Sentenza n. 29 del 1960
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SENTENZA N. 29

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE CQSTITUZIONALE

 

Composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 502, prima parte, del Codice penale, promossi con ordinanze del 2 e 4 marzo 1959 del Giudice istruttore presso il Tribunale di Pisa nei procedimenti penali a carico di Baldi Ivo e Ginori Conti Giovanni, iscritte ai nn. 65 e 66 del Registro ordinanze 1959 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 24 aprile 1959.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 30 marzo 1960 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

uditi gli avvocati Giuseppe Sabatini e Alfonso Sermonti, per Giovanni Ginori Conti, e il vice avvocato generale dello Stato Achille Salerni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con due ordinanze, emesse di ufficio il 2 e 4 marzo 1959, dal Giudice istruttore del Tribunale di Pisa in due procedimenti penali per il delitto di serrata a carico di Baldi Ivo e Ginori Conti Giovanni, é stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'articolo 502, prima parte, del Codice penale in riferimento agli artt. 39, 40 e 41 della Costituzione.

Il Giudice istruttore, dopo aver affermato che tale norma non é stata né implicitamente né esplicitamente abrogata da altra legge successiva, rileva che nondimeno essa può presentarsi come contrastante con gli artt. 39, 40 e 41 della Costituzione. La incriminazione della serrata rappresenterebbe, infatti, una remora al diritto di libertà della iniziativa economica privata e pertanto apparirebbe per lo meno dubbia la sua compatibilità con la norma costituzionale che sancisce tale diritto.

Le ordinanze, regolarmente notificate e comunicate, furono pubblicate nella Gazzetta Ufficiate della Repubblica del 24 aprile 1959, n. 99.

Il 20 aprile 1959 si costituiva in giudizio, con atti di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il 14 maggio 1959 produceva deduzioni per il Ginori Conti l'avv. Alfonso Sermonti.

L'Avvocatura generale dello Stato nelle sue deduzioni, riportandosi all'ordinanza del Giudice istruttore, osserva che la serrata per fini contrattuali attiene alla disciplina della lotta sindacale e che, quindi, il problema della legittimità costituzionale della relativa norma va esaminato esclusivamente in relazione all'art. 40 della Costituzione, che in modo specifico si riferisce alla risoluzione delle controversie collettive di lavoro. Pertanto il riferimento ai principi della libertà di organizzazione sindacale e di iniziativa economica, di cui agli artt. 39 e 41 della Costituzione, é irrilevante. Ciò non solo perché tali libertà non potrebbero considerarsi limitate dal divieto di determinati mezzi di lotta sindacale, come lo sciopero e la serrata, ma anche perché la lotta sindacale forma oggetto di una specifica norma costituzionale, a cui deve essere rapportato ogni problema relativo ai limiti costituzionali della autonomia sindacale nella risoluzione delle controversie collettive di lavoro.

L'Avvocatura, inoltre, ponendosi il quesito se dal riconoscimento del diritto di sciopero nell'art. 40 della Costituzione possa dedursi un correlativo diritto di serrata, é d'avviso che al quesito debba darsi risposta negativa. E ciò per l'assoluto silenzio della Costituzione in proposito e perché, parlando esclusivamente di sciopero, ha adoperato una locuzione che ignora del tutto la serrata. Si sostiene inoltre che, anche a voler riguardare il divieto della serrata sotto il profilo della libertà della iniziativa economica, l'art. 41 della Costituzione consente al legislatore di porre limiti alla iniziativa economica privata ispirati al benessere e alla sicurezza sociale. E pertanto anche sotto questo aspetto il divieto della serrata deve considerarsi pienamente compatibile con i principi costituzionali, quale mezzo ritenuto necessario dal legislatore per assicurare la pace sociale.

La difesa del Ginori Conti sostiene che il divieto di serrata contrasta con la libertà di associazione e di azione sindacale (artt. 39, primo comma, e 40 Cost.) nonché con la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Caduto l'ordinamento sindacale corporativo, la Costituzione ha sancito il principio della libertà di organizzazione e di azione sindacale sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. A tal fine vengono anche richiamati i principi internazionali recepiti nell'ordinamento italiano con la legge 23 marzo 1958, n. 367 (che ratifica le convenzioni adottate nella Conferenza internazionale del lavoro: n. 87, concernente la libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale; e n. 98, concernente l'applicazione dei principi del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva). Secondo la difesa, pertanto, una perfetta parità di trattamento sarebbe assicurata dal vigente ordinamento sia alle associazioni dei lavoratori che a quelle dei datori di lavoro.

Circa l'art. 40 della Costituzione si nota che se é vero che esso tace della serrata, tuttavia é da ritenere che la stessa non é più perseguibile penalmente, essendo stato l'art. 502 Cod. pen. abrogato con la soppressione del sistema corporativo fascista. Affermata la libertà della iniziativa economica, essa si manifesta anche nella tutela delle attività inerenti alla vita e allo svolgimento dell'impresa, e pertanto é innegabile che secondo l'ordinamento vigente sussiste il diritto dell'imprenditore ad autodifendersi sindacalmente contro azioni sindacalmente sleali o ingiuste della controparte. Si fa, infine, presente che il carattere di reato della serrata é da escludere non soltanto per il contrasto con gli artt. 39, 40 e 41 della Costituzione, ma anche per l'intima interdipendenza tra sciopero e serrata esistente nell'ordinamento corporativo. Al qual proposito si dichiara che se oggi é indiscutibile la incompatibilità dell'art. 502 Cod. pen. con l'art. 40 della Costituzione per lo sciopero, altrettanto si deve concludere per la serrata, non potendosi procedere a una scissione della disposizione, la quale risulterebbe chiaramente contraria alla sua ratio (corporativa).

In data 17 marzo 1960 l'Avvocatura generale dello Stato e la difesa del Ginori Conti hanno presentato memorie illustrative delle argomentazioni precedentemente esposte. La difesa del Ginori Conti sostiene che l'avere riconosciuto ai lavoratori il diritto di sciopero importa l'aver riconosciuto un diritto di combattere, e ciò importa che un diritto di difesa debba attribuirsi all'una e all'altra delle parti; e che in ogni caso la esclusione di tale diritto nei confronti di una di esse sarebbe tal cosa che dovrebbe risultare in modo chiaro ed esplicito, e non già doversi dedurre da contrastanti e discutibili opinioni e considerazioni; e ciò soprattutto tenendo presente che la serrata non ha quasi mai un carattere primario, ma soltanto secondario, nel senso che é attuata per la difesa di interessi in reazione e resistenza allo sciopero. Secondo la stessa difesa, l'art. 502 Cod. pen., a differenza degli articoli successivi, si ricollega intimamente ed essenzialmente agli istituti ed ai presupposti dell'ordine corporativo, e che pertanto dalla cessazione dell'ordine corporativo discende la eliminazione delle figure delittuose inscindibilmente connesse con quell'ordinamento. La difesa insiste inoltre nel ribadire l'importanza della convenzione n. 87 adottata nella Conferenza internazionale del lavoro e ratificata dalla legge n. 367 del 23 marzo 1958, richiamando soprattutto l'art. 3 nel quale é sancito il diritto, per tutte le organizzazioni di lavoratori e di datori di lavoro, di organizzare, fra l'altro, la loro attività e il loro programma d'azione.

L'Avvocatura dello Stato da parte sua nega, nella memoria illustrativa, che si possa stabilire una necessaria correlazione fra lo sciopero e la serrata, e sostiene esservi stata da parte del legislatore la volontà di attuare una protezione a favore del contraente più debole, nell'intento di conseguire la rimozione delle disuguaglianze di fatto e il ristabilimento dell'equilibrio delle forze. Allo stato della legislazione non sarebbe contemplato da alcuna norma costituzionale il diritto dell'imprenditore di autodifendersi contro azioni sindacali dei prestatori d'opera ritenute, da lui ed eventualmente dai sindacati di categoria, sleali ed ingiuste. D'altra parte, se é vero che l'art. 39 della Costituzione stabilisce il principio che "l'organizzazione sindacale é libera", ciò significa che si volle garantire la indipendenza, l'autonomia, la libertà del sindacato, ma non in pari tempo che alla organizzazione sindacale fosse concesso il diritto di regolare di propria iniziativa lo sciopero e la serrata. Una tale limitazione appare evidente nel successivo art. 40 dove appunto é disposto che il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano. In via di ipotesi assolutamente subordinata, secondo l'Avvocatura dello Stato, qualora si dovesse ritenere che il reato di serrata per fini economici non potesse sussistere a seguito dell'abrogazione delle norme sull'ordinamento corporativo dello Stato, la conseguenza sarebbe una declaratoria di insussistenza della questione di legittimità costituzionale, in quanto tutto si risolverebbe con la interpretazione dell'art. 502, prima parte, di competenza del magistrato ordinario; e ciò analogamente a quanto, secondo la stessa Avvocatura, questa Corte avrebbe deciso con la sentenza n. 46 del 2 luglio 1958.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale, proposta con le ordinanze del Giudice istruttore presso il Tribunale di Pisa, ha per oggetto di stabilire se l'art. 502, primo comma, del Codice penale, posto con altre norme a tutela dell'ordinamento corporativo istituito con la legge 3 aprile 1926 n. 564, sia in contrasto col sistema di libertà sindacale e col sistema di libera iniziativa economica, sanciti negli artt. 39 e 40 e nell'art. 41 della Costituzione.

É noto che, anteriormente al sistema corporativo, la serrata e lo sciopero, in conformità di quanto era stabilito in quasi tutti gli ordinamenti democratici dell'epoca, costituivano illecito penale solo se attuati con violenza o minaccia, sì da trascendere in impedimento o restrizione della libertà del lavoro. La dottrina penalistica, infatti, in relazione alle fattispecie prevedute negli artt. 166 e segg. del Codice penale del 1889, considerava oggetto della tutela penale l'interesse della libertà individuale sotto l'aspetto della libera esplicazione del lavoro; come del resto si deduceva dal fatto che quegli articoli erano compresi nel capo denominato appunto dei delitti contro la libertà del lavoro.

Ben diverso sistema fu instaurato con la su ricordata legge del 3 aprile 1926. Il regime di libera competizione fu sostituito con una "disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro" (tale fu il titolo della nuova legge), disciplina della quale uno dei criteri fondamentali fu quello espresso nell'art. 13 della legge, cioè che tutte le controversie relative ai rapporti collettivi di lavoro, concernenti sia l'applicazione dei contratti collettivi e di altre norme esistenti sia la richiesta di nuove condizioni di lavoro, divenivano di competenza delle Corti di appello funzionanti come magistrature del lavoro; criterio che trovò il suo suggello nell'art. 22 della legge, il quale configurava come delitto la mancata esecuzione delle decisioni del magistrato del lavoro. Di fronte a tale sistema la serrata e lo sciopero apparvero come forme di ribellione alla nuova disciplina giuridica, la quale, essendo fondata sulla risoluzione giudiziaria dei conflitti del lavoro, non tollerava atti che ne costituissero sostanzialmente un rifiuto, traducendosi, nell'ambito di quel sistema, in una vera e propria forma di ragion fattasi. Ne veniva di conseguenza il divieto della serrata e dello sciopero, divieto che si volle presidiare con la sanzione penale, trasformando in reato fatti che erano stati libera espressione delle competizioni del lavoro. Al qual proposito é particolarmente significativo un passo della relazione ministeriale al progetto definitivo per il Codice penale del 1931 (vol. Il, pag. 289), dove si sostenne che il divieto della serrata e dello sciopero si rendeva necessario "per segnare un netto trapasso fra due regimi, e porre un energico disconoscimento del principio democratico, che, all'opposto, ammetteva la libertà di coalizione e di sciopero".

2. - Il sistema posto su queste basi non poteva sopravvivere al ripristino dell'ordinamento democratico. Infatti, ancor prima dell'avvento della Costituzione, col decreto legge 9 agosto 1943, n. 72, e poi col decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 349, si volle subito, non ostante qualche sopravvivenza di carattere non fondamentale, incidere radicalmente sulle strutture essenziali di quel sistema. Il problema del divieto penale dello sciopero e della serrata non tardò a presentarsi, ma assunse il suo preciso rilievo con l'entrata in vigore della Costituzione, la quale, nell'art. 40, mentre dichiarava essere lo sciopero un diritto del lavoratore, da esercitarsi nell'ambito di leggi regolatrici, taceva del tutto della serrata. A parte le questioni sul diritto di sciopero, presto suscitate dalla larga enunciazione dell'art. 40, relativamente sia al carattere stesso della norma e alla sua estensibilità o meno allo sciopero non economico, sia alla esistenza di limiti già nel vigente ordinamento, per ciò che riguarda la serrata, la dottrina e la giurisprudenza si manifestarono prevalentemente nel senso che anche quel divieto penale dovesse considerarsi caduto col vecchio sistema. Significativa a tal proposito é una sentenza della Corte di cassazione (8 giugno 1953), la quale statuì essere la serrata un atto penalmente lecito, sebbene non, a differenza dello sciopero, esercizio di un diritto. All'incirca nello stesso ordine di idee venne a trovarsi quella parte della dottrina che ritenne di qualificare la serrata come un diritto di libertà, assumendo genericamente tale espressione nel senso di facoltà giuridica di fare tutto ciò che non é vietato dalla legge.

3. - Sullo sfondo di questi precedenti va appunto esaminata la questione propriamente devoluta all'esame di questa Corte, se cioè la norma del primo comma dell'art. 502 Cod. pen. sia in contrasto con gli indicati articoli della Costituzione. É da ritenere in primo luogo non esatta la impostazione iniziale dell'Avvocatura dello Stato, enunciata sin dall'atto di intervento del 20 aprile 1959, secondo la quale il problema della legittimità o meno del divieto penale della serrata andrebbe esaminato esclusivamente in relazione alla norma costituzionale dell'art. 40, in quanto irrilevante sarebbe il riferimento ai principi della libertà di organizzazione sindacale e della libertà di iniziativa economica, rispettivamente sanciti negli artt. 39 e 41 della Costituzione. Prescindendo per ora dal considerare l'art. 41 e il diverso profilo di illegittimità che si presenta col richiamo di tale norma, ritiene la Corte che la delimitazione proposta dall'Avvocatura non sia accettabile. Sebbene enunciati in due distinte norme, il principio della libertà di sciopero e il principio della libertà sindacale non possono non considerarsi logicamente congiunti. Non senza significato, a tal proposito, é il fatto che, in qualcuna delle prime proposte presentate m seno alla Costituente, la dichiarazione dei due principi era contenuta in unico contesto. L'art. 39 e l'art. 40 sono da considerare come espressione unitaria del nuovo sistema; e pertanto il significato dell'art. 39 non può essere circoscritto entro i termini angusti di una dichiarazione di mera libertà organizzativa, mentre invece, nello spirito delle sue disposizioni e nel collegamento con l'art. 40, esso si presenta come affermazione integrale della libertà di azione sindacale.

Altro importante elemento della indagine é il silenzio dell'art. 40 in ordine alla serrata. Su questo punto insiste l'Avvocatura dello Stato, e osservando che il legislatore costituente ha inteso attribuire rilevanza costituzionale allo sciopero e non anche alla serrata, sembra voler trarre proprio da ciò motivo per contrastare la tesi della illegittimità costituzionale dell'art. 502 Cod. penale. Ma la illazione non può ritenersi esatta. Che l'art. 40 abbia attribuito soltanto allo sciopero la qualifica di diritto costituzionalmente garantito non può essere messo in dubbio; e si spiega tenendo presente che la Costituzione fu orientata verso una energica tutela degli interessi dei lavoratori, e che la solenne riaffermazione del diritto di sciopero si volle proprio in aperta contraddizione del divieto posto dal sistema corporativo; ma questo esplicito riconoscimento di un diritto di sciopero e non anche di un diritto di serrata non può ritenersi decisivo ai fini della proposta questione di legittimità costituzionale. La risoluzione della quale, in altri termini, non può essere avviata verso un unico sbocco, nel senso cioè che escluso il riconoscimento della serrata come diritto ne risulterebbe costituzionalmente legittimo il preesistente divieto penale. Diversa é invece la base su cui la questione va posta; si tratta cioè di stabilire se, anche in mancanza di quel riconoscimento, possa dirsi compatibile col sistema sancito dalla Costituzione quella norma penale che a suo tempo fu disposta contro la serrata a tutela del sistema corporativo. Un quesito non diverso, in sostanza, da quello che sarebbe sorto per lo sciopero qualora, in ipotesi, si fosse ritenuto di dover omettere, come taluni opinavano, quella che fu poi la esplicita dichiarazione dell'art. 40: eventualità di fronte alla quale sembra ben difficile il sostenere che lo sciopero avrebbe dovuto continuare ad essere, come prima, oggetto di divieto penale, sol perché non riconosciuto esplicitamente come diritto dalla Costituzione.

4. - Nell'esame della questione di legittimità costituzionale vi é un punto che va posto nella maggiore evidenza: cioè la correlazione strettissima e, si potrebbe dire, organica fra la imposizione del divieto penale della serrata e dello sciopero e i fondamenti del sistema corporativo instaurato dalla legge del 3 aprile 1926. Si é obbiettato che questa correlazione non si presenta come necessaria; ma ciò rende opportuna una precisazione. La correlazione non va intesa nel senso logico di una inderogabile corrispondenza fra quel divieto da un lato e il sistema corporativo dall'altro, dovendosi al contrario ammettere che divieti analoghi possano essere e siano stati dettati a tutela anche di ordinamenti del tutto diversi. Si vuole invece intendere, con un riferimento concreto e storico, la correlazione quale fu effettivamente stabilita nella legge del 3 aprile 1926. Escluse rigorosamente le libere competizioni delle forze del lavoro e della produzione, stabilita la risoluzione dei conflitti dall'alto, mercé decisioni alle quali a nessuna delle parti era lecito sottrarsi, indirizzata ogni soluzione verso un interesse sovrastante quello delle parti, le norme penali con cui si vietavano lo sciopero e la serrata per fini contrattuali furono ispirate e determinate puntualmente da un tal sistema; più ancora: furono specificamente poste a tutela degli istituti e delle discipline in cui esso si articolava. Erano dunque norme proprie e peculiari di quel sistema e ad esso strettamente e organicamente collegate. Caduto il sistema, veniva per esse a mancare l'originario e proprio fondamento. Ma anche a voler considerare la norma impugnata come isolata dal sistema dal quale e per il quale era sorta, é evidente il positivo contrasto che risulta dal suo raffronto col sistema nuovo; contrasto che deriva non già da un generico difetto di armonica correlazione, quale frequentemente si manifesta fra ogni ordinamento nuovo, rapidamente sopravvenuto, e quelle norme dell'antico di cui pur necessita la sopravvivenza; bensì da una incompatibilità specifica, che tocca una correlazione essenziale. Da un lato si ha l'art. 39 della Costituzione, il quale esprimendo un indirizzo nettamente democratico, dichiara il principio della libertà sindacale; dall'altro l'art. 502 Cod. pen., cioè una norma che fu ideata e imposta a tutela di un sistema che negava quella libertà. A voler considerare l'art. 502 come non contraddicente al sistema si giungerebbe, oltre tutto, a questo: che il vigente ordinamento, il quale vuol essere di libera e democratica organizzazione dei rapporti di lavoro, verrebbe a mantenere nel suo ambito una norma che, come Innanzi si é ricordato, si disse a suo tempo esplicitamente dettata al fine di "porre un energico disconoscimento del principio democratico". Un dato, inoltre, non trascurabile nei rapporti tra la norma penale in questione e il sistema della Costituzione può cogliersi anche nelle tendenze che si manifestarono in seno alla Costituente e nello spirito che, rispetto alla materia in questione, ne animò i lavori. La serrata non venne in considerazione come possibile oggetto di divieto penale; ché anzi un motivo insistente delle discussioni, in sotto - commissione e in assemblea, fu quello relativo alla opportunità del riconoscimento costituzionale anche di un diritto di serrata accanto al diritto di sciopero. Vi furono manifestazioni, anche vivaci, di avverse opinioni, vi furono votazioni contrarie alle proposte di riconoscimento, ma non si manifestò alcun positivo orientamento verso la incriminazione della serrata quale contrapposto al riconoscimento del diritto di sciopero. Una isolata proposta, presto respinta, poneva, ai fini della incriminazione, accanto alla serrata anche lo sciopero.

La posizione che, rispetto allo sciopero e alla serrata, é venuta a determinarsi nell'ambito del sistema di libertà sancito dagli artt. 39 e 40 della Costituzione é dunque questa: che lo sciopero é riconosciuto costituzionalmente come un diritto, destinato però, secondo il preciso dettato dell'art. 40, ad essere regolato dalla legge; e che la serrata, priva di un tal riconoscimento, ma in pari tempo anche della qualificazione giuridico - penale a suo tempo posta dall'ordinamento corporativo, si presenta attualmente come un atto penalmente non vietato o, come si suol dire, penalmente lecito: conclusione che si riannoda alle due significative manifestazioni della coscienza giuridica già ricordate, vale a dire la sentenza della Corte di cassazione, che appunto qualificava la serrata atto penalmente lecito sebbene non - come lo sciopero - esercizio di un diritto, e l'orientamento dottrinale che considera la serrata come un diritto di libertà nel senso larghissimo di facoltà di compiere ciò che non é vietato.

La posizione innanzi delineata é però tale che immediatamente si presenta con l'aspetto di una provvisorietà che attende una soluzione. Da un lato infatti si ha un diritto di sciopero che é costituzionalmente garantito, ma per il quale é la stessa Costituzione a dichiarare la necessità di una legge regolatrice; dall'altro la serrata, la cui attuale posizione giuridica di atto penalmente lecito é piuttosto la Oggettiva risultante di un sommovimento di sistemi che non l'effetto di una propria disciplina normativa. Spetterà al legislatore il valutare la necessità di una tale disciplina, e di dettare anche per la serrata, nell'ambito della Costituzione, le norme che riterrà opportune. Le quali dovranno trovare ispirazione e fondamento nel sistema attuale, in conformità altresì delle concrete finalità ed esigenze che potranno risultare da una auspicabile organica disciplina di tutta la materia sindacale.

5. - Risoluta la questione nei termini di cui innanzi, appare ultroneo ogni riferimento all'art. 41 della Costituzione, le cui finalità del resto sono diverse e non propriamente riferibili alla disciplina dei rapporti sindacali.

Ritiene infine la Corte che, a norma dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale anche del secondo comma dell'art. 502 Cod. pen., che riguarda il divieto penale dello sciopero, a più forte ragione non compatibile con gli artt. 39 e 40 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

1) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 502, primo comma, del Codice penale, in riferimento agli artt. 39 e 40 della Costituzione;

2) e in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara altresì la illegittimità costituzionale del secondo comma dello stesso art. 502 del Codice penale.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                   

 

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 1960.