Ordinanza n. 188 del 2021

ORDINANZA N. 188

ANNO 2021

Commento alla decisione di

Gianluca Famiglietti

Presidente di assemblea “giudice” (della costituzionalità) o “arbitro” (della vita parlamentare)? (nota a Corte cost. ord. n. 188 del 24 settembre 2021)

in questa Rivista, 2022/I, 75

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della lettera del Presidente della Camera dei deputati del 10 gennaio 2020, con cui non è stata ammessa la presentazione in aula della proposta di legge presentata dal ricorrente (A.C. n. 1781), in data 17 aprile 2019, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché norme concernenti la determinazione e la revisione dei collegi uninominali», promosso da Andrea Cecconi, nella qualità di deputato, con ricorso depositato in cancelleria il 22 aprile 2021 ed iscritto al n. 1 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 luglio 2021.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 22 aprile 2021, il deputato Andrea Cecconi ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente della Camera dei deputati e, ove occorra, della Camera dei deputati;

che il ricorrente lamenta la menomazione delle sue prerogative di parlamentare, di cui all’art. 71, primo comma, della Costituzione, in base al quale «l’iniziativa delle leggi appartiene […] a ciascun membro delle Camere […]», nonché degli artt. 67 e 72 Cost., relativamente al libero esercizio del mandato parlamentare e alla possibilità di concorrere alla discussione, definizione e deliberazione dei disegni di legge presentati;

che tale menomazione deriverebbe dalla decisione del Presidente della Camera di non ammettere la presentazione in aula del progetto di legge A.C. n. 1781 presentato dallo stesso ricorrente (cofirmatario l’onorevole Antonio Tasso), recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché norme concernenti la determinazione e la revisione dei collegi uninominali»;

che la decisione presidenziale avrebbe impedito la stampa e la distribuzione del testo e non avrebbe consentito l’avvio dell’esame parlamentare, così violando le evocate prerogative del singolo parlamentare;

che, in punto di fatto, il ricorrente riporta che in data 17 aprile 2019 ha presentato la citata proposta di legge, alla quale è stato attribuito il numero 1781 e che è stata annunciata nella seduta n. 166 del 18 aprile 2019;

che l’onorevole Cecconi ricorda di essere stato chiamato, in un primo momento, dal Servizio per i Testi normativi della Camera dei deputati per interloquire sul predetto disegno di legge al fine di eliminare il riferimento al «c.d. “referendum di richiamo”», la cui disciplina, contenuta negli artt. 40 e 58 del citato progetto di legge, è volta a riconoscere agli elettori di un determinato collegio il potere, a determinate condizioni, di «revocare dalla carica» il deputato o il senatore eletto nel medesimo collegio;

che, dimostratasi infruttuosa l’interlocuzione per la volontà manifestata dallo stesso ricorrente di non seguire le indicazioni del richiamato Servizio per i Testi normativi, il 22 ottobre 2019, l’on. Cecconi ha scritto al Presidente della Camera dei deputati, chiedendo a quest’ultimo di «invitare il Servizio per i Testi normativi a procedere quanto prima alla pubblicazione del testo della proposta C. n. 1781 nella versione depositata, nonché, in subordine, a fornir[e] delucidazioni quanto alle specifiche ragioni che impedirebbero di procedere in tal senso»;

che il Presidente della Camera dei deputati ha risposto con lettera del 10 gennaio 2020, precisando che la stampa della proposta era stata sospesa per valutazioni sull’ammissibilità delle disposizioni di cui agli artt. 40 e 58 del progetto di legge in questione, riguardanti l’introduzione dell’istituto del cosiddetto referendum di richiamo;

che – riferisce il ricorrente – il Presidente della Camera dei deputati ha sostenuto di dover svolgere un sindacato di ammissibilità con riferimento ad ogni atto parlamentare, al fine di accertare i requisiti previsti dalle norme costituzionali e regolamentari vigenti, in vista della regolarità del procedimento legislativo (richiamando a giustificazione di tale potere le lettere dei Presidenti della Camera del 4 febbraio 1997, 7 giugno 2002, 25 settembre 2015 e 4 agosto 2016);

che, all’interno di tale sindacato, sarebbe altresì incluso il potere di non ammettere al voto proposte in contrasto con i principi costituzionali, allorché detto contrasto appaia evidente;

che, su tali basi, il Presidente della Camera avrebbe rilevato che gli artt. 40 e 58 della proposta di legge in questione, per un verso, recano norme che dovrebbero essere contenute in un disegno di legge costituzionale, in quanto volte a introdurre nell’ordinamento forme di consultazione di tipo referendario suscettibili di determinare effetti giuridici di rango costituzionale; per l’altro, che, se contenute in una proposta di legge ordinaria, non potrebbero considerarsi ammissibili, in quanto non compatibili rispetto all’art. 67 Cost., sia perché introdurrebbero uno strumento diretto a consentire, attraverso la revoca, un sindacato sulle scelte dell’eletto, sia poiché attribuirebbero tale potere di revoca alla sola porzione del corpo elettorale compresa nel collegio di elezione, risultando così in evidente contrasto con il principio secondo cui ciascun parlamentare rappresenta la Nazione;

che, in punto di ammissibilità, il ricorrente – richiamando la giurisprudenza di questa Corte e nello specifico ampi stralci dell’ordinanza n. 17 del 2019 – sostiene che la legittimazione del singolo parlamentare sotto il profilo soggettivo sarebbe «ormai consolidata»;

che, nel caso in esame, riguardo al profilo soggettivo, sarebbero implicate le attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare, in quanto l’odierno ricorrente sarebbe stato leso «anzitutto in quella che forse più di ogni altra concerne la propria attività individuale […]: l’iniziativa legislativa di cui all’art. 71, primo comma, della Costituzione, con effetti sulla possibilità di discutere e deliberare (art. 72 Cost.) e più in generale sul pieno e libero esercizio del mandato parlamentare (art. 67 Cost.)»;

che, essendosi conclusa con esito negativo la contestata valutazione di ammissibilità compiuta dal Presidente della Camera dei deputati, il ricorrente ritiene che gli sia stata negata la possibilità di esercitare le proprie prerogative costituzionalmente garantite;

che, riguardo al profilo oggettivo, il ricorrente sostiene che la prerogativa, che si chiede venga tutelata, sarebbe «in particolare» quella dell’iniziativa legislativa, attribuita – in linea con quanto richiesto da questa Corte in punto di ammissibilità del conflitto – al singolo parlamentare direttamente dalla Costituzione e non dai regolamenti parlamentari;

che anche l’elemento della violazione manifesta di tale prerogativa sarebbe sussistente;

che la decisione assunta dal Presidente della Camera dei deputati, il quale – a parere del ricorrente – non avrebbe il potere di non ammettere proposte di legge sulla base di valutazioni che investono il contenuto dell’atto di iniziativa, avrebbe impedito, infatti, l’esercizio dell’iniziativa legislativa, in riferimento alla proposta di legge de qua;

che, in tal modo, si sarebbe inciso sia sulla «funzione di legislatore», delineata dagli artt. 71 e 72 Cost., sia, in generale, sullo svolgimento del mandato e sulla funzione di rappresentanza politica, di cui all’art. 67 Cost., la quale si esplicherebbe anche attraverso la presentazione di proposte di legge;

che la decisione del Presidente della Camera non avrebbe, pertanto, consentito l’avvio del procedimento legislativo e, quindi, avrebbe impedito al parlamentare di esercitare anche in questo ambito le proprie prerogative;

che, a tal riguardo, il ricorrente precisa, inoltre, che i precedenti ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati da singoli parlamentari, dichiarati inammissibili da questa Corte, per l’insussistenza del carattere manifesto delle violazioni, non avrebbero denunciato l’«impedimento in radice» dell’esercizio di una prerogativa parlamentare, bensì la significativa compressione della stessa;

che, a parere del ricorrente, invece, nel caso di specie si sarebbe al cospetto dei requisiti della sostanziale negazione o dell’evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita, i quali requisiti legittimerebbero l’introduzione del ricorso per conflitto e il suo esame nel merito;

che il carattere manifesto della violazione delle attribuzioni costituzionali sarebbe reso evidente anche dal fatto che la possibilità per il Presidente della Camera di compiere una valutazione di ammissibilità in grado di investire pure il contenuto dell’atto, per di più senza che vi sia la «possibilità di contestazione procedimentale», finirebbe per condizionare il potere di iniziativa legislativa del parlamentare in modo ancora più stringente rispetto a quanto avveniva con l’«istituto della “presa in considerazione”», disciplinato dall’«art. 132 del Regolamento della Camera dei deputati del 1900» e successivamente abrogato;

che, quindi, il ricorrente chiede che venga accertato e dichiarato che non spettava al Presidente della Camera dei deputati il potere di non ammettere, ovvero di dichiarare inammissibile, il progetto di legge presentato dal ricorrente (A.C. n. 1781), in data 17 aprile 2019, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché norme concernenti la determinazione e la revisione dei collegi uninominali», e che, di conseguenza, venga annullato qualsiasi atto, presupposto e consequenziale, con il quale sia stato esercitato il contestato potere.

Considerato che il deputato Andrea Cecconi ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla decisione del Presidente della Camera di deputati, comunicata con lettera del 10 gennaio 2020, di non ammettere il progetto di legge A.C. n. 1781 presentato dallo stesso ricorrente (cofirmatario l’onorevole Antonio Tasso), recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché norme concernenti la determinazione e la revisione dei collegi uninominali»;

che, con tale decisione, il Presidente della Camera dei deputati avrebbe impedito la presentazione in aula del progetto di legge, «da ritenersi compiuta solo con la pubblicazione e la distribuzione» di quest’ultimo;

che, secondo l’onorevole Cecconi, sarebbero, così, risultate menomate le attribuzioni dell’iniziativa legislativa, che la Costituzione riconosce a ciascun parlamentare (art. 71, primo comma, Cost.), di discussione e di voto dei progetti di legge (art. 72 Cost.) e, in generale, «il libero e pieno esercizio del mandato parlamentare» (art. 67 Cost.);

che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;

che, questa Corte, con l’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto, quanto al profilo soggettivo, l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle di cui dispone come componente dell’Assemblea;

che, inoltre, tali prerogative – qualora risultino lese da altri organi parlamentari – possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;

che, con la stessa ordinanza n. 17 del 2019, si è, inoltre, precisato che «[l]a legittimazione attiva del singolo parlamentare deve […] essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto»;

che tale legittimazione deve fondarsi sull’allegazione di vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari (così ancora ordinanza n. 17 del 2019; in senso analogo ordinanze n. 67 e n. 66 del 2021, n. 60 del 2020, n. 275 e n. 274 del 2019);

che, attraverso l’espletamento di tale onere, e, ai fini dell’ammissibilità del conflitto, le asserite violazioni devono essere rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione;

che il potere di iniziativa legislativa del singolo parlamentare è espressamente riconosciuto dall’art. 71, primo comma, Cost.;

che, tuttavia, il testo costituzionale disciplina solo in parte (art. 72 Cost.) le modalità mediante le quali deve estrinsecarsi tale potere e gli effetti prodotti dal suo esercizio;

che, infatti, gli effetti della presentazione alle Camere del progetto di legge sono disciplinati dai regolamenti parlamentari e dalle relative prassi applicative;

che fra tali effetti rientra anche l’attivazione dei poteri di controllo del Presidente della Camera dei deputati sull’ammissibilità dei progetti di legge, che rilevano nel caso di specie;

che il sindacato di ammissibilità degli atti di iniziativa legislativa si inquadra negli strumenti presidenziali volti a garantire la regolarità del procedimento legislativo;

che gli atti e i procedimenti relativi all’esercizio delle funzioni delle Camere sono coperti dall’autonomia costituzionale a queste riconosciuta, in particolare dagli artt. 64 e 72 Cost.;

che tale autonomia si esplica non solo mediante l’adozione del proprio Regolamento, ma altresì mediante l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni regolamentari (ordinanze n. 86 del 2020, n. 17 del 2019 e n. 149 del 2016; in senso analogo sentenze n. 120 del 2014, n. 78 del 1984 e n. 129 del 1981);

che tale assunto non può non essere ribadito in questa sede, pur precisando che l’autonomia normativa e funzionale delle Camere non può essere interpretata quale affrancamento da qualsiasi forma di controllo esterno;

che, in forza del richiamato principio di autonomia delle Camere, l’estensione del potere presidenziale e le concrete modalità del suo esercizio possono essere oggetto di valutazione ad opera di questa Corte solo in presenza di manifesta menomazione delle attribuzioni costituzionali del parlamentare;

che, ad ogni modo, nel caso di specie, dalla prospettazione del ricorrente non emerge che la valutazione di inammissibilità del progetto di legge, accompagnata dall’esposizione dei relativi motivi, abbia prodotto, di per sé, l’evidente menomazione del potere di iniziativa legislativa;

che in conclusione non è prospettato un vulnus grave e manifesto della prerogativa parlamentare di cui all’art. 71, primo comma, Cost. e, di conseguenza, neppure della prerogativa della discussione e del voto in assemblea (art. 72 Cost.) e, in generale, del libero esercizio del mandato parlamentare, avendo il ricorrente fatto espressamente derivare la violazione di queste ultime dalla denunciata violazione della prima;

che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dall’onorevole Andrea Cecconi, indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2021.

 

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2021.