreto legge impugnato (artt. 3, ultimo comma, 4, 10, primo e nono comma, 15) non modificate dalla successiva legge di conversione, che avrebbe - in tal caso e relativamente a queste norme - operato non come fonte di diritto materiale, ma unicamente su di un piano formale, eliminando la provvisorietà dell'atto governativo e costituendo così un mero bill of indemnity.

Ulteriore motivo di inammissibilità inficierebbe, secondo l'Avvocatura di Stato, quella parte del ricorso che denuncia non già la violazione di norme statutarie attributive di competenza agli organi regionali, ma la generica o specifica inosservanza di norme della Costituzione.

Inammissibile, poi, nel suo contenuto sarebbe l'alternativa prospettata alla Corte nel ricorso, che condizionerebbe la insorgenza della questione di legittimità costituzionale alla mancata oppure no sopravvivenza dell'art. 11, n. 6, della legge n. 264 del 1949 per effetto delle nuove disposizioni legislative oggetto di impugnazione.

Queste rimarrebbero, del resto, pur sempre nell'alveo della precedente legge, anch'essa statale, e cioè in materia di avviamento al lavoro dei lavoratori agricoli, senza invadere i diversi settori riservati alle competenze primaria ed integrativa della Regione o delle province interessate. Ed agli artt. 3, 11 e 12 prevedono possibilità di richieste nominative in base a criteri di specializzazione od in funzione dell'impiego dei lavoratori nelle aziende, per cui gli inconvenienti lamentati nel ricorso - indipendentemente dalla loro fondatezza sotto il profilo costituzionale - non avrebbero ragion d'essere: da questo stesso punto di vista anche il sistema derivante dalla legislazione provinciale sembra rispettato, potendo le particolari specializzazioni ivi considerate essere valutate come causa di richieste nominative.

La libertà di iscrizione del lavoratore nelle liste di collocamento dell'intero territorio nazionale troverebbe il suo valido fondamento nella norma di cui all'art. 120, terzo comma, della Costituzione, mentre la partecipazione del direttore dell'ufficio regionale del lavoro non muterebbe la composizione statutaria del Consiglio regionale come tale, ma unicamente dello stesso organo in quanto chiamato a svolgere le funzioni amministrative di Comitato regionale per la programmazione economica. La normativa impugnata, infine, con il prevedere l'intervento del servizio contributi agricoli unificati non escluderebbe che le denunce di malattia possano essere direttamente presentate alla Cassa malattia.

L'Avvocatura di Stato chiede conseguentemente una pronuncia di inammissibilità o di reiezione per infondatezza del ricorso.

3. - Le parti hanno sviluppato le loro argomentazioni anche in successive memorie ed all'udienza hanno insistito nelle rispettive conclusioni. 

Considerato in diritto 

1. - É da disattendere preliminarmente la eccezione di inammissibilità del ricorso perché proposto contro la legge di conversione di precedente decreto - legge non impugnato nei termini, anche nelle parti in cui quella ne riproduce il contenuto senza modificazioni. Come questa Corte ha già ritenuto con la sentenza n. 113 del 1967, infatti, la legge di conversione rende permanente e definitiva la normativa solo provvisoriamente dettata dal precedente provvedimento governativo ex art. 77 della Costituzione, perpetuandone gli eventuali vizi di costituzionalità, e pertanto rinnova la lesione che all'interesse della Regione si assume derivare dalla denunciata illegittimità costituzionale della normativa medesima.

É anche da disattendere, parzialmente, la seconda eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa dello Stato, sul presupposto che con il ricorso della Regione si prospetterebbero violazioni di norme costituzionali, anziché invasione della sfera di competenza della Regione o della provincia. Al riguardo, é sufficiente richiamare l'art. 83 dello Statuto del Trentino - Alto Adige, il quale espressamente ammette la Regione ad impugnare leggi ed atti con valore di legge dello Stato "per violazione del presente statuto": giacché, nella specie, sono state appunto dedotte censure che hanno specifico riferimento a determinate disposizioni dello Statuto, sia pure "anche in relazione agli artt. 3, 6 e 41 della Costituzione". Ma di queste ultime disposizioni del testo costituzionale, l'articolo 6 risulta invocato come principio generale che sta a fondamento dell'art. 2 dello Statuto speciale (e di altre particolari disposizioni in questo contenute), illuminandone il significato, di guisa che la norma assunta a parametro é e rimane quella dell'art. 2 (in termini analoghi, si veda la sent. di questa Corte n. 1 del 1961). Sono invece inammissibili, e non possono quindi essere prese in considerazione, le sole censure che hanno diretto ed esclusivo riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.

Priva di fondamento si rivela, infine, la terza eccezione pregiudiziale, per l'asserito carattere eventuale del ricorso, che avrebbe ad oggetto - secondo afferma l'Avvocatura dello Stato - una questione di interpretazione, consistente nell'accertare se la nuova normativa del 1970 abbia o meno abrogato, per il settore dell'agricoltura, la particolare disposizione dell'art. 11, n. 6, della legge 29 aprile 1949, n. 264, che consentiva alle aziende agricole con non più di sei dipendenti, situate in zone misti lingue (da determinarsi con decreto presidenziale), l'assunzione diretta di lavoratori dipendenti. La difesa regionale, infatti, si é limitata a darsi carico, dubitativamente, di una interpretazione "adeguatrice" alla quale questa Corte avrebbe ben potuto - in ipotesi - pervenire autonomamente, senza esservi comunque sollecitata dalle parti, ponendola a base di una eventuale decisione di infondatezza (limitatamente ad una tra le questioni proposte); ma non per questo può dirsi che il ricorso abbia ad oggetto una pronuncia (che non sarebbe di competenza della Corte) sul problema della intervenuta abrogazione o della sopravvivenza della disposizione sopra menzionata, tale problema presentandosi soltanto come un presupposto logico della decisione della questione di legittimità costituzionale, ad ottenere la quale il ricorso é rivolto.

2. - Passando al merito del ricorso, cui quest'ultima eccezione pregiudiziale é strettamente collegata, deve ritenersi anzitutto che con il decreto - legge n. 7, convertito nella legge n. 83 del 1970, é stata dettata una nuova disciplina dell'intera materia del collocamento dei lavoratori agricoli, che costituiva anteriormente parte della più ampia materia regolata dalla menzionata legge del 1949, sull'avviamento al lavoro e l'assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati, in genere. Tutto quel che concerne il collocamento della mano d'opera agricola risulta adesso sottratto alla disciplina della legge del 1949, tanto più che nel decreto - legge del 1970 e relativa legge di conversione sono espressamente enunciate le sole eccezioni dallo stesso consentite al duplice principio della assunzione attraverso le liste di collocamento e della richiesta numerica; e tali eccezioni, anche quando presentano qualche analogia con quelle previste dalla legge del 1949, sono tuttavia diversamente configurate e diversamente regolate.

Ora, é a questo punto che sorge la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10; e la questione, limitatamente alla omessa previsione dell'ipotesi di cui al n. 6 dell'art. 11 della precedente legge del 1949, deve ritenersi fondata con riferimento all'art. 2 dello Statuto, sistematicamente inquadrato nel più generale principio di tutela delle minoranze linguistiche affermato nell'art. 6 della Costituzione.

É pacifico che la Provincia di Bolzano é zona misti lingue, come tale d'altronde anche formalmente riconosciuta - agli specifici effetti che qui interessano - dal decreto presidenziale del 2 maggio 1950; pacifico altresì che la grande maggioranza della popolazione agricola ivi residente appartiene al gruppo di lingua tedesca e che, in considerazione di tali circostanze di fatto, lo stesso Statuto della Regione presenta una evidente accentuazione dell'autonomia legislativa ed amministrativa delle province proprio per quel che attiene al settore dell'agricoltura (usi civici, ordinamento delle minime proprietà culturali, dei masi chiusi e delle comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini: art. 11, nn. 8 e 9), ed a materie per solito intimamente connesse con la vita associata nelle campagne (usi e costumi locali, manifestazioni artistiche locali: art. 11, nn. 4 e 5). Pacifico, infine e soprattutto, che l'art. 2 dello Statuto, prescrivendo la salvaguardia delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi linguistici coesistenti nella Regione, si oppone a misure rivolte a determinare forzate assimilazioni tra di essi o suscettibili di comprometterne il libero sviluppo, secondo le rispettive tradizioni e costumanze.

Ciò premesso, non la libertà dei lavoratori di iscriversi nelle liste di collocamento di qualsiasi sezione del territorio nazionale, indipendentemente dal requisito della residenza, come sostiene la Regione ricorrente, ma l'obbligo dell'assunzione attraverso le liste per richiesta numerica, incondizionatamente imposto anche ad aziende agricole minori, contrasta con l'art. 2 dello Statuto. La inserzione, non liberamente scelta o consentita dalle due parti, di lavoratori appartenenti ad altri gruppi linguistici in siffatte piccole comunità rurali omogenee, e prevalentemente a carattere familiare, rappresenta, infatti, una menomazione di quella tutela del gruppo linguistico tedesco che lo Statuto esige invece gli sia assicurato, in un regime di eguaglianza sostanziale con tutti gli altri, e che la legge del 1949 aveva realizzato attraverso il congegno dell'articolo 11, n. 6.

Né può omettersi di rilevare che, non riproducendo tale congegno e non introducendone alcun altro diretto al medesimo scopo, la nuova disciplina del collocamento in agricoltura segna - sotto il profilo in esame - un regresso rispetto a quella del 1949, minacciando di turbare una situazione di cose ormai consolidata da più di un ventennio di applicazione di quella legge. E non vale obiettare, come fa la difesa dello Stato, che né la Regione né le province hanno poteri legislativi in materia di lavoro e che pertanto la legge statale ha operato nell'ambito della propria sfera di competenza: giacché il principio dell'art. 2 dello Statuto limita egualmente leggi statali, regionali e provinciali, quali che siano le materie che hanno ad oggetto.

Conseguentemente, ferma restando, com'é ovvio, la libertà del legislatore di regolare questo particolare aspetto della materia nei modi che saranno ritenuti più opportuni e adeguati alla realtà delle situazioni di fatto, purché nel rispetto dei principi costituzionali, deve frattanto dichiararsi la illegittimità costituzionale dell'art. 10 del decreto - legge n. 7 e della relativa legge di conversione, n. 83 del 1970, nella parte in cui non prevede la possibilità dell'assunzione diretta, nei casi e nelle condizioni di cui al n. 6 dell'art. 11 della legge del 1949.

3. - Fondate sono anche le censure nei confronti delle disposizioni contenute nell'art. 3, primo comma, della legge di conversione, ai nn. 1 e 7 (erroneamente indicato, quest'ultimo, come art. 7) per violazione degli artt. 11, n. 2, e 13 dello Statuto, che attribuiscono alle province di Trento e di Bolzano potestà legislativa primaria, con la connessa potestà amministrativa, in materia di istruzione "di avviamento professionale ad indirizzo agrario". Tale potestà é stata concretamente esercitata dalla provincia di Bolzano, che ha provveduto a disciplinare i corsi di addestramento professionale dei lavoratori addetti al settore agricolo, istituendone altresì direttamente o autorizzandone l'istituzione da parte di altri soggetti.

Contrastano pertanto con le disposizioni statutarie testé rammentate sia la norma dell'art. 3, n. 1, in quanto applicabile anche alla provincia di Bolzano, limitatamente alla parte in cui attribuisce alla Commissione regionale per la manodopera agricola il compito di fare proposte (agli organi centrali dell'amministrazione statale) in materia di "formazione professionale", sia la norma del n. 7 dello stesso art. 3, nella parte in cui omette di prescrivere la valutazione, ai fini della determinazione delle specializzazioni ammesse a richiesta nominativa, dei titoli e attestati rilasciati dai corsi istituiti ed autorizzati dalla provincia di Bolzano.

4. - É invece, infondata la censura dell'art. 3, ultimo comma, per violazione degli artt. 18 e seguenti dello Statuto.

Infatti, la prescrizione che del Comitato regionale per la programmazione economica debba far parte il direttore dell'ufficio regionale del lavoro ha riferimento ai soli comitati (organi statali) provvisoriamente istituiti - in attesa che fossero concretamente costituite le regioni a statuto ordinario dal decreto del Ministro per il bilancio in data 22 settembre 1964, e successive modificazioni, adottato sulla base della legge 14 novembre 1962, n. 1619, con espressa eccezione per le regioni a statuto speciale, già operanti. Lo stesso art. 2 della legge di conversione ne offre la riprova, come osservato dalla difesa dello Stato, prevedendo, all'inverso, che della commissione regionale per la mano d'opera agricola faccia parte - alternativamente - un rappresentante del Consiglio regionale "ove costituito", ovvero del Comitato regionale per la programmazione; ed é evidente che non avrebbe avuto alcun senso ipotizzare l'eventualità dei consigli regionali costituiti se la norma avesse avuto riguardo anche alle regioni a statuto speciale, i cui consigli erano tutti e da tempo praticamente costituiti e funzionanti.

5. - Anche priva di fondamento é l'ultima censura sollevata in ordine agli artt. 4 e seguenti e 15 per violazione dell'art. 6 dello Statuto.

Si assume dalla Regione ricorrente che tali disposizioni presupporrebbero che la denuncia di malattia dei lavoratori agricoli debba essere fatta per il tramite dell'ufficio contributi unificati in agricoltura, mentre la legge regionale del 7 dicembre 1962, n. 23, emanata a norma dell'art. 6 dello Statuto, prescrive che sia fatta direttamente alla Cassa malattia.

A prescindere da ogni considerazione sulla reale portata della questione, formulata con generico riferimento a una serie di disposizioni della legge statale che non si occupano della modalità della denuncia di malattia, e per altro verso ad una legge regionale che neppure contiene norme espresse in proposito, é sufficiente rilevare che la potestà legislativa attribuita alla Regione dall'art. 6 dello Statuto ha carattere integrativo e perciò le leggi statali sulla materia continuano ad essere validamente applicabili nel territorio della Regione, la quale é soltanto competente ad integrarne la normativa in aderenza alle sue particolari esigenze. Ma la Regione non può pretendere che sia la legislazione statale, in materia di competenza regionale integrativa, a adeguarsi alle eventuali disposizioni di dettaglio di fonte regionale, le quali, d'altronde, rimangono ferme in quanto compatibili con le leggi dello Stato.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile il ricorso della Regione del Trentino - Alto Adige contro la legge 11 marzo 1970, n. 83, di conversione del decreto - legge 3 febbraio 1970, n. 7, recante norme in materia di collocamento e accertamento di lavoratori agricoli, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione;

dichiara la illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del predetto decreto - legge convertito nella menzionata legge 11 marzo 1970, n. 83: a) art. 10, nella parte in cui non riproduce, per la provincia di Bolzano, la norma dell'art. 11, n. 6, della legge 29 aprile 1949, n. 264; b) art. 3, n. 1, limitatamente alla sua applicabilità alla provincia di Bolzano, nella parte in cui attribuisce alle commissioni regionali per la mano d'opera agricola il compito di fare proposte in materia di "formazione professionale"; c) art. 3, n. 7, nel testo emendato dalla legge di conversione, nella parte in cui non comprende, tra i titoli e gli attestati da valutare al fine di individuare particolari qualifiche per le quali é ammessa la richiesta nominativa, quelli rilasciati dai corsi della provincia di Bolzano;

dichiara non fondata, in riferimento agli artt. 18 e seguenti dello statuto speciale, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, ultimo comma, del predetto decreto - legge e relativa legge di conversione;

dichiara altresì non fondata, in riferimento all'art. 6 dello statuto, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e seguenti e 15 del decreto - legge medesimo e relativa legge di conversione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1970.