Paola BALBO

 

I SISTEMI GIURISDIZIONALI NAZIONALI DI FRONTE ALL'INTERPRETAZIONE DEL MANDATO D'ARRESTO EUROPEO.

 

 

Estradizione versus consegna, decisione quadro versus direttiva, tutela del concetto di cittadinanza nazionale versus tutela del diritto alla legalità (intesa come diritto di chiunque a vedere difesa la propria libertà come singolo e come società rispetto alla violazione delle norme penali): su questi tre grandi temi si va enucleando la prima reazione alla applicazione effettiva del mandato d'arresto europeo. Tre sono anche le nazioni cui fare riferimento per valutare in prima battuta la portata delle resistenze concretizzatesi in modifiche legislative interne o in dichiarazione di illegittimità costituzionale e precisamente Lettonia, Polonia e Germania. Diverse sono tuttavia le linee attraverso cui questi problemi sono stati affrontati e il tipo di soluzione adottato. Si tratta allora di capire non solo e non tanto le obiezioni, quanto i risvolti pregressi e le aperture possibili che potranno derivare da questa battuta d'arresto.

La decisione quadro 2002/584/GAI istitutiva del mandato d’arresto europeo era destinata già fin dal suo primo apparire a dare origine a considerevoli difficoltà non solo sotto il profilo dottrinario ma anche e soprattutto applicativo. Premessa ineliminabile è il richiamo ad alcune riflessioni importanti. Se infatti è ineccepibile la difesa che viene avanzata e doverosamente accentuata dei diritti fondamentali e se è altrettanto comprensibile che non possano né debbano essere buttati dietro le spalle i principi costituzionali che hanno consentito la realizzazione di una civiltà giuridica di altissimo livello, non si può tuttavia rimanere sordi e ciechi di fronte al profondo mutamento che accompagna la globalizzazione. E’ evidente come non si possa ignorare la difesa dei diritti e dei valori fondamentali. Semmai i legislatori devono partire dalla riconferma strenua di questi, aprendo tuttavia il loro orientamento legislativo fino a ricomprendere le nuove frontiere, specialmente – come ci dimostrano gli episodi di questi ultimi anni – sotto il profilo di una rinuncia a posizioni di estremo nazionalismo. Verrebbe infatti  da chiedersi quale tipologia di tutela debba prevalere se quella strenua del cittadino in quanto cittadino di uno Stato membro eventualmente fino al limite estremo di costruire individui di serie A in quanto facenti parte di un certo contesto sociale e di serie B in quanto non della stessa nazionalità (non entrando volutamente nel merito qui dell’origine etnica) ovvero quella di anteporre la tutela di una norma rispetto alla superiore esigenza di tutti gli individui a veder garantito il loro diritto alla vita, alla proprietà e a tutte quelle altre fattispecie che le norme penali tendono ad individuare e difendere, diritti e libertà l’interesse alla cui salvaguardia travalica i confini di uno Stato membro nella stessa misura in cui la messa in pericolo degli stessi non esita a superarli ed annullarli. Una modifica o meglio una apertura di tal genere determinerebbe non un abbassamento dei valori, bensì la possibilità di confermare con maggior forza gli strumenti per la lotta alle cresciute realtà criminali.

Ciò premesso, per quanto riguarda il mandato d’arresto europeo le problematiche con cui ci si scontra sono legate ad alcuni profili facilmente individuabili. Le battute d’arresto che ne hanno caratterizzato la ratifica trovano le proprie radici inespresse negli stessi timori che avevano accompagnato a suo tempo i trattati istitutivi della Comunità europea  e che hanno segnato il dibattito in particolare in Germania, Regno Unito e Italia circa l’adozione del mandato d’arresto europeo. In realtà, il timore della violazione dei diritti dei ricercati, imputati o condannati che siano, non ha ragione di essere specialmente ripercorrendo la giurisprudenza consolidata della Corte del Lussemburgo così come le dichiarazioni contenute nelle decisioni e nelle normative approvate dall’Unione europea, i cui consideranda ribadiscono sia che i principi richiamati costituiscono gli standards minimi, sia il sussistere della facoltà lasciata in capo agli Stati membri di adottare norme che aumentino i livelli di tutela, pur nel rispetto della semplificazione delle procedure (P. BALBO, Il mandato d’arresto europeo baricentro tra mutuo riconoscimento penale virtuale e reale). Contemporaneamente non si può dimenticare che, richiamata formalmente o meno, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo non può essere disapplicata.

Alla vigilia dell’approvazione della legge sul mandato d’arresto europeo, parte degli Stati membri, fra i quali appunto la Germania, avevano sollevato il dubbio che, così come formulata, la normativa europea non fosse adeguatamente in grado di tutelare i diritti dei ricercati. Non solo, come la Germania, anche Lettonia e Polonia hanno evidenziato la difficoltà derivante dal vincolo delle rispettive Carte costituzionali e dei codici di procedura penale, rappresentato dal divieto di estradizione di propri cittadini. Nel caso della Lettonia due leggi, promulgate la prima il 16 giugno 2004 e in vigore dal 30 giugno 2004 e la seconda promulgata il 17 giugno 2004 e in vigore dal 21 ottobre 2004, hanno introdotto gli emendamenti necessari ad attuare la modifica costituzionale dell’art. 98 della Costituzione e le parti interessate del codice di procedura penale al fine di rendere esecutivo il mandato d’arresto europeo nei confronti dei cittadini lituani (Council of the European Union, Council Framework Decision on the European arrest warrant and the surrender procedures between Member States – Notifications by Latvia,  Brussels, 28 June 2004 (30.06) (OR.en, lv), 10784/04; Council of the European Union, Council Framework Decision on the European arrest warrant and the surrender procedures between Member States – Notifications by Latvia,  Brussels, 4 November 2004 (08.11) (OR.en, lv), 10784/04, ADD 1; Council of the European Union, Member States’ comments to the Report from the Commission based on Article 34 of the Council Framework Decision of 13 June 2002 on the European arrest warrant and the surrender procedures between Member States, Brussels, 20 July 2005, 7751/05, ADD 5).

Ancora più interessante il caso della Polonia. Il Tribunale costituzionale polacco ha dichiarato infatti illegittima l’applicazione a cittadini polacchi del mandato d’arresto europeo. La disposizione oggetto della questione è stata l’art. 607 t §1 del codice di procedura penale, approvato dal Parlamento con legge del 16 marzo 2004 ed entrato in vigore unitamente all’adesione polacca all’Unione europea. e quella parametro l’art. 55, primo comma della Costituzione, che vieta senza eccezioni l’estradizione dei cittadini polacchi. Premesso che. al fine di rendere applicabile il mandato d’arresto europeo, il legislatore polacco aveva introdotto un emendamento al codice di procedura penale del 1997. trasponendo il testo della decisione quadro senza tuttavia provvedere in tal senso anche rispetto alla norma costituzionale, creando quindi un principio di illegittimità, il giudice costituzionale ha adottato una soluzione consentita dall’art. 190 Cost., ovvero dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma differendone nel tempo – diciotto mesi – gli effetti. Ciò consente alla magistratura polacca di continuare a ordinare consegne di propri cittadini in attesa che o venga approvata una disposizione legislativa che abroghi la norma colpita ovvero decorra il termine menzionato. In questo secondo caso “la disposizione censurata cesserebbe di essere applicata, e la Polonia sarebbe chiamata a optare tra l’ipotesi caldeggiata, che consiste in una puntuale revisione costituzionale, tale da consentire la rinnovata – e questa volta legittima – applicazione della decisione quadro nel proprio ordinamento (mediante, pare di capire, un’eccezione debitamente illustrata del divieto generale di estradare propri cittadini, poiché la consegna va comunque intesa come estradizione), per poi ripristinare ex novo la disposizione censurata, o quella paventata di assumere le conseguenti responsabilità per inadempienza sul piano comunitario-intergovernativo”(Judgement of 27 April 2005, P 1/05, Application of the European Arrest Warrant to Polish citizens).

Quanto al merito della decisione dell’Alta Corte tedesca è indispensabile richiamare il testo dell’art. 16 della Costituzione tedesca Grundgesetz, or Basic Law for the Federal Republic of Germany, promulgated by the Parliamentary Council on May 23, 1949, as amended by the Unification Treaty of 31 August 1990 and Federal Statute of 23 September 1990 and then as amended up to and including 20 December 1993), al cui primo comma si legge: «No German may be deprived of his citizenship. Citizenship may be lost only pursuant to a law, and against the will of he does not stateless as a result», e al comma due: «No German may be extradited to a foreign country». cui si aggiunge, nel caso in esame, anche il quarto comma dell’art. 19 della Grundgesetz, per cui:«Should any person’s right be violated by public authority, he may have recourse to the courts.  If no other jurisdiction has been established, recourse shall be to the ordinary courts. The second sentence of paragraph (2) of Article 10 (Grundgesetz, art. 10, § 2, second sentence: «If the restriction serves[correspondence, posts and telecommunications] to protect the free democratic basic order or the existence or security of the Federation or of a Land, the law may provide that the person affected shall not be informed of the restriction and the recourse to the courts shall be replaced by a review of the case by agencies and auxiliary agencies appointed by the legislature»)  shall not be affected by this paragraph».

La base di analisi è costituita proprio dalla non ammissibilità, allo stato attuale, dell’estradizione di un cittadino di nazionalità tedesca e dalla non possibilità di ricorso contro la richiesta. A ciò si aggiunge, secondo uno dei giudici, il mancato rispetto del principio di sussidiarietà della decisione quadro 2002/584/GAI rispetto all’art. 23, comma uno, del Grundgestez, che così recita: «With a view to establishing a united Europe, the Federal Republic of Germany shall participate in the development of the European Union that is committed to democratic, social, and federal principles, to the rule of law, and to the principles of subsidiarity, and that guarantees a level of protection of basic rights essentially comparable to that afforded by this Basic Law. To this end the Federation may transfer sovereign powers by a law with the consent of the Bundesrat. The establishment of the European Union, as well as changes in its treaty foundations and comparable regulations that amended or supplement this Basic Law, or make such amendments or supplements possible, shall be subject to paragraph (2) or (3) of Article 79 (Grundgesetz, art. 79 (amendment of the Basic Law), § 2: “Any such law shall be carried by two thirds of the Members of the Bundestag and two thirds of the votes of the Bundesrat”; § 3 “Amendments to this Basic Law affecting the division of the Federation into Länder, their participation on the principle in the legislative process, or the principles laid down in Articles 1 and 20 shall be inadmissible”.»).

Quanto al percorso di questa procedura, in primo luogo, all’invio della richiesta di consegna, lo Stato membro dell’esecuzione verifica la regolarità della stessa[1].

La procedura introdotta al comma 3 dell’art. 5 dalla decisione quadro 2002/584/GAI - è importante richiamarla in questa fase dal momento, che alla radice del giudizio espresso dalla Corte costituzionale tedesca in esame, si pone proprio la trasposizione troppo letterale della decisione quadro - prevede, fra le altre tutele, che, ove la persona ricercata sia un cittadino o residente dello Stato membro dell’esecuzione, la consegna possa essere subordinata alla condizione che la persona, una volta sentita, sia fatta rientrare nello Stato di appartenenza al fine di scontare la condanna o la misura di sicurezza emessa nei suoi confronti. E’ data altresì facoltà alla persona per la quale viene inoltrata la richiesta di rifiutare il proprio consenso. Va per altro ricordato, qualora ciò fosse necessario, che il considerando n. 12 formalizza in modo esplicito il rispetto dei diritti fondamentali nonché l'osservanza dei principi riconosciuti dall’art. 5 del Trattato dell’UE e presenti nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Altrettanto importante è il richiamo all’impossibilità di vietare con la decisione quadro il rifiuto alla consegna di un ricercato quando sussistano ragioni per credere, sulla base di elementi oggettivi, che il mandato d’arresto sia stato predisposto con fini persecutori o punitivi a causa di motivi razziali, religiosi, etnici, politici o sessuali. 

La valutazione che ha determinato la decisione della Corte costituzionale tedesca si incentra in via principale sul fatto che allo stato attuale occorre implementare l’articolo della Costituzione ostativo all’estradizione di un cittadino di nazionalità tedesca e, si potrebbe osservare, nulla in ciò si differenzia questa lettura interpretativa da quella polacca o da quella lettone. Diversa è la soluzione dal momento che non esiste nella disciplina legislativa tedesca una possibilità quale quella offerta dall’art. 190 della Costituzione polacca, né in fase di adozione del dispositivo è stata ipotizzata una soluzione iniziale di modifica costituzionale come nel caso lettone. È altresì vero che nella sua dichiarazione di illegittimità e nella conseguente impossibilità a procedere sostenuta dalla Corte tedesca, si configura per certi versi una soluzione più lineare sotto il profilo procedurale. Altrettanto inevitabile è il ritorno alla precedente estradizione fino a che non si provveda alla modifica della legge.

Questo genera una prima riflessione immediata. Il testo iniziale della Carta fondamentale tedesca poneva nello stesso articolo 16 il divieto citato e il reato politico, successivamente soppresso. Dalla lettura della decisione sembrerebbe in certo modo che alla palese violazione della legittimità costituzionale si colleghi il recupero di quella fattispecie che è ben compresa nelle procedure di estradizione facenti capo alla convenzione del 1957. Una seconda considerazione solo in apparenza di facciata, ma che ha in realtà un peso non indifferente nell'applicazione del mandato d’arresto europeo, è il ricorso ancora al termine ‘estradizione’ e non a quello di ‘consegna’ che ha finalità e connotazioni profondamente diverse sul piano procedurale e sostanziale al tempo stesso.

A prescindere da disquisizioni di natura meramente dottrinale, appare sufficiente riportare qui alcuni passaggi della sentenza polacca per comprendere quale sia l’ottica cui dovrebbero rifarsi i magistrati nelle procedure attive e passive di arresto europeo. Si sottolinea infatti come le procedure di arresto di un accusato siano più semplici rispetto all'estradizione classica e lo dimostra il fatto che il mandato d’arresto europeo passa direttamente attraverso i competenti organi giurisdizionali senza che intervengano canali diplomatici o intermediari di alcun genere. Costituisce un ostacolo concettuale e giuridico che ‘estradizione’ e  ‘consegna’ siano impiegati quali sinonimi quando, per le loro caratteristiche sostanziali, sono in realtà differenti e, aggiungiamo, lo conferma il fatto che la decisione quadro 2002/584/GAI ha mantenuto la prima in quanto applicabile rispetto a certi contesti ed introdotto la seconda al fine di rispondere a date esigenze che riflettono un complesso di relazioni politiche e giuridiche di spessore del tutto diverso (P. BALBO, Il mandato d’arresto europeo secondo la legge di attuazione italiana, Giappichelli, Torino 2005, p. 99 ss.).  La stessa Corte costituzionale polacca sostiene ad un certo punto che il mandato d’arresto avviato sulla base della decisione quadro non costituisce tanto una conseguenza dell’introduzione della cittadinanza europea, quanto piuttosto una risposta al diritto dei cittadini degli Stati membri di muoversi liberamente e risiedere nel territorio di un altro Stato membro, istituto quest’ultimo precedente la creazione dell’istituto della cittadinanza europea.

A queste considerazioni se ne deve aggiungere una, conclusiva di questa prima analisi delle sentenze tedesca e polacca. Ancora una volta la base si rintraccia nella decisione in questo caso tedesca. Uno dei giudici componenti il collegio ha infatti richiamato la questione del ruolo che si deve dare alla decisione quadro rispetto alla direttiva, al fine di poter inquadrare la forza della prima nel quadro delle disposizioni europee rispetto alle norme nazionali. Il giudice Gerhardt (Bundesverfassungsgericht – Press release n. 64/2005 of 18 July 2005 on the judgement of 18 July 2005 – 2 BvR 2236/04, /Leitsätze zum Urteil des Zweiten Senats vom 18. Juli 2005 – BvR 2236/04/ Bundesgesetzblatt Teil I G 5702, Gesetz zur Umsetzung des Rahmenbeschlussas über den Europäischen Haftbefehl und die Ŭbergabeverfahren zwischen den Mitgliedstaaten der Europäischen Union, Bonn am 26 Juli 2004, n. 38, seite 1748 ss) ha infatti sostenuto che la decisione del Senato contrasta con la sentenza della Corte europea di giustizia del 16 giugno 2005, nella quale si enfatizza che il principio della leale cooperazione da parte degli Stati membri nell’area della cooperazione politica e giudiziaria in materia penale va applicata anche con riferimento alle decisioni quadro.

In altri termini, all’interno della stessa Corte sembrerebbe che venga insinuato il dubbio circa una lettura non rispondente al dettato europeo tanto più che andrebbe adita la Corte di giustizia europea per dirimere questioni pregiudiziali (Causa C-105/03, Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Artt. 34 UE e 35 UE – Decisione quadro 2001/220/GAI – Posizione della vittima nel procedimento penale – Tutela delle persone vulnerabili – Audizione di minori in qualità di testimoni – Effetti di una decisione quadro, sentenza del 16 giugno 2005, punto n. 4). In tal senso allora vanno attentamente valutate le considerazioni contenute nelle cause C-176/03 e C-105/03 (Causa C-176/03, Conclusioni dell’Avvocato generale Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer presentate il 26 maggio 2005; Causa C-105/03sentenza del 16 giugno 2005).

 Se il terzo pilastro, che attiene alla cooperazione politica e giudiziaria in materia penale (titolo VI, Trattato UE) è inteso a fornire ai cittadini un elevato livello di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune per prevenire e reprimere la criminalità mediante il ravvicinamento delle normative in materia penale e se la cooperazione giudiziaria comprende la progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni, a tal fine uno degli strumenti previsti è la decisione quadro la quale, al pari delle direttive del primo pilastro (comunitario), è vincolante quanto al risultato da ottenere e lascia alle autorità nazionali la scelta delle forme e dei mezzi (Causa C-176/03, cit., II – Ambito normativo, punto B, nn. 12-16). Anzi, concorrendo a rafforzare questa tesi quanto espresso nella causa Pupino (Causa C-105/03, nn. 41 ss, cit.), “l’art. 1, secondo  e terzo comma, del Trattato sull’Unione europea dispone che tale Trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa e che il compito dell’Unione, che è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal detto Trattato, consiste nell’organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i popoli. Sarebbe difficile per l’Unione adempiere efficacemente alla sua missione se il principio di leale cooperazione, che implica in particolare che gli Stati membri adottino tutte le misure generali o particolari in grado di garantire l’esecuzione dei loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (omissis). Il principio di interpretazione conforme si impone riguardo alle decisioni quadro adottate nell’ambito del titolo VI del Trattato dell’Unione europea. Applicando il diritto nazionale, il giudice del rinvio chiamato ad interpretare quest’ultimo è tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e  dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato per seguito da questa e di conformarsi così all’art. 34, n. 2, lett. b), UE”.



[1] Cito un esempio in tal senso il Resumen della Audiencia Nacional’s Auto (Sala de lo Penal, seccìon 3°), 10 Feb. 2004, ponente Luis Martínez de Salinas Alonso, in cui si legge: “El Juzgado Central de Instruccíon n. 4 transformò la extradición pasiva que se le solicitaba en un procedimiento de euroorden, y el magistrado finés solicitó la entrega por esa vía, remitiendo el formulario debitamente cumplimentado. Un ciudedano inglés vende multipropriedad. Varios compradores presentaron denuncias por estafa en Helsinki, y el magistrato finés ha pedino a España la entrega extradicional. El delito que ha dado lugar a la petición de entrega se encuentra comprendilo en la lsita de 32 delitos que contiene el art. 9 de la Ley 3/2003. La resolución estima la orden de detención y entrega europea, solicitada por Finlandia a España. Se distinguen en el Auto y se analizza, las diferencias entre la Extradicción pasiva y la Euroorden, esta última, consistente en la solicitud de organo jurisdiccional, lo que de suyo supone una rapidez, evitando tramites. Asimismo se recogen los requisitos para que se encuentre entre los referidos en la Ley 3/2003 (art. 2  y 9), que la pena sea superior a 3 años y que no esista proceso abierto por lo mismos hechos en el país donde se encuentre la persona a entregar. En el presente caso se dan los presupuestos, considerando que si bien las viviendas que componían la multipropiedad se encuentran en España, los contratos y los perjuicios se ocasionaron en Helsinki ».