Sentenza n. 47 del 1959
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SENTENZA N. 47

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale promossi dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con i seguenti ricorsi:

1) ricorso notificato il 4 aprile 1958, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 14 successivo ed iscritto al n. 6 del Registro ricorsi del 1958, avverso la legge regionale siciliana 29 marzo 1958 recante "Norme sul personale della Regione";

2) ricorso notificato l'li luglio 1958, depositato in cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 20 del Registro ricorsi del 1958, avverso il decreto del Presidente della Regione siciliana 5 luglio 1958 recante "Norme per il funzionamento del servizio di liquidazione del trattamento di quiescenza spettante al personale dell'Amministrazione regionale";

3) ricorso notificato il 26 marzo 1959, depositato in cancelleria il 4 aprile 1959 ed iscritto al n. 3 del Registro ricorsi del 1959, avverso la legge regionale siciliana 18 marzo 1959 recante "Collocamento nei ruoli del personale inquadrato con la legge 7 maggio 1958, n. 14 ".

Viste le costituzioni in giudizio del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 17 giugno 1959 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il ricorrente e gli avvocati Antonio Sorrentino e Pietro Virga per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - L'Assemblea regionale siciliana il 29 marzo 1958 approvò una legge intitolata "Norme sul personale della Regione". Di questa legge 11 Commissario dello Stato ha ritenuto che fossero viziati di illegittimità costituzionale gli articoli 2, 3 e 10 e di conseguenza ha proposto ricorso, depositato in cancelleria il 14 aprile del 1958. Il primo degli articoli impugnati dispone:

"Il Governo della Regione é delegato ad emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le norme necessarie per il funzionamento del servizio di liquidazione della pensione e del trattamento di quiescenza spettante al personale dipendente dall'Amministrazione regionale, in rapporto al trattamento economico di cui al precedente articolo.

"Il personale necessario per il funzionamento dei servizi di cui al comma precedente é prelevato da quello attualmente in servizio presso l'Amministrazione centrale della Regione".

Sostiene il Commissario dello Stato che codesta delega é costituzionalmente illegittima perché, non determinando i principi e i criteri direttivi ai quali deve informare la sua attività legislativa il Governo regionale, é in contrasto con le norme contenute nell'art. 76 della Costituzione. L'ordinamento dei pubblici uffici sarebbe materia espressamente riservata dalla Costituzione alla legge, e a ragione, in quanto esso esigerebbe "una disciplina informata a criteri di superiore e armonica valutazione degli interessi generali e un sistema di cautele idonee ad assicurare il più ordinato ed efficace svolgersi delle pubbliche funzioni" e perciò non potrebbe essere affidata al Governo senza la determinazione di precise e rigorose direttive.

L'art. 3 dispone: "Il personale non di ruolo, anche se proveniente da altre Amministrazioni e che da atti di ufficio di data certa risulti comunque in servizio alla data del 31 dicembre 1957 presso i singoli rami dell'Amministrazione centrale della Regione e presso uffici centrali dipendenti, con qualunque qualifica e forma, e con mansioni corrispondenti a quelle dei gruppi A, B, C, subalterni, e di operai salariati, é inquadrato in appositi ruoli speciali di personale in rapporto al titolo di studio posseduto, sempre che ricorrano le seguenti condizioni:

1) che l'interessato abbia prestato regolare servizio; 2) che l'interessato abbia la cittadinanza italiana, risulti di regolare condotta morale e non abbia riportato condanne per delitti non colposi".

Sostiene il Commissario dello Stato che questo articolo violerebbe le norme contenute nell'art. 97 della Costituzione che tutelano il regolare funzionamento degli uffici attraverso l'accertamento dell'idoneità morale o professionale dei dipendenti, in quanto esso consentirebbe di preporre ai pubblici uffici regionali persone che non abbiano i requisiti necessari per assicurare una buona amministrazione. Il Commissario richiama la legislazione dello Stato in questa materia, non già perché essa costituisca un limite della potestà legislativa della Regione che in questa materia é esclusiva, ma perché fornisce la riprova che agli uffici pubblici non possono essere preposte persone che non abbiano insieme col titolo di studio il possesso di determinati titoli di servizio.

Infine l'art. 10, disponendo che "l'Assessore al bilancio, finanze e demanio é autorizzato ad introdurre le variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione della presente legge " e che "alle maggiori spese derivanti dall'applicazione della presente legge si fa fronte utilizzando le disponibilità dei capitoli 13, 21, 22 e 23 dello stato di previsione della spesa di bilancio della Regione per l'anno finanziario in corso" avrebbe violato l'art. 81 della Costituzione, in quanto non avrebbe indicato l'esatto ammontare dei nuovi oneri e non consentirebbe in conseguenza di stabilire se l'imputazione ai capitoli sopra ricordati del bilancio regionale assicuri le disponibilità dei mezzi necessari.

2. - La Regione si é costituita in giudizio, depositando le sue deduzioni il 24 aprile 1958, e ha richiesto il rigetto dell'impugnativa del Commissario dello Stato.

Non nega la Regione che la materia dell'organizzazione degli uffici pubblici sia materia riservata alla legge, ma nega che in virtù della norma costituzionale sia stata soppressa ogni qualsiasi potestà regolamentare del Governo. Vi sono casi, come quello in esame, relativi all'organizzazione interna dei servizi, che potrebbero essere regolati finanche indipendentemente da norme regolamentari. Ne consegue che quella configurata dall'art. 2 della legge impugnata non costituirebbe una delega legislativa; con essa il legislatore non avrebbe inteso affidare al Governo l'esercizio di una facoltà sua propria, ma piuttosto avrebbe disposto che "norme di carattere interno " fossero emanate con la forma del decreto del Governo regionale. In sostanza il provvedimento da emanare sarebbe un normale regolamento che troverebbe la sua fonte nel potere che spetta istituzionalmente ad ogni pubblica amministrazione di organizzare i suoi servizi o al massimo un regolamento di esecuzione della legge.

In secondo luogo, sostiene la Regione che le censure mosse dal Commissario dello Stato all'art. 3 della legge sarebbero censure di merito e non di legittimità, risolvendosi esse in una critica ai criteri che il legislatore regionale ha seguito per regolare l'immissione del personale nei ruoli speciali. L'art. 97 della Costituzione, che il Commissario dello Stato richiama, porrebbe un precetto nella parte in cui prescrive che all'organizzazione dei pubblici uffici si provvede con legge, ma indicherebbe soltanto una direttiva nella parte invece in cui dispone che l'organizzazione deve essere fatta in modo d'assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, direttiva, la cui applicazione non potrebbe non essere rimessa al prudente arbitrio del legislatore. Sarebbe una innovazione arditissima, a dire della difesa regionale, trascinare la Corte costituzionale ad esaminare se le leggi, che regolano l'organizzazione dei pubblici uffici, ne assicurano effettivamente il buon andamento.

Quanto ai richiami alla legislazione statale in materia, la Regione, premesso che essa non sarebbe in alcun modo vincolante per il legislatore siciliano, ritiene di poter ricavare dal suo esame esempi e casi di leggi che prevedono o hanno previsto l'assunzione di personale avventizio nei ruoli organici, o nei ruoli speciali senza vaglio di concorso e senza riguardo a una determinata anzianità di servizio.

Infine dalla censura mossa all'art. 10 la Regione si difende sostenendo che la norma costituzionale contenuta nell'art. 81 della Costituzione imporrebbe soltanto l'indicazione dei mezzi per far fronte ai nuovi oneri non già la corrispondenza tra entità degli oneri e disponibilità dei mezzi. D'altra parte nel caso in esame sarebbero da fare due osservazioni, la prima é che la spesa, se non é determinata é facilmente determinabile, l'onere dell'applicazione dei nuovi stipendi e l'immissione degli avventizi nei ruoli costituendo una operazione aritmetica, su dati facilmente accertabili, la seconda che l'assemblea regionale non ha fatto che adeguarsi al comportamento del legislatore statale quale risulta tra l'altro proprio dall'art. 27 del decreto legislativo 11 gennaio 1956, n. 19, le cui norme la Regione ha esteso ai suoi dipendenti.

3. - In pendenza del giudizio di legittimità costituzionale davanti a questa Corte la Regione ha promulgato e pubblicato la legge impugnata (diventata legge 7 maggio 1958, n. 14) e il Governo regionale ha a sua volta emanato il decreto legislativo presidenziale 5 luglio 1958, n. 4, esercitando la delega prevista nell'art. 2 della legge. Il Commissario dello Stato con ricorso depositato in cancelleria il 19 luglio 1958 ha chiesto che, anche di questo decreto, stante l'inscindibile connessione tra legge di delegazione e legge delegata, sia dichiarata la illegittimità costituzionale e che sia respinta, come irrilevante ai fini del giudizio di costituzionalità, l'eventuale obiezione che esso, in quanto intende disciplinare la gestione del fondo speciale costituito con la legge regionale 29 luglio 1950, n. 65, concernerebbe materia rientrante nella competenza regolamentare del Governo regionale.

La Regione, costituitasi in giudizio mediante deposito delle deduzioni il 30 luglio 1958, ha chiesto in primo luogo che la impugnativa del Commissario dello Stato sia dichiarata inammissibile in quanto essa fonda l'illegittimità del decreto sull'asserita incostituzionalità della legge di delega della quale si discute in un giudizio tuttora pendente davanti alla Corte, e subordinatamente che il ricorso venga respinto nel merito.

4. - Tanto la difesa dello Stato, quanto quella della Regione hanno presentato memorie depositate in cancelleria rispettivamente il 19 e il 20 novembre del 1958, nelle quali hanno ribadite e illustrate le tesi avanzate in sostegno delle loro ragioni. In particolare la difesa regionale propone ed illustra due nuove tesi che, a suo dire, sono da porre "sul piano pregiudiziale".

La prima é quella dei limiti del "controllo dello Stato sull'attività legislativa delle Regioni ". Sostiene la Regione che codesto controllo deve ritenersi diretto soltanto ad assicurare le rispettive sfere di attribuzioni e non é perciò tale da consentire una più penetrante ingerenza che si estenda a qualsiasi profilo di incostituzionalità della legge regionale.

Il ricorso del Commissario dello Stato contro le leggi regionali sarebbe, dunque, ammissibile soltanto quando la Regione ecceda i limiti della propria competenza, non già quando essa violi, con le proprie norme, una norma o un principio di carattere costituzionale. In questo secondo caso, infatti, non si potrebbe parlare di uno "straripamento delle competenze" dell'organo regionale legiferante, dato che "il vizio di competenza non si configura alla stregua di una generica deficienza di potere, ma sulla base di concetti assai più circoscritti e cioè nel senso che il potere di cui trattasi appartenga ad altra autorità".

Questo concetto sarebbe consacrato nella norma contenuta nell'art. 127 della Costituzione, e negli statuti delle altre regioni autonome, e troverebbe conferma nel capoverso dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1.

Non potrebbe opporsi a questa tesi la circostanza che gli articoli 25 e 27 dello Statuto per la Regione siciliana parlino genericamente di impugnative per incostituzionalità delle leggi emanate dall'Assemblea regionale. Il potere generico di impugnativa accordato da queste norme al Commissario dello Stato era giustificato al momento in cui fu istituito, quando, cioè, non esisteva l'annullamento delle leggi per incostituzionalità; non troverebbe più giustificazione ora che la Costituzione ha introdotto in via generale l'impugnativa incidentale per incostituzionalità delle leggi. Le sopravvenute disposizioni dell'art. 127 della Costituzione avrebbero ricondotto la facoltà di ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana nei limiti in cui essa é riconosciuta in via generale allo Stato contro le leggi regionali. Del che potrebbe trarsi conferma dai principi posti dalla sentenza 9 marzo 1957, n. 38, di questa Corte, che avrebbe appunto riportata l'impugnativa per incostituzionalità delle leggi siciliane nell'ambito dell'art. 127 della Costituzione, lasciando in vigore soltanto i modi e i termini della proposizione del giudizio, quali sono regolati dallo Statuto speciale per la Regione siciliana, e dalle "Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale", che hanno consentito la rinuncia all'impugnativa nei giudizi promossi in via principale (art. 25) e dunque anche in quelli promossi dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana, rinuncia che non si spiegherebbe, se l'impugnativa prescindesse dall'interesse specifico dello Stato e fosse rivolta in generale alla tutela della costituzionalità delle leggi siciliane.

La seconda tesi é rivolta a rimuovere il dubbio dell'ammissibilità di deleghe legislative da parte delle assemblee alle giunte regionali. La difesa regionale premette che il ricorso del Commissario dello Stato contesta la regolarità della delega, non già l'ammissibilità di essa e che pertanto la Corte costituzionale, non investita del problema, non debba occuparsene. Tuttavia, la difesa regionale espone che la legittimità costituzionale della delega dell'Assemblea regionale siciliana al Governo regionale a emanare norme di legge si ricavi: a) dall'art. 134 della Costituzione che parla non soltanto di leggi ma anche di atti della Regione aventi forza di legge, espressione che non potrebbe riferirsi se non agli atti legislativi delegati; b) dalla prassi costantemente osservata durante questo primo decennio di applicazione dello Statuto siciliano; c) dall'esplicito riconoscimento della costituzionalità di questa prassi da parte dell'Alta Corte per la Regione siciliana; d) infine, argomentando a contrario, dall'articolo 40 dello Statuto per la Regione Trentino-Alto Adige che ha espressamente vietato la delega legislativa.

5. - Nell'attesa della trattazione di questi due giudizi di legittimità costituzionale, fissata per la udienza del 3 dicembre 1958 e rinviata, su richiesta delle parti, a questa udienza, l'Assemblea regionale ha approvato (18 marzo 1959) e il Presidente della Giunta ha promulgato una legge intitolata "Collocamento nei ruoli del personale inquadrato con la legge 7 maggio 1958, n. 14" (legge 12 maggio 1959, n. 19). Questa legge estende al personale, che "si sia trovato" nelle condizioni previste dall'art. 3 della legge 7 maggio 1958, n. 14, e che dalla data di assunzione abbia compiuto un anno di lodevole e ininterrotto servizio, le disposizioni contenute negli articoli da 1 a 4 del decreto legislativo del Presidente della Regione 12 aprile 1951, n. 18, che contiene "norme integrative per l'attuazione dei ruoli transitori del personale dell'amministrazione centrale della Regione" e, per la prima applicazione della legge, le disposizioni contenute negli articoli 14 e 15 della legge 13 maggio 1953, n. 34, che approva i ruoli organici dell'amministrazione regionale (art. 1); detta disposizioni per il calcolo del servizio utile ai fini economici e di quiescenza di questo personale (art. 2, primo e secondo comma); specifica che, ai fini dell'applicazione dell'art. 14 della legge 13 maggio 1953, n. 34, la promozione alla qualifica superiore può aver luogo soltanto sotto certe condizioni (art. 2, terzo comma); stabilisce che l'inquadramento nei ruoli transitori ha luogo con riferimento alla carriera cui é stato assimilato il personale stesso in rapporto al titolo di studio posseduto alla data di entrata in vigore della legge (art. 3); fa salve le disposizioni previste dagli articoli 6, 7, 8 e 9 della legge 7 maggio 1958, n. 14 (art. 5); provvede alla copertura del maggior onere di lire 80 milioni derivante dalla applicazione della legge, autorizzando l'utilizzazione delle disponibilità del capitolo 35 del bilancio della Regione (art. 6). Anche questa legge é stata considerata dal Commissario dello Stato in contrasto con l'art. 97 della Costituzione e con la norma dell'ultimo comma dell'ottava disposizione transitoria della Costituzione. Lamenta, infatti, il Commissario che la legge, estendendo a tutto il personale comunque in servizio alla data del 31 dicembre 1957 le disposizioni contenute negli articoli da 1 a 4 del decreto legislativo del Presidente della Regione 12 aprile 1951, n. 18, e negli articoli 14 e 15 della legge 13 maggio 1953, n. 34, avrebbe istituito un nuovo ruolo di pubblici impiegati senza il rispetto delle garanzie richieste dall'art. 97 della Costituzione e consentito il passaggio dai ruoli transitori nei ruoli definitivi senza la garanzia del concorso "concretando una nuova e più grave violazione dell'art. 97 della Costituzione". Più particolarmente la violazione di quest'articolo della Costituzione risulterebbe dal fatto che con la legge impugnata il numero degli impiegati da inquadrare e le qualifiche loro sono stabiliti in base a una "casuale situazione di fatto" "non in base a un criterio direttivo e all'ovvio necessario presupposto della riforma degli organici", e dall'altro che la sistemazione definitiva nei ruoli organici senza concorso (art. 1 della legge) e l'inquadramento nei ruoli transitori sulla base soltanto del titolo di studio e senza riferimento alle mansioni effettivamente esercitate (art. 3 della legge) non consentono di accertare in tutti e due i casi il possesso da parte dei dipendenti regionali dei necessari requisiti di idoneità professionale. La riprova della incostituzionalità della legge si ritrarrebbe dal contrasto nel quale essa si trova con la legislazione nazionale in materia, la quale avrebbe costantemente osservato, quando ha dovuto risolvere analogo problema di inquadramento dei dipendenti statali, l'obbligo del concorso sancito dal terzo comma dell'art. 97 e ha regolato l'inclusione nei ruoli transitori e aggiunti sulla base di una precisa valutazione della durata del servizio prestato. Il Commissario dello Stato ricorda l'art. 1 del D. L.7 aprile 1948, n. 262, e l'art. 344 del vigente Statuto degli impiegati civili dello Stato, il primo dei quali richiede per l'inquadramento in una determinata categoria nei ruoli speciali transitori un servizio di sei anni oltre il possesso di altri requisiti, e il secondo estende la possibilità di inquadramento nei ruoli aggiunti anche al personale non di ruolo successivamente alla data dell'ora citato decreto legislativo, ma a condizione che l'assunzione sia avvenuta in conformità a specifiche norme di legge: non indiscriminatamente come invece stabilisce la legge regionale.

6. - La legge violerebbe anche la norma contenuta nell'ultimo comma dell'VIII disposizione transitoria della Costituzione, la quale, come si sa, stabilisce che le Regioni devono trarre il proprio personale, salvo casi di necessità, da quello dello Stato e degli Enti locali. Questa norma rappresenterebbe un principio di ordine generale alla cui osservanza é tenuta anche la Regione siciliana e sarebbe strettamente connessa con le finalità di decentramento dell'ordinamento regionale. Ne conseguirebbe che la Regione non può avvalersi in primo luogo del personale statale per esercitare le competenze che le sono state assegnate e soltanto in casi di necessità può ricorrere all'assunzione diretta di personale. Né con questa norma dell'ottava disposizione transitoria contrasterebbe l'altra contenuta nello art. 43 dello Statuto della Regione siciliana la quale é soltanto rivolta a stabilire una speciale procedura per il passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione siciliana.

7. - La Regione ha depositato in cancelleria il 16 aprile 1959 le sue deduzioni, nelle quali in primo luogo solleva tre eccezioni di inammissibilità del ricorso. La prima sarebbe quella di incompetenza di questa Corte a giudicare sui ricorsi proposti dal Commissario dello Stato contro la Regione siciliana. Avverte anzi espressamente la difesa regionale che la costituzione da parte della Regione nel presente giudizio non implica acquiescenza alla tesi dell'assorbimento da parte della Corte costituzionale delle competenze dell'Alta Corte per la Sicilia. La seconda consisterebbe nel difetto di legittimazione attiva da parte del Commissario dello Stato, stante che, ad avviso della difesa regionale, questo sarebbe legittimato ad agire soltanto davanti all'Alta Corte per la Regione siciliana e non mai davanti a questa Corte costituzionale dove può agire legittimamente, in applicazione dell'art. 127 della Costituzione, soltanto il Presidente del Consiglio. La terza risulterebbe dal fatto che col ricorso contro la legge in esame, che altro non farebbe se non estendere al personale avventizio assunto successivamente al 1953 le disposizioni contenute nella legge 29 luglio 1950, n. 65, e nel D. L. 12 aprile 1951, n. 18, s'impugnerebbe la proroga di una legge che il Commissario dello Stato non impugnò nei termini e che ha trovato già piena applicazione. Si consentirebbe, cioè, con l'ammissione del ricorso, "l'impugnazione di una legge non più impugnabile prendendo a pretesto una legge di proroga alla legge stessa".

8. - Nel merito, la difesa regionale respinge la tesi che la legge impugnata violi le norme contenute nel primo e terzo comma dell'art. 97 della Costituzione. Infatti l'art. 97, primo comma, riguarderebbe i rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini estranei all'amministrazione stessa e non già i rapporti tra la pubblica amministrazione e gli impiegati. I principi in materia di assunzione del personale si dovrebbero ricavare perciò soltanto dal terzo comma di questo art. 97. Tuttavia, in via subordinata la difesa regionale rileva che il buon andamento dell'amministrazione di cui é parola appunto nel primo comma dell'art. 97 sia da considerare non già un dovere della pubblica amministrazione ma un onere e, appunto perché si tratta di un onere, rientrerebbe nella discrezionalità dell'amministrazione la scelta dei mezzi più idonei per raggiungere il fine della buona organizzazione degli uffici. Nega poi la difesa regionale che il procedimento prescelto dalla Regione non assicuri una sufficiente selezione del personale. Infatti la legge esige per l'assunzione la sussistenza di tre condizioni: a) il possesso di tutti i requisiti necessari per l'assunzione in un rapporto di pubblico impiego; b) il possesso del titolo di studio per la carriera nella quale l'impiegato aspira a essere assunto; c) il compimento di un anno di lodevole e ininterrotto servizio.

Nemmeno vero sarebbe che la Regione abbia formato i suoi ruoli organici in maniera da adeguarli al numero degli avventizi, dato che la revisione dei ruoli é stata fatta con provvedimento legislativo approvato il 4 aprile 1959 dall'Assemblea regionale e non impugnato dal Commissario dello Stato, prescindendo dalla consistenza del personale avventizio. Pure infondata sarebbe la censura mossa alla legge per la sua difformità dai principi contenuti nelle leggi statali in materia di personale non di ruolo. Anche se si volesse prescindere dal fatto che la Regione non é vincolata, nell'esercizio della potestà legislativa che le riviene dall'art. 14 dello Statuto della Regione siciliana, al rispetto dei principi ai quali si informa la legislazione dello Stato e nemmeno di quelli dell'ordinamento giuridico statale, nel fatto il Commissario non avrebbe potuto rilevare come differenza se non la diversità del termine di permanenza in servizio richiesto per l'ammissione nei ruoli transitori: di sei anni per la legge statale e di un anno per quella regionale. Differenza che va ricondotta al diverso insindacabile giudizio del legislatore e che é assai meno grande, se si tengono presenti altri termini posti dal legislatore nazionale in materia. La legge infine sarebbe conforme anche alla norma contenuta nell'ultimo comma dell'VIII disposizione transitoria, dato che questa ha carattere transitorio ed é destinata a esaurire la sua efficacia con la prima formazione degli uffici regionali e non può riguardare una legge come quella in esame che provvede a dare un migliore stato giuridico al personale già in servizio.

9. - Il Commissario dello Stato, in due memorie depositate il 3 giugno 1959, e la Regione, in una memoria depositata lo stesso giorno, hanno ancora una volta illustrato e svolto le relative tesi difensive tanto quelle sostenute nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 12 maggio 1959, n. 19, quanto quelle sostenute negli altri due relativi alla legge 7 maggio 1958, n. 14, e al decreto legislativo del Presidente della Regione 5 luglio 1958, n. 4.

Le stesse tesi e le stesse conclusioni sono state ribadite oralmente all'udienza, nella quale le tre cause hanno avuto unica trattazione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le tre cause, congiuntamente discusse all'udienza, possono essere definite con un'unica sentenza, stante la loro stretta connessione.

2. - Le questioni che devono essere esaminate per prime sono quelle relative alle eccezioni sollevate dalla difesa della Regione in ordine alla incompetenza di questa Corte ed al difetto di legittimazione attiva del Commissario dello Stato.

Sulle due eccezioni la Corte ha espresso il suo giudizio con la sentenza 27 febbraio 1957, n. 38, alla motivazione della quale non ci sono modificazioni né aggiunte da apportare.

3. - Altra eccezione pregiudiziale é quella proposta dalla difesa della Regione circa l'inammissibilità del ricorso dello Stato avverso una legge regionale, quando questa venga impugnata non perché la Regione abbia ecceduto la sfera della propria competenza, invadendo quella dello Stato, ma quando si assuma il contrasto con una norma o un principio di carattere costituzionale. Per respingere queste eccezioni basterà richiamare la decisione e la motivazione della sentenza di questa Corte del 30 aprile 1959, n. 30, la quale, riportandosi anche alle precedenti pronunce del Collegio, ha ribadito che per competenza legislativa attribuita alla Regione deve intendersi la sfera entro la quale la stessa può legiferare, sfera che trova i suoi limiti nelle stesse norme costituzionali attributive della potestà.

Questi concetti valgono nei confronti di tutte le Regioni, compresa la Sicilia. Per il che, ai fini del presente giudizio, non é il caso di seguire la difesa regionale nell'esame che essa propone circa questo problema nei riguardi particolari della Regione siciliana.

4. - Passando all'esame delle disposizioni legislative impugnate, la prima questione che si presenta é quella relativa alla legittimità dell'art. 2 della legge regionale 7 maggio 1958, n. 14, e del decreto legislativo del Presidente della Regione 5 luglio 1958, n. 4. Con l'impugnata disposizione dell'art. 2 il Governo della Regione fu delegato ad emanare le norme necessarie per il funzionamento del servizio di liquidazione della pensione e del trattamento di quiescenza spettante al personale dipendente dall'Amministrazione regionale. La delega é stata espletata con il decreto legislativo suindicato.

Come si é detto nella esposizione di fatto, il Commissario dello Stato ha negato la legittimità della delega - chiedendo, poi, in conseguenza, anche la dichiarazione di incostituzionalità del decreto delegato - per contrasto con le norme contenute nell'art. 76 della Costituzione, in quanto la delega non determinava i principi ed i criteri direttivi ai quali il Governo della Regione si doveva attenere.

La difesa regionale oppone preliminarmente che l'art. 2 della legge non conferì una delega legislativa, bensì dispose che il Governo emanasse un regolamento. Di conseguenza, mentre non sarebbe contestabile la legittimità del citato art. 2, inammissibile in questa sede si presenterebbe l'impugnativa del decreto 5 luglio 1958, che non potrebbe essere considerato come atto avente forza di legge.

Questa tesi della difesa regionale non può essere accolta. Non é esatto che, nel caso attuale, la legge regionale abbia stabilito che si emanasse un regolamento, né é esatto che il Governo della Regione abbia emanato un regolamento. La forma e la sostanza degli atti in esame forniscono in proposito sicuri orientamenti di giudizio.

L'art. 2 della legge parla di delega da esercitarsi entro un termine determinato. E questa é formula che di solito viene adoperata per le delegazioni legislative. Anche il decreto presidenziale 5 luglio 1958 ha la forma del decreto legislativo delegato: é intestato come decreto legislativo; nel preambolo si richiama l'art. 2 della legge 7 maggio 1958 quale fonte di delegazione, mentre si omette la formula che abitualmente é usata nei preamboli dei regolamenti della Regione siciliana "ritenuto che occorre provvedere alla emanazione di norme regolamentari per l'esecuzione della legge..."; non si fa cenno di un parere del Consiglio di giustizia amministrativa.

Quanto alla sostanza, é da rilevare che l'art. 2 della legge impugnata non riguarda soltanto, come sostiene la difesa regionale, la organizzazione interna del servizio di liquidazione, ma concerne anche la emanazione delle norme necessarie per il funzionamento di tale servizio con effetti esterni. Una scorsa al decreto presidenziale é, poi, sufficiente per rilevare che la materia in esso disciplinata trascende il campo dell'attività regolamentare. Basta richiamare le disposizioni degli articoli 3, 4 e 5 che danno una disciplina sostanziale all'amministrazione dell'apposito fondo, ne assicurano i controlli e stabiliscono le essenziali modalità di gestione dei servizi.

Sarebbero state queste le disposizioni di legge (regionale) secondo le quali, a norma dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, si sarebbe dovuto organizzare il servizio di liquidazione delle pensioni. Successivamente la Regione avrebbe potuto emanare norme regolamentari per la esecuzione della legge e avrebbe potuto (anzi, avrebbe dovuto) adottare i provvedimenti interni occorrenti per il concreto funzionamento del servizio.

5. - Occorre ora esaminare nel merito la questione prospettata dal Commissario dello Stato, il quale contesta la legittimità dell'art. 2 della legge e la legittimità del decreto legislativo per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, in quanto nell'art. 2 non sarebbero stati determinati i principi ed i criteri direttivi.

La censura é fondata. Invano si cerca nell'art. 2 qualsiasi accenno a principi ed a criteri. Né può dirsi che, nel caso particolare, corrisponda a questa esigenza l'indicazione che le norme da emanare debbono essere quelle "necessarie" per il funzionamento del servizio, giacché la formula dell'art. 2 non si riferisce al concetto di necessità in un senso limitativo, ma vuol significare che il Governo regionale deve dettare le disposizioni legislative occorrenti per il funzionamento del servizio. Questa formulazione definisce l'oggetto della materia delegata, ma nulla dice in ordine a qualsiasi principio o criterio direttivo.

Poiché, pertanto, la doglianza del Commissario dello Stato é fondata, devesi dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge impugnata e, per conseguenza, anche quella del decreto legislativo con cui i poteri delegati furono espletati.

6. - Poiché é opportuno, per evidenti ragioni di connessione, vagliare congiuntamente le censure proposte contro l'art. 3 della legge 7 maggio 1958 e quelle contro la legge 12 maggio 1959, n. 19, occorre, al fine di completare l'esame delle impugnative della legge 7 maggio 1958, riscontrare se sia fondata la terza ed ultima di tali impugnative: quella che investe l'art. 10 di detta legge.

La tesi del Commissario dello Stato non ha fondamento. Essa non ha base in fatto.

Non si contesta - e non lo contesta la difesa regionale - che la disposizione dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione sia applicabile anche alle Regioni. Né, in sostanza, si nega che nella specie la cosiddetta copertura esistesse. Qui l'unica critica sollevata nel ricorso é quella che, in ordine al finanziamento della maggiore spesa derivante dall'applicazione della legge, non é indicato l'ammontare dei nuovi oneri che restano indeterminati. Nello sviluppo successivo della discussione non si é posto in dubbio che gli stanziamenti contenuti nei capitoli 13, 21, 22 e 23 del bilancio della Regione per l'anno finanziario 1957-1958, il cui ammontare complessivo risulta dalla legge regionale 30 dicembre 1957, n. 60, in lire 5.858.600.000, fossero del tutto sufficienti a coprire le maggiori spese derivanti dalla legge impugnata, spese delle quali era, nel caso attuale, ben determinabile la consistenza, anche perché trattavasi di spese fisse ed obbligatorie.

7. - Prima di passare al congiunto esame dell'art. 3 della legge del 1958 e della legge del 1959, occorre giudicare di una eccezione preliminare che la difesa della Regione muove nei riguardi della impugnativa della seconda legge. La difesa regionale parte dal presupposto che la legge del 1959 altro non farebbe se non estendere al personale avventizio assunto successivamente al 1953 le disposizioni contenute nella legge 29 luglio 1950, n. 65, e nel decreto legislativo 12 aprile 1951, n. 18, leggi che il Commissario dello Stato non impugnò nei termini e che hanno trovato già piena applicazione. Ora, non sarebbe ammissibile "l'impugnazione di una legge non più impugnabile prendendo a pretesto una legge di proroga".

Queste affermazioni non sono giustificate.

Anzitutto, non é esatto che nel caso attuale ci si trovi di fronte ad una proroga. Proroga significa estensione, anzi protrazione, nel tempo. Qui c'é estensione di disposizioni dettate per certe categorie di persone ad altre persone. Questo, in fatto, non é contestabile.

Non si vede, quindi, come si possa negare il carattere di novità ad una legge che allarga il campo di applicazione di leggi precedenti.

Comunque, anche se si trattasse della proroga di efficacia di una legge precedente, la cosa non sarebbe rilevante, giacché la giurisprudenza della Corte é ferma nel senso che l'atto legislativo che protrae nel tempo l'efficacia di una legge anteriore é una nuova legge non soltanto con riferimento al termine ma anche al contenuto normativo (sentenza n. 60 del 19 novembre 1958, seguita da altre pronunce conformi).

8. - Come si é detto, appare opportuno esaminare nel loro insieme i motivi addotti dal Commissario dello Stato avverso l'art. 3 della legge del 1958 e avverso l'intera legge del 1959.

Motivo comune di impugnativa nei riguardi delle due leggi é la violazione dell'art. 97 della Costituzione. Mancherebbero in queste leggi le norme atte ad assicurare il buon andamento o l'imparzialità dell'Amministrazione; le leggi stesse consentirebbero di preporre ai pubblici uffici regionali persone che non avrebbero i requisiti necessari per assicurare tali esigenze di buona ed imparziale gestione amministrativa. Nei confronti, poi, della legge del 1959 il Commissario dello Stato rileva un'altra violazione dell'art. 97 della Costituzione e precisamente del terzo comma di esso, in quanto detta legge avrebbe consentito l'assunzione in ruolo del personale senza concorso.

La Corte osserva che le due leggi impugnate costituiscono la base di una sistemazione del personale assunto, non sempre con opportuna selezione, dalla Regione nel periodo ultradecennale di impianto della propria organizzazione burocratica. Con la legge del maggio 1958 si deve considerare chiuso questo periodo di primo impianto. Gli articoli 6, 7, 8 e 9, vietando nuove assunzioni di personale non di ruolo ed imponendo per le nuove assunzioni il sistema del pubblico concorso, hanno voluto dare inizio ad un sistema più controllato di assunzione del personale regionale.

Ora, la Corte non vuol dire che tutto ciò che é stato fatto fino all'entrata in vigore della legge del 1958 sia stato ben fatto (fra l'altro, non rientra nei propri compiti un apprezzamento di questo genere) né la Corte vuol dire che una sistemazione massiva del personale in servizio sarebbe, nel merito, esente da critiche. Quello che la Corte vuol dire, e può dire, é che le critiche mosse dal Commissario dello Stato sulla base dell'art. 97, primo comma, della Costituzione non presentano, nel caso qui considerato, rilevanza ai fini del giudizio di legittimità costituzionale.

É vero che le norme impugnate non coincidono con quelle che, sopra un terreno analogo, lo Stato ha dettato per la sistemazione del proprio personale non di ruolo. Ma la mancanza di tale coincidenza non può costituire, di per sé, vizio di legittimità costituzionale rispetto a norme emanate dalla Regione nell'ambito della sua competenza legislativa cosiddetta esclusiva.

La legge del maggio 1958 richiede, per l'inquadramento nei ruoli speciali, che, oltre all'occorrente titolo di studio ed ai requisiti generali di capacità, gli aspiranti abbiano prestato regolane servizio; la legge del 1959 vuole che il personale abbia compiuto, dalla data di assunzione, un anno di lodevole ed ininterrotto servizio.

Saranno anche scarsi questi requisiti, ma non crede la Corte che si possa affermare che manchi un accertamento della capacità degli aspiranti. Valutare se altri maggiori e più specifici requisiti si potessero imporre, comporterebbe la sostituzione di un apprezzamento della Corte a quello che, sotto la sua responsabilità, ha compiuto il legislatore regionale nel legittimo uso del suo potere.

Quanto alla doglianza più particolare relativa alla legge del 1959 - violazione dell'obbligo di assunzione mediante concorso - la Corte premette che non é necessario, ai fini della presente controversia, interpretare la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 97 della Costituzione "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge" ed in particolare non é necessario stabilire se nella previsione dell'inciso "salvo i casi stabiliti dalla legge" si debba comprendere anche la legge regionale: in altri termini (a prescindere da ogni indagine circa gli eventuali limiti che incontri la stessa legge statale di fronte al precetto costituzionale) non é necessario stabilire se una legge regionale possa o non possa derogare al precetto di assumere il personale per concorso. Nella specie si é trattato non di assunzione, ma di sistemazione di personale già assunto. Nell'avvenire, il divieto, già posto dalla legge regionale, di assumere personale senza concorso non renderà possibile che il caso attuale, di carattere transitorio, possa riprodursi. Ove, per avventura, dovesse, sotto qualunque forma, riprodursi, non mancherebbe la possibilità, anche in questa sede, di fare rispettare l'osservanza del precetto costituzionale, se inderogabile.

9. - É anche infondata l'altra deduzione del Commissario dello Stato, il quale sostiene che la legge del 1959 violerebbe la norma contenuta nell'ultimo comma dell'VIII disposizione transitoria della Costituzione.

Basterà rinviare alle ragioni esposte dalla Corte nella sentenza del 30 aprile 1959, n. 30, per dimostrare che questa doglianza del Commissario dello Stato non merita accoglimento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui procedimenti elencati in epigrafe:

respinte le eccezioni pregiudiziali proposte dalla difesa della Regione;

dichiara, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 2 della legge approvata dalla Assemblea regionale siciliana il 29 marzo 1958, promulgata, in pendenza del ricorso in questa sede, il 7 maggio 1958 (n. 14) e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana delle stesso giorno 7 maggio 1958, n. 27, contenente "Norme sul personale della Regione", ed in conseguenza dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana del 5 luglio 1958, n. 4, contenente "Norme per il funzionamento del servizio di liquidazione del trattamento di quiescenza spettante al personale della Amministrazione regionale";

dichiara non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale della citata legge regionale 7 maggio 1958 e della legge approvata dall'Assemblea regionale il 18 marzo 1959, promulgata, in pendenza del ricorso in questa sede, il 12 maggio dello stesso anno, (n. 19) e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione del 15 dello stesso mese, n. 28, contenente norme sul "Collocamento nei ruoli del personale inquadrato con la legge 7 maggio 1958, n. 14", in riferimento all'art. 14, lett. q, dello Statuto della Regione siciliana ed all'art. 97 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Conte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1959.