Sentenza n. 105 del 2019

SENTENZA N. 105

ANNO 2019

Commenti alla decisione di

1. Elisa Cavasino, La dimensione costituzionale del “diritto del bilancio”. Un itinerario di giurisprudenza costituzionale: dalla sentenza n. 196 del 2018 alle nn. 18 e 105 del 2019,  per g.c. di Diritto &Conti

2. Daniele Chiatante, Note a prima lettura della sentenza n. 105 del 2019 della Corte costituzionale, per g.c. de La Rivista della Corte dei conti

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 11-septies, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2017, n. 19, promosso dalla Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, nel procedimento relativo al Comune di Pozzallo, con ordinanza dell’11 maggio 2018, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 marzo 2019 il Giudice relatore Aldo Carosi.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’11 maggio 2018 la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 11-septies, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2017, n. 19, in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 77, 81, 97, 100, 101, 103, 111, 113, 117, primo e terzo comma, 119, primo comma, e 120 della Costituzione, nonché in relazione all’art. 243-quater, commi 5 e 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), all’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), e all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

La disposizione censurata, introdotta in sede di conversione del decreto-legge, prevede che «[p]er gli enti locali che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, pur avendo avviato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all’articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non abbiano rispettato il termine di cui al primo periodo del comma 5 del medesimo articolo 243-bis ovvero quello di cui articolo 2, comma 5-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, non conseguendo l’accoglimento del piano secondo le modalità di cui all’articolo 243-quater, comma 3, del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il termine per poter deliberare un nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale, secondo la procedura di cui all’articolo 243-bis del medesimo decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è prorogato al 30 aprile 2017. Non si applica l’ultimo periodo del medesimo articolo 243-bis, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. La facoltà di cui al primo periodo del presente comma è subordinata all’avvenuto conseguimento di un miglioramento, inteso quale aumento dell’avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell’ultimo rendiconto approvato dall’ente locale. Nelle more del termine di cui al primo periodo del presente comma e sino alla conclusione della relativa procedura, non si applica l’articolo 243-quater, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con sospensione delle procedure eventualmente avviate in esecuzione del medesimo».

Il rimettente riferisce che, con deliberazione del 24 luglio 2014, n. 50, il Comune di Pozzallo aveva avviato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) prevista dall’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 (t.u. enti locali), per gli enti in cosiddetto predissesto, adottando un piano decennale per il recupero del disavanzo. Poiché il piano era stato deliberato oltre il termine perentorio previsto dall’art. 243-bis, comma 5, del t.u. enti locali, la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, ne aveva negato l’approvazione con deliberazione 24 febbraio 2016, n. 59/2016/PRSP, vanamente impugnata dal Comune innanzi alla Corte dei conti, sezioni riunite in speciale composizione, che aveva respinto il ricorso con la sentenza 13 giugno 2016, n. 12/2016/EL. Avviata su tali presupposti la procedura per la dichiarazione di dissesto e protratta la stessa fino all’assegnazione ai consiglieri comunali del termine per provvedere alla relativa deliberazione, al suo scadere è entrata in vigore la norma censurata, in virtù della quale la procedura è stata sospesa e il Comune ha approvato un nuovo piano di riequilibrio finanziario, successivamente avvalendosi della facoltà di modificarlo accordata, in particolare, dall’art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

Chiamata a pronunciarsi sul piano di riequilibrio così come modificato, la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, ha sollevato le descritte questioni di legittimità costituzionale.

1.1.– Anzitutto, il rimettente, dopo aver sinteticamente descritto la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale e il quadro normativo di riferimento, assume di essere legittimato a sollevare l’incidente di costituzionalità in detta sede, analogamente a quanto già riconosciuto da questa Corte con riguardo ai controlli preventivi di legittimità e ai giudizi di parificazione. Come in tali casi, infatti, non sarebbe chiamato a svolgere un controllo collaborativo – che si estrinseca in un referto sconfinante nel merito amministrativo e funzionale alla promozione di comportamenti auto-correttivi delle amministrazioni controllate – ma un controllo di legittimità-regolarità consistente in una valutazione di conformità a norme di diritto oggettivo e destinato a confluire in una pronuncia di contenuto decisorio, assunta nel rispetto del principio del contraddittorio e suscettibile di impugnazione. Tale controllo, inoltre, sarebbe esercitato da magistrati che offrono ampie garanzie di imparzialità e indipendenza e sono soggetti soltanto alla legge.

Diversamente, qualora si negasse la legittimazione del rimettente a sollevare l’incidente di costituzionalità, la norma rischierebbe di essere sottratta al vaglio di questa Corte, risultando difficile ipotizzare l’assoggettamento a tale scrutinio per altra via.

1.2.– Il giudice rimettente censura l’art. 5, comma 11-septies, del d.l. n. 244 del 2016 in riferimento a plurimi parametri, evocati congiuntamente come di seguito illustrato.

1.2.1.– Anzitutto, la disposizione contrasterebbe con gli artt. 81, 97, 117, terzo comma, 119, primo comma, e 120 Cost.

Prevedendo la possibilità di riedizione della procedura di riequilibrio per il caso di violazione dei termini perentori di presentazione del piano definitivamente accertata dalla Corte dei conti, vanificandone le pronunce, e sospendendo il procedimento volto alla declaratoria di dissesto, la norma violerebbe il principio dell’equilibrio di bilancio e di sana gestione finanziaria dell’amministrazione (artt. 81, 97 e 119, primo comma, Cost.), che imporrebbe una disciplina di salvaguardia volta al tempestivo ed effettivo recupero dell’equilibrio finanziario – funzionale al principio di continuità dei bilanci, all’equità intergenerazionale, nonché alla trasparenza dei conti, a tutela del corretto esercizio del mandato elettorale e in correlazione alla responsabilizzazione degli amministratori pubblici – cui ricondurre l’art. 243-quater, commi 5 e 7, del t.u. enti locali, quali “norme di chiusura” del sistema.

Il contrasto con queste ultime, che costituirebbero principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, determinerebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Infine, dal sacrificio dei citati valori costituzionali deriverebbe anche un pregiudizio all’unità economica della Repubblica (art. 120 Cost.).

1.2.2.– La Corte dei conti censura l’art. 5, comma 11-septies, del d.l. n. 244 del 2016 anche in riferimento agli artt. 3 e 28 Cost.

La norma, impedendo la declaratoria di dissesto che altrimenti sarebbe intervenuta, allontanerebbe nel tempo l’emersione delle responsabilità degli amministratori che l’hanno determinato, secondo il regime che ne postula la formalizzazione, recato dagli artt. 246 e 248 del t.u. enti locali.

1.2.3.– Secondo il rimettente, l’art. 5, comma 11-septies, del d.l. n. 244 del 2016 violerebbe altresì gli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU.

Permettendo all’ente di riavviare la procedura di riequilibrio altrimenti preclusa e di innestare su di essa ulteriori rimodulazioni o riformulazioni, la norma consentirebbe il procrastinarsi del blocco delle azioni esecutive dei creditori previsto dall’art. 243-bis, comma 4, del t.u. enti locali, comprimendo per un tempo sostanzialmente indeterminato la possibilità di agire in giudizio per realizzare coattivamente i propri diritti (in contrasto con gli artt. 24 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU) e violando il principio di ragionevole durata del processo e di parità delle parti (artt. 3 e 111 Cost.).

1.2.4.– Il rimettente censura la disposizione anche in riferimento agli artt. 3, 100, 101, 103 e 113 Cost.

Applicandosi a fattispecie in cui il diniego di approvazione del piano di riequilibrio è stato oggetto di pronuncia della Corte dei conti che ha assunto giuridica stabilità e sostanzialmente vanificandola, la norma violerebbe il principio di certezza del diritto, riconducibile all’art. 3 Cost., il principio di separazione dei poteri in correlazione alle attribuzioni della magistratura contabile – sia in sede di controllo (art. 100 Cost.) che in sede giurisdizionale (artt. 101 e 103 Cost.) – e il principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 113 Cost.).

1.2.5.– Ad avviso del giudice rimettente, inoltre, l’art. 5, comma 11-septies, del d.l. n. 244 del 2016 violerebbe l’art. 77 Cost. in relazione all’art. 15 della legge n. 400 del 1988.

Introdotta in sede di conversione del decreto-legge, la norma, prevedendo la riapertura dei termini per riavviare la procedura di riequilibrio finanziario e paralizzando gli effetti del precedente diniego ormai definitivo, sarebbe disomogenea rispetto al contenuto del decreto-legge – in difformità da quanto previsto dall’art. 15 della legge n. 400 del 1988, attuativo dell’art. 77 Cost. – e non presenterebbe i caratteri dell’urgenza.

1.2.6.– Infine, la norma censurata sarebbe lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

Sotto il primo profilo, essa discriminerebbe senza alcuna logica gli enti locali che hanno spontaneamente e tempestivamente deliberato il dissesto a seguito degli accertamenti della Corte dei conti rispetto a quelli che, invece, non vi hanno ottemperato. Sotto il secondo profilo, la norma, non prevedendo a ritroso un limite temporale di operatività, si applicherebbe a enti già da molto tempo in condizioni di crisi strutturale tale da determinare il dissesto, senza che siano identificabili fattori esogeni che giustifichino la rimessione in termini.

1.3.– Le questioni sollevate sarebbero rilevanti in quanto, chiamato a pronunciarsi sul nuovo piano di riequilibrio finanziario, il rimettente dovrebbe valutare l’ammissibilità della sua riproposizione, antecedente logico-giuridico e fattuale della richiesta di modifica ai sensi dell’art. 1, commi 888 e 889, della legge n. 205 del 2017, dunque insuscettibile di approvazione senza preventivo vaglio sulla sussistenza dei presupposti per la ripresentazione del piano su cui la richiesta si innesta.

Il rimettente, inoltre, alla luce dell’inequivoco dato testuale, esclude la praticabilità di un’interpretazione dell’art. 5, comma 11-septies, del d.l. n. 244 del 2016 che ne escluda l’applicabilità alla fattispecie al suo esame o che lo renda conforme a Costituzione.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, rimettendosi alla valutazione di questa Corte in ordine alla legittimazione del rimettente a promuovere l’incidente di costituzionalità, ha concluso per l’inammissibilità delle questioni sollevate o, comunque, per la loro infondatezza nel merito.

Anzitutto, il Presidente del Consiglio dei ministri nega che la disposizione censurata debba applicarsi alla fattispecie all’esame del rimettente, in quanto suscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso di non riferirsi alle ipotesi in cui siano intervenute pronunce definitive di accertamento del mancato rispetto del termine per la deliberazione del piano. Di qui l’asserita irrilevanza delle questioni sollevate.

Nel merito, sottolinea come la norma costituisca uno strumento per agevolare il risanamento degli enti locali che si trovino in condizione di predissesto, responsabilizzandone gli amministratori.

Peraltro, l’intervenuto evidenzia come la norma non autorizzi la mera riedizione del precedente piano, bensì la sua integrale rinnovazione, non preclusa da pronunce di diniego per ragioni meramente formali e non di merito, afferenti alla relativa sostenibilità finanziaria.

Quanto ai dedotti effetti distorsivi in punto di responsabilità degli amministratori e di tutela dei creditori, essi sarebbero impediti dalla previsione del monitoraggio semestrale in capo alla Corte dei conti e dalla sua funzione sollecitatoria.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 11-septies, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2017, n. 19, in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 77, 81, 97, 100, 101, 103, 111, 113, 117, primo e terzo comma, 119, primo comma, e 120 della Costituzione, nonché in relazione all’art. 243-quater, commi 5 e 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), all’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), e all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

La disposizione censurata, introdotta in sede di conversione in legge del decreto-legge, prevede che «[p]er gli enti locali che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, pur avendo avviato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all’articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non abbiano rispettato il termine di cui al primo periodo del comma 5 del medesimo articolo 243-bis ovvero quello di cui articolo 2, comma 5-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, non conseguendo l’accoglimento del piano secondo le modalità di cui all’articolo 243-quater, comma 3, del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il termine per poter deliberare un nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale, secondo la procedura di cui all’articolo 243-bis del medesimo decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è prorogato al 30 aprile 2017. Non si applica l’ultimo periodo del medesimo articolo 243-bis, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. La facoltà di cui al primo periodo del presente comma è subordinata all’avvenuto conseguimento di un miglioramento, inteso quale aumento dell’avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell’ultimo rendiconto approvato dall’ente locale. Nelle more del termine di cui al primo periodo del presente comma e sino alla conclusione della relativa procedura, non si applica l’articolo 243-quater, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con sospensione delle procedure eventualmente avviate in esecuzione del medesimo».

Il rimettente riferisce che, con deliberazione del 24 luglio 2014, n. 50, il Comune di Pozzallo aveva avviato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) prevista dall’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 (t.u. enti locali), per gli enti in cosiddetto predissesto, adottando un piano decennale per il recupero del disavanzo oltre il termine perentorio previsto dall’art. 243-bis, comma 5, del t.u. enti locali. In ragione di ciò la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, ne aveva negato l’approvazione, con atto vanamente impugnato dal Comune innanzi alla Corte dei conti, sezioni riunite in speciale composizione. Avviata su tali presupposti la procedura per la dichiarazione di dissesto e protratta la stessa fino all’assegnazione ai consiglieri comunali del termine per provvedere alla relativa deliberazione, al suo scadere è stata fatta applicazione della norma censurata, in virtù della quale la procedura è stata sospesa e il Comune ha approvato un nuovo piano di riequilibrio finanziario, successivamente avvalendosi della facoltà di modificarlo accordata, in particolare, dall’art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

Chiamata a pronunciarsi sul piano di riequilibrio così come modificato, la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, ha sollevato le predette questioni di legittimità costituzionale.

2.– Anzitutto, va ribadita la sussistenza della legittimazione delle sezioni regionali della Corte dei conti a sollevare incidente di costituzionalità in sede di controllo sui piani di riequilibrio finanziario pluriennale, così come recentemente riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 18 del 2019).

3.– Deve essere poi respinta l’eccezione del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui la disposizione censurata non dovrebbe applicarsi alla fattispecie all’esame del rimettente, in quanto suscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata nel senso di non riferirsi alle ipotesi in cui siano intervenute pronunce definitive di accertamento del mancato rispetto del termine per la deliberazione del piano.

L’opzione ermeneutica del Presidente del Consiglio dei ministri non può essere condivisa.

Il testo normtivo non convalida la distinzione proposta, riferendosi genericamente al mancato conseguimento dell’approvazione del piano per violazione dei termini previsti. L’esplicita previsione della sospensione delle procedure eventualmente avviate in esecuzione dell’art. 243-quater, comma 7, del t.u. enti locali non può che riguardare il momento in cui il diniego è divenuto definitivo. La disposizione, dunque, è riferibile anche ai casi di tardività definitivamente acclarata.

4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 11-septies, del d.l. n. 244 del 2016 sono tuttavia inammissibili per una diversa ragione.

4.1.– Il rimettente assume di dover fare applicazione della norma censurata in quanto antecedente logico-giuridico e fattuale per la valutazione della richiesta di modifica del piano ai sensi dell’art. 1, commi 888 e 889, della legge n. 205 del 2017. Il menzionato comma 889, al fine di recepire gli effetti correlati all’applicazione del comma 888, che ha disposto la modifica dell’art. 243-bis, comma 5, del t.u. enti locali in ordine alla durata dei piani, attribuisce una facoltà di rimodulazione o riformulazione agli enti locali che «hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l’approvazione» prima della sua entrata in vigore purché abbiano conseguito il miglioramento del risultato di amministrazione secondo i canoni della predetta norma denunciata.

Quest’ultima, infatti, solo in presenza di determinate condizioni prevede la rimessione in termini dei Comuni che, pur avendo avviato la procedura di riequilibrio, non hanno presentato il piano nei termini perentori previsti e quindi non ne hanno ottenuto l’approvazione da parte della sezione regionale di controllo della Corte dei conti (ex art. 243-quater, comma 3, del t.u. enti locali).

Dagli atti di causa si evince che il Comune di Pozzallo si è visto respingere in via definitiva l’originario piano di riequilibrio per tardività, ripresentato successivamente invocando la contestata disposizione. Ai fini della rilevanza della questione è necessario quindi verificare se il Comune in parola si trovi nella condizione di conseguito miglioramento della propria situazione economico-finanziaria.

4.2.– Non sono inutili alcune considerazioni circa il carattere parzialmente eccentrico della norma impugnata, la quale condiziona la deroga al principio di decadenza, per decorso del termine, all’avvenuto «conseguimento di un miglioramento, inteso quale aumento dell’avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell’ultimo rendiconto approvato dall’ente locale».

Se la norma censurata non presenta aporie logiche per l’ipotesi della «diminuzione del disavanzo di amministrazione», altrettanto non può dirsi per quella dell’«aumento dell’avanzo di amministrazione». Quest’ultima presuppone la preesistenza di un avanzo di amministrazione del tutto incompatibile con la preesistenza o l’avviamento del piano pluriennale di riequilibrio.

A ben vedere non si tratta di una contraddizione in termini innocua perché già in passato (fattispecie di cui alla sentenza n. 274 del 2017 e fattispecie di cui alla sentenza n. 49 del 2018) l’ambigua formulazione normativa inerente al concetto di avanzo di amministrazione ha indotto alcuni enti territoriali a introdurre disposizioni in materia di bilancio costituzionalmente illegittime.

In particolare, l’avanzo di amministrazione non può essere confuso con il saldo attivo di cassa e neppure con un risultato di esercizio annuale positivo. Mentre un miglioramento dei saldi di cassa o un risultato annuale positivo non sono affatto incompatibili con l’esistenza o la necessità di un piano pluriennale di riequilibrio finanziario, dal momento che detti miglioramenti ben possono essere inidonei a compensare interamente lo squilibrio strutturale, analoga ipotetica relazione non è configurabile per l’avanzo di amministrazione. Quest’ultimo è tale solo se tiene conto – compensandoli completamente in modo definitivo – degli accantonamenti scaglionati nel tempo contemplati dal piano di riequilibrio.

Di qui la necessità di una chiarezza tassonomica del legislatore poiché «l’assenza di un risultato univoco di amministrazione, l’incongruità degli elementi aggregati per il suo calcolo e l’inderogabile principio di continuità tra gli esercizi finanziari […] non essendo utilmente scindibili gli elementi che ne compongono la struttura […], pregiudicano irrimediabilmente l’armonia logica e matematica che caratterizza funzionalmente il perseguimento dell’equilibrio del bilancio» (sentenza n. 274 del 2017; in tal senso, sentenza n. 49 del 2018). In definitiva non può essere assolutamente configurata la compatibilità di un avanzo di amministrazione con un piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

4.3.– L’aporia legislativa della norma censurata non è tuttavia rilevante alla luce della prospettazione del rimettente. Quest’ultimo infatti non propone alcun argomento in ordine alla esistenza di un avanzo o di un miglioramento del risultato di amministrazione, né essa è evincibile implicitamente dal contesto complessivo dell’ordinanza. Anzi, in vari punti della stessa ordinanza si descrivono elementi fattuali del tutto in contrasto con le ipotesi normative della rimessione in termini. Così, ad esempio, viene censurato il tentativo di eludere la procedura di dissesto «protraendosi indebitamente una situazione nella quale già sussistono i presupposti richiesti dal legislatore per procedere alla dichiarazione prevista dall’articolo 244 del Tuel».

Così operando il giudice rimettente finisce per escludere l’esistenza del presupposto del miglioramento dei conti dell’ente locale, che è alla base dell’eventuale applicazione della norma censurata. In sostanza, egli non spiega adeguatamente per quale motivo dovrebbe fare applicazione della norma impugnata, non essendo sufficiente a tal fine prospettare un vizio astratto della fattispecie legale senza un aggancio eziologico al caso concreto da decidere.

Ne deriva un’insufficiente descrizione della fattispecie che, per costante giurisprudenza costituzionale, si traduce in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate, con conseguente inammissibilità delle stesse (ex multis, sentenza n. 224 del 2018).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 11-septies, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2017, n. 19, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 77, 81, 97, 100, 101, 103, 111, 113, 117, primo e terzo comma, 119, primo comma, e 120 della Costituzione, nonché in relazione all’art. 243-quater, commi 5 e 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), all’art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), e all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione siciliana, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2019.