Sentenza n. 263 del 2020

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SENTENZA N. 263

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», e dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 28 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2017. Disposizioni finanziarie), promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, nel procedimento instaurato da P. D.M. contro il Fondo pensioni Sicilia, con ordinanza del 23 ottobre 2018, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visti l’atto di costituzione di P. D.M., nonché l’atto di intervento del Presidente della Giunta regionale della Sicilia;

 

udito nell’udienza pubblica del 20 ottobre 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

 

uditi gli avvocati Francesco Castaldi e Anna Maria Crosta per P. D.M. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza del 23 ottobre 2018, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2019, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», e dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 28 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2017. Disposizioni finanziarie).

 

Le disposizioni citate fissano, per i trattamenti onnicomprensivi di pensione a carico dell’amministrazione regionale e del Fondo pensioni Sicilia, un limite massimo di 160.000,00 euro annui. Tale misura, originariamente applicabile per il periodo dal 1° luglio 2014 al 31 dicembre 2016, è stata poi prorogata per il triennio 2017-2019, in virtù della seconda disposizione censurata.

 

1.1.– Il rimettente espone di dovere decidere sul ricorso proposto da un dirigente della Regione Siciliana, titolare di un trattamento di pensione che è stato decurtato per effetto della disciplina impugnata. Il ricorrente nel giudizio principale ha chiesto la condanna del Fondo pensioni Sicilia a erogare l’originario importo della pensione e a restituirgli, con gli accessori di legge, le somme indebitamente trattenute. La domanda, respinta dal giudice di primo grado, è stata riproposta in appello.

 

La Corte rimettente reputa rilevanti le eccezioni di illegittimità costituzionale formulate nel ricorso, in quanto la fondatezza delle domande non potrebbe essere valutata «a prescindere dalla risoluzione della problematica concernente la legittimità costituzionale» della disciplina in esame.

 

1.2.– Tali eccezioni, oltre che rilevanti, sarebbero non manifestamente infondate.

 

Il rimettente, a tale riguardo, ripercorre le pronunce di questa Corte in tema di “tetto” retributivo nel comparto pubblico (sentenza n. 124 del 2017), di contributo di perequazione sulle pensioni di elevato ammontare (sentenza n. 116 del 2013) e di contributo di solidarietà sulle pensioni, imposto per finalità solidaristiche endo-previdenziali dall’art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)» (sentenza n. 173 del 2016).

 

La disciplina regionale, esaminata alla luce di tali pronunce, introdurrebbe un prelievo forzoso, che non si conformerebbe ai princìpi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.

 

1.2.1.– Il giudice a quo muove dal presupposto che la misura in esame abbia natura tributaria, in quanto si attua «mediante un atto autoritativo di carattere ablatorio, con dichiarata destinazione del relativo gettito al conseguimento di generici risparmi di spesa ed al soddisfacimento di, non meglio precisate, esigenze di riequilibrio del bilancio regionale». Le disposizioni in esame perseguirebbero «generici obiettivi di riequilibrio finanziario, senza, peraltro, arrecare alcun concreto vantaggio al sistema previdenziale vigente per gli ex dipendenti regionali».

 

Le disposizioni censurate, nell’imporre un prelievo tributario a carico di «una ristrettissima cerchia di pensionati regionali», beneficiari di trattamenti previdenziali elevati, contrasterebbero con i «fondamentali principii di ragionevolezza e di eguaglianza» (art. 3 Cost.) e con gli inderogabili princìpi «di universalità dell’imposizione, di correlazione del prelievo con la capacità contributiva e di progressività, sanciti dall’art. 53 della Costituzione».

 

1.2.2.– Il rimettente assume, inoltre, che le previsioni censurate non attuino «alcun ponderato bilanciamento dei molteplici valori di rango costituzionale in gioco» e perciò siano lesive, anche sotto tale profilo, del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

 

Il prelievo in esame non rappresenterebbe una misura straordinaria, una tantum e agevolmente sostenibile, poiché si estenderebbe per un apprezzabile arco temporale (cinque anni e sei mesi) e vanificherebbe, in mancanza di specifiche e inderogabili esigenze, il ragionevole affidamento nella sicurezza giuridica e nella stabilità del trattamento di quiescenza.

 

1.2.3.– L’imposizione di un “tetto” pensionistico a carico dei soli pensionati siciliani determinerebbe anche un «irrazionale effetto discriminatorio», in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Non sarebbe prevista alcuna misura comparabile a carico «degli altri pensionati italiani, sia del settore pubblico che di quello privato».

 

1.2.4.– Le previsioni censurate si porrebbero altresì in contrasto con i princìpi di proporzionalità e di adeguatezza del trattamento di quiescenza (artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.), che deve essere commisurato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. La disciplina regionale, difatti, determinerebbe un irragionevole “livellamento” di tutte le pensioni di importo superiore a 160.000,00 euro annui, senza alcuna considerazione dei differenti importi originari di ciascun trattamento previdenziale, legati alla diversità delle funzioni ricoperte, delle «anzianità vantate» e dei contributi versati.

 

2.– Si è costituita la parte ricorrente nel giudizio principale e ha chiesto di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente.

 

La parte ravvisa una natura tributaria nel prelievo imposto dalle disposizioni censurate, al fine di conseguire «meri risparmi in favore del bilancio regionale». La riduzione del trattamento pensionistico si tradurrebbe in una «irretrattabile ablazione a vantaggio del bilancio della Regione», priva di ogni finalità solidaristica o perequativa interna al sistema previdenziale. Si tratterebbe di una imposta speciale a carico dei soli pensionati, lesiva del «principio di parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante» (artt. 3 e 53 Cost.).

 

Il prelievo, destinato a concorrere con quello a favore dell’erario statale e con il contributo di solidarietà previsto dall’art. 22 della legge della Regione Siciliana 12 agosto 2014, n. 21, recante «Assestamento del bilancio della Regione per l’anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», si sarebbe oramai trasformato in uno strumento ordinario e non sarebbe più preordinato a soddisfare soltanto «specifiche e comprovate esigenze straordinarie e contingenti».

 

Il livellamento irragionevole dei trattamenti pensionistici allo stesso valore di 160.000,00 euro annui violerebbe il «principio di proporzionalità e di adeguatezza delle pensioni» e frustrerebbe il legittimo affidamento del lavoratore per il tempo successivo alla cessazione dell’attività lavorativa.

 

3.– È intervenuto in giudizio il Presidente della Giunta regionale della Sicilia e ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o comunque infondate.

 

3.1.– In linea preliminare, l’interveniente ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per l’insufficiente descrizione della fattispecie concreta. Il giudice a quo non avrebbe specificato l’ammontare della decurtazione e non avrebbe dato conto della normativa che disciplina il collocamento in quiescenza. Tali lacune impedirebbero di valutare la rilevanza delle questioni sollevate.

 

3.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate.

 

Il “tetto” di 160.000,00 euro annui si applicherebbe a tutti i trattamenti pensionistici della Regione Siciliana e perseguirebbe finalità di contenimento e complessiva razionalizzazione della spesa, in un contesto di risorse limitate.

 

Le disposizioni censurate inciderebbero soltanto sulle pensioni della gestione “contratto 1”, i cui oneri graverebbero sulla Regione Siciliana. Dall’attribuzione delle risorse al bilancio regionale non si potrebbero evincere argomenti decisivi a favore del carattere tributario della misura, poiché è la stessa Regione, mediante il Fondo pensioni Sicilia, a erogare i trattamenti previdenziali.

 

L’imposizione di un “tetto” sarebbe giustificata dalle condizioni strutturali di disequilibrio della gestione “contratto 1”, relativa a trattamenti computati secondo il metodo retributivo e secondo una base di calcolo particolarmente favorevole, e sarebbe circoscritta a un periodo di tempo limitato.

 

Anche per queste ragioni, non sussisterebbe la lesione dei princìpi costituzionali evocati.

 

4.– Nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza, la parte ha ribadito le conclusioni già rassegnate.

 

Quanto alle eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di intervento, la parte ha replicato che la motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni è analitica.

 

Nel merito, le censure sarebbero fondate.

 

Nel caso di specie, non si riscontrerebbe una situazione finanziaria di tale gravità da legittimare una «compressione così fortemente incisiva» dei diritti dei pensionati, che si risolverebbe nella «imposizione con effetto retroattivo di un tetto su pensioni già in godimento». Peraltro, per il periodo dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2023, il trattamento previdenziale sarebbe ridotto anche per effetto dell’applicazione dell’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), concernente le pensioni che superino l’importo di 100.000,00 euro annui.

 

5.– All’udienza del 20 ottobre 2020, la parte costituita e l’interveniente hanno ribadito le conclusioni formulate negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 30 del 2019), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, dubita, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 53 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», e dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 28 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2017. Disposizioni finanziarie).

 

Con la prima delle disposizioni censurate, il legislatore siciliano stabilisce che, dal 1° luglio 2014 al 31 dicembre 2016, «i trattamenti onnicomprensivi di pensione, compresi quelli in godimento, in tutto o in parte a carico dell’Amministrazione regionale e del Fondo pensioni Sicilia» non possano superare «il tetto di 160 migliaia di euro annui». La previsione citata persegue l’obiettivo di «conseguire risparmi di spesa attraverso la razionalizzazione della spesa pubblica regionale» e di salvaguardare gli «equilibri di bilancio».

 

L’art. 1, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 28 del 2016 conferma tale misura anche per il triennio 2017-2019.

 

Le disposizioni censurate si correlano al particolare sistema previdenziale previsto per il personale della Regione Siciliana. Tale sistema si compone di due gestioni.

 

Alla prima, denominata “contratto 1” e imperniata sul sistema finanziario a ripartizione, appartengono i dipendenti in servizio o già in quiescenza alla data dell’11 maggio 1986, data di entrata in vigore della legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986, n. 21, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante “Nuove norme per il personale dell’Amministrazione regionale” e altre norme per il personale comandato, dell’occupazione giovanile e i precari delle unità sanitarie locali» (art. 10, secondo comma, della citata legge regionale).

 

In questo caso, gli oneri dei trattamenti di quiescenza gravano sul bilancio della Regione, che provvede al pagamento mediante «il Fondo per il pagamento del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita del personale regionale» (da ora: Fondo pensioni Sicilia), avente «natura giuridica di ente pubblico non economico» (art. 15, commi 2 e 8, della legge della Regione Siciliana 14 maggio 2009, n. 6, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009»). La Regione assegna al Fondo pensioni Sicilia «appositi trasferimenti», per rendere possibile l’erogazione dei trattamenti pensionistici.

 

Attorno alla gestione “contratto 2”, ispirata al sistema finanziario a capitalizzazione, gravita invece il personale della Regione Siciliana assunto in data successiva all’11 maggio 1986 (art. 10, primo comma, della legge reg. Siciliana n. 21 del 1986). Il Fondo pensioni Sicilia sostiene gli oneri connessi all’erogazione delle prestazioni pensionistiche e si giova, a tale scopo, del trasferimento dei contributi previdenziali previsti a carico dell’amministrazione e di ciascun dipendente (art. 15, comma 9, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2009). La Regione Siciliana si limita ad accollarsi le spese del funzionamento degli organi del Fondo pensioni Sicilia.

 

Dal dettato normativo indicato emerge la particolare natura del Fondo, da intendersi quale struttura operativa di collegamento fra le diverse gestioni dei trattamenti previdenziali.

 

Le questioni di legittimità costituzionale sono sorte nel giudizio promosso da un dirigente della Regione Siciliana collocato in quiescenza, appartenente alla gestione “contratto 1”, che ha chiesto il ripristino dell’originario importo della pensione e la cessazione delle trattenute effettuate in virtù delle disposizioni in esame.

 

1.1.– Il giudice a quo denuncia, in primo luogo, il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., sul presupposto che l’imposizione di un “tetto” pensionistico configuri un prelievo tributario, destinato a sovvenire pubbliche spese e svincolato dalla modificazione di un rapporto sinallagmatico tra le parti. Il rimettente rileva che le previsioni in esame mirano a produrre meri risparmi di spesa e non perseguono una finalità solidaristica o perequativa interna al sistema previdenziale, che varrebbe a smentirne la natura tributaria, nei termini precisati dalla sentenza di questa Corte n. 173 del 2016.

 

La disciplina regionale censurata, nell’introdurre una rilevante decurtazione delle pensioni di elevato ammontare, «in godimento di una ristretta cerchia di ex dirigenti regionali», realizzerebbe uno speciale intervento impositivo, «irragionevole e discriminatorio», lesivo dei princìpi di ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di «quelli di universalità dell’imposizione, di correlazione del prelievo con la capacità contributiva e di progressività», enunciati in termini inderogabili dall’art. 53 Cost. e ribaditi dalle pronunce di questa Corte (si richiama la sentenza n. 116 del 2013).

 

1.2.– L’art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto un ulteriore profilo. L’imposizione di un tetto pensionistico di 160.000,00 euro non rappresenterebbe un «ponderato bilanciamento dei molteplici valori di rango costituzionale in gioco» e non sarebbe coerente con le indicazioni enunciate a tale riguardo da questa Corte (si menziona la sentenza n. 124 del 2017).

 

Il prelievo disposto dal legislatore regionale, destinato a protrarsi per cinque anni e mezzo, non costituirebbe «una misura eccezionale, adottata “una tantum” per sopperire a specifiche e comprovate esigenze straordinarie e contingenti». Il prelievo in esame avrebbe in tal modo vanificato l’affidamento che il pensionato avrebbe potuto ragionevolmente riporre nella «stabilità del proprio trattamento di quiescenza».

 

1.3.– Il rimettente ravvisa, inoltre, il contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza. L’introduzione del tetto pensionistico non troverebbe riscontro nei confronti degli altri pensionati italiani, sia del settore pubblico sia di quello privato, e sarebbe, pertanto, discriminatorio a danno dei pensionati della Regione Siciliana.

 

1.4.– Il prelievo in esame violerebbe anche il principio di proporzionalità del trattamento di quiescenza rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e quello di adeguatezza (artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.). Il legislatore regionale appiattirebbe sull’unico valore di 160.000,00 euro annui tutti i trattamenti previdenziali di importo superiore, senza tener conto dei «loro differenti importi originari», legati alla «diversità delle funzioni svolte dai singoli soggetti interessati», alla diversa anzianità e al diverso importo dei contributi versati.

 

2.– Occorre esaminare, preliminarmente, le eccezioni di inammissibilità formulate nell’atto di intervento del Presidente della Giunta regionale della Sicilia.

 

Il rimettente non avrebbe descritto in modo adeguato la fattispecie concreta e, in particolare, non avrebbe dato conto della posizione previdenziale della parte appellante e del preciso importo della decurtazione applicata.

 

Le eccezioni non sono fondate.

 

2.1.– Per quel che attiene al primo profilo, il giudice a quo ha ricostruito in maniera particolareggiata gli snodi essenziali della controversia. La Corte dei conti argomenta che il ricorrente appartiene alla «schiera degli ex dipendenti regionali rientranti nell’ambito del cosiddetto “contratto 1”, le cui pensioni vengono materialmente pagate dal Fondo Pensioni Sicilia, con l’utilizzo di fondi integralmente provenienti dal bilancio della Regione Siciliana». La motivazione, dunque, non è lacunosa.

 

2.2.– Quanto all’omessa precisazione circa l’importo della trattenuta, si deve osservare che questo dato è ininfluente nel vagliare la rilevanza delle questioni sollevate.

 

Il rimettente puntualizza che la parte appellante beneficia di una pensione di importo superiore ai 160.000,00 euro annui e che l’originario ammontare è stato ridotto in applicazione delle disposizioni censurate. Tale aspetto non è controverso ed è sufficiente a radicare la rilevanza delle questioni, che presuppone la necessità di applicare la disciplina in esame nella definizione del giudizio (sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del Considerato in diritto).

 

3.– Le questioni, pertanto, possono essere scrutinate nel merito.

 

Esse non sono fondate, in tutti i molteplici profili in cui si articolano.

 

4.– Il rimettente muove dal presupposto che la riduzione del trattamento pensionistico si configuri come un tributo, destinato a gravare su una limitata platea di soggetti, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.

 

Tale presupposto non è fondato, né lo sono le censure che ne rappresentano il coerente sviluppo.

 

4.1.– La prestazione tributaria annovera – tra i suoi requisiti indefettibili – una disciplina legale «finalizzata in via prevalente a provocare una decurtazione patrimoniale del soggetto passivo, svincolata da ogni modificazione del rapporto sinallagmatico» (sentenza n. 178 del 2015, punto 9.1. del Considerato in diritto). Le risorse derivanti dal prelievo, connesse a un presupposto economicamente rilevante, rivelatore della capacità contributiva, devono essere poi destinate «a sovvenire pubbliche spese» (fra le molte, sentenze n. 240 del 2019, punto 5.1. del Considerato in diritto, e n. 89 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto).

 

Con specifico riguardo al prelievo sulle pensioni, questa Corte ha osservato che, se destinato a un circuito di solidarietà interna al sistema previdenziale, esso si colloca fra le prestazioni patrimoniali imposte per legge (art. 23 Cost.). In tal caso, il prelievo si sottrae «al principio di universalità dell’imposizione tributaria, di cui all’art. 53 Cost., potendo trovare un’autonoma giustificazione nei principi solidaristici sanciti dall’art. 2 Cost.» (sentenza n. 234 del 2020, punto 16.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, la sentenza n. 173 del 2016, punti 9. e 10. del Considerato in diritto).

 

4.2.– Nella fattispecie sottoposta al vaglio di questa Corte – che riguarda una misura in verità peculiare – non ricorrono gli elementi costitutivi della prestazione tributaria.

 

Non si tratta di prelievo destinato a incidere sul trattamento pensionistico di volta in volta erogato, né di decurtazione finalizzata a sovvenire pubbliche spese.

 

Non si può, pertanto, fare riferimento a quanto sostenuto da questa Corte nella sentenza n. 116 del 2013, in tema di contributo di perequazione a carico delle pensioni di più elevato ammontare, qualificato come tributo in ragione delle finalità espressamente perseguite (art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111).

 

La fissazione di un limite ai trattamenti previdenziali differisce anche dal contributo di solidarietà sulle pensioni (sentenza n. 173 del 2016), regolato dall’art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», e dal prelievo sulle pensioni di più cospicuo importo, introdotto dall’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), scrutinato di recente da questa Corte (sentenza n. 234 del 2020).

 

La disciplina censurata non introduce un prelievo o un contributo straordinario sulle pensioni, volto a far fronte a pubbliche spese (sentenza n. 116 del 2013), né è improntata a finalità solidaristiche o perequative interne al circuito previdenziale (sentenze n. 234 del 2020 e n. 173 del 2016). Tale disciplina deve essere peraltro valutata nel contesto dell’intervento disposto dalla Regione Siciliana prima per due anni e sei mesi e poi per un ulteriore triennio, al fine di contenere le spese su di essa gravanti sia per le retribuzioni del proprio personale, sia per la spesa previdenziale. Il limite di 160.000,00 euro, infatti, accomuna, da questo punto di vista, la spesa della Regione per il personale e la spesa previdenziale.

 

La normativa in esame si prefigge, piuttosto, di determinare, per un preciso arco temporale, l’importo massimo dei trattamenti pensionistici che gravano sul bilancio della Regione, originariamente commisurati a criteri particolarmente favorevoli.

 

Le caratteristiche evidenti della misura in questione sono dunque di razionalizzazione della spesa previdenziale e di complessivo riequilibrio del sistema e valgono a differenziarla – dal punto di vista tanto strutturale quanto finalistico – dalla logica che permea sia l’imposizione tributaria (sentenza n. 240 del 2019, il citato punto 5.1.) sia quella delle prestazioni patrimoniali disciplinate dall’art. 23 Cost.

 

La disciplina regionale deve essere ricondotta alle modificazioni sfavorevoli che il legislatore, per la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, può introdurre con riguardo al rapporto previdenziale, senza spingersi a sacrificare il nucleo intangibile dei diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost.

 

È in questa prospettiva che si deve ora svolgere il sindacato di questa Corte.

 

5.– Il rimettente denuncia la violazione dei princìpi di proporzionalità e di adeguatezza del trattamento di quiescenza, sanciti dagli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. L’assetto delineato dal legislatore, proprio perché non sorretto da un ragionevole bilanciamento, sarebbe lesivo del principio di eguaglianza e violerebbe l’affidamento dei pensionati siciliani.

 

Le censure, tra loro connesse, non sono fondate.

 

6.– Innanzitutto, è utile ripercorrere nei loro tratti salienti – in modo da precisarne la portata – le pronunce di questa Corte, che lo stesso rimettente ha richiamato a fondamento delle censure.

 

6.1.– Quanto al limite posto dal legislatore regionale all’importo massimo dei trattamenti di quiescenza, si devono ribadire le considerazioni già svolte in riferimento al “tetto” stabilito a livello nazionale per le retribuzioni nel settore pubblico (art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, e art. 13, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89) e al cumulo tra pensioni e retribuzioni a carico delle finanze pubbliche (art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013).

 

Nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo alla normativa citata, questa Corte ne ha valorizzato la finalità generale. Per porre rimedio a disparità di trattamento prive di una giustificazione plausibile, il legislatore in quella circostanza ha ancorato a un parametro non inadeguato il contemperamento non irragionevole tra i diversi interessi di risalto costituzionale, in un àmbito contraddistinto dall’esiguità delle risorse disponibili.

 

6.2.– Nel caso ora in esame vengono in rilievo sia l’esigenza di una ripartizione razionale e trasparente di risorse pubbliche limitate, sia la tutela di diritti previdenziali, presidiata dagli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.

 

La garanzia dell’art. 38 Cost. – come questa Corte ha precisato – è connessa all’art. 36 Cost., e dunque alla proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, «ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale» (sentenza n. 173 del 2016, punto 11.1. del Considerato in diritto e, da ultimo, sentenza n. 234 del 2020, punto 15.2. del Considerato in diritto).

 

Spetta all’apprezzamento discrezionale del legislatore apportare correttivi che, giustificati da «esigenze meritevoli di considerazione», non intacchino i criteri di proporzionalità e adeguatezza «con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico» (sentenza n. 208 del 2014, punto 4.2. del Considerato in diritto).

 

Poiché sono molteplici le variabili sottese a tale bilanciamento, si impone, «con riguardo alla proporzionalità e all’adeguatezza del trattamento di quiescenza, una valutazione globale e complessiva, che non si esaurisca nella parziale considerazione delle singole componenti» (sentenza n. 259 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto).

 

Questa Corte è dunque chiamata a valutare tutti gli indici rivelatori di un eventuale sacrificio sproporzionato. Nel sindacato di legittimità costituzionale, oltre alla carenza di giustificazione delle misure adottate, «rivestono rilievo cruciale l’arco temporale delle misure restrittive, l’incidenza sul nucleo essenziale dei diritti coinvolti, la portata generale degli interventi, la pluralità di variabili e la complessità delle implicazioni, che possono anche precludere una stima ponderata e credibile dei risparmi» (sentenza n. 20 del 2018, punto 3.2.1. del Considerato in diritto).

 

7.– I criteri ora richiamati servono a tracciare il percorso che conduce alla disamina del complesso contesto in cui le disposizioni censurate si collocano, per apprezzarne a fondo la peculiarità.

 

7.1.– La disciplina oggi sottoposta al sindacato di questa Corte si raccorda al particolare sistema previdenziale previsto per i dipendenti della Regione Siciliana.

 

Come si desume dall’ordinanza di rimessione, suffragata dagli elementi forniti dallo stesso Fondo pensioni Sicilia, l’art. 13, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014 «ha, fin qui, trovato concreta applicazione esclusivamente nei confronti di una particolare categoria di pensionati regionali che fruiscono, nel loro trattamento di quiescenza, dell’applicazione delle norme della legge regionale n. 2/1962 e successive modifiche ed integrazioni» (nota n. 7835 del 2 marzo 2016). Alle disposizioni censurate, dunque, sono assoggettati in larga parte alcuni dirigenti che hanno ricoperto incarichi di vertice nell’amministrazione regionale e ricadono nell’àmbito applicativo della gestione “contratto 1”.

 

7.2.– Le misure di risparmio, introdotte con la legge reg. Siciliana n. 13 del 2014, traggono origine da notevoli criticità del sistema previdenziale siciliano e incidono in misura preponderante sulla gestione “contratto 1”, alimentata con le risorse della Regione.

 

Le condizioni strutturali di disequilibrio in tale gestione sono state segnalate dalla Corte dei conti, sezioni riunite per la Regione Siciliana in sede di controllo, sin dal 2014 e sono state ribadite anche nelle relazioni sugli esercizi 2017 e 2018 riferite al predetto Fondo, che hanno posto in risalto la particolare gravosità per il bilancio regionale degli oneri inerenti alla gestione citata.

 

L’intervento del legislatore regionale mira a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale regionale, «anch’esso espressione dell’art. 38 Cost., quale norma ispirata dal presupposto per cui detta sostenibilità (ossia l’equilibrio tra spesa previdenziale ed entrate a copertura della stessa) venga assicurata anzitutto all’interno dello stesso sistema» (sentenza n. 235 del 2020, punto 4.7. del Considerato in diritto).

 

Al fine di conseguire un tale obiettivo, la disciplina censurata si applica con valenza generale a tutti i trattamenti pensionistici a carico dell’amministrazione regionale e del Fondo pensioni Sicilia. Essa, peraltro, è parte integrante di un più ampio disegno di razionalizzazione, che contempla altre misure di contenimento della spesa pubblica regionale, come l’imposizione di un limite alle retribuzioni dei dipendenti regionali (art. 13, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2014), e trova il suo necessario compimento nel percorso di progressiva armonizzazione del sistema previdenziale siciliano con la normativa statale (artt. 51 e 52 della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale»).

 

In sostanza, il sacrificio indotto dalle disposizioni censurate, nell’intervenire su trattamenti pensionistici inizialmente determinati secondo regole di particolare favore (Corte dei conti, sezioni riunite per la Regione Siciliana in sede di controllo, decisione n. 2 del 2014), si propone una finalità di complessivo riequilibrio.

 

8.– Inquadrate in questa più articolata prospettiva, si rivelano infondate le censure di arbitraria disparità di trattamento.

 

Il sistema previdenziale applicabile ai dipendenti della Regione Siciliana, pur se in via di tendenziale e ancora incompiuta assimilazione al regime statale, è contraddistinto da rilevanti particolarità, tali da non renderlo comparabile all’eterogeneo apparato di tutela previsto per gli altri pensionati del settore pubblico o privato.

 

Inoltre, le condizioni di criticità prima richiamate giustificano il trattamento più rigoroso che, per un arco temporale limitato, è indirizzato al personale regionale in pensione e la conseguente diversità di disciplina censurata dal giudice a quo.

 

9.– L’esigenza di preservare la sostenibilità del sistema previdenziale regionale, in un’ottica di più ampia razionalizzazione della spesa, e le finalità di complessivo riequilibrio, sottese alle limitazioni in esame, destituiscono altresì di fondamento le censure riguardanti l’irragionevolezza dell’assetto normativo.

 

I vincoli posti all’ammontare dei trattamenti pensionistici sono avvalorati da una giustificazione appropriata e calibrati in modo tale da non infrangere il canone di proporzionalità.

 

9.1.– Le disposizioni impugnate investono i soli trattamenti pensionistici di importo più ragguardevole. Nell’imporre il limite invalicabile di 160.000,00 euro annui, che corrisponde a un parametro non esiguo, il legislatore regionale non ha irragionevolmente compresso l’adeguatezza e la proporzionalità di trattamenti pensionistici caratterizzati da un elevato ammontare.

 

9.2.– Anche l’arco temporale segna la specificità dell’odierna vicenda.

 

L’imposizione di un limite ai trattamenti pensionistici, pur protraendosi per un tempo apprezzabile, presenta comunque una durata definita e non è stata reiterata sine die.

 

Questa delimitazione nel tempo non è arbitraria, poiché fa riscontro all’acuirsi delle criticità della gestione previdenziale regionale, costanti lungo tutto il periodo di vigenza delle restrizioni censurate. Dalle considerazioni svolte dalla Corte dei conti in sede di controllo emerge, infatti, con chiarezza il permanere delle condizioni di squilibrio in concomitanza con l’intera applicazione delle misure relative al “tetto” pensionistico.

 

9.3.– Non si può, in conclusione, ritenere irragionevole il bilanciamento attuato dal legislatore siciliano. Il sacrificio imposto ai pensionati dell’amministrazione regionale, destinatari di un trattamento complessivamente favorevole, risulta sostenibile e rispettoso delle garanzie di proporzionalità e di adeguatezza sancite dagli artt. 36 e 38 Cost.

 

10.– Per le medesime ragioni, si deve escludere la lesione dell’affidamento dei titolari delle pensioni in esame.

 

10.1.– Nell’àmbito dei rapporti di durata, non sorge un affidamento meritevole di tutela nell’immutabilità della relativa disciplina (sentenza n. 127 del 2015, punto 8.1. del Considerato in diritto). Ben può, infatti, il legislatore introdurre modificazioni in senso sfavorevole, anche con riguardo a diritti soggettivi perfetti, a condizione che l’intervento attuato «trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionale lesivo del legittimo affidamento dei cittadini» (sentenza n. 234 del 2020, punto 17.3.1. del Considerato in diritto).

 

Questa Corte, d’altronde, sin da epoca risalente, ha ribadito che sono precluse quelle modificazioni che peggiorino, «senza un’inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività» (sentenza n. 349 del 1985, punto 5. del Considerato in diritto).

 

10.2.– Nel caso di specie, la disciplina censurata non soltanto è assistita da una congrua giustificazione, legata alla salvaguardia dell’equilibrio del sistema previdenziale regionale e della razionalità e dell’efficienza della gestione demandata al Fondo pensioni Sicilia, ma non implica neppure una riduzione sproporzionata e definitiva del trattamento pensionistico.

 

Non si può ritenere, pertanto, che una misura così congegnata abbia leso in maniera arbitraria un affidamento meritevole di tutela.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge della Regione Siciliana 11 giugno 2014, n. 13, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale”. Disposizioni varie», e dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 28 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2017. Disposizioni finanziarie), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 53 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Silvana SCIARRA, Redattore

 

Filomena PERRONE, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2020.