Ordinanza n. 191 del 2021

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ORDINANZA N. 191

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Stefano PETITTI, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, lettera b), del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra Gerardo Gervasio e altri e il Ministero dell’interno e altri, con ordinanza del 3 luglio 2020, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di intervento di Luca Bernardinelli e altri, di Diego D’Ippolito e del Presidente del Consiglio dei ministri;

viste le istanze di fissazione della camera di consiglio per la decisione sull’ammissibilità degli interventi depositate da Luca Bernardinelli e altri e da Diego D’Ippolito;

udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021.

Ritenuto che, con ordinanza del 3 luglio 2020 (r.o. n. 204 del 2020), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51, 77 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2-bis, lettera b), del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), aggiunto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, nella parte in cui dispone: «purché in possesso, alla data del 1° gennaio 2019, dei requisiti di cui all’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, nel testo vigente alla data di entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n. 145, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 2049 del citato codice dell’ordinamento militare»;

che il giudice a quo rileva che la norma censurata ha autorizzato l’assunzione di 1.851 allievi agenti della Polizia di Stato mediante scorrimento della graduatoria della prova scritta del concorso bandito dal Ministero dell’interno con decreto del 18 maggio 2017, consentendo tuttavia di assumere, tra i collocati in graduatoria, solo i soggetti in possesso, al 1° gennaio 2019, dei nuovi requisiti – anagrafico e culturale – per l’accesso alla carriera iniziale della Polizia di Stato introdotti medio tempore dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95 (Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), vale a dire: età non superiore a 26 anni e titolo di studio di scuola secondaria superiore (quando invece il bando originario prevedeva un limite di età di 30 anni e il titolo di studio di scuola secondaria inferiore);

che, ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata, nella parte in cui richiede il possesso di tali nuovi e più stringenti requisiti, violerebbe i parametri costituzionali evocati;

che le questioni sono sollevate nell’ambito del giudizio di impugnazione del decreto del 13 marzo 2019, con cui il Ministero dell’interno ha avviato la procedura di assunzione autorizzata dalla norma censurata, e degli atti ad esso conseguenti;

che il giudizio a quo è stato promosso da soggetti che – sebbene collocati nella graduatoria della prova scritta del precedente concorso in posizione potenzialmente utile per aspirare all’assunzione – sono stati esclusi dalla procedura in quanto non in possesso dei nuovi requisiti (in particolare, perché di età superiore a 26 anni);

che, con atti depositati il 16 gennaio 2021, sono intervenuti ad adiuvandum nel giudizio incidentale i signori Luca Bernardinelli, Francesca Carocci, Andrea Castellino, Giuseppe Ciarla, Guido Manco, Sebastiano Pecchia, Vincenzo Proietti, Alessandra Rizzo, Federica Serino, Valentina Sivero, Elena Tarantino, Francesco Varone e Diego D’Ippolito;

che gli intervenienti hanno dedotto di avere concreto interesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, trovandosi in una situazione del tutto analoga a quella dei ricorrenti nel giudizio a quo;

che gli intervenienti hanno chiesto, altresì, che questa Corte si pronunci anticipatamente sull’ammissibilità dei loro interventi, con ogni effetto conseguente;

che, con memoria depositata il 29 luglio 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha contestato l’ammissibilità degli interventi;

che la suddetta memoria non è stata presa in considerazione, in quanto tardiva rispetto al termine previsto dall’art. 4-bis, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

che questa Corte si è quindi riunita in camera di consiglio il 22 settembre 2021 per decidere sull’ammissibilità degli interventi.

Considerato che l’art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale stabilisce che «[n]ei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio»;

che tale disposizione recepisce la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale); disciplina, questa, alla quale è possibile derogare – senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio – soltanto a favore di terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (ex plurimis, ordinanze n. 271 e n. 37 del 2020) e non semplicemente regolato, pari ad ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2021, n. 206, n. 159, n. 106, n. 98 e n. 13 del 2019, n. 217, n. 180 e n. 77 del 2018, n. 85 del 2017; ordinanze n. 24 del 2021, n. 202 del 2020 e n. 204 del 2019);

che tale interesse qualificato sussiste, in specie, allorché si configuri una «posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata immediatamente e irrimediabilmente dall’esito del giudizio incidentale» (sentenza n. 159 del 2019, ordinanze n. 271 e n. 111 del 2020);

che non è sufficiente, al fine di rendere ammissibile l’intervento, la circostanza che il soggetto sia titolare di interessi analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, o che sia parte in un giudizio analogo, ma diverso dal giudizio a quo, sul quale la decisione di questa Corte possa influire: l’intervento di un simile terzo, ove ammesso, contrasterebbe infatti con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto il suo accesso a tale giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale da parte del rispettivo giudice a quo (tra le altre, sentenza n. 106 del 2019 e ordinanza n. 202 del 2020);

che ciò comporta l’inammissibilità degli odierni interventi, i quali trovano la loro ragione fondante nella semplice analogia della posizione sostanziale degli intervenienti rispetto a quella delle parti ricorrenti nel giudizio principale (con riguardo a fattispecie strutturalmente del tutto simile a quella in esame, sentenza n. 106 del 2019);

che a ciò va aggiunto che gli intervenienti non hanno dedotto di aver tempestivamente impugnato, neppure in un distinto giudizio, gli atti amministrativi che li hanno esclusi dalla procedura di assunzione prevista dalla norma censurata, con la conseguenza che, nei loro confronti, il rapporto deve considerarsi esaurito;

che ciò rende, a maggior ragione, gli interventi inammissibili, posto che l’eventuale accoglimento delle questioni non potrebbe, comunque sia, produrre alcun effetto utile a favore degli interessati: per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la cosiddetta efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale incontra il limite dei rapporti esauriti, tra i quali rientrano quelli che non possano più dare materia a un giudizio in ragione della disciplina dei termini di inoppugnabilità degli atti amministrativi (sentenza n. 10 del 2015, ordinanza n. 135 del 2010).

Visti gli artt. 4 e 4-bis delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili gli interventi di Luca Bernardinelli, Francesca Carocci, Andrea Castellino, Giuseppe Ciarla, Guido Manco, Sebastiano Pecchia, Vincenzo Proietti, Alessandra Rizzo, Federica Serino, Valentina Sivero, Elena Tarantino, Francesco Varone e Diego D’Ippolito.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'8 ottobre 2021.