Sentenza n. 123 del 1962
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SENTENZA N. 123

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 330, 504 e 505 del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1961 dal Tribunale di Livorno nel procedimento penale a carico di Arzilli Aldo ed altri, iscritta al n. 14 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 10 marzo 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 31 ottobre 1962 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza del 20 ottobre 1961, emessa nel corso di un procedimento penale avanti il Tribunale di Livorno contro Arzilli Aldo ed altri 192 dipendenti dell'azienda tramviaria automobilistica municipale (A.T.A.M.) di Livorno, imputati del reato di cui agli artt. 330 e 504-505 del Cod. pen, é stata sollevata questione di legittimità costituzionale in ordine alla possibilità di ritenere compatibile con l'art. 40 della Costituzione sia la prima di dette disposizioni, che non regola ma disconosce il diritto di sciopero per alcune categorie di lavoratori, e sia quelle di cui ai successivi artt. 504 e 505 riguardanti le astensioni collettive dal lavoro determinate da motivi non economici.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 10 marzo 1962, n. 66, e regolarmente notificata e comunicata ai sensi di legge.

Si é costituita nel presente giudizio solo l'Avvocatura dello Stato che nelle deduzioni depositate il 17 novembre 1961, osserva come le fattispecie considerate negli artt. 504 e 505 si riferiscono ad astensioni dal lavoro che non possono ritenersi incluse nell'ambito del concetto tecnico di sciopero, nel quale non rientrano né quelle che sono ispirate a fini politici (e che devono considerarsi piuttosto espressione di una diversa figura, configurabile quale resistenza collettiva, che é situazione di mero fatto non suscettibile di qualificazione giuridica positiva), né le altre che tendono ad affermare la solidarietà con altri lavoratori in sciopero, a meno che le astensioni stesse non fossero effettuate da appartenenti alla stessa categoria di questi ultimi.

Tale interpretazione sarebbe implicitamente confermata, ad avviso dell'Avvocatura, dalla sentenza n. 29 del 1960 della Corte, che, mentre dalla dichiarazione di illegittimità del primo comma dell'art. 502 del Cod. pen. ha fatto discendere in via consequenziale anche quella del secondo comma, non ha viceversa esteso la pronuncia stessa ai successivi artt. 503, 504, 505 del Cod. penale.

Altro motivo di conforto alla tesi sostenuta trae da un recente schema di disegno di legge che, nel predisporre una disciplina dei conflitti di lavoro di interesse generale, appresta una strumentazione legale per la loro composizione: ciò che fa presupporre l'esistenza di conflitti che investono i soggetti del rapporto lavorativo, e non già altri a questo estranei.

Per la seconda questione sollevata, relativa all'art. 330, l'Avvocatura mette in rilievo la diversità dei termini che presenta, dato che per essa vengono in considerazione i limiti soggettivi del diritto di sciopero, che vigono anche quando questo sia promosso da motivi di indole contrattuale ove l'astensione dal lavoro provenga da chi sia legato da un rapporto di pubblico impiego o con imprese abilitate all'esercizio privato di funzioni o servizi pubblici, o comunque quando il rapporto stesso attenga a servizi di pubblica necessità: dal che deriva che la questione non é configurabile come di legittimità costituzionale ma piuttosto di interpretazione della legge penale. Conclude chiedendo che vengano dichiarate infondate le questioni sollevate.

Con memoria del 3 maggio 1962 l'Avvocatura ha ribadito le argomentazioni formulate e insistito nelle conclusioni dedotte.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza del Tribunale di Livorno propone due specie di questioni. La prima riguarda la compatibilità con l'art. 40 della Costituzione, che garantisce il diritto soggettivo di sciopero, dell'art. 330 del Cod. penale, il quale punisce come delitti contro la pubblica Amministrazione l'abbandono collettivo del lavoro effettuato dagli appartenenti a quattro categorie di personale, e cioè i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblici servizi aventi la qualifica di impiegati, i privati che, senza essere organizzati in imprese, eserciscono servizi pubblici o di pubblica necessità e, infine, i dipendenti da imprese che attendono ai servizi ora detti. La seconda questione si riferisce alle ipotesi di sciopero previste dagli artt. 504 e 505 (inclusi nel titolo VIII, dei delitti contro l'economia pubblica) se effettuati allo scopo di esercitare coazione sulla pubblica autorità, e, rispettivamente, di esprimere una protesta, o di manifestare la solidarietà con altri lavoratori.

2. - La Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla interpretazione dell'art. 40 della Costituzione e con sentenza n. 29 del 1960, presupposta la immediata precettività del medesimo anche nell'attuale periodo di carenza della legge cui esso rinvia, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 502, secondo comma, del Cod. pen, che puniva lo sciopero economico di lavoratori legati da rapporto contrattuale di lavoro, nella considerazione che dovesse ritenersi decaduto per effetto sia della soppressione dell'ordinamento corporativo, dal quale traeva l'esclusivo suo fondamento, sia del principio della libertà sindacale sancito dall'art. 39 della Costituzione.

Con altra sentenza (n. 46 del 1958), statuendo sulla questione sottopostale della costituzionalità dell'art. 333 del Cod. pen, ha poi ritenuto che anche l'astensione dal lavoro da parte di singoli appartenenti alle categorie di addetti ai pubblici uffici, servizi, lavori ivi considerati, deve rimanere immune dalle sanzioni penali quando si dimostri che la medesima abbia avuto luogo al fine di partecipare ad uno sciopero, e sempreché questo sia da considerare legittimo.

Il principio, implicito in quest'ultima pronuncia, deve essere confermato. Ma insieme devono essere ricercati i limiti (coessenziali ad esso, come a qualsiasi altra specie di diritto) entro cui il suo esercizio può ritenersi consentito.

Nel procedere a tale ricerca, resa necessaria dal mancato adempimento da parte del legislatore dell'imperativo a lui imposto dall'art. 40, la Corte gode di un potere più ristretto di quello proprio dell'organo legislativo, essendole consentito di far valere solo quelle, fra le possibili limitazioni, che si desumano in modo necessario o dal concetto stesso dello sciopero (qual é derivato dalla tradizione accolta dal costituente, e che si concreta nell'astensione totale dal lavoro da parte di più lavoratori subordinati, al fine della difesa dei loro interessi economici), oppure dalla necessità di contemperare le esigenze dell'autotutela di categoria con le altre discendenti da interessi generali i quali trovano diretta protezione in principi consacrati nella stessa Costituzione.

3. - Poiché l'esame della Corte sulla questione prospettata deve rimanere circoscritto (a termine dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) nell'ambito segnato dalla rilevanza che la sua soluzione riveste per poter giungere alla decisione del giudizio di merito, in occasione del quale essa é stata proposta: giudizio vertente, nella specie, nella materia dello sciopero di lavoratori addetti ad imprese di servizi pubblici, si tende necessario accertare se nel sistema della Costituzione si riscontrino elementi idonei ad escludere o limitare il diritto garantito dall'art. 40 in confronto a quella determinata categoria di prestatori d'opera.

Non sembra che l'indagine così proposta trovi un ostacolo pregiudiziale nella lettera dell'art. 40, come si afferma da chi ritiene che questa consenta limiti pertinenti solo all'esercizio del diritto, non già alla sua titolarità, con la conseguenza di dover riconoscere la legittimazione attiva all'esercizio stesso agli appartenenti a qualsiasi categoria di prestatori d'opera. Infatti, il potere di regolamentazione che la Costituzione affida alla legge ha per oggetto il diritto di sciopero in genere e, quindi, appare suscettibile di rivolgersi a ciascuno degli elementi che entrano a comporlo, compresi in essi anche i soggetti che ne possono essere titolari, sempreché tali eventuali limitazioni di carattere soggettivo possano apparire imposte dall'esigenza di salvaguardare quegli interessi generali cui si é fatto riferimento.

4. - Pertanto, per decidere circa l'attuale applicabilità dell'art. 330 ai personali ivi considerati, appare necessaria rendersi conto della natura delle funzioni affidate alla cura dei medesimi.

Si può nella specie prescindere dall'esame, che sarebbe pregiudiziale, in ordine alla fondatezza del dubbio che é stato sollevato, vertente sulla attuale applicabilità, per opera dell'interprete, e fino a quando non sia intervenuta la nuova regolamentazione legislativa del diritto di sciopero, delle sanzioni penali corrispondenti alle fattispecie criminose previste da un Codice penale ispirato, per quanto riguarda la materia in oggetto, ad una ideologia ed a principi in tutto contrastanti con quelli cui si informa il vigente sistema costituzionale. Se ne può prescindere perché, se pure il dubbio prospettato si dovesse risolvere nel senso della sopravvivenza delle norme in parola, la loro applicabilità sarebbe ammissibile solo condizionatamente al rispetto del principio già enunciato, e cioè entro i limiti in cui la perseguibilità penale dello sciopero appaia necessitata dal bisogno di salvaguardare dal danno dal medesimo derivante il nucleo degli interessi generali assolutamente preminenti rispetto agli altri collegati all'autotutela di categoria.

Ora la Corte ritiene che i servizi pubblici del genere di quelli di cui é discussione (e per i quali, come si é detto, la questione proposta assume il rilievo necessario per potere farla prendere in considerazione) non rivestono il grado di importanza sufficiente a provocare, con la lesione degli interessi predetti, la perdita dell'esercizio del potere garantito dall'art. 40 della Costituzione. Dal che consegue che ai lavoratori addetti ai servizi medesimi, ove si mettano in sciopero, non possano venire inflitte le sanzioni previste dall'art. 330 del Codice penale.

5. - É ora da accertare se a conclusione diversa possa giungersi in confronto all'altra questione sollevata, riguardante la costituzionalità degli artt. 504 e 505 del Cod. penale.

In proposito é da ricordare che, come si é prima rilevato, lo sciopero di cui all'art. 40 é legittimo solo quando sia rivolto a conseguire fini di carattere economico, secondo si può desumere, fra l'altro, dalla collocazione del medesimo sotto il titolo terzo della prima parte della Costituzione, che si intitola, appunto, ai rapporti economici. É tuttavia da chiarire che la tutela concessa a tali rapporti non può rimanere circoscritta alle sole rivendicazioni di indole meramente salariale, ma si estende a tutte quelle riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo stesso.

Ciò precisato, e passando all'esame della questione sollevata in ordine all'art. 504, é da ritenere che le sanzioni ivi comminate non si rendono applicabili nel caso di scioperi promossi da fini economici.

Ciò appare chiaro, perché discende dall'interpretazione prima data dell'art. 330 - con il quale l'art. 504 deve essere coordinato - nell'ipotesi che la pretesa degli scioperanti (sempreché essi rientrino nella categoria degli addetti ai pubblici servizi dei quali si é parlato) si faccia valere di fronte alla pubblica autorità che assume la qualità di parte del rapporto di lavoro, allo scopo di ottenere che la disciplina di quest'ultimo venga modificata a favore dei dipendenti. Rinviando al seguito l'esame del punto se ad uguale conclusione possa giungersi anche quando lo sciopero sia effettuato da lavoratori non dipendenti dall'ente pubblico, a scopo di solidarietà, é qui da osservare come l'opinione accolta trovi conferma quando si metta a confronto l'art. 504 con il precedente art. 503. Infatti, la differenziazione operata dal legislatore penale fra l'ipotesi della generica pressione esercitata sulla pubblica autorità e quella di sciopero politico mostra come la pressione stessa debba apprezzarsi diversamente secondo che venga effettuata allo scopo di ottenere provvedimenti che attengono all'indirizzo generale del Governo (e quindi senza alcun collegamento con la ipotesi dell'art. 40), o invece altri i quali, per essere suscettibili di incidere in modo diretto sul settore del lavoro subordinato e sul rapporto che disciplina quest'ultimo possono giovarsi della tutela costituzionale.

6. - Per quanto poi riguarda la questione di costituzionalità dell'art. 505, che punisce lo sciopero indetto "soltanto" per solidarietà con altri lavoratori, la Corte ritiene non fondate le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui lo sciopero sarebbe da considerare legittimo solo nel caso che si inserisca in un conflitto determinato da motivi contrattuali, e conseguentemente quando questi siano fatti valere in confronto del datore di lavoro con il quale sussiste il rapporto, dal quale solamente può ottenere soddisfazione la pretesa posta ad oggetto dello sciopero stesso.

Infatti, non é contestabile la sussistenza di interessi comuni a intere categorie di lavoratori; interessi che, appunto per questo loro carattere diffusivo, non potrebbero non risultare compromessi, sia pure in modo potenziale, per tutti coloro che ne sono titolari, allorché abbiano subito offesa anche solo in confronto a rapporti di lavoro di singoli o di gruppi limitati di lavoratori.

Pertanto, la sospensione del lavoro la quale venga effettuata in appoggio a rivendicazioni di carattere economico cui si rivolge uno sciopero già in via di svolgimento, ad opera di lavoratori appartenenti alla stessa categoria dei primi scioperanti, non può non trovare giustificazione ove sia accertata l'affinità delle esigenze che motivano l'agitazione degli uni e degli altri, tale da fare fondatamente ritenere che senza l'associazione di tutti in uno sforzo comune esse rischiano di rimanere insoddisfatte.

É poi questione di apprezzamento, da rilasciare al giudice di merito, la verifica della sussistenza dei requisiti menzionati, dovendosi argomentare nei singoli casi dalla situazione di fatto la specie ed il grado del collegamento fra gli interessi economici di cui si invoca la soddisfazione ed, in relazione ad esso, determinare l'ampiezza da assegnare al complesso categoriale formato dai titolari degli interessi stessi; ampiezza che, com'é ovvio, potrà risultare maggiore o minore a seconda della natura delle rivendicazioni avanzate e delle circostanze di tempo e di luogo in cui sono fatte valere.

7. - Gli aspetti di incostituzionalità che si sono rilevati nei confronti degli artt. 330, 504 e 505 non possono però condurre ad una pronuncia che dichiari la loro illegittimità. Ciò perché le norme consacrate negli articoli stessi, data la genericità delle loro formulazioni, racchiudono ipotesi di abbandono del lavoro allo scopo di turbarne la continuità e regolarità, le quali, non rivestendo quei caratteri che si sono visti essere propri dello sciopero economico, non sono sufficienti a sottrarre gli scioperanti alle sanzioni penali ivi previste.

Sicché compete al giudice di merito disapplicare le norme ricordate in tutti quei casi rispetto ai quali l'accertamento degli elementi di fatto conduca a far ritenere che lo sciopero costituisca valido esercizio del diritto garantito dall'art. 40, ed a rendere in conseguenza possibile l'applicazione dell'esimente di cui al citato art. 51 del Cod. penale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 330, 504, 505 del Cod. penale, ai sensi e nei limiti risultanti dalla motivazione, salva la necessaria regolamentazione del diritto di sciopero, ai sensi del precetto consacrato nell'art. 40 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1962.