Sentenza n. 142 del 2021

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SENTENZA N. 142

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 21 (Istituzione del servizio di psicologia di base e delle cure primarie), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7-14 settembre 2020, depositato in cancelleria l’8 settembre 2020, iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2021 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi l’avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Isabella Fornelli per la Regione Puglia, quest’ultimo in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 21 (Istituzione del servizio di psicologia di base e delle cure primarie), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2019, n. 60, nonché all’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», e all’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)».

Il citato art. 2, comma 3, dispone: «[d]alla data di entrata in vigore della presente legge, il piano triennale di fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali (ASL) deve prevedere il dirigente psicologo per la programmazione e la valutazione delle nuove attività, nell’ambito del personale a tempo determinato».

1.1.– Tale disposizione, nel prevedere l’assunzione a tempo determinato del dirigente psicologo al di fuori delle condizioni stabilite dall’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), senza dar conto delle effettive esigenze che potrebbero giustificare la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza legislativa nella materia «ordinamento civile» e si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., eccedendo le competenze regionali e invadendo quella statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica».

Afferma il ricorrente che la potestà legislativa delle Regioni «incontra alcuni limiti di carattere trasversale», tra i quali la disciplina dei rapporti di diritto privato, limite espressamente codificato dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, che troverebbe fondamento nella stessa esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, «di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati» (si cita la sentenza di questa Corte n. 189 del 2007). A seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, operata dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), dall’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi di delegazione, tale disciplina atterrebbe al diritto privato. Di conseguenza rientrerebbero nella materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, le norme del d.lgs. n. 165 del 2001 che disciplinano: la costituzione del rapporto di pubblico impiego e la mobilità dei dipendenti pubblici; il trattamento giuridico ed economico del personale regionale; la dotazione organica regionale di alcune figure dirigenziali, il conferimento degli incarichi ai dirigenti regionali; la responsabilità dei dipendenti pubblici regionali e il cumulo degli incarichi.

1.2.– La norma impugnata violerebbe, altresì, l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, nel prevedere la figura del dirigente psicologo nel piano triennale dei fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali, produrrebbe «un consistente incremento di spesa per gli enti del servizio sanitario regionale», ponendosi in contrasto con i principi fissati dallo Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica nell’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, come convertito. Tale disposizione, introducendo limiti di spesa in materia di personale degli enti del Servizio sanitario regionale (SSR), vincolerebbe le Regioni a non incrementare le spese concernenti detto personale (ivi compreso quello a tempo determinato) oltre i limiti espressamente stabiliti.

1.3.– L’Avvocatura generale dello Stato rammenta, inoltre, che la resistente ha stipulato, in data 29 novembre 2010, l’«Accordo tra il Ministro della salute, il Ministro dell’economia e delle finanze e la Regione Puglia per l’approvazione del piano di rientro di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’articolo 1, comma 180 della legge 30 dicembre 2004, n. 311». L’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009 avrebbe reso vincolanti, per le Regioni che li hanno sottoscritti, gli interventi individuati negli accordi di cui all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, in quanto finalizzati a realizzare il contenimento della spesa sanitaria e a ripianare i debiti anche mediante la previsione di speciali contributi finanziari dello Stato (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 79 del 2013).

In attuazione del citato piano e dei successivi programmi operativi, la Regione Puglia avrebbe assunto l’impegno di attuare azioni specifiche per garantire la riduzione della complessiva spesa per il personale, anche mediante la «razionalizzazione organizzativa» e la «riduzione degli incarichi di direzione di struttura complessa, semplice, dipartimentale e disposizioni organizzative e di coordinamento».

La norma impugnata, prevedendo nuove assunzioni di personale dirigenziale, con incremento dei relativi oneri finanziari, pregiudicherebbe il raggiungimento dell’obiettivo di rientro previsto nel suddetto piano, ponendosi in tal modo in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004 e all’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle questioni promosse.

2.1.– In via preliminare, la resistente eccepisce l’inammissibilità della censura formulata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. per l’erronea individuazione della norma interposta che si assume violata.

Ad avviso della Regione, la disposizione cui rapportarsi per verificare l’eventuale violazione della competenza legislativa esclusiva statale non sarebbe da individuare nell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, bensì nell’art. 15-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), norma speciale applicabile in campo sanitario. Essa consentirebbe di conferire incarichi a tempo determinato per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico, alla luce della riserva di cui all’art. 6, comma 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 sull’organizzazione degli uffici e dei fabbisogni di personale pubblico, il quale prevede che «[p]er gli enti del servizio sanitario nazionale sono fatte salve le particolari disposizioni dettate dalla normativa di settore». Si tratterebbe, nella fattispecie, di contratti di lavoro aventi natura speciale con contingente limitato, appositamente previsto dal legislatore, con durata limitata nel tempo e con scadenza stabilita nel contratto, in ragione degli obiettivi assegnati al dirigente.

La non applicabilità dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 emergerebbe, altresì, dalla circolare del 19 marzo 2008, n. 3, e dalla nota del 25 febbraio 2008, n. 17/08/UPPA, entrambe del Presidente del Consiglio dei ministri, in cui viene affermato che «gli incarichi a tempo determinato conferiti ai sensi dell’art. 15-septies, commi 1 e 2, del D. Lgs. 502/1992 si ritiene debbano rientrare tra quelli dirigenziali e, dunque, tra quelli cui il legislatore non ha inteso applicare il nuovo regime normativo. Tali sono, pertanto, i contratti in questione esclusi dal regime normativo introdotto dall’art. 36 d.lgs. 165/2001».

Ad avviso della resistente, la normativa regionale non sarebbe intervenuta nella regolamentazione del rapporto di lavoro, essendosi limitata a inserire il dirigente psicologo nel piano del fabbisogno del personale della ASL di riferimento. Tale piano costituirebbe un atto di programmazione per la gestione delle risorse umane, finalizzato a coniugare l’ottimale impiego delle risorse pubbliche disponibili e gli obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini e ad assicurare, da parte delle amministrazioni, il rispetto degli equilibri di finanza pubblica (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 154 del 2019).

2.2.– La Regione deduce, inoltre, l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’art. 2 della legge reg. Puglia n. 21 del 2020 non riguarderebbe l’«ordinamento civile», ma si riferirebbe all’organizzazione del Servizio sanitario regionale (SSR), riconducibile alla materia «tutela della salute», di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. (viene richiamata la sentenza n. 371 del 2008). Di conseguenza, sussisterebbe il potere della Regione di disciplinare gli aspetti organizzativi del Servizio sanitario regionale, nel rispetto dei principi fondamentali espressi dalla legislazione statale.

La disposizione impugnata, pertanto, non violerebbe la disciplina statale, dalla quale non si discosterebbe, risolvendosi, essa, in una chiara esplicazione delle prerogative regionali di provvedere, nella cornice della disciplina nazionale, alla tutela della salute. Infatti, la disposizione in esame avrebbe istituito la figura professionale dello psicologo di base e delle cure primarie, a titolo sperimentale per una durata annuale, in attuazione della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute) – che ha riconosciuto la professione dello psicologo quale professione sanitaria a tutti gli effetti – e del d.l. n. 35 del 2019, come convertito, che all’art. 12, comma 6, lettera a), ha modificato l’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992. Quest’ultimo, alla lettera b-quinquies) prevede espressamente che le Regioni provvedano «alla dotazione strutturale, strumentale e di servizi delle forme organizzative di cui alla lettera b-bis) sulla base di accordi regionali o aziendali, potendo prevedere un incremento del numero massimo di assistiti in carico ad ogni medico di medicina generale nell’ambito dei modelli organizzativi multi professionali nei quali è prevista la presenza oltre che del collaboratore di studio anche di personale infermieristico e dello psicologo, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica».

2.3.– Anche la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, come convertito, sarebbe inammissibile o, comunque, non fondata.

Ad avviso della difesa regionale, il ricorrente muoverebbe da un assunto aprioristico e indimostrato: la pretesa violazione dei limiti di spesa imposti dall’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, come convertito, si fonderebbe sul presupposto che la stipulazione dei contratti a tempo determinato dei dirigenti psicologi comporti necessariamente il superamento di detti limiti. L’Avvocatura generale dello Stato, tuttavia, non ne avrebbe dato alcuna dimostrazione e non avrebbe tenuto conto che, nel concorrere all’obiettivo di riduzione della spesa pubblica (nel caso specifico alla riduzione delle spese per il personale sanitario), le Regioni avrebbero facoltà di scegliere gli strumenti ritenuti più appropriati, nel pieno rispetto della sfera di competenza legislativa concorrente a esse attribuita in materia di tutela della salute (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 89 del 2019).

2.4.– Infine, in ordine all’incompatibilità della norma impugnata con il piano di rientro, la Regione Puglia richiama l’attenzione sul fatto di trovarsi nella fase di positiva conclusione dello stesso, alla quale conseguirebbe la cessazione di tutti i vincoli in materia sanitaria. Evidenzia inoltre che, proprio all’interno dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del 2017, sarebbe espressamente prevista la prestazione dello psicologo in molteplici aree di intervento e che la figura dello psicologo di base, istituita dalla legge reg. Puglia n. 21 del 2020, non rappresenterebbe una prestazione aggiuntiva ai LEA, ma inciderebbe solo sull’organizzazione preordinata all’offerta delle cure essenziali, con la conseguenza che, pertanto, non potrebbe dirsi perpetrata alcuna violazione della normativa statale sulla finanza pubblica.

3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito la fondatezza delle censure articolate nel ricorso, la persistenza degli obblighi del piano di rientro e la violazione del medesimo attraverso l’assunzione di nuove figure dirigenziali, comportanti consistenti aggravi di spesa a carico della finanza pubblica regionale.

4.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Puglia, confermando quanto già argomentato nell’atto di costituzione, ha ribadito l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse dal ricorrente.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 21 (Istituzione del servizio di psicologia di base e delle cure primarie), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2019, n. 60, nonché all’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», e all’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)».

Il citato art. 2, comma 3, dispone: «[d]alla data di entrata in vigore della presente legge, il piano triennale di fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali (ASL) deve prevedere il dirigente psicologo per la programmazione e la valutazione delle nuove attività, nell’ambito del personale a tempo determinato».

1.1.– Tale disposizione, nel prevedere l’assunzione a tempo determinato del dirigente psicologo al di fuori delle condizioni stabilite dall’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), senza dar conto delle effettive esigenze che potrebbero giustificare la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza legislativa nella materia «ordinamento civile».

La Regione Puglia ha eccepito l’inammissibilità di tale censura, in quanto la disposizione cui rapportarsi andrebbe individuata nell’art. 15-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), norma speciale applicabile in campo sanitario, che consentirebbe di conferire incarichi a tempo determinato per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico alla luce della riserva di cui all’art. 6, comma 6-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001. La disposizione impugnata non contrasterebbe con la normativa statale evocata, poiché risulterebbe coerente con la differente e speciale disciplina vigente in campo sanitario, risolvendosi in una chiara esplicazione delle prerogative di provvedere, nell’ambito della cornice della disciplina nazionale, alla tutela della salute, secondo quanto previsto dall’art. 117, terzo comma, Cost.

1.2.– Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata violerebbe altresì l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, nel prevedere la figura del dirigente psicologo nell’ambito del piano triennale dei fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali, produrrebbe «un consistente incremento di spesa per gli enti del servizio sanitario regionale», con ciò ponendosi in contrasto con i principi in materia di coordinamento della finanza pubblica fissati dallo Stato nell’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, come convertito. Tale disposizione, introducendo limiti di spesa in materia di personale degli enti del Servizio sanitario regionale, vincolerebbe le Regioni a non incrementare le spese concernenti tale personale (ivi compreso quello a tempo determinato) oltre i limiti espressamente stabiliti dal legislatore statale.

Ad avviso della difesa regionale, tale censura sarebbe inammissibile o, comunque, non fondata, poiché il ricorrente muoverebbe da un assunto aprioristico e indimostrato, ossia che la stipulazione dei contratti a tempo determinato dei dirigenti psicologi comporti necessariamente il superamento dei limiti di spesa contemplati nella predetta norma. Inoltre, non avrebbe tenuto conto della sussistenza, in capo alle Regioni, della facoltà di scegliere, nell’ambito della sfera di competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute, gli strumenti più appropriati per conseguire l’obiettivo di riduzione della spesa per il personale sanitario.

1.3.– Infine, sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, la resistente ha stipulato in data 29 novembre 2010 l’«Accordo tra il Ministro della salute, il Ministro dell’economia e delle finanze e la Regione Puglia per l’approvazione del Piano di rientro di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’articolo 1, comma 180 della legge 30 dicembre 2004, n. 311». L’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009 avrebbe reso vincolanti, per le Regioni che li hanno sottoscritti, gli interventi individuati negli accordi di cui all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, in quanto finalizzati a realizzare il contenimento della spesa sanitaria e a ripianare i debiti anche mediante la previsione di speciali contributi finanziari dello Stato. In attuazione di detto piano e dei successivi programmi operativi, la Regione Puglia ha assunto l’impegno di attuare azioni specifiche per garantire la riduzione della complessiva spesa per il personale, anche mediante la «razionalizzazione organizzativa» e la «riduzione degli incarichi di direzione di struttura complessa, semplice, dipartimentale e disposizioni organizzative e di coordinamento».

La norma impugnata, prevedendo nuove assunzioni di personale dirigenziale, provocherebbe un incremento degli oneri finanziari, pregiudicando il raggiungimento delle finalità del piano di rientro e dell’obiettivo del riequilibrio economico, in tal modo violando l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, e all’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009.

In ordine a tale impugnativa la Regione Puglia sostiene di trovarsi, ormai, nella fase di positiva conclusione del piano, a cui conseguirebbe il venir meno di tutti i vincoli in materia sanitaria, previsti nel predetto piano. Evidenzia, altresì, che la prestazione dello psicologo sarebbe prevista all’interno dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del 2017 in molteplici aree di intervento e che la figura dello psicologo di base, istituita dalla legge reg. Puglia n. 21 del 2020, non rappresenterebbe una prestazione aggiuntiva ai LEA. Per tale motivo, la disposizione impugnata non si porrebbe in contrasto con la normativa statale sul coordinamento della finanza pubblica.

2.– Esercitando il proprio potere di decidere l’ordine delle questioni da affrontare (ex plurimis, sentenza n. 246 del 2020), questa Corte ritiene di esaminare prioritariamente quest’ultima censura, relativa all’incompatibilità della norma impugnata con il piano di rientro, in ordine alla pretesa violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., coordinamento della finanza pubblica, in riferimento alla riferita violazione dei limiti di spesa imposti dall’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019, nonché all’asserita violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Occorre premettere che la disciplina dei piani di rientro dai deficit sanitari è riconducibile a un duplice ambito di potestà legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 163 del 2011 e n. 193 del 2007).

Con la legge n. 311 del 2004 e con la successiva intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 sono stati previsti degli adempimenti per le Regioni che presentino un bilancio sanitario deficitario. In particolare, l’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, modificato da successivi interventi normativi – art. 1, comma 277, della legge 23 dicembre 2005 n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)»; art. 1, comma 796, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)»; art. 2, comma 76, della legge n. 191 del 2009 – ha stabilito che, in caso di disavanzo di gestione del Servizio sanitario regionale, che persista nel quarto trimestre di un dato esercizio finanziario (a partire dal 2005), a fronte del quale non siano stati adottati in corso di esercizio i necessari provvedimenti di copertura, ovvero i medesimi non siano risultati sufficienti, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la Regione ad adottare i provvedimenti necessari (art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004) entro il 30 aprile dell’anno successivo; qualora la Regione persista nella propria inerzia, entro i successivi trenta giorni il Presidente della Giunta regionale, in qualità di commissario ad acta, determina il disavanzo di gestione e adotta i necessari provvedimenti per il ripianamento.

Nel caso di disavanzo sanitario strutturale, la Regione è obbligata a presentare un piano di rientro di durata non superiore al triennio, elaborato con l’ausilio dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), sempre ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004.

Attraverso i piani di rientro le Regioni e lo Stato raggiungono un accordo per il miglioramento nell’erogazione dei servizi sanitari e per il contenimento della spesa pubblica sanitaria; il piano di rientro deve comprendere, sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei LEA, per renderli conformi alla programmazione nazionale e al vigente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che li fissa, sia le misure finalizzate a garantire l’equilibrio di bilancio sanitario in ciascuno degli anni contemplati nel piano stesso.

La previsione contenuta nell’art. 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296 del 2006 – in cui viene stabilito: «[g]li interventi individuati dai programmi operativi di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, oggetto degli accordi di cui all’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, come integrati dagli accordi di cui all’articolo 1, commi 278 e 281, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sono vincolanti per la regione che ha sottoscritto l’accordo e le determinazioni in esso previste possono comportare effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi già adottati dalla medesima regione in materia di programmazione sanitaria» – ha la finalità di garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, competenza attribuita allo Stato dall’art. 117, terzo comma, Cost.

Analoga valenza riveste l’art. 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42» (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2020 e n. 197 del 2019), che prevede la separazione contabile delle risorse destinate ai LEA da quelle destinate ai livelli di assistenza superiori ai LEA.

Dal combinato di dette disposizioni deriva che nelle Regioni soggette ai piani di rientro non possono essere previste spese ulteriori rispetto a quelle inerenti ai livelli essenziali.

Il sistema italiano di tutela della salute si sviluppa su due livelli di governo: quello statale, il quale definisce i livelli essenziali di assistenza che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire ai cittadini e l’ammontare complessivo delle risorse economiche necessarie al loro finanziamento; quello regionale, cui pertiene il compito di organizzare sul territorio il rispettivo servizio e garantire l’erogazione delle prestazioni nel rispetto dei suddetti LEA. La presenza di due livelli di governo rende necessaria la definizione di un sistema di regole che ne disciplini i rapporti di collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze. Ciò al fine di realizzare una gestione del sistema sanitario efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini coerentemente con le regole di bilancio, le quali prevedono la separazione dei costi “necessari”, inerenti alla prestazione dei LEA, dalle altre spese sanitarie, assoggettate invece al principio della sostenibilità economica (sentenza n. 62 del 2020).

L’effettività del diritto alla salute è assicurata dal finanziamento e dalla corretta ed efficace erogazione della prestazione, di guisa che il finanziamento stesso costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, del corretto adempimento del precetto costituzionale.

Nei sensi precisati deve essere letta l’affermazione secondo cui, «una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto [fondamentale] non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali […]. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 275 del 2016).

La trasversalità e la primazia della tutela sanitaria rispetto agli interessi sottesi ai conflitti finanziari tra Stato e Regioni in tema di finanziamento dei livelli essenziali impongono una visione della garanzia dei LEA che vede collocata al centro della tutela costituzionale la persona umana, non solo nella sua individualità, ma anche nell’organizzazione delle comunità di appartenenza che caratterizza la socialità del servizio sanitario (sentenza n. 62 del 2020).

È stato in proposito affermato che la separazione e l’evidenziazione dei costi dei livelli essenziali di assistenza devono essere simmetricamente attuate, oltre che nel bilancio dello Stato, anche nei bilanci regionali e in quelli delle aziende erogatrici secondo la direttiva contenuta nell’art. 8, comma 1, della legge n. 42 del 2009. Ciò al fine di garantire l’effettiva programmabilità e la reale copertura finanziaria dei servizi, la quale – data la natura delle situazioni da tutelare – deve riguardare non solo la quantità ma anche la qualità e la tempistica delle prestazioni costituzionalmente necessarie (sentenza n. 169 del 2017).

In sostanza, la determinazione, il finanziamento e l’erogazione dei LEA compongono un sistema articolato il cui equilibrio deve essere assicurato dalla sinergica coerenza dei comportamenti di tutti i soggetti coinvolti nella sua attuazione (sentenza n. 62 del 2020).

3.– Alla luce di quanto precedentemente considerato, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Puglia n. 21 del 2020, promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., quanto al coordinamento della finanza pubblica, e in relazione agli artt. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, e 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, è fondata.

La Regione Puglia ha infatti stipulato, in data 29 novembre 2010, l’«Accordo tra il Ministro della salute, il Ministro dell’economia e delle finanze e la Regione Puglia per l’approvazione del Piano di rientro di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’articolo 1, comma 180 della legge 30 dicembre 2004, n. 311» e versa in regime di piano di rientro dal deficit sanitario. In particolare, con il piano di rientro e di riqualificazione del sistema sanitario regionale, approvato con il citato Accordo, nonché con i successivi programmi operativi, la Regione Puglia ha assunto l’impegno di attuare azioni specifiche per garantire la riduzione della complessiva spesa per il personale, anche mediante la «razionalizzazione organizzativa» e la «riduzione degli incarichi di direzione di struttura complessa, semplice, dipartimentale, e di posizioni organizzative e di coordinamento» (punto B3 del piano di rientro).

La disposizione censurata, prevedendo l’introduzione del dirigente psicologo nel piano triennale di fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali, viene a confliggere con tali previsioni e a pregiudicare il raggiungimento dell’obiettivo assunto dall’Accordo, ponendosi effettivamente in contrasto con quanto disposto dall’art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, secondo cui «[g]li interventi individuati dal piano di rientro sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro».

La richiamata norma statale risponde all’obiettivo di assicurare il percorso di risanamento finanziario della sanità regionale che – come affermato più volte da questa Corte – è condizione necessaria per assicurare il buon andamento dei servizi. L’equilibrio del bilancio regionale e degli enti, che curano sul territorio della Regione il servizio sanitario è condizione necessaria, seppur di per sé non sufficiente, per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni (ex plurimis, sentenza n. 62 del 2020).

La resistente eccepisce che l’introduzione dello psicologo dirigente assolverebbe a un’indefettibile esigenza di assicurare i LEA, poiché il servizio cui verrebbe assegnato lo psicologo sarebbe compreso nel vigente d.P.C.m. del 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), che enumera e disciplina i predetti livelli. Tuttavia, le risorse stanziate ai sensi dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 21 del 2020 per l’attuazione della normativa impugnata sono allocate nel bilancio regionale, nella missione 13, programma 2, titolo 1, «Servizio sanitario regionale – finanziamento aggiuntivo corrente per livelli di assistenza superiori ai LEA», cioè in una posta di bilancio destinata a finanziare standard di assistenza superiori a quelli essenziali previsti dal piano di rientro.

Ne deriva la violazione del principio secondo cui, nella fase di rientro dal deficit, è precluso alla Regione e agli enti, finanziati per assicurare le prestazioni sanitarie sul territorio di riferimento, di deliberare spese per l’erogazione di livelli di assistenza superiori a quelli essenziali.

4.– In definitiva, la disposizione impugnata, prevedendo l’inserimento del dirigente psicologo nel piano triennale di fabbisogni del personale delle aziende sanitarie locali si pone in contrasto con l’obiettivo del rientro dal deficit sanitario perseguito con l’Accordo e viola, pertanto, l’art. 117, terzo comma, Cost., e la normativa precedentemente richiamata.

Restano assorbite le ulteriori questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), in relazione all’art. 11 del d.l. n. 35 del 2019 e all’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 21 (Istituzione del servizio di psicologia di base e delle cure primarie).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2021.