Ordinanza n. 111 del 2021

CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 111

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Torino nel procedimento penale a carico di A. D.F., con ordinanza del 18 novembre 2019, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 aprile 2021 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio del 28 aprile 2021.

Ritenuto che, con ordinanza del 18 novembre 2019 (reg. ord. n. 41 del 2020), il Tribunale ordinario di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale;

che il rimettente deve definire, mediante rito abbreviato, il giudizio nei confronti di persona accusata del reato di rapina cosiddetta impropria (art. 628, secondo comma, cod. pen.), per avere, appena uscita da un supermercato con merce non pagata, esercitato a più riprese violenza e minacce nei confronti di un sorvegliante, al fine di conseguire l’impunità per il reato commesso;

che il giudice a quo, condivisa la qualificazione giuridica del fatto enunciata nell’imputazione, evidenzia l’identità di trattamento sanzionatorio tra il reato in contestazione e il delitto di rapina cosiddetta propria (art. 628, primo comma, cod. pen.), ponendo in luce la crescita esponenziale dei valori edittali di pena che accomuna i due reati;

che egli ricorda, in particolare, come il valore minimo per la sanzione detentiva sia stato elevato da tre a quattro anni ex art. 1, comma 8, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), e da quattro a cinque anni ex art. 6, comma 1, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa);

che l’equiparazione tra le pene comminate per la rapina propria e per quella impropria, secondo il rimettente, contrasterebbe con il principio di uguaglianza, data l’asserita disomogeneità strutturale delle due figure di reato;

che, infatti, nella rapina propria, l’azione si incentra sulla violenza alla persona quale mezzo finalizzato all’impossessamento della cosa mobile altrui, rivelandosi per questo – a parere del rimettente – quale reato soggettivamente e oggettivamente più grave della rapina impropria, in occasione della quale l’agente, invece, non programma l’uso della violenza quale mezzo essenziale per la commissione del reato, e vi fa ricorso dopo l’impossessamento e solo eventualmente, per effetto di una «tensione istintiva alla libertà»;

che la parificazione del trattamento sanzionatorio risulterebbe ingiustificata anche considerando che, mentre la rapina propria si consuma solo quando la sottrazione della cosa mobile altrui è seguita da un effettivo impossessamento, con la possibilità dunque che il delitto sia integrato nella sola forma del tentativo, la rapina impropria è consumata già con l’atto della sottrazione, anche quando il reo non sia riuscito a conseguire il possesso indisturbato del bene;

che, inoltre, il rimettente osserva come la condotta violenta o minacciosa, tenuta allo scopo di conseguire l’impunità o il profitto del reato di furto, integri il delitto punito ex art. 628 cod. pen. solo quando sia attuata «immediatamente» dopo la sottrazione, e come altrimenti l’agente subisca un trattamento sanzionatorio assai più mite, dato dal cumulo delle pene per il furto e per il successivo reato, strumentale a conservare il possesso della cosa o a conseguire l’impunità (ad esempio, resistenza a pubblico ufficiale o violenza privata);

che, ad avviso del Tribunale rimettente la sussistenza, o meno, del carattere di immediatezza della violenza o della minaccia non inciderebbe sulla sostanziale analogia dei due comportamenti appena posti in comparazione, i quali dunque meriterebbero un identico trattamento sanzionatorio, per entrambi assai meno severo di quello riservato alla rapina propria;

che la disciplina censurata, secondo il rimettente, violerebbe anche il principio di offensività, desunto dal secondo comma dell’art. 25 Cost., posto che differenti livelli di gravità dell’offesa esigerebbero risposte sanzionatorie difformi, sia sul piano edittale, sia in termini di adeguata regolazione, attraverso cornici edittali sufficientemente articolabili con riferimento alle peculiarità dei casi concreti;

che l’attuale trattamento della rapina impropria non corrisponderebbe al modello indicato, mentre la qualifica del medesimo fatto come furto (tentato o consumato) seguito da una condotta violenta o minacciosa, consentirebbe di considerare le fattispecie concrete con la necessaria duttilità;

che infine, secondo il giudice a quo, la disciplina censurata contrasterebbe anche con il secondo (recte: terzo) comma dell’art. 27 Cost., poiché la funzionalità rieducativa della pena esige un rapporto di adeguata proporzione tra il fatto e la pena medesima, e tale rapporto sarebbe squilibrato, a fronte delle condotte di rapina impropria, considerando che il minimo edittale, per la reclusione, è ora pari a cinque anni;

che, sulla base delle premesse indicate, il Tribunale di Torino sollecita un intervento di ablazione del secondo comma dell’art. 628 cod. pen.;

che l’eliminazione della norma comporterebbe, per gli attuali casi di rapina impropria, l’applicazione congiunta della fattispecie di furto e della figura di reato di volta in volta integrata dall’azione successiva alla sottrazione della cosa altrui (violenza privata, ad esempio, o resistenza a pubblico ufficiale), così delineandosi una reazione sanzionatoria proporzionata ai fatti, e doverosamente distinta da quella riservata al delitto di rapina propria;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 3 giugno 2020, chiedendo che la questione sia dichiarata «inammissibile, improcedibile e comunque infondata»;

che infatti sarebbe infondato il principale assunto del rimettente, secondo cui il ricorso premeditato alla violenza costituirebbe un profilo necessario ed esclusivo delle ipotesi di rapina propria, ben potendo una reazione violenta o minacciosa essere programmata anche per il caso di resistenze opposte alla consumazione di un furto;

che, dunque, le fattispecie di rapina in comparazione si distinguerebbero solo per il momento nel quale il comportamento violento o minaccioso si inserisce all’interno di una serie causale sostanzialmente analoga: prima della sottrazione ed al fine di realizzarla, oppure dopo la sottrazione ed al fine di conseguirne i vantaggi;

che sarebbe di contro evidente la maggior gravità dei fatti di rapina impropria rispetto a quelli in cui la condotta violenta o minacciosa, non seguendo immediatamente la sottrazione, sarebbe ormai estranea all’aggressione patrimoniale, e calata per questo in un contesto normativo del tutto diverso (cessata legittimazione della vittima alla difesa personale e possibilità per l’agente di utilizzare gli strumenti della tutela possessoria);

che le ragioni indicate – sempre secondo l’Avvocatura generale – varrebbero ad escludere anche il fondamento delle censure costruite sul principio di offensività, in assoluto e nel confronto con la previsione concernente la rapina propria, la quale disegnerebbe un reato di capacità lesiva del tutto analoga a quella della rapina impropria;

che, infine, parimenti non fondate sarebbero le censure relative alla carenza di proporzionalità del trattamento sanzionatorio, anche tenuto conto dell’ampiezza della forbice edittale, e della correlata possibilità dell’applicazione di circostanze attenuanti, tale da consentire, nei casi di minor gravità, un trattamento sanzionatorio proporzionato e dunque efficace in chiave di risocializzazione del reo.

Considerato che, con ordinanza del 18 novembre 2019 (reg. ord. n. 41 del 2020), il Tribunale ordinario di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale;

che la norma censurata, secondo il rimettente, sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto prevede per il reato di rapina impropria la stessa pena stabilita per quello di rapina propria, di cui al primo comma dello stesso art. 628 cod. pen.;

che l’anzidetta parificazione sarebbe ingiustificata, a mente dell’art. 3 Cost., per la minor gravità del primo reato (ove il ricorso alla violenza o alla minaccia non sarebbe programmato, come tipicamente accadrebbe, invece, nel caso di rapina propria), per l’anticipazione del momento consumativo alla fase di mera sottrazione della cosa altrui (mentre la consumazione della rapina propria richiede anche l’impossessamento), per la sproporzione della pena rispetto al caso, ritenuto analogo, in cui la violenza o la minaccia non si verificano immediatamente dopo la sottrazione della cosa mobile altrui (caso per il quale il cumulo delle pene – avuto riguardo al furto e ai reati successivi come, ad esempio, la resistenza a pubblico ufficiale o la violenza privata – può condurre all’irrogazione di pene assai più moderate);

che per le stesse ragioni, secondo il Tribunale rimettente, sarebbe violato anche il principio di offensività, come stabilito all’art. 25, secondo comma, Cost., non corrispondendo il trattamento sanzionatorio all’entità dell’offesa tipica del reato in questione, né in assoluto né in rapporto alle fattispecie evocate in comparazione;

che, sempre a parere del giudice a quo, sarebbe violato anche il disposto del secondo (recte: terzo) comma dell’art. 27 Cost., posto che la necessaria finalizzazione rieducativa della pena impone un rapporto di proporzionalità tra la sanzione inflitta e la gravità del reato commesso, non ottenibile alla luce degli elevati valori edittali della norma censurata;

che tutte le censure indicate sono già state valutate da questa Corte, con esito di non fondatezza, con la sentenza n. 190 del 2020, concernente tra l’altro un’ordinanza dell’odierno rimettente, dal tenore analogo a quella ora in esame;

che non è fondato, in primo luogo, l’assunto della diversa gravità soggettiva e oggettiva dei fatti di rapina propria ed impropria, considerati nella loro fisionomia tipica, che infatti comprende per entrambi, nella rappresentazione dell’agente, sia l’impossessamento della cosa mobile altrui, sia il ricorso alla violenza o alla minaccia, nel contesto unitario di una medesima aggressione patrimoniale;

che, in particolare, il ricorso alla violenza può non essere preordinato nel caso della rapina propria, così come può essere invece preordinato nella programmazione di un furto, per il caso si renda necessario al fine di mantenere il possesso della cosa o di conseguire l’impunità;

che, dunque, la solo parziale simmetria tra le due figure di rapina (data dalla sufficienza della sottrazione della cosa a fini di consumazione della rapina impropria) non impone affatto una previsione sanzionatoria differenziata, poiché le due fattispecie condividono il tratto essenziale del ricorso alla violenza o minaccia in un contesto attuale di aggressione patrimoniale;

che, a tale ultimo proposito, la sequenza tra sottrazione della cosa e ricorso alla condotta violenta o minacciosa, quando segnata dal connotato di immediatezza, distingue la rapina impropria dal caso del furto cui pure conseguano condotte analoghe;

che, nel caso di violenza o minaccia immediata, il fatto presenta una più marcata gravità in termini di capacità criminale del reo, nonché di offesa per la vittima e per la sua sicurezza, tanto da giustificare risolutive differenze di disciplina sul piano della difesa pubblica e privata (possibilità di arresto in flagranza, ammissibilità della legittima difesa);

che per tali ragioni, riguardo al trattamento sanzionatorio della rapina impropria, va esclusa tanto la necessità di ridurne la portata rispetto ai valori edittali fissati per la rapina propria, tanto la necessità di assimilare il livello della pena rispetto al caso del furto seguito da condotte strumentali di violenza o minaccia;

che, per le stesse ragioni, vanno respinte le censure riferite al secondo comma dell’art. 25 Cost.;

che risultano altresì infondati i rilievi concernenti il principio di proporzionalità, sia nella dimensione comparativa proposta dal ricorrente, sia in termini assoluti;

che a tale ultimo proposito – pur dovendosi ribadire come la pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio sia divenuta assai rilevante, tanto da richiedere che il legislatore ne riconsideri l’assetto, anche alla luce della protezione penale attualmente assicurata a beni diversi – resta che la severa previsione edittale concernente la rapina impropria non è disallineata rispetto al trattamento delle fattispecie omologhe, e non presenta dunque connotati di anomalia o sintomi di intrinseca irragionevolezza;

che le odierne questioni, sollevate prima della citata sentenza n. 190 del 2020, non apportano nuovi argomenti rispetto a quelli già vagliati in tale pronuncia e devono di conseguenza essere dichiarate manifestamente infondate (ex multis, ordinanze n. 204 e n. 93 del 2020).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 2021

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2021.