Sentenza n. 124 del 1962
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SENTENZA N. 124

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 330, prima parte, del Codice penale e dell'art. 1105 del Codice della navigazione, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 febbraio 1961 dal giudice istruttore del Tribunale di Trieste nel procedimento penale a carico di Fornasari Renato e altri componenti gli equipaggi delle moto navi "Europa", "Piave", "Sistiana" e "Vulcania", iscritta al n. 24 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 70 del 18 marzo 1961;

2) ordinanza emessa il 3 settembre 1961 dal giudice istruttore del Tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Pescarolo Francesco, Vernucchio Vincenzo e altri marittimi componenti l'equipaggio del piroscafo "Vesuvio", iscritta al n. 197 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 312 del 16 dicembre 1961.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio di Fornasari Renato e Vernucchio Vincenzo e delle Società di navigazione "Italia" e "Lloyd Triestino";

udita nell'udienza pubblica del 31 ottobre 1962 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi gli avvocati Vezio Crisafulli e Renato Scognamiglio, per i marittimi, gli avvocati Egidio Tosato e Giacomo Delitala, per le Società di navigazione, e il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto 

1. - Nel procedimento penale pendente, in fase istruttoria, presso il Tribunale di Trieste contro Fornasari Renato e altri componenti gli equipaggi delle motonavi "Europa", "Piave", "Sistiana" e "Vulcania", imputati del delitto di cui al n. 1 dell'art. 1105 del Cod. navigazione (per essere entrati in sciopero e, di conseguenza, avere rifiutato di obbedire agli ordini di manovra per la partenza dal porto di Trieste impartiti dai rispettivi comandanti), sollevava questione di legittimità costituzionale il P. M, il quale, in considerazione della circostanza che gli imputati erano arruolati in navi di linee sovvenzionate e, quindi, venivano a rivestire la figura di cui all'art. 359, n. 2, del Cod. pen, ebbe a ritenere che presupposto per l'applicabilità dell'art. 1105 del Cod. nav. fosse l'accertamento della costituzionalità dell'art. 330 del Cod. pen, in quanto solo sulla base di un giudizio positivo in ordine a tale punto si sarebbe potuto ammettere l'incriminabilità della fattispecie delittuosa contestata ai prevenuti, mentre in caso contrario sarebbe stata da applicare la discriminazione di cui all'art. 51 del Cod. penale. Il giudice istruttore, in accoglimento di tale interpretazione, disponeva, con sua ordinanza del 16 febbraio 1961, la sospensione della causa ed il rinvio alla Corte per la pronuncia in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 330, prima parte, del Cod. pen, in relazione all'art. 40 della Costituzione.

L'ordinanza é stata debitamente notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 18 marzo 1961.

Nel giudizio così promosso si é costituito con atto in data 6 aprile 1961 l'imputato Fornasari Renato, rappresentato e difeso dagli avvocati Vezio Crisafulli e Renato Scognamiglio, nonché dagli avvocati Aurelio Becca e Paolo Sardos Albertini.

Si sono altresì costituite, depositando le loro deduzioni in data 5 aprile 1961, le parti civili: Società di navigazione "Lloyd Triestino" e "Italia", difese dall'avv. Giacomo Delitala e dall'avv. Corrado Jona, cui si sono successivamente aggiunti gli avvocati Antonio Lefebvre d'Ovidio ed Egidio Tosato, nonché l'avv. Andrea Corte.

É anche intervenuto con atto del 10 marzo 1961 il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa dell'imputato fa osservare come la norma dell'art. 330 del Cod. pen, in quanto rivolta a punire lo sciopero economico, é manifestamente in contrasto con l'art. 40 della Costituzione, dovendosi escludere che il rinvio alla legge contenuto in questo ultimo possa condurre a limitare la sfera soggettiva della titolarità del diritto di sciopero, dall'articolo medesimo garantito a tutti i lavoratori: che, in ogni caso, limiti al diritto stesso non potrebbero mai desumersi da norme anteriori alla Costituzione e collegate ad un ordinamento non compatibile con questa, secondo quanto la Corte ha ritenuto con la sua sentenza n. 29 del 1960. Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'incostituzionalità del citato art. 330, confermando così la statuizione da ritenere implicitamente affermata nella sua precedente sentenza n. 46 del 1958, avendo questa ritenuto possibile la legittimità dell'astensione dal lavoro dei soggetti di cui all'art. 333 del Cod. pen, i quali rivestono la stessa posizione giuridica degli altri che sono oggetto della previsione del precedente art. 330.

La difesa della Società di navigazione nelle deduzioni prodotte interpreta diversamente la sentenza per ultimo citata, nel senso cioè che sarebbe da accertare di volta in volta l'ammissibilità del diritto di sciopero, ed afferma che questo deve disconoscersi nei confronti dei marittimi, dato che le loro prestazioni soddisfano esigenze di natura pubblica, così da porli, nei confronti dei comandanti delle navi, in una posizione di dipendenza disciplinare assimilabile a quella dei militari, con la conseguenza di rendere illecita la disobbedienza ai loro ordini e l'astensione dal lavoro, per l'effetto che esse producono di impedire il compimento del viaggio cui la nave é destinata, e del quale il comandante é responsabile. Conclude chiedendo che sia dichiarata l'infondatezza dell'eccezione.

L'Avvocatura dello Stato, nell'associarsi a tale conclusione, mette preliminarmente in rilievo l'inesattezza della definizione della imputazione di ammutinamento formulata dal giudice a quo (e ciò perché tale reato si dovrebbe o escludere per difetto dell'elemento psicologico, o almeno contestare in concorso con quello di sciopero ex art. 330). Osserva, altresì, come l'art. 330 non possa essere dichiarato incostituzionale nella sua totalità, dovendosi per lo meno conservare nella parte relativa alla previsione del reato di abbandono del servizio per fine politico, in nessun modo protetto dall'art. 40; ed anche nei confronti dello sciopero economico, fa sorgere il problema dei limiti entro cui é da riconoscere; problema da risolvere sulla base dell'interpretazione della norma penale (sotto la specie dell'accertamento dell'applicabilità al caso in esame della giustificante prevista dall'art. 51 del Cod. pen.), così da non interessare il giudice costituzionale, secondo questa Corte avrebbe ritenuto con la sentenza su ricordata n. 46 del 1958. Conclude chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata non fondata.

La difesa del Fornasari ha depositato il 26 aprile una memoria nella quale si mette in rilievo come l'ordinanza di rimessione non fa sorgere dubbio circa l'oggetto voluto assegnare alla controversia, risultando chiaramente limitata alla costituzionalità dell'art. 330; dal che si desume che il giudice a quo non ha riscontrato nessuna infrazione di diversa natura. Sostiene che l'art. 40 della Costituzione ha rinviato alla legge solo la disciplina dei limiti dell'esercizio del diritto di sciopero, non già consentito di effettuare discriminazioni di carattere soggettivo inibendo l'esercizio stesso a singole categorie di lavoratori (il che, se fosse ammesso, riuscirebbe lesivo anche del principio di eguaglianza). Siffatta discriminazione sarebbe, poi, del tutto ingiustificata nei confronti degli addetti ai servizi della navigazione, dato che nel rapporto di lavoro nautico si riscontrano tutti i caratteri propri del lavoro subordinato, inserito come esso é fra gli elementi dell'esercizio dell'impresa armatoriale, che ha natura privatistica, e rimane perciò regolata sulla base di contratti collettivi. Se elementi pubblicistici sussistono in tale rapporto essi attengono esclusivamente alla sicurezza di bordo (e d'altra parte importano una peculiarità di disciplina giuridica non solo a carico, ma anche a favore dei prestatori d'opera); elementi che però sono, nella specie, fuori causa. Non può giungersi a diversa conclusione muovendo dalla considerazione del danno che lo sciopero arreca, oltre che ai datori di lavoro, anche all'economia nazionale, poiché tale danno é inerente ad ogni specie di sospensione di lavoro, mentre, se differenze siano da rilevare, sono di ordine puramente quantitativo. Aggiunge che, se pure si potesse, in ipotesi, desumere dall'art. 40 la legittimità della sottrazione del diritto di sciopero a determinate categorie di lavoratori, ciò non potrebbe avvenire in base ad una norma emessa in data anteriore all'entrata in vigore della Costituzione, collegata com'era con l'ordinamento corporativo, presupponendone la vigenza, ma deve invece trovare il suo fondamento in una regolamentazione che, nell'atto stesso di vietare lo sciopero, disponga le misure surrogatorie del diritto stesso, sufficienti alla tutela degli interessi che ne sono oggetto. Richiama, a conforto dell'opinione sostenuta, le norme predisposte al riguardo da un disegno di legge governativo, nonché un recente parere del C.N.E.L, nel quale solo con riferimento ad alcuni servizi pubblici essenziali (tra cui non sono compresi quelli della navigazione) si é prospettata l'opportunità di una disciplina legislativa intesa a conciliare, attraverso l'adozione di convenienti misure, l'esercizio dello sciopero con le necessità di ordine generale. Insiste nelle conclusioni già prese.

In data 3 maggio 1962 la Società di navigazione "Italia" ha prodotto una memoria, corredata dai pareri dei professori Bettiol, Delogu, Navarra, Rubino, Berlingieri, A. Scialoia, nella quale la questione di costituzionalità viene esaminata in confronto sia dell'art. 330 del Cod. pen. e sia dell'art. 1105 del Cod. nav., oggetto di altro procedimento a seguito di ordinanza emessa dal Tribunale di Genova; procedimento del quale si richiede la riunione con quello in oggetto. La difesa della Società fa osservare come nella specie non venga in considerazione lo sciopero puro e semplice, qual'é quello rivolto alla tutela di interessi economici relativi ad un rapporto di diritto privato, previsto dall'art. 502 del Cod. pen. (da considerare ormai abrogato, dato il suo collegamento con il cessato ordinamento corporativo, secondo ha statuito la sentenza n. 29 del 1960), bensì l'altro cui si riferisce l'art. 330 del Cod. pen, che presenta aspetti del tutto particolari, per la sua interferenza con interessi pubblicistici, alcuni dei quali tutelati dalla stessa costituzione (come si può desumere dagli artt. 98 e 54). In quest'ultimo caso il carattere strumentale delle prestazioni ed il pregiudizio che deriverebbe alla collettività da ogni loro sospensione conducono a far ritenere inibito l'esercizio del diritto di cui all'art. 40.

Che, se pure tale diritto volesse riconoscersi, dovrebbe sempre rimanere circoscritto nei limiti desumibili dalla logica del sistema, nonché dalla necessità del coordinamento degli interessi connessi al diritto di sciopero con altri interessi penalmente garantiti, oppure con interessi di terzi estranei al rapporto sussistente con il datore di lavoro. Ciò anche se gli interessi stessi trovino la loro tutela in leggi anteriori alla Costituzione e manchino disposizioni a questa successive.

Aggiunge che l'art. 330 del Cod. pen. comprende anche fattispecie che esulano dalla figura dello sciopero, ed in ogni caso prescinde dalla finalità perseguita dai vari soggetti che abbandonano il lavoro e che potrebbe essere diversa in ciascuno di essi, pur se collettivo debba risultare il fatto dell'abbandono. Pertanto, deve ritenersi infondata l'affermazione del giudice a quo, secondo cui l'articolo predetto non troverebbe applicazione concreta al di fuori dell'ipotesi di sciopero, e conseguentemente deve dichiararsi insussistente la censura di incostituzionalità, perché questa presuppone che l'intera portata normativa di una disposizione contrasti con la Costituzione, mentre quando ciò non si verifichi la questione deve risolversi in sede interpretativa, così come nella stessa sede é da procedere all'accertamento dei limiti, soggettivi o oggettivi, da porre all'esercizio del diritto di sciopero.

Passando, poi, a considerare la questione della costituzionalità dell'art. 1105 del Cod. nav, vengono messe in rilievo le peculiarità del rapporto di lavoro nautico, quali risultano dagli obblighi speciali gravanti sui marittimi, nonché dalla incidenza delle esigenze connesse alla navigazione sulla disciplina del contratto a tempo determinato; ed altresì dalla iscrizione della gente di mare nelle "matricole", espressione del suo inquadramento in una specie di milizia civile, dalla organizzazione gerarchica di bordo, accentrata non già nel datore di lavoro bensì nel comandante (che rappresenta l'autorità dello Stato, interessato alla regolare esplicazione dell'attività marinara) e che trova le opportune garanzie nel potere disciplinare, suscettibile di estrinsecarsi anche con l'inflizione di pene di carattere personale.

Ora il reato di ammutinamento (previsto già dal vecchio Codice della marina mercantile, anteriore al fascismo) tende appunto a garantire le esigenze prospettate, ed in relazione a tali sue finalità, si perfeziona con il semplice avverarsi del fatto della disobbedienza, purché sia volontaria, sicché l'abbandono del posto di lavoro costituisce solo uno dei possibili modi attraverso cui si pone in essere la disobbedienza, da ritenere o irrilevante, o circostanza aggravante ove si realizzino le condizioni di cui all'art. 1106, n. 2, oppure, se sia conseguente ad una deliberazione di sciopero punibile ai sensi dell'art. 330, produttivo di concorso di reati.

Dovendosi, pertanto, escludere il riconoscimento ai marittimi nel corso del viaggio dell'esercizio del diritto di sciopero, ne consegue l'inapplicabilità della causa di giustificazione di cui all'art. 51.

In ogni caso lo sciopero, anche se consentito, incontra un limite inviolabile nell'esigenza di incondizionato rispetto della pubblica incolumità, e pertanto non può mai essere esercitato non solo durante la navigazione, ma neppure durante la sosta in un porto, poiché in tale fase non viene meno l'eventualità di dovere intervenire per assicurare la sicurezza della nave. Si potrebbe se mai ritenere che la tutela dell'autorità di bordo e del potere disciplinare ad essa inerente cessi di profilarsi quale esigenza a sé stante allorché la nave sosti in un porto nazionale, dato che la presenza in loco delle autorità di terraferma non rende necessario l'intervento del comandante. Nessuna deroga, invece, é possibile alla disciplina di bordo ove la nave stazioni in porti esteri, nei quali si applica l'ordinamento dello Stato della bandiera per tutti gli eventi i quali si esauriscono nella cerchia della nave.

Si fa poi osservare come, anche all'infuori del rispetto dovuto alla sicurezza, l'esercizio del diritto di sciopero, per potere ammettersi, deve avvenire secondo modalità che lo mantengano nell'ambito suo proprio, tali da non far derivare dal medesimo danni maggiori di quelli inerenti alla semplice astensione dal lavoro, e perciò non importino un sostanziale turbamento nella organizzazione dell'azienda, e nello svolgimento della produzione, quale invece si verifica in occasione di scioperi in porti stranieri.

Si aggiunge che quando lo sciopero intervenga in porti esteri si verifica un effetto analogo a quello dell'occupazione dello stabilimento, risultandone sottratta al datore la materiale disponibilità dell'azienda, mentre non può aver luogo l'effetto proprio dello sciopero di sospendere la corresponsione della retribuzione, dato l'obbligo pel datore medesimo di continuare a fornire agli scioperanti vitto e alloggio. In conclusione, perché lo sciopero venga circoscritto in modo da produrre il solo danno ad esso inerente nel suo esercizio normale, si rende indispensabile che la sospensione del lavoro avvenga prima dell'inizio del viaggio o al suo termine, dovendosi appunto il viaggio (quale si svolge dal porto di carico a quello di ultima destinazione) considerare un "ciclo operativo minimo" non mai interrompibile se non a costo di produrre dei danni abnormi non consentiti, come si può desumere anche dalla norma di cui all'art. 341 del Cod. nav. e dai contratti collettivi che dispongono la proroga della durata del contratto di arruolamento, o consentono il recesso, se questo non abbia termine, solo alla fine del viaggio, in modo da assicurarne in ogni caso il completamento. Conclude con il riaffermare la tesi che le norme impugnate pongono problemi solo di interpretazione, non già di incostituzionalità.

Anche l'Avvocatura dello Stato ha prodotto una memoria nella quale svolge le considerazioni messe in rilievo nelle deduzioni, in ordine all'impossibilità di colpire con la sanzione di incostituzionalità norme, quali quelle denunciate, le quali conservano una loro ragion d'essere anche dopo la sopravvenienza dell'art. 40, la cui applicazione deve avvenire in limiti, sia soggettivi che oggettivi, da apprezzare nei singoli casi dal giudice avanti al quale si fa valere il diritto di sciopero.

2. - In altro procedimento penale pendente, in fase istruttoria, presso il Tribunale di Genova contro Pescarolo Francesco, Vernucchio Vincenzo e altri marittimi componenti l'equipaggio del piroscafo "Vesuvio", imputati del reato previsto e punito dagli artt. 1105, prima parte, n. 1, e 1110 del Codice della navigazione per avere effettuato uno sciopero a carattere economico mentre la nave era in sosta nel porto di Buenos Ayres, rifiutando di eseguire gli ordini del comandante per la partenza della nave, il consigliere istruttore, con ordinanza in data 3 settembre 1961, ritenuto che la questione (sollevata dal P.M. circa la costituzionalità dell'art. 1105 del Cod. nav. per contrasto con l'art. 40 della Costituzione), non era manifestamente infondata e che il giudizio non poteva essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa, sospendeva il giudizio in corso e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 312 del 16 dicembre 1961 e regolarmente notificata.

Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si é costituito l'imputato Vernucchio Vincenzo, rappresentato e difeso dagli avvocati Vezio Crisafulli e Renato Scognamiglio, nonché dagli avvocati Aurelio Becca e Raimondo Ricci. Si sono, altresì, costituiti la parte civile Società di navigazione "Italia", difesa dagli avvocati Antonio Scialoia, Giacomo Delitala, Antonio Lefebvre d'Ovidio, e dall'avv. Andrea Corte, nonché il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa del Vernucchio sostiene che i componenti dell'equipaggio di una nave che disobbediscono ad un ordine del comandante per attuare uno sciopero esercitano un diritto la cui proiezione, con l'entrata in vigore della Costituzione, ha acquistato rilevanza di interesse pubblico, togliendo con ciò stesso ogni efficacia alla norma dell'art. 1105, n. 1, del Codice della navigazione, punitiva della stessa condotta. D'altronde, se é vero che il contratto di arruolamento presenta degli elementi pubblicistici sotto il profilo della sicurezza della nave, é altrettanto vero che tutti gli altri elementi del rapporto rimangono circoscritti nell'ambito privatistico. Cosicché mentre rientra nei poteri esercitati dal comandante per conto dello Stato quello di ordinare misure atte a garantire i servizi di sicurezza, non rientra certamente fra tali poteri quello di ordinare ai marittimi, i quali siano entrati in sciopero in condizioni da non implicare danno o pericolo per la sicurezza della navigazione, una prestazione di lavoro nell'interesse del datore di lavoro. E ciò per incompatibilità con l'art. 40 della Costituzione, che garantisce a tutti i lavoratori senza alcuna esclusione, e quindi anche ai lavoratori nautici, il diritto di sciopero quale strumento di autotutela.

La difesa della parte civile Società "Italia" ritiene al contrario che non esiste alcun contrasto tra l'art. 1105 del Codice della navigazione e l'art. 40 della Costituzione. Anche a volere ammettere che alla categoria dei lavoratori marittimi, pur se assoggettati ad una disciplina non dissimile da quella militare, sia attribuito nell'ordinamento vigente il diritto di sciopero, bisogna tuttavia considerare che l'art. 1105 del Codice della navigazione non incrimina un delitto di sciopero: rientra nell'ambito della norma una amplissima gamma di ipotesi che con lo sciopero non hanno nulla a che vedere e che l'art. 40 della Costituzione non può in alcun modo sottrarre alla repressione penale.

Il problema che viene, pertanto, a prospettarsi é esclusivamente quello di stabilire i limiti di spettanza e di esercizio del diritto di sciopero, per vedere se, in questa o quella ipotesi concreta, il fatto dell'ammutinamento, sia scriminato dall'esercizio di un diritto. Su un tale problema, anche se non tocca la costituzionalità della norma incriminatrice, sembrerebbe opportuno che fosse la medesima Corte costituzionale a pronunciarsi, determinando quali sono i limiti la cui apposizione potrebbe rendere in concreto incostituzionale la norma stessa.

L'Avvocatura generale dello Stato, dopo avere rilevato come dal fatto che l'ordinanza non richiami il disposto dell'art. 330 del Codice penale si deve presumere che la navigazione non sia un servizio pubblico, osserva che, poiché il reato di ammutinamento previsto dall'art. 1105 del Cod. nav. può in concreto verificarsi pure per scopi diversi dallo sciopero, non si presenti una questione di legittimità di tale norma, ma invece un problema di interpretazione della statuizione del Codice stesso da andare per la soluzione al giudice di merito, il quale potrà direttamente emettere la sua decisione attraverso la semplice individuazione dei limiti della figura del reato di ammutinamento.

Le Società armatrici hanno prodotto una memoria che riguarda anche la vertenza di cui all'ordinanza del Tribunale di Trieste, le cui considerazioni sono state già riassunte.  

Considerato in diritto 

1. - Le due cause proposte con le ordinanze dei Tribunali di Trieste e di Genova vanno riunite e decise con unica sentenza data la sostanziale identità della questione dalle medesime sollevata, riferendosi all'applicabilità dell'art. 1105 del Cod. nav. a lavoratori marittimi che, essendosi posti in sciopero, abbiano disobbedito ad ordini dei comandanti delle navi sulle quali erano imbarcati e che appartenevano a linee sovvenzionate.

É vero che la prima di dette ordinanze solleva solo la questione relativa alla costituzionalità dell'art. 330 del Cod. penale. Ma ciò fa perché ritiene, come risulta dalla sua motivazione, che presupposto necessario per l'incriminabilità, ai sensi dell'art. 1105 del Cod. nav., dei marittimi scioperanti, se imbarcati su navi adibite a servizi pubblici, sia l'applicabilità ad essi dell'art. 330 del Cod. pen, giacché altrimenti, una volta escluso il carattere delittuoso dei comportamenti previsti da quest'ultimo, verrebbe a cadere la punibilità della disobbedienza agli ordini del Comandante, in applicazione del disposto dell'art. 51 del Cod. penale.

É da osservare al riguardo come, se pure é esatto che, una volta ritenuta applicabile la sanzione di cui all'art. 330 al caso di sciopero del personale ivi considerato, dovrebbe, nei confronti dei marittimi scioperanti, elevarsi l'imputazione anche del più grave reato previsto dall'art. 1105, allorché all'abbandono del lavoro si accompagni la disobbedienza che assuma le speciali forme ivi indicate, viceversa non é esatto che, nell'ipotesi contraria, di inapplicabilità al caso del citato art. 330, sarebbe da escludere la punibilità della disobbedienza.

Infatti, dato che la norma di cui all'art. 1105 ha per oggetto (come é stato rilevato dal P. M. nella requisitoria cui fa riferimento l'ordinanza) una fattispecie specifica, qual'é quella della trasgressione ad ordini del comandante da parte di "almeno un terzo dell'equipaggio", si deve ritenere che la questione sollevata dal Tribunale di Trieste in ordine alla imputazione contestata nel giudizio avanti ad esso instaurato, non possa trovare la sua soluzione sulla base della norma dell'art. 330, ma invece solo con riferimento a quella di cui all'art. 1105 del Cod. della navigazione. E, d'altra parte, quest'ultima non trova nell'art. 330 neanche un presupposto per l'applicabilità della sanzione prevista, dato che essa ha riguardo solo al particolare carattere del lavoro nautico, all'infuori di ogni considerazione sulla natura, pubblica o privata, dei servizi prestati dalla nave sulla quale il lavoro stesso si effettua.

Né può obbiettarsi che la soluzione adottata importi una modifica, non consentita alla Corte, dell'oggetto dell'ordinanza di rimessione, dato che modifica vi sarebbe solo ove la denuncia dell'articolo 330 fosse stata effettuata dal giudice a quo nell'opinione della possibilità di una sua applicazione autonoma, il che non accade, avendo il giudice medesimo chiaramente attribuito alla questione relativa all'art. 330 predetto carattere strumentale rispetto all'altra riguardante l'art. 1105.

L'esattezza delle considerazioni che precedono non é smentita, ma anzi riceve conferma dalle deduzioni della difesa dell'imputato Fornasari che (a sostegno della tesi secondo cui la controversia dibattuta in questa sede concerne unicamente ed in toto la compatibilità del reato di cui all'art. 330 con l'art. 40) afferma che un apposito divieto penale di sciopero dei marittimi non sussiste, verificandosi, invece, nei riguardi del lavoro nautico, svariate ipotesi di reato (fra cui é quella dell'art. 1105), che sono da ritenere fuori causa perché tali considerate, con apprezzamento insindacabile in questa sede, dal giudice di merito. Infatti, la circostanza che non esiste un apposito divieto penale per lo sciopero dei marittimi, anziché esigere il riferimento ad altra diversa norma, può essere interpretata quale espressione della volontà del legislatore di considerare irrilevante la causa di sciopero ai fini della applicazione della sanzione prevista per l'ammutinamento. Con il che, come si é detto, non si muta l'oggetto dell'ordinanza, ma se ne interpreta il testo onde poterne desumere la sussistenza e sufficienza del giudizio di rilevanza, da effettuare ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.

2. - Delimitato nei termini indicati l'ambito della questione da risolvere, é da ricordare che, con sua sentenza n. 123 in pari data, la Corte ha già affrontato ih problema della legittimità costituzionale dell'art. 330, ed ha statuito che, allo stato attuale della legislazione, il diritto di sciopero non può essere disconosciuto (o che, per lo meno, dal suo esercizio non possa conseguire l'applicazione delle sanzioni che sono le sole rilevanti ai fini della presente controversia, e cioè quelle penali) nei confronti dei dipendenti da imprese che gestiscano servizi pubblici, i quali non siano da ritenere attinenti alla soddisfazione di esigenze assolutamente essenziali alla vita della collettività nazionale, e che, in conseguenza, i dipendenti stessi devono andare esenti da pena se l'abbandono del servizio sia stato promosso dall'intento di conseguire un mutamento delle condizioni del rapporto di lavoro.

Dalla predetta decisione discende che la titolarità del diritto di sciopero non può essere disconosciuta, in via di massima, neppure nei confronti dei marittimi, anche nell'ipotesi che essi siano legati da contratto di arruolamento con imprese esercenti servizi sovvenzionati.

Ciò posto, l'oggetto dell'esame deve incentrarsi sul punto se l'esercizio di tale diritto, per rimanere legittimo, debba essere sottoposto al verificarsi di determinate condizioni, o all'osservanza di date modalità, in relazione ai peculiari caratteri propri del lavoro nautico. Dev'essere chiaro che le modalità cui si fa riferimento sono non già quelle riguardanti, per es, il momento deliberativo dello sciopero, o l'obbligo di preavviso al datore di lavoro, o simili (poiché é da ritenere che solo il legislatore, e non già la Corte, possieda la competenza necessaria a prescriverne l'adozione), bensì le altre, le quali discendono in modo necessario dalla stessa natura e finalità dello sciopero, e che pertanto possono farsi valere, in via di interpretazione dell'art. 40, quali limiti invalicabili dell'esercizio del diritto garantito dal medesimo.

Se, da una parte, é vero che inerisce all'essenza dello sciopero, in quanto rivolto ad esercitare una coazione sul datore di lavoro, il fatto del pregiudizio da esso derivabile a carico di questi, é anche vero, dall'altra, che tale pregiudizio non può risultare diverso o maggiore di quello necessariamente inerente alla pura e semplice sospensione dell'attività lavorativa. Da ciò discende che l'indizione dello sciopero rimane condizionato all'adempimento dell'obbligo dei lavoratori di abbandonare il lavoro solo dopo avere adottato tutte quelle cautele le quali si palesino necessarie ad evitare il pericolo o della distruzione degli impianti (essendo inammissibile, e contrario allo stesso interesse cui tende l'autotutela di categoria, che lo sciopero abbia per effetto di compromettere la futura ripresa del lavoro), oppure della produzione di danni alle persone o ai beni dello stesso datore, o, a più forte ragione, dei terzi.

3. - Si tratta ora di vedere se un pericolo del genere indicato non debba ritenersi necessariamente inerente ad ogni sospensione o irregolarità della prestazione del lavoro affidato all'equipaggio di una nave dopo l'inizio del viaggio e durante l'intero periodo della navigazione, fino al compimento del medesimo. La risposta affermativa al quesito discende dalla considerazione della natura del mezzo col quale si svolge la navigazione, che é tale da rendere possibile in ogni momento il verificarsi di eventi atti a mettere in pericolo la nave, e quindi da far considerare il pericolo stesso sempre immanente.

Corrisponde all'esigenza ora richiamata ed alla conseguente peculiarità del tipo di impresa costituito dall'armamento navale, la speciale disciplina che, tradizionalmente ed in tutti i paesi, é dettata per il lavoro che si svolge a bordo, e che si estende, in via più generale, ad ogni specie di attività ivi esplicabile, e così, per es., vale anche per quella degli stessi passeggeri.

La specialità del rapporto di lavoro nautico cui si é accennato comincia a trovare espressione ancor prima del momento dell'imbarco, richiedendo il Codice della navigazione (art. 118), come presupposto pel contratto di arruolamento, l'iscrizione di coloro che aspirano a stipularlo in apposite "matricole" o registri tenuti da uffici statali, e si esplica successivamente sia con la partecipazione, con funzione probatoria, di un organo dello Stato alla stipulazione del contratto medesimo, che deve effettuarsi mediante apposita forma, richiesta ad substantiam (art. 328 del Cod. nav.), sia con una serie di particolari doveri, tali da fare assimilare lo status del marittimo, limitatamente al periodo dell'imbarco, a quello caratteristico del personale militare o militarizzato. Infatti, si verifica la sottoposizione del medesimo ad un rigido rapporto di gerarchia, che fa capo non già al datore di lavoro con il quale si é stipulato l'ingaggio, bensì al comandante della nave, e che risulta garantito dal conferimento a questi (ed a volte pure a titolari di uffici statali) di un potere disciplinare, suscettibile di estrinsecarsi anche con l'inflizione di sanzioni restrittive della libertà personale (art. 1252, nn. 1 e 2, del Cod. nav.), e perfino con l'inibizione temporanea o permanente dell'esercizio della professione di marittimo (stesso articolo, nn. 4 e 5); ed é, altresì, vincolato ad una serie di prestazioni straordinarie che esulano dal diritto comune (come, per es, sono quelle degli artt. 491-493, 812 del Cod. della navigazione).

4. - Risulta da quanto si é detto che, se pure é vero che il rapporto di lavoro nautico poggia su una base di diritto privato, si colora tuttavia di uno spiccato aspetto pubblicistico. Dev'essere però precisato come non sia quest'aspetto, di per sé solo considerato, che influisce sulla soluzione della questione in oggetto (dato che anche rapporti di lavoro regolati da norme di legge, o comunque emesse unilateralmente da pubbliche autorità, possono non precludere l'esercizio del diritto di sciopero), ma piuttosto il fine cui é indirizzata la disciplina ricordata, rivolto com'é alla conservazione del patrimonio navigante, e, più ancora, dell'integrità fisica e della vita delle persone imbarcate.

Ora se garante della soddisfazione di tale fine é il comandante della nave, e se l'assunzione della responsabilità a lui spettante importa che egli goda, oltre che della pienezza del potere di comando, del prestigio morale necessario al suo efficace esercizio, ne deriva l'esigenza di reprimere ogni specie di comportamento suscettibile di ledere l'uno o l'altro.

Alla assolutezza della supremazia del comandante durante la navigazione deve farsi corrispondere un ugualmente esteso stato di assoggettamento dell'equipaggio, che non può non venire assicurato da apposite sanzioni. A siffatta finalità sono, appunto, rivolte le norme del cap. III, titolo II, del Cod. nav, fra le quali é compreso l'art. 1105 denunciato, rivolto a reprimere ogni specie di trasgressione agli ordini del comandante, data la potenzialità racchiusa in ciascuna di esse di recare attentato alla preservazione dei beni che si sono ricordati.

Che la norma abbia di mira, in modo puro e semplice, la conservazione della disciplina di bordo e l'autorità del comandante, facendo astrazione dalle finalità che possono avere ispirata la disobbedienza ai suoi ordini, e che, quindi, non debba rimanere preclusa la sua applicazione anche quando si riscontri la legittimità del fine (quale sarebbe quello di effettuare uno sciopero economico), si desume agevolmente dal suo confronto con l'articolo 1106, n. 2, nel quale si considera quale circostanza aggravante il fatto che la disobbedienza stessa sia diretta ad interrompere la navigazione o a compromettere la sicurezza della nave.

5. - In conclusione, la legittimità costituzionale dell'art. 1105 nei confronti dell'art. 40 della Costituzione deve farsi discendere non già da altri motivi dedotti dalla difesa delle Società resistenti (come quello che, argomentando dalla conservazione dell'alloggio sulla nave da parte dei marittimi scioperanti, vorrebbe ricondurre lo sciopero di costoro alla forma illecita dell'occupazione del luogo di lavoro, o l'altro che poggia sulla considerazione del danno abnorme recato agli imprenditori, non influendo sulla liceità dello sciopero l'entità del pregiudizio economico che il fatto puro e semplice della sospensione del lavoro infligge al datore di lavoro), bensì solo dalla particolarità dei beni dal medesimo tutelato.

Non vale in contrario il rilievo della difesa del Fornasari che la regolamentazione dell'esercizio dello sciopero previsto dall'art. 40 non può esaurirsi in un mero divieto penale, perché richiede, invece, una disciplina dei modi di composizione degli interessi contrastanti, e ciò per la considerazione che l'art. 1105, mentre non incide sulla titolarità del diritto garantito dall'art. 40 predetto, ha riguardo solo a situazioni temporanee che, finché durano, appaiono incompatibili con l'esplicazione del diritto medesimo.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando con unica sentenza sui due giudizi riuniti,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1105, n. 1, del Codice della navigazione in relazione allo art. 40 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1962.