ORDINANZA N. 198
ANNO 2020
Commento alla decisione di
Pierdomenico Logroscino
per g.c. di Federalismi.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
Presidente: Marta
CARTABIA;
Giudici: Aldo
CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana
SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio
BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
Stefano PETITTI,
ha pronunciato la
seguente
ORDINANZA
nel giudizio per
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito
dell’approvazione definitiva in data 8 ottobre 2019 da parte del Parlamento del
testo di legge costituzionale, recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59
della Costituzione, in materia di riduzione del numero dei Parlamentari» e
dell’inserimento dell’art. 1-bis, comma 3, nel testo del decreto-legge
20 aprile 2020, n. 26 recante «Disposizioni urgenti in materia di consultazioni
elettorali per l’anno 2020», operate dal Parlamento con la legge di conversione
19 giugno 2020, n. 59 e della emanazione, da parte del Governo e del
Presidente della Repubblica, del d.P.R. 17
luglio 2020, promosso dalla Regione Basilicata, con ricorso depositato in
cancelleria il 24 luglio 2020 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra
poteri 2020, fase di ammissibilità.
Udito il Giudice
relatore Giovanni Amoroso nella camera di consiglio del 12 agosto 2020, svolta
ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 23 giugno 2020, punto 4);
deliberato nella
camera di consiglio del 12 agosto 2020.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 24 luglio 2020, la Regione Basilicata
ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti del
Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri,
del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell’interno, del
Ministro della giustizia, della Camera dei deputati, del Senato della
Repubblica, nonché nei confronti della Regione autonoma Trentino
Alto-Adige/Südtirol, in persona del Presidente della Giunta regionale e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano in persona dei Presidenti delle
rispettive Giunte provinciali;
che il conflitto è
stato promosso in riferimento all’approvazione, in via definitiva e in seconda
deliberazione, da parte della Camera dei deputati, nella seduta del 9 ottobre
2019 (recte: 8 ottobre 2019), del testo di legge costituzionale recante
«Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione
del numero dei parlamentari», al conseguente d.P.R. 28 gennaio 2020 (Indizione
del referendum popolare confermativo della legge costituzionale, recante:
«Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione
del numero dei parlamentari», approvata dal Parlamento) con cui è stato indetto
il referendum confermativo della citata legge costituzionale, poi revocato con
d.P.R. 5 marzo 2020 (Revoca del decreto del Presidente della Repubblica 28
gennaio 2020, concernente indizione del referendum popolare confermativo della
legge costituzionale recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della
Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari») e nuovamente
indetto con d.P.R. 17 luglio 2020 (Indizione del referendum popolare
confermativo relativo all’approvazione del testo della legge costituzionale
recante «modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della costituzione in materia di
riduzione del numero dei parlamentari», approvato dal Parlamento e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019)
e, infine, in riferimento agli «atti normativi presupposti e applicativi»;
che la Regione ha
domandato a questa Corte di dichiarare che non spettava «alle Camere, al
popolo, rappresentato dal Corpo elettorale referendario, al potere esecutivo,
né alle Provincie Autonome di Trento e Bolzano e alla Regione Trentino Alto
Adige/Sudtirol» menomare i «poteri di rappresentatività parlamentare
costituzionalmente riconosciuti alla Regione Basilicata» e, pertanto, ha
chiesto l’annullamento degli atti impugnati, previa sospensione cautelare dei
loro effetti;
che in
particolare, la Regione ha lamentato la violazione degli artt. 3, 6, 48, 51, 57, commi primo e terzo,
131 e 114 della Costituzione
e la «compressione e invasione dei poteri di rappresentatività parlamentare
attribuiti dalla Costituzione alla Regione Basilicata», nonché la violazione
degli artt. 72, in
particolare commi primo e quarto, 77, secondo comma, 138 e 139 Cost.;
che, in particolare,
per quanto riguarda i senatori, la riduzione del loro numero è stata realizzata
attraverso la modifica dell’art. 57 Cost. il cui secondo comma, evidenzia la
ricorrente, prevede che «il numero dei senatori elettivi è di duecento (e non
più trecentoquindici), quattro (e non più sei) dei quali eletti nella
circoscrizione Estero»;
che il terzo comma
del medesimo art. 57 Cost. interviene sul numero minimo dei seggi garantiti,
portandolo da sette a tre, lasciando ferma la previsione secondo cui «il Molise
ne ha due, la Valle d’Aosta uno» e inserendo tra i soggetti beneficiari del
numero minimo di tre senatori anche le Province autonome;
che la Regione
assume che la riduzione del numero dei parlamentari prevista dalla legge
costituzionale in itinere non solo incide negativamente, di per sé, sul
sistema, menomando il potere di rappresentatività della Regione in Parlamento,
ma risulta viziata anche per la disparità di trattamento tra le Regioni;
che, infatti,
raffrontando in termini percentuali l’incidenza della riduzione del numero dei
parlamentari in rapporto alle singole Regioni e tenendo conto della riduzione
del numero minimo garantito dei senatori e dell’inclusione delle Province
autonome di Trento e di Bolzano tra i soggetti beneficiari della regola
prevista dall’art. 57, terzo comma, Cost., emerge a suo avviso che la
percentuale media della riduzione, che è pari al 36,5 per cento riguarda solo
alcune Regioni, mentre per altre il sacrificio risulta, a seconda dei casi, più
gravoso o più lieve; che, portando da sette a tre il numero minimo dei senatori
e includendo le Province autonome tra i soggetti garantiti, si ha che le
Regioni che beneficiavano del numero minimo finiscono per subire una elevata
diminuzione derivante dal numero di seggi persi rispetto ai sette
precedentemente garantiti e, dunque, non in linea con la percentuale nazionale
del 36,5 per cento;
che, in
particolare, la Regione Basilicata, passando da sette a tre senatori finirebbe
per subire una diminuzione della rappresentatività pari al 57,13 per cento;
che risulterebbe
leso, dunque, «il principio di eguaglianza di tutti i cittadini in punto di
partecipazione alla vita politica di cui all’art. 51 Cost.», e si
determinerebbe un quadro complessivo fortemente sbilanciato quanto
all’attuazione del precetto costituzionale dell’art. 57, primo comma, Cost.,
che vuole che il Senato della Repubblica sia eletto su base regionale;
che tale squilibrio
mal si concilia con il riconoscimento costituzionale del valore rappresentativo
degli organi parlamentari e contravviene al principio della «proporzionalità
degressiva» enunciato dall’art. 14, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione
europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1°
novembre 1993, che, a tutela della rappresentatività effettiva dei Paesi più
piccoli, prevede che la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo
degressivamente proporzionale;
che la Regione si
duole poi, sotto altro e diverso profilo, della scelta di concentrare in
un’unica tornata elettorale la consultazione referendaria, le votazioni delle
elezioni regionali e quelle amministrative (cosiddetto election day);
che, al riguardo,
richiama il d.P.R. 17 luglio 2020 con cui sono state indette le consultazioni
referendarie del 20 e del 21 settembre 2020, assumendo che tale soluzione
sarebbe incompatibile con un referendum costituzionale (art. 138 Cost.);
che
l’illegittimità – puntualizza la Regione – discende, peraltro, dall’art. 1-bis,
comma 1, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in
materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con
modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, ai sensi del quale «Per le
consultazioni elettorali di cui all’articolo 1 del presente decreto resta fermo
il principio di concentrazione delle scadenze elettorali di cui all’articolo 7
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, che si applica, altresì, al referendum
confermativo del testo di legge costituzionale recante: “Modifiche agli
articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei
parlamentari”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019»;
che, secondo la
ricorrente, l’adozione del decreto legge indicato sarebbe avvenuta in assenza
dei presupposti di necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma,
Cost.;
che, inoltre, la
concentrazione delle scadenze elettorali è stata prevista solo dalla legge di
conversione n. 59 del 2020, dunque in assenza del «nesso di interrelazione
funzionale» tra decreto-legge e legge di conversione che la giurisprudenza
costituzionale ha costantemente ritenuto necessario ai fini della legittimità
costituzionale della legge (sentenza n. 32 del
2014);
che la
disposizione si porrebbe poi in contrasto con l’art. 72, primo e quarto comma,
Cost. in quanto l’articolo unico di conversione «è stato approvato dopo che il
Governo ha chiesto ed ottenuto la fiducia sull’articolo unico di conversione in
legge in due sedute confuse e convulse con una doppia approvazione» senza il
rispetto della procedura di approvazione articolo per articolo prevista in
particolare dall’art. 72, primo comma, Cost.;
che infine la
Regione si sofferma sulle esigenze cautelari, osservando che «[o]ccorre,
comunque evitare, che prima della pronuncia della Corte Costituzionale entri in
vigore una norma di sospetta costituzionalità per violazione di principi
supremi come l’art. 3 Cost., coperti dall’art. 139 Cost., atteso che anche le
norme di rango costituzionale soggette al controllo di legittimità
costituzionale in caso di violazione di principi supremi dell’ordinamento
costituzionale».
Considerato che la Regione Basilicata ha proposto ricorso per
conflitto di attribuzione, ai sensi degli artt. 134 della Costituzione e 39
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), con contestuale istanza di sospensiva, in via
cautelare, chiedendo che questa Corte voglia annullare:
a) l’avvenuta
approvazione definitiva in data 9 ottobre 2019 (recte: 8 ottobre 2019) da parte
del Parlamento del testo di legge costituzionale recante: «Modifiche agli
articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei
parlamentari», pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019, e
la successiva ammissione del referendum con ordinanza dell’Ufficio Centrale per
referendum presso la Corte di cassazione del 23 gennaio 2020;
b) il conseguente
decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 2020, su deliberazione
del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 2020, revocato con decreto del
Presidente della Repubblica del 5 marzo 2020, su deliberazione del Consiglio
dei Ministri in pari data, e nuovamente riemesso con decreto del Presidente
della Repubblica del 17 luglio 2020, su deliberazione del Consiglio dei
Ministri del 14 luglio 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale,
n. 180 del 18 luglio 2020, nonché degli atti normativi presupposti e
applicativi;
che l’atto di
promovimento – ancorché nella sua intestazione faccia riferimento all’art. 39
della legge n. 87 del 1953, che disciplina i conflitti di attribuzione fra
Stato e Regioni – è stato espressamente qualificato dalla stessa ricorrente, in
particolare nel petitum, come ricorso per conflitto tra poteri dello Stato,
proposto nei confronti del Governo (e di altri), e che, in coerenza con tale
qualificazione, non è stato notificato alle potenziali controparti;
che analoga
qualificazione risulta dalla delibera della Giunta regionale di autorizzazione
a proporre il conflitto, che prefigura finanche, quanto all’incarico professionale
al collegio di difesa, l’eventuale fase di merito – propria di questo tipo di
conflitto di attribuzione – ove il ricorso fosse dichiarato ammissibile;
che pertanto va
valutata, preliminarmente e senza contraddittorio, l’ammissibilità dell’atto di
promovimento del presente giudizio secondo il regime processuale proprio dei
conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato;
che può innanzi
tutto rilevarsi che la richiamata delibera della Giunta regionale è
testualmente e inequivocabilmente limitata – quanto all’ambito
dell’autorizzazione a proporre ricorso e all’oggetto della richiesta di
annullamento, come specificazione del petitum dell’iniziativa giudiziaria –
solo alla impugnativa della richiamata delibera legislativa dell’8 ottobre
2019;
che pertanto il
ricorso, nella parte in cui eccede dalla autorizzazione assentita con la
indicata delibera della Giunta regionale, è, innanzi tutto, manifestamente
inammissibile con riferimento al decreto presidenziale di indizione del
referendum confermativo della richiamata delibera legislativa dell’8 ottobre
2019 e alle connesse censure relative alla fissazione della data per la sua
celebrazione contestualmente a quella per le elezioni in alcune Regioni e per
elezioni amministrative (cosiddetto election day, di cui sopra sub b);
che, per il resto
(sopra, sub a), questa Corte è chiamata in questa fase a stabilire in camera di
consiglio, senza contraddittorio, se concorrano i requisiti di ordine
soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87
del 1953, e cioè se il conflitto risulti essere insorto tra organi competenti a
dichiarare definitivamente la volontà del potere a cui appartengono e sia
diretto a delimitare la sfera di attribuzioni dei poteri interessati,
determinata da norme costituzionali (ordinanza n. 256
del 2016);
che a tal fine
occorre verificare – prima facie e con riserva di cognizione piena
nell’eventuale successiva fase a seguito della rituale instaurazione del
contraddittorio – se sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi di
ammissibilità del proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, sotto il
profilo soggettivo, va ribadito che «nella giurisprudenza costituzionale la
nozione di “potere dello Stato” ai fini della legittimazione a sollevare
conflitto di attribuzione (ex art. 37 della legge n. 87 del 1953) abbraccia
tutti gli organi ai quali sia riconosciuta e garantita dalla Costituzione una
quota di attribuzioni costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 87 e n. 88 del 2012)
o sia affidata una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita (ordinanza n. 17 del
1978)» (ordinanza
n. 17 del 2019);
che – come già
ritenuto da questa Corte (ordinanze n. 11 del 2011
e n. 264 del
2010) – deve negarsi in radice che gli enti territoriali possano
qualificarsi come «potere dello Stato» nell’accezione propria dell’art. 134
Cost., essendo essi distinti dallo Stato, pur concorrendo tutti a formare la
Repubblica nella declinazione risultante dall’art. 114, primo comma, Cost.;
che, quindi, con
riferimento alla Provincia, si è affermato che quest’ultima «non agisce come
soggetto appartenente al complesso di autorità costituenti lo Stato,
nell’accezione propria dell’art. 134 della Costituzione» (ordinanza n. 380
del 1993), sicché essa non è legittimata a promuovere ricorso per conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato, non diversamente dal Comune (ordinanza n. 84 del
2009) e dalla Regione (ordinanza n. 479
del 2005);
che, in
particolare con riguardo alla Regione, la giurisprudenza costituzionale ha
precisato «che, in ogni caso, in base alla vigente disciplina dei conflitti di
attribuzione spettanti alla giurisdizione di questa Corte, né la Regione né
singoli organi di essa possono essere considerati “poteri dello Stato” ai quali
sia riconoscibile la legittimazione passiva nei giudizi regolati dagli artt. 37
e 38 della legge n. 87 del 1953 e dall’art. 26 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale (ordinanza n. 82 del
1978 e ordinanza
n. 10 del 1967)» (ordinanza n. 479
del 2005);
che, d’altra
parte, «la Regione, quando esercita poteri rientranti nello svolgimento di
attribuzioni determinanti la propria sfera di autonomia costituzionale o di
funzioni ad essa delegate, non agisce come soggetto appartenente al complesso
di autorità costituenti lo Stato, nell’accezione propria dell’art. 134 Cost.»
(ordinanza 24 maggio 1990, senza numero);
che in ogni caso
il presente ricorso per conflitto tra poteri dello Stato non potrebbe
convertirsi in ricorso per conflitto di attribuzione tra la Regione e lo Stato,
perché sarebbe palese, al di là di ogni altro profilo, l’intervenuto decorso,
già al momento della proposizione del ricorso (24 luglio 2020), del prescritto
termine di decadenza di sessanta giorni (art. 39, secondo comma, della legge n.
87 del 1953), stante che la menzionata delibera legislativa è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019;
che, pertanto, il
ricorso è inammissibile con riferimento a tutti gli atti di cui la ricorrente
chiede l’annullamento;
che altresì è
conseguentemente assorbita la richiesta di sospensiva, in via cautelare, degli
atti oggetto del conflitto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato proposto dalla Regione Basilicata.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12
agosto 2020.
F.to:
Marta CARTABIA,
Presidente
Giovanni AMOROSO,
Redattore
Filomena PERRONE,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 13 agosto 2020.