Sentenza n. 118 del 2019

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SENTENZA N. 118

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12-bis, comma 4, 16, comma 1, e 52, comma 2, lettere a), h), i) e j), della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta) inserito, il primo, e come sostituiti, gli altri, rispettivamente dagli artt. 3, 9 e 17 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 29 marzo 2018, n. 5 (Disposizioni in materia urbanistica e pianificazione territoriale. Modificazione di leggi regionali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 28 giugno-4 luglio 2018, depositato in cancelleria il 6 luglio 2018, iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;

udito nella udienza pubblica del 19 marzo 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giovanni Guzzetta per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 28 giugno 2018 e depositato in cancelleria il 6 luglio 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 3, 9 e 17 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 29 marzo 2018, n. 5 (Disposizioni in materia urbanistica e pianificazione territoriale. Modificazione di leggi regionali), ritenendo che tali disposizioni eccedano dalla competenza riconosciuta in materia urbanistica dall’art. 2, lettera g), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e violino la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

2.– L’art. 3 impugnato inserisce l’art. 12-bis nella legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), con il quale viene disciplinata la valutazione ambientale strategica (VAS) del piano regolatore generale (PRG) e delle sue varianti.

Il ricorso indirizza la censura nei confronti del comma 4 dell’art. 12-bis, ai sensi del quale «[i] piani urbanistici di dettaglio interessanti aree già sottoposte a VAS in occasione della predisposizione di strumenti urbanistici sovraordinati, qualora non comportino ulteriori varianti al PRG vigente, non sono sottoposti né a VAS né alla verifica di assoggettabilità. Negli altri casi, la VAS e la verifica di assoggettabilità dei piani urbanistici di dettaglio sono comunque limitate agli aspetti che non siano già stati oggetto di valutazione nelle procedure effettuate sulle varianti al PRG sovraordinate».

Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata consentirebbe di non svolgere la verifica di assoggettabilità a VAS in fattispecie in cui, invece, questa deve essere assicurata ai sensi della normativa statale interposta. Infatti, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) prevede all’art. 6, comma 2, lettera a), che «viene effettuata una valutazione per tutti i piani […] che sono elaborati […] per i settori […] della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli» e, al successivo comma 3, specifica che per i predetti piani «che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l’autorità competente valuti che producano impatti significativi sull’ambiente, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell’area oggetto di intervento».

La disciplina regionale del PRG e delle modifiche allo stesso prevede, invece, le categorie delle «varianti non sostanziali» e delle «modifiche non costituenti variante». In particolare, il ricorrente evidenzia che tra le seconde vi sarebbero delle ipotesi suscettibili di produrre effetti ambientali non considerati nei processi di valutazione aventi a oggetto gli strumenti di pianificazione sovraordinati. Tra quelle elencate dall’art. 14, comma 7, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, vengono menzionati gli «adeguamenti di limitata entità, imposti da esigenze tecniche, della localizzazione delle infrastrutture, degli spazi e delle opere destinate a servizi pubblici o di interesse generale» (lettera b) e la «destinazione a specifiche opere pubbliche o servizi pubblici di aree che il PRG vigente destina ad altra categoria di opere o di servizi pubblici» (lettera h).

La normativa impugnata, pertanto, consentirebbe di escludere la verifica di assoggettabilità a VAS per i piani urbanistici di dettaglio (PUD) che non comportano «ulteriori varianti al PRG vigente», ma che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e che possono contenere modifiche minori ai piani sovraordinati (qualificate dalla normativa regionale come «modifiche non costituenti variante»).

Di conseguenza, poiché la normativa statale richiamata stabilisce dei livelli di tutela ambientale che anche le Regioni ad autonomia speciale devono assicurare, la legge regionale impugnata, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., avrebbe determinato casi di esclusione dalla verifica di assoggettabilità a VAS non previsti dalla legislazione statale interposta, riducendo così i livelli di tutela ambientale stabiliti.

3.– Il ricorso impugna anche l’art. 9 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018 che, nel sostituire l’art. 16 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998 (rubricato «[p]rocedure per la formazione, l’adozione e l’approvazione delle varianti non sostanziali al PRG»), vi prevede al comma 1 che «[l]e varianti non sostanziali al PRG non sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VAS».

Secondo il ricorrente, le varianti non sostanziali rientrerebbero senza dubbio tra le modifiche minori ai piani per le quali l’art. 6, commi 2, lettera a), e 3, cod. ambiente prevede la sottoposizione alla verifica di assoggettabilità a VAS.

Pertanto, la disposizione impugnata avrebbe determinato casi di esclusione dalla verifica di assoggettabilità a VAS e alla VAS non previsti dalla legislazione statale, la quale stabilisce dei livelli di tutela ambientale che anche le Regioni ad autonomia speciale devono assicurare. Sussisterebbe pertanto la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., essendo stati ridotti i livelli di tutela ambientale stabiliti dal legislatore statale con la normativa interposta.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 17 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, che sostituisce l’art. 52 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, rubricato «[d]isciplina applicabile nelle zone territoriali di tipo A» e diretto a individuare gli interventi consentiti nei centri storici in assenza degli strumenti attuativi del PRG. In particolare, nell’elenco contenuto nel comma 2 del novellato art. 52, la censura si appunta sugli interventi descritti alle lettere a), h), i) e j), «di cui non si rinviene corrispondenza» nell’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)». Tale disposizione statale stabilirebbe «puntualmente» quali interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, oltre che di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, sono consentiti nei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici nonché nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l’edificazione.

Il legislatore regionale, con la norma impugnata, non avrebbe rispettato la sfera di competenza esclusiva in materia urbanistica statutariamente prevista e si porrebbe soprattutto in contrasto con la normativa statale in materia di «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva statale e rilevante per delimitare la competenza regionale esclusiva in materia urbanistica. Quest’ultima, infatti, deve comunque «svolgersi in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».

Quanto all’art. 9 del t.u. edilizia, il ricorso richiama la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 68 del 2018 e n. 84 del 2017), affermando che sia il comma 1 che il comma 2, «coinvolgendo anche valori di rilievo costituzionale, quali il paesaggio, l’ambiente e i beni culturali, [sarebbero] posti a presidio di valori di chiaro rilievo costituzionale, essendo volti a impedire interventi suscettibili di compromettere l’ordinato uso del territorio e determinare la consumazione del suolo nazionale: le disposizioni statali, quindi, per tali profili, attesa la rilevanza del bene protetto, non po[trebbero] che rendersi applicabili anche nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale».

Da ultimo, il ricorrente esclude che la legittimità dell’art. 17 possa essere utilmente sostenuta: a) dalla previsione normativa del parere delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, operante «nel caso in cui l’immobile sia tutelato ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, dell’art. 40 delle norme di attuazione del PTP e della L.R. n. 56/1983», b) dalla facoltà per i Comuni di non consentire la realizzazione delle strutture pertinenziali indicate dalla lettera i) dell’art. 52, comma 2, legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come previsto dal successivo comma 3.

5.– Con atto depositato il 3 agosto 2018 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

6.– Con riferimento all’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, si sottolinea in primo luogo che l’art. 12-bis, comma 4, legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, «mentre non impone di procedere a VAS o a verifica di assoggettabilità» ove gli strumenti attuativi «non comportino ulteriori varianti al PRG vigente», non sancirebbe affatto «alcuna esenzione dall’obbligo predetto “negli altri casi”». Tale formula, avente portata evidentemente “residuale”, darebbe idonea «copertura a tutte le ipotesi che sfuggono a quanto previsto dal primo periodo della disposizione», configurandosi come norma di chiusura per ogni altro possibile caso di variante o modifica.

La deroga riguarderebbe solo l’ipotesi in cui gli aspetti suscettibili di venire in rilievo ai fini della VAS o della verifica di assoggettabilità siano stati già «oggetto di valutazione nelle procedure effettuate sulle varianti al PRG sovraordinate». Non vi sarebbe dunque una zona franca in grado di sottrarsi alle tutele predisposte mediante la procedura di VAS o di verifica di assoggettabilità.

Da ciò si deduce, anzi, che l’art. 12-bis, comma 4, citato, contemplerebbe «un assetto persino più rigoroso di quello desumibile» dalle norme indicate nel ricorso quale parametro interposto, ovvero l’articolo 6, commi 2, lettera a) e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006. Infatti, a livello regionale l’esperimento della procedura di VAS o di verifica di assoggettabilità, seppure circoscritto agli aspetti non precedentemente oggetto di valutazione, non interesserebbe, unicamente – come, invece, in sede statale –, i piani e programmi «che determinano l’uso di piccole aree a livello locale» e le loro «modifiche minori», ma sarebbe esteso, di fatto, in virtù dell’espressione «negli altri casi», a ogni possibile variante, indipendentemente dalla sua consistenza qualitativa e/o quantitativa.

Sotto tale profilo, l’art. 12-bis, comma 4, si ricollegherebbe all’art. 3-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, che prevede la possibilità per le Regioni e le Province autonome di «adottare forme di tutela giuridica dell’ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali».

Sostiene la Regione che l’art. 12-bis, comma 4, legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998 sarebbe, inoltre, ascrivibile alla potestà normativa primaria in materia di «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica» e, ampliando lo spettro di applicazione delle procedure di VAS e di verifica di assoggettabilità, si collocherebbe «nell’alveo degli interventi permessi alle Regioni, a maggiore garanzia dell’interesse ambientale, a fronte dei livelli di tutela omogenei approntati sul territorio nazionale».

Quale ulteriore conferma della compatibilità costituzionale della disciplina regionale impugnata, la difesa segnala come il citato art. 12-bis, comma 4, sarebbe del tutto sovrapponibile all’art. 16, dodicesimo comma, secondo periodo, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) ai sensi del quale, ove lo strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati.

Si richiama, infine, il contenuto dell’art. 23 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998 il quale, ai fini della formazione delle varianti al PRG, rimette ad apposita deliberazione del Consiglio regionale la determinazione di adeguati rapporti qualitativi e/o quantitativi tra gli abitanti insediati e da insediare (ivi compresi quelli fluttuanti per ragioni di turismo) e gli spazi da riservare ai servizi locali, tenuto conto degli indirizzi forniti dal piano territoriale paesistico. Alla luce di tale quadro normativo di settore, la difesa regionale sottolinea che la puntuale individuazione dei vincoli procedurali e, soprattutto, sostanziali «alle eventuali varianti al PRG, osti in radice alla possibilità di introdurre, in sede esecutiva, soluzioni capaci di alterare gli impatti ambientali e paesaggistici già scrutinati nella fase di approvazione degli strumenti urbanistici generali».

7.– La Regione autonoma resistente ritiene parimenti non fondata la questione relativa all’art. 9 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, che, nel sostituire l’art. 16 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, vi prevede al comma 1 che «[l]e varianti non sostanziali al PRG non sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VAS»).

Si richiamano le «ragioni di ordine letterale e sistematico» esposte a proposito della prima questione e si aggiunge che in senso convergente deporrebbe «la stessa configurazione normativa di siffatte modifiche», che l’art. 14, comma 1, lettera d), della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998 definisce come «le modifiche al PRG non rientranti nelle categorie di cui alle lettere a), b) e c)». Si tratterebbe, quindi, di «ipotesi di natura assolutamente “residuale” rispetto a quelle tipizzate», in quanto ulteriori e non rientranti né nelle «varianti sostanziali generali» (art. 14, comma 1, lettera a), né nelle «varianti sostanziali parziali» (art. 14, comma 1, lettera b), né nelle «modifiche non costituenti variante» (art. 14, comma 1, lettera c).

La sistematica contenuta nella citata disposizione attesterebbe come la fattispecie delle varianti non sostanziali non potrebbe, «per definizione, generare mutamenti significativi alle determinazioni urbanistiche e ambientali assunte in occasione della predisposizione degli strumenti generali».

A ulteriore esclusione della fondatezza della censura, si rileva che «anche per le “varianti non sostanziali”, in quanto espressamente qualificate, comunque, come “varianti”», dovrebbe trovare applicazione l’art. 12-bis, comma 4, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, con la conseguenza che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, una simile fattispecie rientrerebbe «“negli altri casi” (ai quali sono riconducibili, senz’altro, le varianti, anche non sostanziali, al PRG)» per i quali «la VAS e la verifica di assoggettabilità dei piani urbanistici di dettaglio sono comunque limitate agli aspetti che non siano già stati oggetto di valutazione nelle procedure effettuate sulle varianti al PRG sovraordinate».

8.– Riguardo alla censura relativa all’art. 17 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, la difesa regionale ne argomenta la infondatezza, affermando in primo luogo che l’impostazione del ricorrente non terrebbe in debito conto la titolarità in capo alla Regione di una potestà legislativa primaria in tema di «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica» (art. 2, lettera g, dello statuto speciale) e di «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio» (art. 2, lettera q, dello statuto speciale), la quale – diversamente dalla competenza concorrente in materia di «governo del territorio» – deve essere esercitata «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali […]».

Il ricorrente sarebbe quindi incorso in un «errore prospettico», comprovato dalla giurisprudenza costituzionale sull’interpretazione dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» (si richiama la sentenza n. 51 del 2006).

Nella fattispecie non potrebbe, quindi, venire in rilievo «il sistema di distribuzione delle attribuzioni normative tra Stato e Regioni, scaturito dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3», poiché le competenze legislative primarie spettanti alla Regione autonoma a norma dell’art. 2, lettere g) e q) dello statuto speciale risponderebbero «a limiti meno stringenti rispetto all’omologa potestà concorrente invocata nell’atto introduttivo del presente giudizio». La prospettazione del ricorrente, del resto, disconoscerebbe la clausola dell’art. 2, comma 2, del t.u. edilizia, secondo cui «[l]e regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione».

Si evidenzia, inoltre, che la norma oggetto di impugnativa prefigurerebbe «limitati interventi di edificazione ed infrastrutturazione», alcuni dei quali (gli accessi, le pavimentazioni e gli arredi sulle aree libere pertinenziali: art. 52, comma 2, lettera j, numero 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998) identici a quelli che, nel restante territorio nazionale, ricadono nella sfera della cosiddetta attività edilizia libera. In ogni caso, si tratterebbe piuttosto di interventi «funzionali alla riqualificazione e rivitalizzazione delle aree territoriali di tipo A, puntualmente perimetrate e strettamente delimitate sul margine dell’edificio storico, quale consolidatosi nel corso del tempo».

La resistente contesta, infine, che il vincolo gravante sulla potestà regionale sia «da ricondurre ad esigenze di tutela di valori che si riflettono nel limite delle “grandi riforme”», in quanto connesse con l’istanza di protezione ambientale. Proprio al fine di evitare che gli interventi amministrativi in tale materia possano determinare un siffatto vizio, la stessa norma subordinerebbe la realizzazione degli interventi menzionati al rilascio del «previo parere delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio», nel caso di immobile tutelato ai sensi della normativa statale o regionale; si sarebbe quindi apprestato «un presidio di particolare intensità a favore dei profili ambientali e paesaggistici coinvolti nella realizzazione degli interventi controversi».

9.– Entrambe le parti hanno presentato tempestive memorie prima dell’udienza.

9.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, in aggiunta agli argomenti già contenuti nel ricorso, precisa che la legge regionale impugnata avrebbe introdotto un criterio “automatico” di «catalogazione degli interventi […] che esclude l’apprezzamento dell’incidenza ambientale anche di interventi di minima entità», senza una «previa valutazione discrezionale a tutela dell’ambiente […] riducendo, pertanto, il livello di tutela previsto dalla normativa statale». Né si potrebbe ritenere che l’obbligo sia, di fatto, «superato dalle minuziose previsioni di carattere urbanistico» disciplinate dalla normativa regionale, in quanto nella potestà di pianificazione sarebbero insiti effetti sul bene ambiente, dei quali sarebbe doveroso valutare la compatibilità in ciascuna fattispecie.

Quanto alla questione sull’art. 17 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, per un verso si ribadisce che la competenza esclusiva dello Stato «in tema di conservazione ambientale e paesaggistica» sarebbe alla base della norma statale interposta, l’art. 9 del t.u. edilizia, che osterebbe alla legittimità di norme regionali “peggiorative”; per altro verso si confuta l’argomento della difesa regionale incentrato sul titolo di competenza esclusiva statutaria in materia urbanistica, in considerazione dei limiti ai quali anch’essa sarebbe sottoposta.

9.2.– La memoria della Regione autonoma, con riferimento alla prima questione, ribadisce che la disposizione impugnata non procura alcun vulnus, identificando, piuttosto, il «punto di equilibrio» tra le istanze di salvaguardia ambientale e le «esigenze di economia procedimentale connesse con il principio di buon andamento dell’amministrazione scolpito nell’art. 97 Cost.». I piani di dettaglio esentati dallo svolgimento della procedura di VAS e verifica di assoggettabilità sarebbero unicamente quelli «il cui contenuto sia identico a quello degli strumenti sovraordinati, e non, invece, quelli che introducano varianti ulteriori rispetto a questi ultimi»; ciò sarebbe coerente con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui non vi sarebbe «la necessità di instaurare una procedura ulteriore [di VAS], a fronte di prescrizioni di dettaglio sostanzialmente riproduttive di quelle contenute nello strumento sovraordinato».

Richiamando la sentenza n. 7 del 2019 di questa Corte si sostiene che, qualora vengano in rilievo «potestà normative intimamente legate» alla competenza statale di tutela dell’ambiente, le Regioni ben potrebbero, nell’esercizio di quelle attribuzioni, «incrementare il tasso di protezione ambientale» rispetto agli standard di tutela omogenei vigenti sul piano statale.

Con riferimento alla seconda questione, si invoca la giurisprudenza amministrativa a sostegno della non predicabilità della reiterazione della procedura di VAS «dinanzi a modificazioni minori e, comunque, non significative, apprestate dal piano attuativo».

Quanto alla terza questione, la memoria richiama, tra l’altro, la sentenza n. 46 del 2014 di questa Corte e ravvisa il principio, di valenza generale, secondo cui eventuali scostamenti della disciplina regionale rispetto a quella statale non integrerebbero, in quanto tali, la «violazione dei limiti opposti dai rispettivi Statuti alle competenze legislative primarie intestate alle Regioni ad autonomia speciale».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 3, 9 e 17 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 29 marzo 2018, n. 5 (Disposizioni in materia urbanistica e pianificazione territoriale. Modificazione di leggi regionali), ritenendo che tali disposizioni eccedano la competenza legislativa regionale riconosciuta in materia urbanistica dall’art. 2, lettera g), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e vìolino la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

2.– Le prime due questioni attengono al rapporto tra la disciplina statale e quella regionale nell’ambito della valutazione ambientale strategica (VAS).

L’una riguarda l’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, che inserisce l’art. 12-bis (rubricato «[v]alutazione ambientale strategica») nella legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), il quale, secondo il ricorrente, ridurrebbe il livello di tutela ambientale stabilito dall’art. 6, commi 2, lettera a), e 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto consentirebbe di escludere dalla valutazione ambientale i piani urbanistici di dettaglio (PUD) anche quando contengono modifiche minori ai piani sovraordinati, qualificate dalla legislazione regionale come «modifiche non costituenti variante».

L’altra concerne l’art. 9 della medesima legge regionale che, nel sostituire l’art. 16 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, stabilisce, al comma 1 di quest’ultimo articolo, che «[l]e varianti non sostanziali al PRG non sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VAS», così introducendo casi di esclusione dalla verifica di assoggettabilità a VAS e alla VAS non previsti dalla legislazione statale, dal momento che, ad avviso del ricorrente, le varianti non sostanziali rientrerebbero senza dubbio tra le modifiche minori ai piani per le quali l’art. 6, commi 2, lettera a), e 3, cod. ambiente prevede la sottoposizione alla verifica di assoggettabilità a VAS.

In tutti e due i casi risulterebbe, quindi, violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.1.– Le questioni sono entrambe fondate.

Il comma 2, lettera a), dell’art. 6 cod. ambiente prevede una generalizzata e obbligatoria sottoposizione a VAS di tutti i piani elaborati nei settori della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, mentre il successivo comma 3 ne ipotizza una possibile esclusione, per le modifiche minori e in relazione a quei piani che determinano l’uso di piccole aree a livello locale, ma solo all’esito di un giudizio dell’autorità competente che valuti l’assenza di impatti significativi sull’ambiente. Il successivo art. 12 dello stesso cod. ambiente, infatti, struttura un articolato procedimento tra autorità procedente e autorità competente diretto a verificare se il piano possa avere impatti significativi sull’ambiente; il suddetto giudizio rimane necessario anche nell’ipotesi prevista dal comma 6 del medesimo articolo (modifiche a piani e programmi ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi già sottoposti positivamente a verifica di assoggettabilità o a VAS), pur se limitato ai soli effetti significativi sull’ambiente che non siano stati precedentemente considerati dagli strumenti normativamente sovraordinati.

Tali disposizioni del codice dell’ambiente configurano un complesso normativo idoneo a vincolare la potestà legislativa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.

Se, da un lato, infatti, la VAS, «disciplinata dal d.lgs. n. 152 del 2006 in attuazione della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), attiene alla materia “tutela dell’ambiente” […], di competenza esclusiva dello Stato» (sentenza n. 58 del 2013), le disposizioni citate, dall’altro, sono configurabili anche come norme fondamentali delle riforme economico-sociali, sia per il loro contenuto riformatore, sia per la loro attinenza a un bene comune, quale è quello ambientale, di primaria importanza per la vita sociale ed economica (sentenze n. 198 del 2018, n. 164 del 2009 e n. 378 del 2007).

Anche la competenza legislativa primaria regionale in tema di «tutela del paesaggio», prevista dall’art. 2, lettera q), dello statuto reg. Valle d’Aosta, ne risulta quindi, in ogni caso, vincolata, posto che questa deve essere esercitata nel «rispetto» delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».

2.2.– Entrambe le disposizioni impugnate, invece, contraddicono tale vincolo.

È preliminare considerare che le modifiche introdotte dal legislatore regionale hanno mutato la sedes materiae della disciplina in tema di VAS riferita ai piani urbanistici.

Nella sistematica dell’ordinamento regionale la disciplina delle valutazioni ambientali dei piani e progetti urbanistici era, infatti, in precedenza specificamente contenuta nella legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 26 maggio 2009, n. 12 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, e 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Disposizioni per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno e modificazioni di leggi regionali in adeguamento ad altri obblighi comunitari. Legge comunitaria 2009).

Con le impugnate disposizioni, invece, la disciplina della VAS relativa ai piani è stata trasferita nella legge urbanistica regionale (legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998).

In tale nuova collocazione, tuttavia, il legislatore regionale non ha adeguatamente considerato che la VAS si sviluppa secondo una logica diversa da quella della pianificazione, che non attiene tanto ai termini della conformità (del piano urbanistico a disposizioni contenute in altri piani di settore, oppure di un piano rispetto ad un altro), bensì a quelli della compatibilità, verificando con funzione predittiva che il bilanciamento degli interessi compiuto dal pianificatore sia direttamente coerente con una protezione ottimale dell’ambiente.

L’indice sintomatico di questa inadeguata impostazione si rinviene laddove il legislatore regionale, all’interno delle disposizioni impugnate, ha stabilito, come rileva l’Avvocatura generale dello Stato, effetti automatici di esclusione delle procedure di assoggettabilità e sottoposizione a VAS.

2.2.1.– Il comma 4 dell’art. 12-bis della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, aggiunto dall’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, stabilisce, infatti, che «[i] piani urbanistici di dettaglio interessanti aree già sottoposte a VAS in occasione della predisposizione di strumenti urbanistici sovraordinati, qualora non comportino ulteriori varianti al PRG vigente, non sono sottoposti né a VAS né alla verifica di assoggettabilità. Negli altri casi, la VAS e la verifica di assoggettabilità dei piani urbanistici di dettaglio sono comunque limitate agli aspetti che non siano già stati oggetto di valutazione nelle procedure effettuate sulle varianti al PRG sovraordinate».

Va precisato che il piano urbanistico di dettaglio (PUD) è definito dall’art. 48 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998 come lo «strumento urbanistico attuativo del PRG», avente la funzione di «esplicitare, negli ambiti considerati, le indicazioni del PRG e, eventualmente, di proporre soluzioni alternative in ordine alla localizzazione dei servizi pubblici, sia puntuali, sia a rete».

Tale definizione consente di qualificare il PUD come un piano elaborato per il settore della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli che determina l’uso di piccole aree a livello locale.

In base alla norma impugnata, nel caso in cui il PUD non comporti «ulteriori varianti» ma determini «modifiche non costituenti variante», come definite ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera c), della stessa legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, il medesimo PUD viene automaticamente escluso ai fini della assoggettabilità o sottoposizione a VAS. Ciò accade, ad esempio: a) nel caso di «adeguamenti di limitata entità, imposti da esigenze tecniche, della localizzazione delle infrastrutture, degli spazi e delle opere destinate a servizi pubblici o di interesse generale» (art. 14, comma 7, lettera b, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998); b) in quello della «destinazione a specifiche opere pubbliche o servizi pubblici di aree che il PRG vigente destina ad altra categoria di opere o di servizi pubblici» (art. 14, comma 7, lettera h, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998).

Tali fattispecie rientrano invece nelle previsioni dell’art. 6, commi 2, lettera a), e 3, cod. ambiente: in tali casi il PUD, infatti, è un piano che determina l’uso di piccole aree a livello locale e, inoltre, apporta modifiche minori ai piani urbanistici sovraordinati. La VAS è quindi necessaria ove, all’esito della apposita verifica di assoggettabilità, l’autorità competente valuti che il PUD produca impatti significativi sull’ambiente.

In tale prospettiva gli argomenti della difesa regionale, secondo cui i PUD esentati sarebbero unicamente quelli «il cui contenuto sia identico a quello degli strumenti sovraordinati», non appaiono dirimenti. Infatti, per un verso, la presenza di modifiche non costituenti variante – ma qualificabili come modifiche minori secondo la norma statale – esenterebbe automaticamente il PUD pur non essendo il suo contenuto “identico” a quello degli strumenti sovraordinati. Per altro verso, soprattutto, non si può aprioristicamente e astrattamente affermare la inoffensività sull’ambiente di interventi in ragione della loro modesta entità, ma occorre concretamente accertare se questi sono in grado di produrre un impatto significativo sull’ambiente (sentenza n. 197 del 2014).

Tali considerazioni consentono di escludere che la disciplina regionale integri, come invece sostiene la difesa della Regione, un innalzamento della tutela ambientale.

Nemmeno convincente è l’argomento della prospettata simmetria contenutistica tra la norma impugnata e l’art. 16, ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica). Infatti, ai fini del perseguimento di una ragionevole istanza di semplificazione, quest’ultima norma richiede non solo che lo strumento attuativo non comporti alcuna variante, ma anche che il piano sovraordinato contenga una puntuale serie di prescrizioni che giustificano l’esonero dalla duplicazione della valutazione ambientale.

Deve quindi essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 12-bis, comma 4, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, inserito dall’art. 3 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, nella parte in cui consente di non sottoporre né a VAS né alla verifica di assoggettabilità i PUD che determinino modifiche non costituenti variante del PRG vigente.

2.2.2.– La seconda disposizione impugnata, l’art. 9 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, dispone, sostituendo l’art. 16 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, e in particolare il suo comma 1, in via generale, che: «[l]e varianti non sostanziali al PRG non sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VAS».

È utile, anche in questo caso, precisare che, nella disciplina regionale previgente, l’art. 6, comma 4, lettera d), della citata legge reg. Valle d’Aosta n. 12 del 2009 escludeva dal campo di applicazione della VAS (solo) «le varianti non sostanziali ai piani regolatori generali comunali e intercomunali, di cui all’articolo 14 della legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), che apportano variazioni tese a ridurre eventuali effetti negativi significativi sull’ambiente».

Si può quindi constatare che la nuova norma impugnata, modificando la precedente impostazione, ha escluso in via generale e astratta dalla disciplina della VAS un’intera categoria di varianti al PRG che invece, in base alla normativa statale, vanno sottoposte alla verifica di assoggettabilità, sulla base del ricordato criterio della produzione di impatti significativi sull’ambiente.

Correttamente, perciò, il ricorrente sostiene che le varianti non sostanziali rientrano tra le modifiche minori ai piani di cui all’art. 6, commi 2, lettera a), e 3, cod. ambiente: la disposizione impugnata determina, anche in questo caso, un’automatica esclusione, non prevista dalla legislazione statale, dalla verifica di assoggettabilità e sottoposizione a VAS.

Non coglie, invece, nel segno la difesa della Regione quando cerca di giustificare la disposizione asserendo che questa riguarda «ipotesi di natura assolutamente “residuale” rispetto a quelle tipizzate»; la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha escluso la legittimità di un criterio selettivo dei piani da sottoporre a VAS basato su «un dato meramente quantitativo riferito alle dimensioni di interventi la cui inoffensività sull’ambiente sia aprioristicamente ed astrattamente affermata in ragione della loro modesta entità» (sentenza n. 197 del 2014).

Deve quindi essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come sostituito dall’art. 9 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018

3.– Oggetto dell’ultima questione è l’art. 17 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, che, sostituendo l’art. 52 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, rubricato «[d]isciplina applicabile nelle zone territoriali di tipo A», è diretto a individuare gli interventi consentiti nei centri storici in assenza degli strumenti attuativi del PRG.

La norma incide sulla disciplina urbanistico-edilizia applicabile nelle zone territoriali di tipo A, ossia nelle «parti del territorio comunale costituite dagli agglomerati che presentano interesse storico, artistico, documentario o ambientale e dai relativi elementi complementari o integrativi» (art. 22, comma 1, lettera a), della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998) ed elenca gli interventi consentiti in assenza dei suddetti strumenti attuativi e previo parere delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, nel caso in cui l’immobile sia tutelato ai sensi delle norme statali o regionali.

Tra quelli elencati nel comma 2 del novellato art. 52, la censura statale si appunta sugli interventi descritti alle lettere a), h), i) e j), «di cui non si rinviene corrispondenza» nell’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (d’ora innanzi t.u. edilizia). Tale disposizione statale stabilirebbe «puntualmente» i soli «interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, oltre che di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia», consentiti «nei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici nonché nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l’edificazione».

Richiamando la giurisprudenza costituzionale relativa alle Regioni a statuto ordinario, per le quali il suddetto art. 9 è stato qualificato come principio fondamentale, il ricorrente sostiene che con le norme impugnate il legislatore regionale non solo avrebbe ecceduto la sfera di competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica statutariamente prevista, ma soprattutto si sarebbe posto in contrasto con la normativa statale in materia di «tutela dell’ambiente», che, «peraltro, rileva in quanto delimita la competenza regionale esclusiva in materia urbanistica».

3.1.– La questione non è fondata.

Le norme regionali impugnate riguardano precipuamente la materia urbanistica, sulla quale sussiste, ai sensi dell’art. 2, lettera g), statuto reg. Valle d’Aosta, una competenza primaria regionale, come tale vincolata al rispetto delle norme fondamentali delle riforme economiche e sociali.

Occorre dunque verificare se e in che misura l’art. 9 t.u. edilizia possa ritenersi integrare un parametro idoneo a vincolare la suddetta potestà legislativa regionale, dal momento che l’Avvocatura generale dello Stato l’ha puntualmente invocato come norma interposta a sostegno sia della violazione della competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia del mancato rispetto dei vincoli posti alla competenza regionale in materia urbanistica.

Al riguardo va preliminarmente superata l’equivocità della censura: nel caso di specie, infatti, ad assumere rilievo non è il comma 1 dell’art. 9 t.u. edilizia che concerne le aree sprovviste di strumenti urbanistici, ma solo il comma 2 che riguarda, invece, come le norme impugnate, la diversa fattispecie dell’edificazione in porzioni del territorio oggetto di pianificazione generale, ma che, per espressa determinazione degli stessi strumenti generali, necessitino di piani attuativi e questi siano assenti.

In secondo luogo bisogna chiarire che la censura relativa al contrasto con la normativa statale sulla tutela dell’ambiente non è appropriata, in quanto l’evocata norma interposta non vi è direttamente inerente. Quest’ultima, infatti, è contenuta nel t.u. edilizia e attiene, anche secondo la tradizione storico normativa, alla materia edilizia; non a quella della «tutela dell’ambiente», se non forzandone il carattere di trasversalità, fino a ricomprendervi tutto ciò che materialmente incide sul territorio.

3.2.– Il parametro di riferimento rimane, dunque, la sola competenza regionale primaria in materia di urbanistica, rispetto alla quale non tutto il contenuto precettivo delle norme del t.u. edilizia integra principi vincolanti per l’autonomia regionale. L’art. 2, rubricato «Competenze delle regioni e degli enti locali», del suddetto t.u. stabilisce, infatti, che la potestà legislativa concorrente in materia edilizia delle Regioni ordinarie si esercita nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale «desumibili» dalle disposizioni contenute nel medesimo testo unico mentre quella delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano deve essere esercitata «nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione».

Ai fini del presente scrutinio, pertanto, questa Corte deve verificare in che termini le norme impugnate si discostino dal principio desumibile dall’art. 9, comma 2, t.u. edilizia, il quale, per il suo contenuto, per la sua obiettiva natura e per il contesto normativo in cui è inserito, è qualificabile come norma fondamentale di riforma economico-sociale, in quanto tale idonea a vincolare la potestà legislativa primaria regionale.

In merito è opportuno precisare che questa Corte ha già individuato, nella sentenza n. 68 del 2018, la specifica finalità perseguita dal suddetto comma 2 dell’art. 9, ravvisandola nell’esigenza di «salvaguardare la funzione di pianificazione urbanistica intesa nel suo complesso, evitando che, nelle more del procedimento di approvazione del piano attuativo, siano realizzati interventi incoerenti con gli strumenti urbanistici generali e comunque tali da compromettere l’ordinato uso del territorio». Nella successiva sentenza n. 245 del 2018, ritenendosi non fondata la questione relativa a una legge della Regione Abruzzo, si è ulteriormente specificato il principio ricavabile dal medesimo comma 2 dell’art. 9, affermando che gli interventi di recupero consentiti dalla disposizione censurata non implicavano «consumo di suolo mediante l’esercizio di attività di nuova edificazione».

3.3.– Si deve allora considerare che le norme oggetto di impugnativa prefigurano limitati interventi funzionali alla riqualificazione e rivitalizzazione delle aree territoriali di tipo A, quindi già edificate e provviste di opere di urbanizzazione; si tratta, peraltro, di interventi espressamente subordinati al rilascio, nel caso di immobile tutelato ai sensi della normativa statale o regionale, del previo parere delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.

Nello specifico, l’intervento consentito dalla lettera a) del comma 2 dell’art. 52 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come novellato dall’art. 17 impugnato, attiene alla «esecuzione di infrastrutture e servizi anche di privati al di sotto del livello naturale del terreno delle aree libere». La stessa norma precisa che si tratta di interventi in aree che sono comunque inedificabili e che non possono conferire volumetria in altre zone. Tale fattispecie era, peraltro, già contenuta nella legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998: la precedente formulazione richiamava gli interventi nel «sottosuolo», potendosi quindi riscontrare nella novella apportata l’intenzione di chiarire la rilevanza del più preciso riferimento al «livello naturale del terreno», al di sotto del quale gli interventi possono essere consentiti. Inoltre, la delimitazione della tipologia di intervento alle «infrastrutture e servizi» è tale da escludere destinazioni d’uso abitative o che comunque comportino attività umane di tipo continuativo. L’intervento ammesso è, infine, limitato alle specifiche destinazioni indicate e non è tale da comportare nuovo carico antropico né da incidere sulle possibilità edificatorie dell’area libera.

In base alla lettera h) del comma 2 dell’art. 52, come novellato dall’art. 17 impugnato, sono consentiti «gli interventi di ampliamento e sopraelevazione degli edifici pubblici, a prescindere dalla classificazione, giustificati dalla necessità di razionalizzare il servizio pubblico presente nell’edificio, o di adeguare l’edificio alla normativa vigente in materia di sicurezza o a norme igienico-sanitarie, previo parere favorevole delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio». Anche tale tipologia di interventi, connotata da una obiettiva razionalità, era già ammessa dalla precedente legislazione della Regione autonoma; le modifiche operate dalla legge regionale impugnata consentono l’esecuzione di tali interventi (prima limitati al «recupero») «a prescindere dalla classificazione» e generalizzano il rinvio alla «normativa vigente» in materia di sicurezza piuttosto che alle «specifiche leggi» nello stesso ambito.

Una ulteriore tipologia oggetto di censura è quella descritta alla lettera i) del comma 2 dell’art. 52, sostituito dall’impugnato art. 17, come «la realizzazione di strutture pertinenziali all’edificio principale, secondo i criteri, le modalità e le caratteristiche tipologiche stabilite dalla Giunta regionale, con propria deliberazione». In questi termini la legge regionale impugnata si è limitata a trasporre nell’elenco del comma 2 il contenuto del previgente comma 4-bis dello stesso art. 52 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, nel quale, tuttavia, le strutture pertinenziali erano definite come «piccole». Pur se la norma rinvia a un provvedimento della Giunta regionale per stabilire criteri, modalità e caratteristiche tipologiche, la nozione di pertinenza porta necessariamente a escludere che l’intervento possa dar vita a un bene avente una consistenza significativa e quindi a una destinazione funzionale autonoma rispetto all’edificio di cui sia pertinenza. La norma, infatti, deve essere interpretata in connessione con l’art. 61, comma 1, lettera i), della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, che prevede la SCIA edilizia e non il permesso di costruire per la «realizzazione di strutture pertinenziali agli edifici esistenti e di arredi fissi da giardino, come tali privi di funzioni autonome e destinati invece al servizio esclusivo degli edifici predetti, o di loro parti, i quali non comportino carico urbanistico alcuno, non determinino aggravio sulle opere di urbanizzazione e presentino piccole dimensioni». In tale caso, il comma 3 dell’art. 52 della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come sostituito dall’art. 17 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, stabilisce che le «disposizioni di cui al comma 2, lettera i), prevalgono sulle norme dei PRG e le sostituiscono», aggiungendo che i Comuni, attraverso le procedure di approvazione delle varianti al PRG, «possono individuare le zone o le sottozone in cui, per particolari motivi di ordine paesaggistico, non è ammessa la realizzazione delle strutture pertinenziali di cui al medesimo comma 2, lettera i)».

L’ultima tipologia di intervento oggetto di censura è quella descritta alla lettera j) del comma 2 dell’art. 52, come novellato dall’art. 17 impugnato, che si riferisce agli «interventi sulle aree libere pertinenziali agli edifici esistenti e relativi a: 1) accessi, pavimentazioni e arredi; 2) muri e recinzioni; 3) parcheggi a raso». Si tratta di interventi accessori di minimo impatto, su aree libere pertinenziali a edifici esistenti, per i quali, fermo il vincolo pertinenziale, la disciplina regionale ammette il regime della SCIA edilizia, ai sensi dell’art. 61, comma 1, lettere c) e i-bis), della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, in coerenza con la previsione rinvenibile nell’art. 6, comma 1, lettera e-ter), t.u. edilizia.

Non si è quindi in presenza, come conferma l’esame analitico delle disposizioni censurate, di elementi tali da far desumere che, in modo arbitrario o irrazionale, gli interventi consentiti dal legislatore regionale non rispettino il criterio fondamentale di impedire il consumo di suolo attraverso nuove edificazioni su aree libere. Essi ne rappresentano, piuttosto, un legittimo svolgimento nella direzione di una riqualificazione urbana, funzionale anche a implementarne e adeguarne la dotazione infrastrutturale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12-bis, comma 4, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), inserito dall’art. 3 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 29 marzo 2018, n. 5 (Disposizioni in materia urbanistica e pianificazione territoriale. Modificazione di leggi regionali), nella parte in cui consente di non sottoporre né a VAS né alla verifica di assoggettabilità a VAS i piani urbanistici di dettaglio che determinino modifiche non costituenti variante del piano regolatore generale vigente;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come sostituito dall’art. 9 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018;

3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 2, lettere a), h), i) e j), della legge reg. Valle d’Aosta n. 11 del 1998, come sostituito dall’art. 17 della legge reg. Valle d’Aosta n. 5 del 2018, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2019.