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ALBERTO MARIA BENEDETTI

 

ATTI SOGGETTI A TRASCRIZIONE, PARCHEGGI E POTESTÀ LEGISLATIVA DELLE REGIONI*

 

1. La fonte (regionale?) degli obblighi di trascrizione.

Gli obblighi di trascrizione non discendono dalla natura di un atto, ma da i suoi effetti.

L’appartenenza di un atto all’elencazione contenuta all’art. 2643 c.c. (Atti soggetti a trascrizione) è condizione  sufficiente ma non necessaria affinché l’atto debba essere trascritto, beneficiando così di quegli effetti dichiarativi delineati all’art. 2644 c.c.; ed infatti si può trascrivere anche un atto che non viene menzionato nell’elenco di quelli previsti dall’art. 2943 c.c., perché il successivo il successivo art. 2645 c.c.[1] dispone la trascrizione di qualunque altro atto o provvedimento che produca gli effetti previsti dall’art. 2643 c.c.[2]; emerge così la centralità, ai fini della trascrizione, dell’effetto rispetto all’atto, perché, anche se l’atto non trova collocazione nell’elencazione dell’art. 2643 c.c., basta che produca taluno degli effetti ivi contemplati perché possa essere trascritto[3].

Non solo. E’ sufficiente che l’atto produca effetti anche solo assimilabili[4] a quelli descritti all’art. 2643 c.c., perché, in giurisprudenza, si ritenga l’atto trascrivibile[5].

Il quadro appena tratteggiato sembra giustificare l’osservazione di chi registra (per criticarlo) un “uso intensivo” [6] dello strumento pubblicitario, probabilmente non del tutto in linea con la natura eccezionale che pure si è soliti riconoscere ai meccanismi di pubblicità.

Ma tant’è, l’uso del combinato disposto degli artt. 2643 e 2645 c.c. per ampliare il novero degli atti (e degli effetti) trascrivibili sembra essere oggetto di una larga approvazione da parte degli studiosi che si sono occupati di questi temi.

Fatta questa premessa, è possibile affrontare la questione oggetto di queste pagine: può una legge regionale prevedere un obbligo di trascrizione? Ed ancora: può disporre una trascrizione di un atto che non rientri nell’elenco dell’art. 2643 c.c.?

La Corte costituzionale ha affrontato e risolto questo problema, con una decisione che, per il suo contenuto e le argomentazioni addotte a sostegno, induce a qualche riflessione che non può non sfiorare, evidentemente, il problema del diritto privato di fonte regionale, tornato dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, a destare l’attenzione di studiosi di tutte le estrazioni[7].

 

2. Sulla trascrizione (per legge regionale) dell’atto di asservimento a pertinenza di un’area destinata a parcheggio: Corte cost. n. 318/2009.

La Regione Liguria – con la legge n. 16/2008 – ha previsto che la realizzazione di parcheggi a pertinenza di unità immobiliari non sia soggetta a contributi di costruzione purchè venga formalizzato e trascritto il relativo atto di asservimento (art. 19, 2° comma).

Il Governo impugna la norma regionale eccependo ch’essa ha introdotto un’ipotesi di trascrizione non prevista dalla legge statale, così violando l’art. 117, 2° comma, lett. l), cost.

La Corte costituzionale – con la sentenza n. 318/2009 - dichiara infondata l’eccezione, muovendo da un’analisi del diritto (vivente e) vigente in materia di trascrizione. Ad avviso della Consulta, l’art. 2645 c.c. prova come, nel vigente ordinamento, sia venuto meno il carattere tassativo dell’elenco degli atti soggetti a trascrizione; detta norma, infatti, impone la trascrizione di tutti gli “altri” atti o provvedimenti destinati a produrre gli effetti indicati dall’art. 2643 c.c., anche se non oggetto di espressa menziona da parte di quest’ultima disposizione.

Gli artt. 2643 e 2645 c.c., secondo la Corte, danno luogo ad una  “formulazione aperta” , che acquista un rilievo ancora maggiore se confrontata con il carattere tassativo dell’elencazione degli atti trascrivibili contenuta nel codice previgente: scrivono i giudici costituzionali che l’art. 2645 c.c. “ (…) comporta il superamento del principio, largamente accolto sotto il vigore del precedente codice civile, del carattere tassativo dell’elenco degli atti da trascrivere. In base alla citata disposizione questo carattere è venuto meno, non potendosi dubitare che, nell’ordinamento attuale, possano essere trascritti anche atti non espressamente contemplati dalla legge, purché producano gli stessi effetti degli atti previsti in modo esplicito. In sostanza, dunque, l’atto da trascrivere viene identificato per relationem all’effetto che è destinato a produrre”.

Ciò constatato, l’analisi si estende alla normativa urbanistica e, in particolare, alle norme che disciplinano il regime giuridico dei parcheggi degli immobili di nuova costruzione: il vincolo gravante sulle aree di parcheggio – si legge in motivazione -  è stato considerato come un diritto reale di uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui il parcheggio accede. In quanto tale “è senz’altro assimilabile, quanto agli effetti che ne derivano, al «diritto di uso sopra beni immobili», il cui atto costitutivo o modificativo è soggetto a trascrizione, in quanto rientrante nel catalogo degli atti contemplati dall’art. 2643 cod. civ. Pertanto, anche l’atto di asservimento che costituisce quel vincolo va trascritto, a sensi dell’art. 2645 cod. civ.”.

L’analisi del diritto nazionale vigente e vivente sorregge, dunque, la legittimità dell’art. 19, 2° comma, della legge Regione Liguria n. 16/2008: essa difetta di carattere innovativo e, pertanto, non invade la competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”  (art. 117, 2° comma, lett. l) Cost.), mantenendosi piuttosto nell’alvo della competenza concorrente sul  “governo del territorio” (art. 117, 3° comma, Cost.).

Vale la pena di riportare le parole (chiare e significative) che chiudono il ragionamento dei giudici costituzionali, preannunziando il dispositivo favorevole alla disposizione oggetto del ricorso governativo: “(…) le norme regionali in questione non hanno introdotto ipotesi di trascrizione non previste dalla normazione statale, ma si collocano appunto nel quadro di detta legislazione, sicchè la denunziata violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile deve essere esclusa”.

Per riassumere: la legge regionale si limita a disporre la trascrizione di un atto già trascrivibile secondo il diritto nazionale e, ad abundantiam, l’elenco degli atti soggetti a trascrizione è comunque “aperto” [anzi: non è neppure un elenco, come pure si legge in motivazione] ed è  tarato sugli effetti degli atti, non sulla loro natura.

La decisione merita condivisione, sia nel merito che nella tecnica decisionale di cui, in quest’occasione, la Consulta ha ritenuto di potersi servire.

Nel merito, l’illustrata ricostruzione della questione concernente l’individuazione degli atti trascrivibili corrisponde, sostanzialmente, a quanto già riferito nel paragrafo introduttivo di questo scritto e, dunque, si presenta come un ritratto piuttosto fedele del diritto vivente: se si guarda la disposizione regionale impugnata – e la si raffronta al diritto privato del codice civile – si osserva facilmente che essa non innova, non deroga, non muta; al contrario riafferma, applica, ribadisce regole già previste dal diritto nazionale in materia di trascrizioni, o, comunque, con esso coerenti. La stessa decisione della Corte – per certi aspetti - contribuisce a consolidare con l’autorevolezza propria di un giudice costituzionale quell’interpretazione che nella stessa sentenza si dà, forse con un po’ troppo ottimismo, per acquisita: l’elenco degli atti (e degli effetti) trascrivibili è “aperto”, e, conseguentemente, non esiste quel principio di tassatività degli atti trascrivibili che il Governo lamentava fosse stato violato dalla norma impugnata[8].

Se, poi, l’atto di asservimento a pertinenza  ha l’effetto di far sorgere un diritto d’uso su un immobile, allora la norma impugnata non fa che disporre la  trascrizione di un atto già pacificamente trascrivibile ex art.  2643, 1° comma, n. 4,  c.c.; e quand’anche fosse qualcosa di diverso – la Corte non lo dice, ma ci pare una conseguenza naturale del suo argomentare – la disposizione regionale che ne imponesse, comunque, la trascrizione sarebbe egualmente compatibile col diritto privato generale, che, come detto, non conosce alcun principio di tassatività degli atti trascrivibili (e neppure degli effetti, poiché si ammette la trascrizione di atti produttivi di effetti solo “assimilabili” a quelli previsti dall’att. 2643 c.c.).

Anche la tecnica utilizzata dalla Consulta per argomentare la decisione merita condivisione, per l’atteggiamento meno radicale e più calibrato che sembra emergere dallo “stile” di questa pronunzia. Non si dichiara l’illegittimità della norma regionale censurata sulla base del suo (spesso solo presunto) oggetto privatistico, come pure più volte è accaduto in passato, bensì si sceglie di condurre un’analisi più concreta che, muovendo dall’interpretazione della disposizione impugnata, ne valuta l’impatto rispetto al diritto privato nazionale. Un approccio che, finalmente, sembra recuperare quel vecchio orientamento che, poco prima della riforma del Titolo V, aveva caratterizzato la giurisprudenza costituzionale[9] e che, se pure a livello di mero obiter dictum, era stato oggetto di un’importante riproposizione in una recente decisione[10].

La Corte ha fatto ciò che altre volte non volle fare[11], ascoltando, forse, le sollecitazioni di chi, da tempo, invoca un approccio meno rigido al problema del diritto privato regionale[12]: come è accaduto per la norma ligure, forse, si può sperare che anche in futuro, e con analoghi accertamenti, una legge regionale che debba sì essere qualificata di diritto privato, ma che, nei suoi contenuti, si collochi nell’alveo di regole o principi del diritto privato nazionale, possa parimenti egualmente salvarsi dalla declaratoria di incostituzionalità.

 

3. (Segue). Sullo stop (per legge regionale) alla liberalizzazione delle aree destinate a parcheggio.

La decisione della Corte sfiora, senza affrontarla, un’altra importante questione che, forse, poteva orientare verso una decisione diversa[13],  ma che la difesa erariale non ritenne di indicare tra i motivi del ricorso: la legge regionale della Liguria, infatti, nel consentire l’asservimento gli spazi destinati a parcheggio a vincolo pertinenziale a favore degli immobili, si potrebbe porre in contrasto con l’art. 12, comma 9, della l. n. 246/2005 laddove dispone: “ Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse”. 

In Liguria la regola parrebbe ribaltata: il costruttore, se vuole essere esonerato dall’obbligo di corrispondere il contributo di costruzione, deve formalizzare l’atto di asservimento a pertinenza del parcheggio rispetto all’unità immobiliare, con relativa trascrizione nei registri immobiliari.

Occorre però chiedersi: la liberalizzazione dei posti auto, che la giurisprudenza ha giustamente riferito agli immobili di nuova costruzione[14], costituisce un principio del diritto privato nazionale che le Regioni non possono adattare od a cui non sono titolate ad apportare deroghe? E, nel merito, la Liguria ha voluto davvero introdurvi una deroga?

La risposta, anche qui, dovrebbe intanto muovere dall’esatta interpretazione della disposizione sopra menzionata, sulla formulazione della quale, peraltro, non sono mancate giuste e fondate critiche da parte della dottrina[15]: essa sembra voler ribaltare il passato, cancellando proprio quei diritti di uso di natura pubblicistica (costituiti sui parcheggi delle nuove costruzioni a favore dei proprietari degli immobili di cui i parcheggi sono pertinenze) che erano stati al centro della precedente legislazione “interventista”.

La norma, pur nella sua ambiguità, non pone limiti all’autonomia privata, semmai li toglie: essa cancella i vincoli pubblicistici prima vigenti[16], limitandosi solo a prevedere che i parcheggi ci debbano essere, ma lasciando ai privati la libertà di scegliere a chi e come assegnare i diritti di uso di queste aree. Per tale ragione, la norma non vieta né direttamente né indirettamente il volontario asservimento del parcheggio a pertinenza dell’immobile[17], che, dunque, permane del tutto lecito anche sotto la nuova disciplina, e relativamente all’ambito cui essa può essere applicata.

La legge regionale non ribalta questa regola ma, semmai, ne fa puntuale applicazione: essa, infatti, non pone nuovi vincoli pubblicistici sulle aree destinate a parcheggio, ma dispone che se il costruttore vuole essere esonerato dagli oneri di costruzione deve effettuare l’asservimento dell’area parcheggio a pertinenza dell’immobile, mediante una scelta che, evidentemente, permane nell’alveo di una scelta volontaria[18] e non obbligatoria.

Ciò precisato, non si può peraltro escludere radicalmente che una Regione, entro certi limiti, possa introdurre sul proprio territorio un vincolo pubblicistico simile a quello cancellato dalla fonte statale con la l. 246/2005: è vero, infatti, che se l’adattamento del diritto privato statale riguarda un’area del diritto privato, come quella dei limiti alle facoltà di disposizione riconosciute al proprietario di un bene, che oppone una “bassa” resistenza all’adattamento regionale, una Regione può legittimamente dettare regole diverse da quelle previste dalla legge statale. D’altra parte la proprietà, giusto l’art. 832 c.c., deve esercitarsi nell’ambito dei limiti stabiliti dall’ “ordinamento giuridico”, nell’ambito del quale un posto di non secondario rilievo viene occupato dalle leggi emanate dalle Regioni nell’ambito delle loro competenze[19]: nelle quali si possono trovare nuovi “limiti” ai diritti proprietari, così come norme che, in varia misura, possono concorrere alla “conformazione” del diritto di proprietà relativamente a beni che, per la loro natura peculiare, possono giustificare un interesse a legiferare da parte delle Regioni.

In quel caso, allora,  si tratterebbe di verificare la ragionevolezza della deroga regionalmente localizzata[20]: sotto il profilo della c.d.  ragionevolezza intrinseca – cioè della connessione con una materia assegnata alla competenza regionale – una norma del genere potrebbe rientrare nella materia concorrente “governo del territorio”, poiché la disciplina del regime di circolazione dei parcheggi destinati agli immobili di nuova costruzione può rappresentare un indubbio ed importante fattore di programmazione dell’assetto territoriale di una determinata regione; sotto il profilo della ragionevolezza estrinseca – cioè della tollerabilità maggiore o minore della disuguaglianza che l’adattamento è in grado di determinare – sembra potersi riconoscere che un vincolo d’uso regionalmente definito non necessariamente produce un’offesa intollerabile del principio di eguaglianza che, davvero, sembra esagerato scomodare in relazione alla conformazione della proprietà delle aree destinate al parcheggio[21]. Tant’è vero che, nella stessa legislazione statale, la “liberalizzazione” non è generalizzata, ma permangono, come pure rilevato dai giudici di legittimità[22], almeno tre tipologie di parcheggi, corrispondenti ad altrettanti regimi giuridici, nell’ambito delle quali esiste ancora [ed esisterà fino a che rimarranno in piedi gli immobili interessati] il vincolo pubblicistico pertinenziale.

Dunque non sembra che una scelta regionale diversa da quella effettuata dal legislatore statale con la l. 246/2005 possa rappresentare un grave vulnus ad un’eguaglianza che, anzi, una legislazione statale all’insegna di un’ampia differenziazione non sembra preoccuparsi di proteggere.

 

3. Contratto e diritto privato delle regioni: due decisioni a confronto.

Nella sentenza 318/2009 s’avverte una tecnica decisoria relativamente nuova, che sembra influire, come si è già rilevato, anche sul dispositivo finale: la norma ligure si salva perché se ne è accertata la compatibilità con il diritto nazionale (vigente e vivente), nonostante l’appartenenza del suo oggetto all’ordinamento civile, e a doppio titolo [la norma si occupa di trascrizioni e di pertinenze al contempo].

Vale la pena, allora, confrontare questa decisione con un’altra pronunzia di poco tempo prima, di metodo e tenore ben diversi. Di fronte ad una legge regionale pugliese che mirava a limitare l’autonomia dei soggetti che operano nella catena di distribuzione dei farmaci, inibendo loro di ridistribuire le quote di spettanza in modo diverso da quello previsto dalla legge nazionale, la Corte[23], nel dichiarare incostituzionale quella disposizione,  aveva evidenziato che:

-  la legge nazionale fissa le quote di spettanza secondo determinati parametri espressi in percentuale, restando inteso che una modifica delle stesse è “implicitamente rimessa all’autonomia contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo attraverso convergenti manifestazioni di volontà”;

- l’art. 117, 2° comma, lett. l) Cost. ha codificato il limite del “diritto privato” così come affermatosi nella giurisprudenza ante riforma 2001;

- detto limite non è assoluto [perché si possono introdurre “adattamenti” giustificati e ragionevoli]; ma il contratto, e specificatamente l’autonomia dei privati, non può essere oggetto di discipline regionali;

- la legge regionale pugliese limita l’autonomia contrattuale e merita di essere dichiarata incostituzionale.

Un obiter dictum interessante, un decisum più scontato e meno coraggioso: se, invece, la Corte costituzionale avesse ragionato come ha fatto successivamente a proposito della norma regionale ligure sulla trascrizione, avrebbe forse potuto giungere a conclusioni diverse.

A bene vedere, alcune delle cose date per scontate in quella decisione non lo sono affatto.

Intanto non è scontato che la protezione dell’autonomia privata rappresenti un valore oggetto diretto o indiretto di tutela costituzionale, tale da rappresentare un limite per il legislatore (statale o regionale che sia)[24]:  è certo, semmai, che l’autonomia dei privati, lungi dall’essere assoluta, è inquadrata in un sistema di limiti variamente costruiti, e volti a funzionalizzarne l’esercizio ad interessi e valori d’ordine generale e che la “legge” (nazionale, ma non solo) è chiamata ad individuare. Come attesta, d’altra parte, la stessa formulazione letterale dell’art. 1322 c.c., che valorizza i “limiti” entro i quali l’ordinamento deve racchiudere l’espressione dell’autonomia riconosciuta ai privati attraverso lo strumento contrattuale.

Dunque la tutela dell’autonomia privata non costituisce un vincolo di fonte superiore per legislatore, sia esso statale o, nell’ambito delle proprie competenze, regionale.

In seconda battuta, la norma pugliese poteva essere giustificata da quella competenza concorrente sulla salute che alle Regioni è assegnata dall’art. 117, 3° comma, Cost.: se, come è stato scritto[25]:, la  “salute” offre all’interprete una “doppia anima” [quella sociale: diritto dei cittadini ad ottenere prestazioni sanitarie, dallo Stato, dalle Regioni; quella di libertà: diritto al rispetto della propria salute nei rapporti privatistici e nei confronti della pubblica amministrazione], la norma pugliese poteva collocarsi proprio nella prima dimensione del diritto alla salute, più vicina alla competenza legislativa regionale, avendo ad oggetto disposizioni concernenti il delicato settore della vendita e della distribuzione dei prodotti farmaceutici[26].

La Corte, in quell’occasione, ha trascurato di porsi quella domanda-chiave che, invece, ha ritenuto di porsi nella sentenza n. 318/2009: la norma pugliese deroga o non deroga il diritto nazionale? Se lo avesse fatto, chissà, avrebbe potuto scoprire per la norma pugliese quelle stesse ragioni che la hanno indotta pochi mesi dopo a salvare la norma ligure sulla trascrizione.

Ed infatti, proseguendo un momento nell’analisi di ciò che avrebbe potuto accadere (ma che non è accaduto), gli scenari che si potevano prospettare, di fronte alla disposizione pugliese, erano diversi e variegati.

Se la norma regionale avesse voluto operare un sia pure implicito rinvio a leggi statali che, in realtà,  non pongono divieti, la disposizione contestata sarebbe stata priva di forza coattiva, in quanto richiamante un divieto che non esiste; un rinvio sostanzialmente non operativo e, come tale, incapace di violare il riparto di competenze fissato in Costituzione.

Se, invece, il divieto fosse già contenuto nelle leggi statali di settore, la legge pugliese poteva egualmente salvarsi, siccome non innovativa e meramente riproduttiva di norme statali d’identica portata, come deciso, appunto, nella sentenza sopra riportata a proposito di una norma della Regione Liguria.

Se, ancora, la legge pugliese avesse posto un divieto non previsto dal diritto nazionale – servendosi di una disposizione a carattere imperativo assistita da una nullità virtuale delle intese contrattuali che la violano – la Corte avrebbe dovuto ragionare non sul solo oggetto della norma regionale contestata, ma valutando la possibile ragionevolezza dell’adattamento del diritto privato nazionale che si è voluto realizzare sul territorio della Puglia.

Tre scenari che sarebbero dovuti passare attraverso un’interpretazione del diritto statale che, in quell’occasione, la Corte non ha voluto compiere (ma che poi ha compiuto, e giustamente, di fronte alla disposizione ligure in materia di trascrizione); il contratto, oltretutto, offre una resistenza “media” [27] alla differenziazione di fonte regionale: questo perché – in corrispondenza con un interesse generalmente consistente in una materia esclusiva o concorrente – le Regioni possono produrre norme che appartengono all’area della disciplina del contratto in generale o, come pare più probabile, a quella dei singoli contratti d’interesse (anche) regionale.

Possono, a certe condizioni.

      Lo scoglio da superare non è tanto l’eguaglianza [se si eccettuano, naturalmente, quei contratti nei quali essa assume un ruolo primario, come accade per il lavoro subordinato e nei contratti dei consumatori o quelle parti del diritto generale dei contratti più legati alla tutela giurisdizionale dei contraenti], quanto l’uniformità[28], intesa come aspirazione all’identità globale delle regole sul contratto, sempre più identificato come un istituto fortemente «neutro» [nel senso di: esente da ideologie, valori, peculiarità ascrivibili a questo o a quell’ordinamento nazionale] che necessita di una disciplina uguale, anche e soprattutto a livello sopranazionale.

Rompere l’uniformità non è facile, certo, né probabilmente è auspicabile: ma non sembra eccessivo ipotizzare che la differenziazione regionale possa emergere in quei settori del contratto – come l’integrazione, la costruzione del regolamento, l’individuazione di norme dispositive, la disciplina di certi contratti tipici – nei quali interessi localmente definiti possono giustificare l’emanazione di norme (sul contratto) di matrice regionale che, se connesse con una competenza esclusiva o concorrente, possono superare il vaglio di ragionevolezza, realizzando quell’adattamento al diritto privato nazionale che la Corte costituzionale ha riconosciuto come possibile.

Non bisogna poi trascurare il fatto che leggi o disposizioni regionali sul contratto sono già diritto vigente, nella misura in cui sono sfuggite al controllo di costituzionalità: è il caso, ad esempio, delle norme regionali sui contratti di sponsorizzazione[29], su divieti di alienazioni di alloggi di edilizia pubblica[30], sui certificati da allegare ai contratti di compravendita immobiliare[31], sugli obblighi di stipulare contratti di assicurazioni per chi esercita determinate attività[32],  o delle norme di rango statutario che, nel prevenire i conflitti di interessi dei titolari di pubbliche funzioni regionali, definiscono e disciplinano una (sorta di) negozio fiduciario[33]. Ed anche nel settore del consumo – pur attraversato da più pressanti esigenze di tutela dell’eguaglianza e caratterizzato dalla forte presenza di norme imperative statali – le Regioni sono intervenute spesso offrendo un plus di tutela alle categorie protette [un buon esempio è dato dalla recente Legge Piemonte n. 24/2009: Provvedimenti per la tutela dei consumatori e degli utenti][34].

Dal confronto tra le due decisioni, emesse a poco tempo l’una dall’altra, la sentenza n. 318/2009 ne esce meglio della sentenza n. 295/2009c’è da sperare, infatti, che – riconosciuta la legittimità di “adattamenti” regionali al diritto privato nazionale    la Corte voglia affrontare quel  “lavoro complicato”[35] che pare necessario compiere tutte le volte in cui si deve valutare se una norma regionale viola o non viola il limite del diritto privato[36].



* Per gentile concessione della Rivista le Regioni.

[1] Norma identificata come “uno dei pilastri della nuova legislazione in tema di pubblicità immobiliare” da S. Pugliatti, La trascrizione, nel Tratt. Cicu-Messineo, XIV, t. 2, Milano, ediz. 1989, 449.

[2] La giurisprudenza, per vero piuttosto risalente, sembra assegnare all’art. 2645 c.c. una portata estensiva del dettato dell’art. 2643 c.c: ad esempio Cass., 6 giugno 1968, n. 1711, in Foro it., 1968, I, c. 3016, in una fattispecie in tema di concessione di occupazione di suolo demaniale, afferma infatti che «l’art. 2645 c.c., nel disporre che debba esser reso pubblico mediante trascrizione, oltre ai contratti menzionati specificamente nell'art. 2643, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati in detto articolo, ha inteso provvedere a quei diritti immobiliari assimilabili ai diritti reali tipici in quanto si traducono in un peso della proprietà immobiliare, come, ad es., certi diritti reali anomali ed alcune figure di obbligazioni propter rem».

[3] La tesi “aperturista” è condivisa, tra gli altri, da l. ferri- p. zanelli, Della trascrizione immobiliare, nel Comm.Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1995, 199; r. triola, Trascrizione, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 940;

contra F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, nel Comm. Schlesinger, Milano, ediz. 1998, 593 ss. Per un quadro delle questioni relative ai rapporti tra l’art. 2643 c.c. e l’art. 2645 c.c. può vedersi il recente contributo di A. Zaccaria – S. Troiano, Il sistema pubblicitario, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, Milano, 2009 IV, II, 19 ss.

[4] Sul problema della tassatività degli effetti si rinvia a G. Mariconda, La trascrizione, nel Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 19, I, Torino, 1985, 100 ss.

[5] Ricorre infatti la massima secondo la quale «la trascrizione e richiesta per tutti i negozi che pongono in essere o trasferiscano diritti che producano effetti non solo identici, ma anche soltanto similari a quelli dei contratti di cui all’art. 2643 c.c.» (Cass., 22 luglio 1969, n. 2764, in Foro it., 1970, I, c. 210; Cass., 11 novembre 1969, n. 3664, in Giust. civ., 1970, I, p. 431; Cass., 22 novembre 1969, n. 3805, in Foro it., 1970, I, c. 4469; Cass., 15 gennaio 1986, n. 174, in Vita not., 1986, I, p. 663). Sulla stessa linea anche la giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, 30 aprile 2009, n. 2768, in Vita not. 2009, p. 832 (come già Cons. Stato, 30 maggio 2002, n. 3016, in Foro amm. CDS 2002, p. 1217).

[6] G. Gabrielli, Pubblicità legale e circolazione dei diritti: evoluzione e stato attuale del sistema, in Riv. dir. civ., 1988, I, 425, in partic. 443.

[7] Tra i privatisti hanno riflettuto sul tema, tra gli altri: a.m. benedetti, Il diritto privato delle Regioni, Bologna, 2008; v. roppo, Diritto dei contratti, ordinamento civile, competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, in Corr. giur., 2005, 1301; v. roppo, Diritto privato regionale?, in Riv. dir. priv., 2003, 11; g. alpa, Il limite del diritto privato alla potestà normativa regionale, in Contr. impr., 2002, 597; p. vitucci, Proprietà e obbligazioni: il catalogo delle fonti dall’Europa al diritto privato regionale, in Europa e dir. priv., 2002, 747; s. giova, Ordinamento civile e diritto privato regionale, Napoli, 2008. Tra i pubblicisti: e. lamarque, Regioni e ordinamento civile, Padova, 2005. Tra i comparatisti v. barela, Diritto privato regionale, foral ed autonomico. Verso un diritto europeo della persona, Torino, 2009 e r. torino (a cura di), Il diritto privato regionale in Spagna, Padova, 2008.

 

[8] In effetti, non esiste in nessuna decisione della Cassazione un’esposizione così chiara e netta del carattere aperto dell’elenco degli atti trascrivibili: qui, se vogliamo, la Corte costituzionale fa un po’ quel che dovrebbe fare il giudice di legittimità.

[9] Corte cost., 6 novembre 2001, n. 352, in Foro it., 2002, I, 638 [oggetto di un richiamo, nel periodo successivo, in Corte cost., 28 luglio 2004, n. 282, in Foro it., 2005, I, 28]. In questa decisione, i giudici costituzionali ammisero che le Regioni potevano emanare norme di diritto privato, purchè l’adattamento regionale del diritto privato nazionale apparisse giustificato e ragionevole, e, dunque, non lesivo del principio di eguaglianza.

[10] Corte cost., 13 novembre 2009, n. 295, in Contratti, 2010, 2, con nota di A.M. Benedetti.

[11] Salvo in un paio di occasioni in cui la Corte salvò disposizioni regionali ad oggetto (apparentemente) privatistico evidenziandone la non contrarietà al diritto nazionale: Corte cost., 27 luglio 2005, n. 271 (su una legge regionale dell’Emilia Romagna relativa alla tutela della privacy) e Corte cost., 1 giugno 2006, n. 212 (su una legge regionale che regolamenta la raccolta dei funghi).

[12] In dottrina in questa direzione possono vedersi A.M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, cit. e v. roppo, Diritto privato regionale?, cit.

[13] Questione sollevata da L. D’Angelo, Diritto privato delle regioni. Quale compatibilità costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it

[14] Per tutte Cass., 1 agosto 2008, n. 21003 e Cass., 24 febbraio 2006, n. 4264, in Giur. it., 2006, 2049.

[15] M. Costantino, La “liberalizzazione” dei trasferimenti degli spazi per parcheggi di cui all’art. 41 sexies, l. n. 1150 del 1942, in Contr. impr., 2007, 1461 ss.; P. Sirena, L’applicazione della nuova legge si determina in base all’avvenuta costruzione del parcheggio, in Notariato, 2006, 334 ss.; per un panorama sui problemi sollevati dalla norma citata nel testo vedasi  N. Muccioli, L’attuale disciplina dei posti auto: jus novum e conflitto tra fonti del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, 369 ss.

[16] In tal senso M. Costanza, Aree destinate a parcheggio: luogo di vincoli o bene liberamente disponibile?, in Diritto privato. Studi in onore di Antonio Palazzo, 3, Proprietà e rapporti obbligatori, Torino, 2009, 157 ss., in partic. 160.

[17] Così anche P. Sirena, L’applicazione della nuova legge si determina in base all’avvenuta costruzione del parcheggio, cit., 335 e E. Bergamo, Gli spazi per parcheggi tra passato e futuro, in Giur. it., 2006, in partic. 2052.

[18] E’ pacifico che la costituzione del rapporto pertinenziale necessita di un elemento oggettivo (destinazione del bene a servizio di un altro) e soggettivo (volontà dell’avente diritto di creare il predetto vincolo di strumentalità): per tutte si veda Cass. civ., 28 aprile 2006, n. 9911.

[19] Sulla legislazione regionale che, direttamente o indirettamente, identifica limiti al diritto di proprietà si rinvia ad A.M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, cit., 278 ss.

[20] Sul “test di ragionevolezza” può vedersi v. roppo, Diritto privato regionale?, cit., 11 ss.

[21] Non pare irragionevole che il territorio e le sue caratteristiche possano dare luogo a “limiti” al diritto di proprietà non previsti a livello nazionale, sempre che, ovviamente, l’intervento legislativo regionale sia giustificato da una materia che alla Regione è attribuita a titolo di competenza esclusiva o concorrente.

[22] Cass. civ., 1 agosto 2008, n. 21003, in Giust. civ., 2009, 3, 637.

[24] Tutti i tentativi di costruire l’autonomia privata sulla Costituzione non sembrano andati a buon fine: sul punto si veda per tutti c.m. bianca, Il contratto, Milano, 2000, 30 ss.; Corte cost., 21 marzo 1969, n. 37, in Foro it., 1969, I, 788 esclude una tutela diretta dell’autonomia privata, a favore di una tutela solo indiretta attraverso la libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost.

[25] Così r. de matteis, Responsabilità e servizi sanitari. Modelli e funzioni, Padova, 2007, 14 (a cui si fa richiamo per un’analisi dei possibili diversi significati del diritto alla salute: ivi, 12 ss.).

[26] E non sembra irragionevole che una Regione che voglia occuparsi di distribuzione dei farmaci – con lo scopo di introdurre meccanismi di controllo dei prezzi – utilizzi anche una disposizione legislativa che introduca limiti all’autonomia privata degli operatori coinvolti nella catena di distribuzione e vendita dei farmaci.

[27] Su contratto e competenze legislative regionali si vedano v. roppo, Diritto dei contratti, ordinamento civile, competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, cit., 1301 ss.  e a.m. benedetti, Il diritto privato delle Regioni, cit., 233 ss.

[28] Quell’uniformità che, ad esempio, la Corte costituzionale ha utilizzato per salvare la legittimità del codice dei contratti pubblici, e che può trovare protezione anche in quella “tutela della concorrenza” che l’art. 117 Cost. assegna alla competenza esclusiva dello Stato: Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401.

[29] Legge Valle d’Aosta n. 3/2004 (Nuova disciplina degli interventi a favore dello sport).

[30] Legge Molise n. 14/2005 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica); Legge Valle D’Aosta n. 32/2004 (Disposizioni per le attività di coordinamento, promozione e sostegno della comunicazione e dell’informazione regionale).

[31] Legge Piemonte n. 13/2007 (Disposizioni in materia di rendimento energetico nell'edilizia).

[32] Legge Basilicata n. 22/2009 (Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo).

[33] Legge regionale statutaria Sardegna n. 1/2008 (art. 27, 1° e 2° comma).

[34] Sulle competenze regionali in tema di diritto dei consumatori si veda anche s. giova, Ordinamento civile e diritto privato regionale, cit.,  211 ss.

[35] Cui faceva richiamo Roppo nel titolo di un suo importante contributo in materia (Diritto dei contratti, ordinamento civile, competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, cit.).

[36] Una conferma sembra venire da Corte cost., 26 marzo 2010, n. 122: viene bocciata una legge piemontese sull’utilizzo del software libero, rilevandone la contrarietà e/o l’incompatibilità rispetto alla normativa statale sul diritto autore.