Sentenza n. 23 del 2021

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SENTENZA N. 23

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Molise 13 novembre 2019, n. 12, recante «Modifica all’art. 2 della Legge Regionale 12 marzo 2008, n. 7 (Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM))», che aggiunge il comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Molise 12 marzo 2008, n. 7, recante «Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 15-20 gennaio 2020, depositato in cancelleria il 21 gennaio 2020, iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione della Regione Molise;

udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Claudia Angiolini per la Regione Molise, in collegamento da remoto ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;

deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 15-20 gennaio 2020 e depositato il 21 gennaio 2020 (reg. ric. n. 3 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione – in relazione all’art. 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 e all’art. 26-ter, paragrafo 8, della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, introdotto dall’art. 1 della direttiva 2015/412/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2015, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio (Testo rilevante ai fini del SEE) – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Molise 13 novembre 2019, n. 12, recante «Modifica all’art. 2 della Legge Regionale 12 marzo 2008, n. 7 (Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM))».

1.1.− La disposizione impugnata aggiunge all’art. 2 della legge della Regione Molise 12 marzo 2008, n. 7, recante «Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM)», il comma 2-bis, ove si prevede che la Regione «sostiene la fornitura e l’utilizzo dei prodotti provenienti dalla filiera corta e dagli organismi non geneticamente modificati negli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva di scuole di ogni ordine e grado, università, ospedali, luoghi di cura, gestiti da enti pubblici o da soggetti privati convenzionati. Per tale motivo, la fornitura e l’utilizzo di prodotti provenienti dalla filiera corta in misura superiore al 50 per cento oppure l’utilizzo di prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati, pur nel rispetto della normativa statale vigente in materia di contratti pubblici, costituiranno titolo preferenziale per l’aggiudicazione degli appalti di servizi e forniture destinati alle attività di ristorazione collettiva».

2.− Secondo la parte ricorrente, la preferenza accordata ai prodotti provenienti dalla filiera corta, essendo finalizzata a salvaguardare l’ambiente, si potrebbe ritenere compatibile con l’art. 36 TFUE, che lascia impregiudicate le restrizioni alle importazioni giustificate da motivi di «tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali», a cui la salvaguardia dell’ambiente è strettamente connessa (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 292 del 2013).

Risulterebbe invece non compatibile con la normativa europea la restrizione accordata all’utilizzo dei prodotti con organismi geneticamente modificati (OGM), non essendo dimostrabile che essi costituiscano un pericolo per la salute pubblica.

2.1.− Al riguardo, l’art. 26-ter, paragrafo 8, della direttiva 2001/18/CEE, introdotto dall’art. 1 della direttiva 2015/412/UE, dà agli Stati membri la possibilità di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul proprio territorio (come effettivamente avvenuto in Italia), ma stabilisce altresì il divieto di ostacolare la libera circolazione degli organismi geneticamente modificati provenienti dagli Stati membri che legittimamente li coltivano.

Per tale motivo, la suddetta preferenza accordata dalla norma in esame ai prodotti senza OGM sarebbe suscettibile di costituire un ostacolo non giustificato alla libera circolazione di tali prodotti e agli scambi intracomunitari, violando così la citata direttiva e l’art. 36 TFUE.

Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale, infatti, l’attribuzione di un titolo preferenziale nelle gare d’appalto a coloro che utilizzano prodotti aventi certe caratteristiche, salvo che ciò non sia giustificato ai sensi dell’art. 36 TFUE, costituisce un’illegittima limitazione della concorrenza, integrando una misura ad effetto equivalente ai sensi dell’art. 34 TFUE, in quanto induce gli operatori economici a scegliere l’uso di quei prodotti al fine di avere un vantaggio nell’aggiudicazione, risolvendosi, quindi, in un disincentivo all’utilizzo di altri prodotti (si richiama ancora la sentenza n. 292 del 2013).

D’altronde, sarebbe difficile attribuire alla disposizione regionale una finalità ambientale, posto che la commercializzazione (fase ben diversa dalla coltivazione) dei prodotti contenenti organismi geneticamente modificati avrebbe lo stesso impatto sull’ambiente dei prodotti privi degli stessi.

3.– Con atto depositato il 27 febbraio 2020 si è costituita in giudizio la Regione Molise, chiedendo il rigetto del ricorso.

3.1.− Secondo la difesa regionale l’introduzione di una percentuale massima per l’utilizzo di OGM per l’aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari e agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva non sarebbe restrittiva della concorrenza.

Infatti, i prodotti privi di OGM non esaurirebbero il fabbisogno della ristorazione collettiva, che potrebbe impiegare altri prodotti agroalimentari e, quindi, anche quelli geneticamente trattati. Inoltre, e soprattutto, la disposizione censurata non avrebbe la stessa portata di quella della Regione Puglia, dichiarata incostituzionale con la citata sentenza n. 292 del 2013, che riprende la sentenza n. 209 del 2013, avente a oggetto una legge della Regione Basilicata di simili contenuti, ove si dava priorità all’utilizzo di prodotti dei rispettivi territori regionali, con un evidente favor protezionistico per le produzioni locali.

3.1.1.− In primo luogo, infatti, il legislatore molisano non restringerebbe ai soli prodotti regionali e locali l’approvvigionamento e l’utilizzo di materie prime negli appalti aventi a oggetto la ristorazione collettiva, sicché verrebbe meno il presupposto costituito dal disincentivo per gli imprenditori a impiegare beni non provenienti da una determinata area territoriale.

Inoltre, l’utilizzo di prodotti non contenenti OGM non sarebbe una condizione unica di aggiudicazione, bensì alternativa al ricorso oltre il 50 per cento ai prodotti da filiera corta, poiché le due ipotesi sarebbero disgiunte da un «oppure».

Ulteriormente, nel caso di specie, la preferenza dovrebbe essere considerata non quale condizione di ammissibilità alle procedure di evidenza pubblica e, quindi, una limitazione alla concorrenza, bensì come un’eventuale condizione di punteggio aggiuntivo all’interno di vari criteri (salutistici, qualitativi, ambientali, legati all’esperienza e all’organizzazione), che legittimamente l’aggiudicatario potrebbe introdurre all’interno di un’offerta tecnico-economica articolata.

3.1.2.− In secondo luogo, l’art. 36 TFUE lascerebbe impregiudicate le restrizioni alle importazioni, alle esportazioni e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale.

Da tale prospettiva, l’intervento legislativo della Regione Molise potrebbe ritenersi non lesivo del TFUE, poiché nel patrimonio culturale rientrerebbero senza dubbio anche i processi produttivi tradizionali, specie in seguito alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 settembre 2007, n. 167, la quale sarebbe integrata con le disposizioni costituzionali e, in particolare, con l’art. 9 Cost. In base all’art. 2, comma 2, lettera d), della Convenzione, infatti, il patrimonio culturale immateriale si manifesta anche nelle cognizioni e nelle prassi relative alla natura e all’universo e, come tale, meriterebbe di essere salvaguardato per garantirne la vitalità.

In tal senso, non potrebbe considerarsi limitativo della libera circolazione delle merci un intervento legislativo rivolto alla salvaguardia e alla valorizzazione dei valori culturali afferenti le conoscenze delle tradizioni e, in generale, i saperi del lavoro connessi alla trasformazione delle materie prime aventi un patrimonio genetico secolare e a processi produttivi originari, intesi quali espressione della cultura tramandata negli anni. Per considerare l’intervento legislativo conforme alla carta costituzionale occorrerebbe tener conto del valore giuridico del cibo in sé considerato, ponendosi l’alimentazione come un valore fondamentale dell’ordinamento e non semplicemente un oggetto di regolazione economica, funzionale alle esigenze del mercato globale. In quest’ottica, il cibo, considerato come un bene primario per l’esistenza umana, avrebbe un valore culturale e istituzionale e, pertanto, diverrebbe fonte sia di diritti soggettivi, sia di doveri e di responsabilità individuali e collettive, nonché di politiche pubbliche coerenti con il suo apprezzamento.

L’intervento legislativo regionale oggetto d’impugnazione, dunque, sarebbe conforme ai principi di libertà di circolazione delle merci e di tutela della concorrenza, perché risulterebbe possibile bilanciare l’utilizzo di prodotti geneticamente modificati e quello di prodotti tradizionali, permettendo l’equo rispetto di tutti i valori costituzionalmente garantiti.

3.2.− Da ultimo, la difesa regionale sottolinea che, sebbene non sia allo stato dimostrabile che gli OGM costituiscono un pericolo per la salute pubblica, nemmeno potrebbe affermarsi il contrario. Né sarebbe del tutto vero che, come asserito dall’Avvocatura generale dello Stato, la commercializzazione degli OGM abbia lo stesso impatto sull’ambiente dei prodotti privi di organismi geneticamente modificati. Infatti, l’agricoltura convenzionale, detentrice di un imponente patrimonio genetico, potrebbe subire una drastica riduzione a causa dei (certamente più potenti) mezzi di distribuzione commerciale degli OGM, con il rischio che possano scomparire specie tipiche della tradizione rurale del nostro Paese.

Pertanto, estendendo le valutazioni sui futuri impatti della legge regionale impugnata e in forza del principio di precauzione, l’introduzione di un equo bilanciamento tra utilizzo di prodotti con e senza OGM permetterebbe di preservare, ancorché indirettamente e cautelativamente, la salute umana e l’ambiente.

4.− In prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato una memoria tesa a ribadire le conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo.

4.1.− In particolare, la difesa statale ritiene non condivisibili le argomentazioni prospettate dalla Regione Molise, secondo cui l’utilizzo di prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati non sarebbe una condizione unica di aggiudicazione, bensì alternativa alla somministrazione di prodotti da filiera corta.

L’indebita preferenza comunque accordata ai prodotti non trattati geneticamente, infatti, determinerebbe un’immotivata limitazione della concorrenza, costituendo un’illegittima misura ad effetto equivalente, intesa in senso ampio e fatta coincidere con ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 66 del 2013, che riprende la nozione di misura ad effetto equivalente fornita dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nelle sentenze 6 marzo 2003, in causa C-6/2002, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica di Francia, 5 novembre 2002, in causa C-325/2000, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania, e 11 luglio 1974, in causa C-8/1974, Dassonville contro Belgio).

Peraltro, anche volendo ritenere che l’intento del legislatore molisano sia soltanto quello di prevedere un punteggio aggiuntivo, si avrebbe comunque un’illegittima restrizione della concorrenza, in quanto i partecipanti alla procedura sarebbero incentivati al soddisfacimento di tale criterio premiale.

Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, l’attribuzione di un titolo preferenziale nell’ambito delle procedure a evidenza pubblica ai concorrenti che prediligono l’utilizzo di determinate tipologie di prodotti si risolve in un’illegittima limitazione della concorrenza, atteso che viene disincentivato l’utilizzo dei prodotti aventi caratteristiche opposte o differenti rispetto a quelli che consentirebbero di fruire del vantaggio in sede di aggiudicazione dell’appalto (ex plurimis, si richiama la sentenza di questa Corte n. 86 del 2012).

4.2.− Né potrebbe ritenersi, come fa la difesa regionale, che la limitazione alla libera circolazione degli OGM rientrerebbe nell’alveo delle deroghe previste dall’art. 36 TFUE.

Invero, sostenere che l’intervento legislativo sia finalizzato alla salvaguardia e alla valorizzazione dei valori culturali afferenti alle conoscenze delle tradizioni, nonché del know-how relativo alla trasformazione delle materie prime e dei processi produttivi tradizionali, significherebbe attribuire a simili prodotti una sorta di marchio preferenziale. Sarebbe invece incontestabile che la Regione non sia competente a certificare la qualità dei prodotti e che le deroghe previste dall’art. 36 TFUE non rientrino nella disponibilità delle potestà legislative regionali (è richiamata ancora la sentenza n. 86 del 2012).

L’intento perseguito dal legislatore molisano di tutela della salute e dell’ambiente, pertanto, andrebbe considerato lecito e legittimo unicamente per quel che concerne la preferenza accordata ai prodotti della filiera corta, non sussistendo, invece, acclarate evidenze scientifiche circa la presunta nocività degli OGM, sicché la valutazione del rischio non potrebbe fondarsi su considerazioni meramente ipotetiche (così Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 settembre 2003, in causa C-192/2001, Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca).

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al numero 3 del registro ricorsi 2020, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Molise 13 novembre 2019, n. 12, recante «Modifica dell’art. 2 della Legge Regionale 12 marzo 2008, n. 7 (Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM))», che aggiunge il comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Molise 12 marzo 2008, n. 7, recante «Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM)».

1.1.– Tale disposizione prevede che la Regione «sostiene la fornitura e l’utilizzo dei prodotti provenienti dalla filiera corta e dagli organismi non geneticamente modificati negli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva di scuole di ogni ordine e grado, università, ospedali, luoghi di cura, gestiti da enti pubblici o da soggetti privati convenzionati. Per tale motivo, la fornitura e l’utilizzo di prodotti provenienti dalla filiera corta in misura superiore al 50 per cento oppure l’utilizzo di prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati, pur nel rispetto della normativa statale vigente in materia di contratti pubblici, costituiranno titolo preferenziale per l’aggiudicazione degli appalti di servizi e forniture destinati alle attività di ristorazione collettiva».

2.– Secondo lo Stato le norme impugnate violerebbero l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 e all’art. 26-ter, paragrafo 8, della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, introdotto dall’art. 1 della direttiva 2015/412/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2015, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio (Testo rilevante ai fini del SEE).

2.1.– La preferenza accordata ai prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati, in particolare, sarebbe infatti suscettibile di costituire un ostacolo non giustificato alla libera circolazione di questi ultimi e agli scambi intracomunitari, in assenza di un dimostrato pregiudizio per la salute pubblica e di una finalità ambientale della restrizione, tenuto conto che la commercializzazione dei prodotti contenenti organismi geneticamente modificati (OGM) avrebbe lo stesso impatto sull’ambiente della commercializzazione di quelli che ne sono privi.

3.– Va innanzi tutto precisato che l’art. 1 della legge reg. Molise n. 12 del 2019, oggetto di censura, indica l’utilizzo di prodotti privi di OGM quale titolo preferenziale, in alternativa all’utilizzo di oltre il cinquanta per cento di prodotti provenienti da filiera corta – a cui solo si riferisce il tetto percentuale, a differenza di quanto in alcuni passaggi pare argomentare la difesa regionale – per l’aggiudicazione degli appalti di servizi e forniture destinati alle attività di ristorazione collettiva.

Sebbene la parte ricorrente chieda l’integrale caducazione di tale disposizione, le censure vertono interamente sulla previsione del criterio preferenziale per l’utilizzo di prodotti non contenenti OGM, non sulla preferenza riconosciuta per la somministrazione oltre il cinquanta per cento di prodotti provenienti da filiera corta, di cui, anzi, la difesa statale afferma in via di principio l’ammissibilità.

Pertanto, l’esame della questione di legittimità costituzionale deve essere limitata a quelle parti della disposizione impugnata concernenti gli organismi geneticamente modificati.

4.– La questione è fondata.

4.1.– L’art. 22 della direttiva 2001/18/CEE, come modificata dalla direttiva 2015/412/UE, stabilisce che «gli Stati membri non possono vietare, limitare o impedire l’immissione in commercio di OGM, come tali o contenuti in prodotti, conformi ai requisiti» previsti dal diritto europeo.

Il successivo art. 23 attribuisce sì agli Stati membri il potere di limitarne o vietarne temporaneamente la vendita o l’utilizzo in commercio, ma solo qualora «uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell’autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente»; in tal caso, inoltre, lo Stato membro deve informare immediatamente la Commissione europea e gli altri Stati, motivando la propria scelta, sulla quale è adottata una decisione della stessa Commissione.

L’art. 26-ter, infine, prevede i casi in cui è possibile chiedere la limitazione o il divieto di coltivazione di OGM autorizzati, in base a peculiari esigenze ambientali, economiche e territoriali, stabilendo in ogni caso al paragrafo 8 che le conseguenti misure «non incidono sulla libera circolazione degli OGM autorizzati, come tali o contenuti in prodotti».

Come già chiarito da questa Corte, la direttiva 2001/18/CE costituisce «il testo normativo fondamentale» per quanto concerne l’immissione in commercio degli alimenti contenenti organismi geneticamente modificati, nonché i relativi limiti ammissibili (sentenza n. 116 del 2006; in senso analogo, sentenza n. 150 del 2005).

4.2.− Ciò premesso, risulta evidente che l’intervento legislativo regionale, sebbene in via indiretta, reca una limitazione alla libera circolazione degli OGM autorizzati in conformità al diritto europeo.

Infatti, pur considerando che il legislatore molisano ha previsto non un divieto alla somministrazione di prodotti contenenti OGM, bensì un criterio di punteggio aggiuntivo agli ulteriori criteri già fissati per l’aggiudicazione del servizio di ristorazione collettiva, è indubbio che i partecipanti alla procedura sarebbero comunque incentivati al soddisfacimento di tale criterio aggiuntivo.

In tal senso, il fatto che gli alimenti non trattati geneticamente non esaurirebbero il fabbisogno della ristorazione collettiva, come asserito dalla difesa regionale, non pare dirimente, atteso che le norme impugnate comportano in ogni caso un ostacolo alla libera circolazione degli OGM, anche se non tale da impedirne la commercializzazione (in tal senso si veda la sentenza n. 292 del 2013).

4.3.− Né per giustificare tale limitazione può farsi appello alle deroghe consentite dall’art. 26-ter della direttiva 2001/18/CE – che concernono le restrizioni alla coltivazione, mentre nel caso di specie vengono in gioco limiti alla circolazione – e neppure a quelle di cui all’art. 23 della medesima direttiva. Da un lato, infatti, non vi sono acclarate evidenze scientifiche circa la presunta nocività degli OGM, fondandosi la valutazione del rischio argomentata dalla difesa regionale su considerazioni meramente ipotetiche (si veda, in tal senso, Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 settembre 2003, in causa C-192/2001, Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca). Dall’altro lato, le restrizioni consentite dalle norme europee hanno carattere temporaneo, richiedono una decisione motivata dello Stato membro e una valutazione della Commissione europea (per cui si veda Corte di giustizia della Comunità europea, sentenza 16 luglio 2009, in causa C-165/08, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica di Polonia). Elementi, questi, tutti assenti nel caso di specie, in cui si prevede soltanto una misura volta a penalizzare il ricorso agli alimenti contenenti OGM.

4.4.− Le disposizioni impugnate non possono essere giustificate, come invece asserisce la difesa della Regione Molise, neanche sulla base dell’art. 36 TFUE, che consente agli Stati membri di apporre limiti alle importazioni giustificati da motivi, tra l’altro, di tutela della salute e di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.

In primo luogo, come già sottolineato, le ragioni di tutela della salute sono fondate su valutazioni del tutto ipotetiche, ivi incluso il possibile pregiudizio alle colture tradizionali causato dalla diffusione degli OGM, che avverrebbe con mezzi di distribuzione commerciale ritenuti più potenti e quindi più efficaci.

In secondo luogo, non può essere accolto l’argomento secondo cui l’intervento legislativo oggetto di censura sarebbe legittimo in quanto recante misure a tutela del patrimonio culturale. Secondo tale argomento la tutela comprenderebbe anche i processi produttivi e il patrimonio genetico del cibo, la cui valorizzazione troverebbe specifica protezione anche in ambito sovranazionale, in specie nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 settembre 2007, n. 167.

A parte il fatto che le disposizioni impugnate riservano un trattamento deteriore agli OGM ma non proteggono per ciò stesso i prodotti e i processi produttivi tradizionali, la tutela del patrimonio culturale italiano, ivi compreso quello immateriale attinente agli alimenti, si ascrive alla potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ed eccede, quindi, le competenze regionali.

Quanto previsto dall’art. 1 della legge reg. Molise n. 12 del 2019, in conclusione, oltre a determinare una violazione della direttiva 2001/18/CE, si risolve altresì in una misura ad effetto equivalente ai sensi dell’art. 34 TFUE, intesa quale normativa idonea a ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (si vedano le sentenze di questa Corte n. 66 del 2013 e n. 191 del 2012).

4.5.− Alla luce di quanto sopra, nondimeno, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Molise n. 12 del 2019, che introduce l’art. 2, comma 2-bis, della legge reg. Molise n. 7 del 2008, deve essere limitata alle parole «e dagli organismi non geneticamente modificati» e «oppure l’utilizzo di prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati».

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Molise 13 novembre 2019, n. 12, recante «Modifica dell’art. 2 della Legge Regionale 12 marzo 2008, n. 7 (Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM))», che aggiunge il comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Molise 12 marzo 2008, n. 7, recante «Disposizioni transitorie in materia di coltivazione ed uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM)», limitatamente alle parole «e dagli organismi non geneticamente modificati» e «oppure l’utilizzo di prodotti non contenenti organismi geneticamente modificati».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 17 febbraio 2021.