Sentenza n. 108 del 1962
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SENTENZA N. 108

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, promosso con ordinanza emessa il 28 settembre 1961 dal Tribunale di Chieti - Sezione specializzata agraria - nel procedimento civile vertente tra Calibeo Angela Melina e Maria e Iuliani Vincenzo, iscritta al n. 194 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 312 del 16 dicembre 1961.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 31 ottobre 1962 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso di un procedimento promosso avanti la Sezione specializzata agraria presso il Tribunale di Chieti dalle signore Angela Melina e Maria Calibeo, allo scopo di ottenere dall'affittuario di terreni di loro proprietà l'adeguamento del canone ai sensi degli artt. 3 e 5 del D.L. 1 aprile 1947, n. 277, il Tribunale, in accoglimento dell'eccezione sollevata dal convenuto nel senso della incostituzionalità dell'art. 5 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, in relazione agli artt. 102 e 108 della Costituzione, ha proposto a questa Corte, con ordinanza 28 settembre 1961, questione di legittimità nei confronti della citata norma legislativa per contrasto con l'art. 102, primo capov, della Costituzione, osservando che, per corrispondere al precetto di tale articolo, le Sezioni specializzate dovrebbero essere costituite in modo da dare la prevalenza numerica nel collegio giudicante ai membri appartenenti all'ordine giudiziario, ed altresì da assicurare il possesso, negli esperti che entrano a comporre il collegio, dei necessari requisiti di idoneità e di indipendenza. Ciò - a parere del Tribunale - non si verifica nel caso delle Sezioni agrarie, dato che in esse prevalgono numericamente gli esperti e questi, oltre ad essere investiti della carica senza che siano chiesti e accertati dei requisiti di capacità, non godono di indipendenza, ed anzi portano nel collegio giudicante l'espressione degli interessi delle parti contrapposte, tanto da far ritenere che, sotto nome diverso, le Sezioni così composte facciano rivivere le Commissioni arbitrali esistenti sotto il vigore della legislazione precostituzionale.

L'ordinanza, comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, é stata iscritta al n. 194 del Registro ordinanze 1961.

Nel procedimento avanti a questa Corte non si sono costituite le parti del giudizio di merito, mentre é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni in data 7 novembre 1961. In esso si chiede preliminarmente che venga dichiarata l'improponibilità del giudizio, per il fatto che l'ordinanza difetta di ogni motivazione sul punto della rilevanza dell'eccezione sollevata ai fini della decisione del merito. In subordine, chiede che l'eccezione stessa sia dichiarata infondata: ciò perché l'art. 102, nella sua generica formulazione, lascia al legislatore discrezionalità in ordine al modo di composizione delle Sezioni specializzate, mentre d'altra parte non é desumibile dal sistema alcun elemento da cui possa argomentarsi che la prevalenza numerica nel collegio giudicante debba spettare ai magistrati togati, o che debba darsi rilievo al modo con cui i cittadini esperti sono nominati. Anche per il difetto di indipendenza che si lamenta l'Avvocatura ritiene che la censura sia ininfluente, ed in ogni caso non varrebbe a dar vita ad una questione di costituzionalità, risolvendosi in una mera denuncia di inerzia a carico del legislatore, per l'omissione in cui sarebbe incorso nel dare esecuzione al precetto dell'art. 108.

La sola circostanza da ritenere rilevante secondo l'Avvocatura, al fine di accertare l'osservanza dell'art. 102, é l'inserzione organica e funzionale delle Sezioni specializzate nel seno dell'organizzazione della giurisdizione ordinaria, il che avviene, dato che le Sezioni agrarie formano parte integrante degli organi giudicanti ordinari di primo e secondo grado.

A ulteriore sostegno della tesi sostenuta, l'Avvocatura stessa si richiama alla sentenza n. 76 del 30 dicembre 1961, emessa dalla Corte costituzionale dopo il suo intervento nel procedimento, sentenza che afferma la costituzionalità dell'art. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094. Tale decisione avrebbe ad oggetto una questione identica a quella del presente giudizio e, pertanto, la Corte costituzionale non potrà non uniformarsi all'orientamento già assunto, dichiarando legittimo l'art. 5 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, che espressamente rinvia all'art. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza del Tribunale di Chieti ha proposto la questione della legittimità costituzionale delle norme istitutive delle Sezioni specializzate agrarie sotto tre profili, riguardanti, il primo, la prevalenza nella fase del giudizio di primo grado del numero degli esperti sui togati, e gli altri due il difetto di determinazione delle condizioni necessarie ad assicurare il possesso da parte degli esperti medesimi dei requisiti di idoneità e di indipendenza, quali sono prescritti rispettivamente dagli artt. 102 e 108 della Costituzione.

Sulla prima delle dette questioni, riguardante la proporzione numerica fra le due categorie di membri componenti il collegio, la Corte si é già pronunciata con la sentenza n. 76 del 30 dicembre 1961 ritenendola non fondata, e poiché non sono stati addotti motivi nuovi a sostegno dell'eccezione di incostituzionalità con essa sollevata, né questa é stata prospettata sotto profili prima non considerati, non vi é ragione di discostarsi dalla precedente pronuncia.

Rimane, pertanto, da esaminare solo la parte dell'ordinanza relativa alle altre due questioni. Tale esame non può essere precluso, per quanto riguarda l'ammissibilità della censura relativa alla mancata predisposizione delle garanzie di indipendenza, dal fatto che l'ordinanza ha denunciato la violazione dell'art. 102, che si riferisce all'idoneità (mentre ha omesso qualsiasi menzione dell'art. 108), poiché - come la Corte ha già avuto occasione di affermare in altri casi (v. per es. sentenza n. 37 del 1960) - l'accertamento dei limiti entro cui é da contenere il giudizio della Corte, necessario al rispetto del principio della corrispondenza fra il "chiesto e il pronunciato", deve essere compiuto non già solo con riguardo agli articoli della Costituzione dalla violazione dei quali l'ordinanza fa discendere il vizio di illegittimità denunciato, bensì al complessivo testo della medesima; sicché il principio predetto non é violato quando, come nella specie, risulti in modo univoco dalla motivazione quale sia l'oggetto della questione proposta.

Sulla base di analoghe considerazioni deve essere respinta l'eccezione di improponibilità che l'Avvocatura dello Stato ha sollevato circa la omessa valutazione, da parte del giudice a quo, della rilevanza della questione stessa sulla decisione di merito. La Corte deve riaffermare la massima enunciata con le sue precedenti decisioni, secondo cui non può considerarsi omesso il giudizio sulla rilevanza, allorché risulti, anche in modo implicito, che esso sia stato compiuto.

Neppure degno di accoglimento appare il rilievo dell'Avvocatura sulla inattendibilità della censura rivolta alla mancata predisposizione delle garanzie di indipendenza dei cittadini estranei, sulla base della considerazione che, anche ad ammettere che un obbligo in tal senso sia imposto dalla Costituzione, la violazione del medesimo non potrebbe invocarsi quale vizio della legge, dato che essa si risolverebbe in un mero fatto di inerzia del legislatore, non suscettibile, in quanto comportamento meramente negativo, di venire sottoposto a sindacato. In contrario, é da rilevare che le norme denunciate hanno dato vita ad organi nuovi, quali sono le Sezioni specializzate agrarie, e ne hanno disciplinato la struttura ed il funzionamento, sicché se fosse vero l'inadempimento del precetto costituzionale denunciato, esse sarebbero censurabili sotto l'aspetto del difettoso esercizio dell'attività organizzativa esplicita.

2. - Passando all'esame del merito, é da ricordare come la disciplina post-bellica dei contratti agrari, effettuata con i decreti legislativi luogotenenziali 19 ottobre 1944, n. 311, e 5 aprile 1945, n. 157, affidava la competenza a decidere "in via arbitrale", in primo ed in secondo grado, tutte le controversie dipendenti dall'applicazione dei medesimi a commissioni circondariali e regionali nominate dal Prefetto e composte da un magistrato ordinario e da due rappresentanti, uno dei proprietari ed affittuari conduttori, e un altro dei coloni o compartecipi o mezzadri, su designazione delle rispettive organizzazioni sindacali delle singole circoscrizioni locali; con possibilità di ricorso alla Cassazione per motivi di incompetenza. Il successivo decreto del Capo provvisorio dello Stato 1 aprile 1947, n. 277, deferiva la decisione delle controversie relative alla materia dell'adeguazione dei canoni da esso regolata, in unico grado, ad una "commissione arbitrale", costituita presso ogni Tribunale e composta, oltre che dal Presidente di questo, da due membri, uno per ciascuna delle categorie contrapposte, ma tutti nominati dal Presidente del Tribunale "sentite le organizzazioni di categoria". L'art. 9 medesimo stabiliva, poi, che per ogni componente effettivo dovesse essere designato un supplente.

Entrata in vigore la Costituzione, la legge 18 agosto 1948, n. 1140, intese innovare quanto all'organo giurisdizionale destinato a decidere le controversie dipendenti dalla sua applicazione, onde uniformarsi al divieto delle magistrature speciali sancito dall'art. 102, disponendo con gli artt. 4 e 5 la sostituzione delle "commissioni arbitrali", previste dal citato decreto n. 277 del 1947, con "Sezioni specializzate" sedenti presso ogni Tribunale e chiamate a decidere, in unico grado, con l'intervento, oltre che dei tre giudici togati, di quattro esperti di diversa provenienza, come per il passato, secondo che le controversie si riferissero a locazioni ad affittuario conduttore, oppure a conduttore diretto, in base a nomina del Presidente del Tribunale, su designazione (in numero "pari" al numero dei membri da eleggere) delle corrispondenti organizzazioni provinciali di categoria.

La successiva legge 25 giugno 1949, n. 353, provvide ad estendere alle controversie di cui ai citati artt. 4 e 5 della legge n. 1140 del 1948, le stesse regole che l'art. 7 della legge 4 agosto 1948, n. 1094, aveva dettato per le altre controversie ivi previste; regole che erano differenti dalle prime sopra ricordate solamente per tre punti: il primo relativo alla designazione degli esperti, da parte delle associazioni di categoria, da effettuare in numero "doppio" di quelli chiamati a far parte del collegio; il secondo riguardante l'appellabilità delle sentenze delle Sezioni presso i Tribunali ad altre Sezioni specializzate presso le Corti di appello; il terzo, infine, in ordine al divieto per gli esperti di rifiutare l'incarico (articolo 12). Inoltre, la legge n. 353 in parola, mentre ometteva ogni predisposizione in ordine a membri supplenti (che pure era stata proposta dalla Commissione della Camera dei Deputati), conferiva al Presidente del collegio il potere di provvedere alla sostituzione degli esperti che fossero stati assenti per due udienze consecutive, nominando al loro posto altri da lui prescelti fra gli appartenenti alle corrispondenti categorie (art. 6). Chiude l'iter dei provvedimenti legislativi rivolti alle controversie di cui si parla l'art. 1 della legge 3 giugno 1950, n. 392, che chiarisce la precedente norma dell'art. 2 della legge n. 353 del 1949, senza nulla innovare.

Sopravvenuta poi la legge 24 marzo 1958, n. 195, istitutiva del Consiglio Superiore della Magistratura, si é affidato a tale organo la nomina e la revoca dei componenti estranei alla Magistratura presso le Sezioni specializzate, con facoltà di effettuare la delega di tale potere ai Presidenti delle Corti di appello (art. 10, n. 2); delega che l'art. 30 delle disposizioni di attuazione, approvate con D. P. 16 settembre 1958, n. 916, consente sia conferita per tutta la durata del Consiglio Superiore.

3. - É ora da chiedersi se le norme richiamate abbiano soddisfatto ai principi della Costituzione, in ordine ai punti messi in rilievo dall'ordinanza. La Corte, nella citata sua precedente sentenza n. 76 del 1961, ebbe a ritenere che le Sezioni specializzate, per corrispondere all'intento che mosse il Costituente nel consentirne l'istituzione, debbono essere configurate non già come un istituto intermedio fra le soppresse giurisdizioni speciali e la giurisdizione ordinaria, bensì quale sottospecie di quest'ultima, con la conseguente esigenza di strutturarle adottando le modalità meglio idonee ad accostarle, per quanto possibile, ad essa. Una conferma di tale esigenza può dedursi anche dalla legge n. 195 del 1958 che attribuisce, come si é visto, il potere di nominare e revocare gli esperti proprio all'organo istituito per garantire l'esercizio indipendente della funzione giurisdizionale ordinaria.

Non si vuole, così dicendo, affermare che per gli estranei alla Magistratura siano da richiedere requisiti analoghi a quelli prescritti per gli appartenenti a quest'ultima, riuscendo, se così fosse, frustrata la stessa ratio che ebbe ad ispirare l'istituto delle Sezioni specializzate, consistente nell'assicurare ad esse - data la specialità della materia affidata alla loro competenza - il contributo che si pensa possa provenire da coloro che, pur mancando di cognizioni giuridiche, siano tuttavia in possesso di nozioni, attitudini, esperienze concrete, idonee a meglio adeguare nell'esercizio dell'attività decisoria l'esatta interpretazione del precetto normativo con le reali situazioni e rapporti ai quali essa ha riguardo. Ed in questo senso deve interpretarsi l'eliminazione dal testo della Costituzione dell'inciso "secondo le norme dell'ordinamento giudiziario" che era contenuto nel progetto a proposito dell'organizzazione delle Sezioni specializzate. Si vuole, invece, mettere in rilievo l'esigenza che, nell'istituire le Sezioni specializzate, la legge non possa dispensarsi da una precisa e puntuale determinazione tanto dei requisiti dai quali possa presumersi il possesso da parte dei cittadini estranei all'ordine giudiziario di quella idoneità richiesta dall'art. 102 (idoneità da intendere nel senso prima indicato, e quindi variabile con il variare della materia oggetto della competenza di ciascun tipo di Sezione), quanto di un minimo almeno di garanzie necessarie a conferire agli esperti medesimi quella posizione super partes, che é attributo connaturale all'esercizio della funzione giurisdizionale e che si concreta, appunto, nel requisito dell'indipendenza, richiesto testualmente, proprio pel personale di cui si parla, dall'art. 108.

Ora le norme impugnate si astengono da ogni anche approssimativa e sommaria specificazione nel senso indicato. Ciò appare evidente nei riguardi del requisito dell'idoneità. A differenza di quanto avviene per altri organi che possono assimilarsi alle Sezioni specializzate (Tribunali per i minorenni, Tribunali regionali per le acque pubbliche, Corti di assise), per i quali tale requisito o é oggetto di apposite disposizioni legislative, oppure risulta esplicitamente presupposto in quanto inerente all'uscio ricoperto (come avviene per gli ingegneri dei Genio civile designati a far parte del Tribunale regionale delle acque), nulla é disposto dalle leggi in esame in ordine alla capacità dei membri estranei, tanto se questa sia da intendere in senso generico, quanto nel senso specifico del possesso di determinate attitudini tecniche. Non vi é neppure luogo a presumere che l'idoneità debba ritenersi inerente all'appartenenza alla categoria professionale interessata alla controversia, poiché neanche questa risulta richiesta (salvo che nell'ipotesi di sostituzione, da parte dell'organo giudiziario competente, dei membri esterni che siano rimasti assenti per due udienze successive). Tanto meno potrebbe ammettersi che il giudizio sull'idoneità alla carica di componente il collegio giudicante possa essere rimesso al libero apprezzamento delle associazioni di categoria cui compete la designazione.

Anche per quanto attiene all'indipendenza non é dato rinvenire alcuna predisposizione che valga a farla ritenere assicurata. Non può accedersi all'opinione adombrata nelle deduzioni dell'Avvocatura che interpretano il precetto costituzionale nel senso dell'affidamento al legislatore di un'assoluta discrezionalità nella disciplina delle Sezioni e vedono nella "riserva di legge" di cui all'art. 108 la sola garanzia voluta stabilire. Non si scorge, infatti, il fondamento su cui possa poggiare la differenza di trattamento che si vorrebbe porre fra questa e le altre "riserve" stabilite dalla Costituzione, le quali, anche se, come l'attuale, non siano "rinforzate", sono ritenute suscettibili di dar vita al sindacato rivolto ad accertare se vi sia una qualche, anche minima, corrispondenza fra la legge emessa nella materia riservata e l'interesse che la Costituzione ha inteso tutelare sancendo la riserva.

Non é contestabile che il requisito dell'indipendenza é difficilmente configurabile in termini precisi, perché la sua regolamentazione propone problemi diversi secondo la diversità delle strutture statali e le epoche storiche, e non consente uniformità, dovendo adeguarsi alla varietà dei tipi di giurisdizione. Così, se può ammettersi che fra gli scopi cui si vuole soddisfino le Sezioni specializzate sia compreso quello di far risuonare nel seno del collegio giudicante la voce di determinate esigenze sociali, appare giustificato, nei casi in cui da esse siano state espresse apposite organizzazioni, consentire che da queste ultime provengano i membri estranei. Ma quando ciò accada non può prescindersi dal richiedere che costoro, una volta assunti alla carica, pur se chiamati a riflettere gli interessi generali del settore rappresentato, siano tuttavia sottratti ad una situazione di passiva obbedienza di fronte all'associazione di provenienza, così da consentire loro di procedere all'applicazione della legge sulla base di una obbiettiva considerazione degli elementi emergenti dalla causa.

In modo più particolare poi non può prescindersi dall'esigere che nell'ordinamento delle Sezioni specializzate sia resa possibile la costante osservanza, anche nei riguardi dei membri estranei, del principio generale della precostituzione del giudice, nonché l'applicazione di quegli istituti (come per es. quelli dell'astensione e della ricusazione) necessari ad assicurare la loro estraneità all'interesse delle parti fra cui verte la controversia.

Ora ritiene la Corte che per quanto riguarda le Sezioni agrarie facciano difetto le condizioni rilevate. Infatti, da una parte, la nomina degli esperti, se pure affidata ai capi delle Corti di appello, rimane vincolata alla scelta di uno dei due nomi designati dalle associazioni, e dall'altra fa difetto ogni determinazione della durata in carica dei medesimi, il che accresce di fatto il potere delle associazioni di richiedere in ogni momento la sostituzione dei membri in carica con altri (deficienze queste che appaiono tanto più gravi quando si tenga presente la prevalenza numerica nelle Sezioni di primo grado dei membri predetti rispetto ai giudici togati). É da aggiungere che l'applicazione delle norme le quali demandano alle associazioni di categoria la designazione dei membri estranei si presenta, in via di fatto, di incerta applicazione allorché - come di solito accade - più siano le associazioni rappresentative di una stessa categoria.

La mancanza delle necessarie garanzie di indipendenza, quale risulta dalle lacune ed insufficienze legislative finora rilevate, appare ancor più accentuata quando si consideri il difetto di ogni predisposizione normativa relativa alla istituzione di membri supplenti. Tale carenza, infatti, rendendo praticamente impossibile l'applicazione degli artt. 51 e 52 del Cod. proc. civile, conduce necessariamente alla violazione o del principio dell'imparzialità, o di quello della precostituzione del giudice, ove si pensasse di sostituire il membro ricusato o astenutosi con altro che fosse designato per l'occasione.

Pertanto, il contrasto della vigente organizzazione delle Sezioni agrarie specializzate con esigenze fondamentali di ogni giurisdizione non può non farla considerare incostituzionale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, e dell'art. 1 della legge 3 giugno 1950, n. 392, sostitutivo del testo dell'art. 2 della legge 25 giugno 1949, n. 353, in relazione agli artt. 102, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione.  

Così deciso In Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ

 

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1962.