Ordinanza n. 207 del 2019

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ORDINANZA N. 207

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 712 del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Busto Arsizio, nel procedimento penale a carico di R. M., con ordinanza del 9 aprile 2018, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Busto Arsizio, con ordinanza del 9 aprile 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 712 del codice penale, «nella parte in cui non è previsto il massimo edittale ovvero non è prevista l’ammenda non superiore a 516 euro»;

che il rimettente premette di essere chiamato a giudicare della responsabilità penale di R. M., imputato del reato di cui all’art. 712 cod. pen. per aver incautamente acquistato un telefono cellulare proveniente da reato di furto;

che lo stesso giudice a quo riferisce che, prima dell’apertura del dibattimento, l’imputato ha chiesto di essere ammesso all’oblazione ai sensi dell’art. 162-bis cod. pen., documentando di aver risarcito la persona offesa;

che, ad avviso del rimettente, nella specie ricorrerebbero tutti i presupposti per accogliere la domanda di oblazione;

che il difensore ha chiesto di determinare la somma da versare a titolo di oblazione in 250 euro, pari alla metà dell’ammenda irrogabile in concreto, e che su tale quantificazione il pubblico ministero ha espresso parere favorevole;

che, peraltro, l’art. 162-bis cod. pen. indica la somma da versare nella metà del massimo edittale della ammenda stabilita della legge per la contravvenzione commessa, e non già nella metà dell’ammenda determinata in concreto dal giudice;

che, non prevedendo l’art. 712 cod. pen. un’ammenda massima, quest’ultima deve essere determinata, ai sensi dell’art. 26 cod. pen., in 10.000 euro;

che, pertanto, la somma da versare in caso di oblazione sarebbe pari a 5.000 euro;

che, tuttavia, il giudice a quo dubita della compatibilità con gli artt. 3 e 27 Cost. della pena massima di 10.000 euro prevista per la contravvenzione in parola;

che, infatti, tale trattamento sanzionatorio sarebbe «ingiustificatamente gravoso se raffrontato a quello previsto, da un lato, dalla più grave fattispecie di ricettazione di cui all’art. 648 c.p. (che è un delitto e presuppone il dolo in merito alla provenienza delittuosa della res), punita nell’ipotesi base con la multa fino a 10.329 euro e nell’ipotesi attenuata [con la multa] fino a 516 euro», e dall’altro a quello previsto dalle altre contravvenzioni di cui al Libro Terzo, Titolo I, Capo I, Sezione III del codice penale, fatta esclusione per quelle attinenti alle armi, che concernono la prevenzione dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale;

che il giudice a quo sottolinea come, in particolare, l’art. 709 cod. pen. (Omessa denuncia di cose provenienti da delitto) preveda anch’esso, nel massimo, una pena pecuniaria di 516 euro;

che, ad avviso del rimettente, la severità della pena edittale per la contravvenzione di cui all’art. 712 cod. pen. sarebbe altresì in contrasto con il principio della necessaria funzione rieducativa della pena, la quale sarebbe «incompatibile con un rigore sanzionatorio ingiustificato ed incoerente»;

che le questioni sollevate sarebbero rilevanti nel giudizio a quo, «perché la difesa ha chiesto di poter oblare la contravvenzione mediante versamento di una somma inferiore a quella di legge ed adeguata rispetto al fatto commesso, quantificabile in 250 euro, e, pertanto, col versamento di tale somma egli beneficerebbe della causa estintiva del reato di cui all’art. 162 bis c.p.»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni predette siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate;

che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, l’inammissibilità delle questioni di costituzionalità proposte deriverebbe dal carattere ancipite della formulazione del petitum;

che le questioni di costituzionalità sarebbero, infatti, state prospettate in termini alternativi, investendo l’art. 712 cod. pen. sia nella parte in cui tale disposizione non prevede il massimo edittale della pena pecuniaria, sia nella parte in cui la disposizione censurata non prevede la pena dell’ammenda in misura non superiore ad euro 516, senza indicare la soluzione prioritariamente imposta dalla Costituzione (è citata l’ordinanza n. 221 del 2017 di questa Corte);

che, ad ogni modo, le questioni proposte dovrebbero essere dichiarate infondate;

che la cornice edittale della fattispecie di reato di cui all’art. 712 cod. pen. – prevedendo, in via alternativa, la pena dell’arresto fino a sei mesi, ovvero l’ammenda non inferiore a 10 euro – consentirebbe «una modulazione talmente ampia della pena da irrogare nel caso concreto da escludere che si possa nutrire la benché minima perplessità circa la sua compatibilità con il principio della finalità rieducativa della pena, enunciato dall’art. 27 della Costituzione»;

che, inoltre, tale cornice edittale non potrebbe essere plausibilmente posta a raffronto, al fine di argomentarne la incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., con quella prevista per il delitto di ricettazione, in ragione della diversità delle pene in comparazione (arresto ed ammenda nel primo caso, reclusione e multa nel secondo), nonché della circostanza che l’art. 648 cod. pen. prevede pene congiunte, laddove l’art. 712 cod. pen. contempla pene alternative;

che altrettanto inconferente sarebbe il raffronto tra la disposizione censurata ed il reato di omessa denuncia di cose provenienti da delitto di cui all’art. 709 cod. pen., in quanto non corredato di alcuna argomentazione a sostegno dell’asserita analogia tra le due fattispecie;

che le censure formulate nella ordinanza di rimessione, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, avrebbero ad oggetto l’esercizio della discrezionalità politica del Parlamento in materia di determinazione del trattamento sanzionatorio dei reati, la quale sarebbe censurabile dalla Corte costituzionale solo ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio;

che, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha ribadito le proprie conclusioni, rilevando che né l’art. 648 cod. pen. né l’art. 709 cod. pen. possono essere utilizzati come tertia comparationis per argomentare l’incostituzionalità dell’art. 712 cod. pen., trattandosi di disposizioni entrambe disomogenee rispetto a quella censurata.

Considerato che il Tribunale ordinario di Busto Arsizio dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 712 del codice penale (Acquisto di cose di sospetta provenienza), «nella parte in cui non è previsto il massimo edittale ovvero non è prevista l’ammenda non superiore a 516 euro»;

che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni proposte in quanto formulate in termini ancipiti;

che tale eccezione è infondata;

che il petitum dell’ordinanza di rimessione, pur se formulato in termini apparentemente alternativi, va ragionevolmente inteso come volto a censurare la mancata previsione del massimo edittale in 516 euro di ammenda, dovendo leggersi la congiunzione «ovvero» in senso esplicativo, come sinonimo di “cioè”, “ossia”;

che, nel merito, le questioni proposte sono però manifestamente infondate;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti come reato è riservata alla discrezionalità del legislatore, entro il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative: limite che è superato allorché le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato, «come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione» (sentenza n. 68 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 161 del 2009 e n. 324 del 2008);

che il rimettente indica, in particolare, due tertia comparationis – rappresentati dal delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e dalla contravvenzione di omessa denuncia di cose provenienti da delitto (art. 709 cod. pen.) – dai quali dovrebbe evincersi la manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio previsto per la contravvenzione di cui all’art. 712 cod. pen., che viene in considerazione nel giudizio a quo;

che, tuttavia, la cornice edittale del delitto di ricettazione – indubbiamente più grave rispetto alla contravvenzione di cui all’art. 712 cod. pen. – è strutturalmente diversa da quella della disposizione censurata, in quanto il delitto di cui all’art. 648 cod. pen. è sanzionato con la pena cumulativa della reclusione e della ammenda («con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329»), anche nella ipotesi attenuata del fatto di particolare tenuità («[l]a pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516»), e non già con la previsione alternativa dell’arresto e dell’ammenda, come previsto dall’art. 712 cod. pen. («con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore a euro 10»);

che, parimenti, strutturalmente inidonea a fungere nella specie da tertium comparationis risulta la cornice edittale del reato di omessa denuncia di cose provenienti da delitto di cui all’art. 709 cod. pen., punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516;

che tale contravvenzione è, infatti, integrata da chi in buona fede abbia acquistato cose delittuose, della cui provenienza il detentore sia venuto successivamente a conoscenza, e ometta di avvisare l’autorità, allo scopo di impedire la connivenza del detentore stesso con il reo;

che pertanto, nel disegno sistematico del legislatore penale, la contravvenzione di omessa denuncia di cose provenienti da delitto, postulando un acquisto in buona fede («senza conoscerne la provenienza») di denaro o di cose provenienti da delitto, è concepita come ipotesi alternativa e meno grave rispetto a quella dell’incauto acquisto, che invece presuppone l’acquisto di cose che appaiano di sospetta provenienza criminosa già al momento dell’acquisto;

che parimenti insussistente è la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., peraltro prospettata nella ordinanza di rimessione in termini meramente apodittici;

che, infatti, come ha rilevato l’Avvocatura generale dello Stato, la cornice edittale prevista per il reato di incauto acquisto, che prevede l’arresto sino a sei mesi ovvero l’ammenda non inferiore a 10 euro, consente un’ampia modulazione della pena da irrogare nel caso concreto, proprio al fine di garantirne l’individualizzazione, anche tenendo conto del valore del bene acquistato, assicurando così al giudice la possibilità di irrogare una pena proporzionata al disvalore del fatto, e di consentire il pieno rispetto del principio della finalità rieducativa della pena.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 712 del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Busto Arsizio con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2019.