Sentenza n. 45 del 2019

CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 45

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PETRIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come introdotto dall’art. 6, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, nel procedimento vertente tra P. M. e il Comune di Campi Bisenzio e altro, con ordinanza dell’11 maggio 2017, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di P. M., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 febbraio 2019 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Flavia Pozzolini per P. M. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11, 97, 117, primo comma – quest’ultimo in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993 – e secondo comma, lettera m), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti all’amministrazione.

1.1.− Il rimettente espone in punto di fatto che:

− la ricorrente P. M., in data 14 settembre 2016 (e prima ancora nelle date 12 novembre e 16 dicembre 2015, nonché 12 aprile e 23 giugno 2016), aveva presentato al Comune di Campo Bisenzio istanza di inibitoria dei lavori di manutenzione straordinaria su un immobile facente parte del suo condominio, oggetto di SCIA presentata da E. C. il 6 dicembre 2012;

− in particolare, gli interventi progettati dal segnalante consistevano nell’apertura di una finestra a servizio di una camera da letto posta al primo piano dell’edificio, nella demolizione di un tramezzo interno del sottoscala, nella diversa conformazione dei gradini di accesso all’abitazione e nella copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste dimensioni; di tali lavori era stata realizzata solo la finestra, poiché il Comune li aveva sospesi, con ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2013, dietro istanza dell’assemblea del condominio che ne lamentava il contrasto con il regolamento condominiale;

− avverso il silenzio serbato dall’amministrazione P. M. aveva proposto ricorso ai sensi dall’art. 31 dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), lamentando, nel merito, la illegittimità della SCIA per violazione di diverse disposizioni del regolamento edilizio comunale e chiedendo al Tribunale adito di accertare l’illegittimità e inefficacia della SCIA medesima o della sola parte relativa all’apertura di una finestra – con conseguente ordine all’amministrazione di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare le opere eseguite – ovvero di dichiarare l’obbligo del Comune resistente di pronunciarsi sulle istanze di verifica presentate;

− si erano costituiti in giudizio il Comune di Campi Bisenzio e il controinteressato E. C., eccependo la inammissibilità del ricorso per tardiva sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri inibitori della pubblica amministrazione, la inammissibilità delle azioni di mero accertamento e, secondo la sola amministrazione resistente, anche la inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva;

− il TAR adito, con sentenza non definitiva n. 618 del 2017, aveva esaminato e respinto l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva, evidenziando come nella specie sussistessero i presupposti della cosiddetta vicinitas, quale «peculiare fattore di legittimazione» all’azione giurisdizionale; aveva esaminato e dichiarato inammissibili le due prime azioni di accertamento, stante il disposto dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, a mente del quale «[g]li interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi l, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104»; aveva quindi avviato lo scrutinio di quest’ultima azione, esaminando l’eccezione di tardività della sollecitazione del potere inibitorio della PA e riservandosi di sollevare, con separata ordinanza, questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui non indica un termine entro il quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a sollecitare le verifiche amministrative sulla SCIA.

1.2.− Ciò premesso in punto di fatto, il rimettente ritiene utile, da un lato, illustrare «l’insieme delle norme attualmente regolanti l’istituto della SCIA» e, dall’altro, «ripercorrere i passaggi fondamentali dell’evoluzione giurisprudenziale riguardante la tutela del terzo controinteressato rispetto all’attività oggetto di segnalazione».

1.3.− Quando al quadro normativo di riferimento, il TAR Toscana osserva che, l’art. 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990 consente al privato di avviare, mediante semplice SCIA, l’esercizio di un’attività che dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e per la quale non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale.

L’attività oggetto di SCIA − prosegue il rimettente − può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente (comma 2), salvo il potere di quest’ultima di verificare successivamente l’effettiva sussistenza dei suoi presupposti. In caso di accertata carenza di quest’ultimi, l’attuale versione dell’art. 19, comma 3, prevede che l’amministrazione adotti motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi, nonché, ove possibili, provvedimenti diretti alla conformazione dell’attività ai requisiti di legge, purché proceda in tal senso entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione certificata del privato, ovvero trenta giorni nei casi di SCIA in materia edilizia (comma 6-bis). Ai sensi del successivo comma 4, una volta decorsi i suddetti termini, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 ma in tal caso alle condizioni previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990, che disciplina il potere di annullamento in autotutela dei provvedimenti illegittimi.

Alla luce di tali disposizioni, dunque, il potere di verifica spettante all’amministrazione a seguito della presentazione di una SCIA assumerebbe natura diversa a seconda che venga esercitato prima o dopo il decorso dei citati termini di sessanta o trenta giorni.

Nel primo caso l’amministrazione sarebbe tenuta solo ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti di legge per lo svolgimento dell’attività segnalata e, pertanto, i poteri «repressivi» sarebbero doverosi e vincolati. Nel secondo caso, invece, i poteri dell’amministrazione sarebbero discrezionali, in quanto soggetti agli stessi presupposti previsti dalla legge per l’annullamento d’ufficio, tra cui l’obbligo di previa valutazione delle ragioni di interesse pubblico giustificative della loro adozione.

1.4.− Quanto al panorama giurisprudenziale, il TAR Toscana si sofferma sulla sistemazione data alla materia dalla sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 luglio 2011, n. 15, secondo cui:

a) la scadenza dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis, senza che l’amministrazione abbia esercitato i poteri inibitori ivi previsti, dà luogo alla formazione di una determinazione tacita di conclusione negativa del procedimento di accertamento di eventuali vizi della segnalazione nonché di diniego di esercizio di quei poteri, con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento tacito l’azione di annullamento entro l’ordinario termine decadenziale decorrente dalla data di acquisita conoscenza dell’iniziativa pregiudizievole;

b) il controinteressato che abbia impugnato il silenzio negativo, benché siano scaduti i termini per l’adozione dei provvedimenti inibitori, ha comunque diritto «ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale»; perciò esso può sempre proporre, congiuntamente all’azione di annullamento del diniego tacito, la cosiddetta azione di adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio, ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della SCIA ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990;

c) nelle more della formazione del titolo tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell’iniziativa segnalata può proporre un’azione di accertamento autonoma in ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione suscettibile di conversione automatica nel mezzo impugnatorio in caso di sopravvenuta emanazione dell’atto conclusivo del procedimento di verifica), nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 dell’Allegato 1 al decreto legislativo n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.).

1.5.− Il rimettente prosegue osservando che, immediatamente dopo la citata sentenza dell’Adunanza plenaria, il legislatore ha introdotto la disposizione censurata, con cui, da un lato, ha chiarito che «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili»; e, dall’altro, ha previsto che, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti dell’attività segnalata, il terzo ha facoltà di: a) «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione»; b) «e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi l, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».

L’attuale quadro normativo, quindi, escluderebbe gli strumenti di tutela riconosciuti dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 15 del 2011 e, in particolare, l’azione di annullamento (non essendo configurabile alcun provvedimento tacito) e l’azione di accertamento, potendo il terzo, in caso di inerzia dell’amministrazione, agire «esclusivamente» con l’azione avverso il silenzio inadempimento.

1.6.− Secondo il rimettente, poi, il potere sollecitato dal terzo con l’azione avverso il silenzio sarebbe quello inibitorio avente natura doverosa e vincolata e non quello discrezionale di autotutela.

In questo senso deporrebbero i seguenti rilievi: 1) il terzo, prima di promuovere il ricorso, è tenuto a «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione», il che dimostrerebbe che ha l’onere di attivare un procedimento di verifica dei presupposti della SCIA separato ed autonomo rispetto a quello disciplinato dal comma 3 dell’art. 19; 2) la disposizione richiama i commi 1 e 2 dell’art. 31 cod. proc. amm., che individuano il presupposto dell’azione avverso il silenzio inadempimento nell’obbligo di concludere il procedimento amministrativo mediante una determinazione espressa, obbligo, che, come è noto, non è configurabile rispetto al potere di autotutela; 3) il richiamo anche al comma 3 dell’art. 31 cod. proc. amm., secondo cui il giudice adito con l’azione avverso il silenzio può «pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio», può avere senso esclusivamente con riferimento a un potere vincolato; 4) l’opposta tesi darebbe luogo a una interpretazione della norma non conforme a Costituzione, poiché, come chiarito dalla stessa Adunanza plenaria nella sentenza citata, il controinteressato avrebbe diritto di ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima senza passare dalla intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale, quale quello di autotutela.

1.7.− Osserva ancora il giudice a quo che il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990 richiede, per la sua concreta operatività, l’individuazione di tre distinti termini: il primo è quello entro il quale il terzo deve sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione; il secondo è quello entro cui l’amministrazione si deve pronunciare su tale istanza e decorso il quale essa deve considerarsi inerte; l’ultimo è quello entro il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio mantenuto dall’amministrazione.

Il secondo e il terzo termine sarebbero agevolmente rinvenibili: quello concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza sollecitatoria del privato si ricava dalla disciplina generale dettata dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte devono concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della domanda; il termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è invece fissato espressamente dall’art. 31, comma 2, cod. proc. amm., secondo cui essa può essere intentata fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Non sarebbe invece fissato dalla norma censurata, né sarebbe ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare l’istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative, donde la «possibilità interpretativa in base alla quale il terzo resterebbe sempre libero di presentare l’istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente serbato dall’Amministrazione, che è esattamente la lettura offerta dalla ricorrente (che richiama solo il termine prescrizionale decennale)».

1.8.− Il TAR Toscana ritiene quindi di dovere verificare la bontà delle tesi che hanno per contro rivenuto un termine per la sollecitazione del terzo.

1.8.1.− Non sarebbe convincente la tesi che il termine in questione sia lo stesso assegnato all’amministrazione per l’esercizio del suo potere inibitorio, cioè sessanta ovvero trenta giorni dalla presentazione della SCIA, secondo quanto disposto dai commi 3 e 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, in quanto «manifestamente illogica»: tali termini sono strutturati con riferimento all’esercizio dei poteri di verifica d’ufficio, il che giustifica che il loro dies a quo sia fatto coincidere con il ricevimento della segnalazione da parte dell’amministrazione, ma essi finirebbero per risultare di pratica inoperatività ove applicati all’esercizio della sollecitazione del terzo, atteso che nessuna norma assicura la tempestiva comunicazione ad esso della presentazione della SCIA né tanto meno dell’inizio dell’attività segnalata; il terzo finirebbe, quindi, per rimanere privo di qualsiasi forma di tutela, ove apprendesse dell’intervento dopo il decorso del termine concesso all’amministrazione per provvedere; d’altra parte, anche ove il terzo si attivasse tempestivamente ma in prossimità della scadenza di tale termine, ben difficilmente otterrebbe l’intervento cui aspira, restringendosi l’arco temporale entro cui l’amministrazione dovrebbe accertare l’illegittimità dell’attività oggetto di SCIA, nonché inibirne la prosecuzione.

1.8.2.− Nemmeno potrebbe condividersi la diversa tesi che la facoltà del controinteressato di proporre l’istanza inibitoria sia soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni previsto per la proposizione dell’ordinario ricorso annullatorio, termine che, in caso di SCIA, decorrerebbe dalla data in cui il terzo ha avuto notizia della segnalazione lesiva (con la precisazione che, spirato tale termine, esso conserverebbe in ogni caso il potere di diffida dell’amministrazione all’adozione di atti di autotutela).

Tale interpretazione non terrebbe conto della diversità ontologica delle due fattispecie: da un lato, la proposizione di un ricorso giurisdizionale avverso provvedimenti amministrativi e, dall’altro, la sollecitazione del privato di un’attività amministrativa; e tale diversità osterebbe all’utilizzo dell’analogia, possibile, ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, solo in presenza di casi simili o materie analoghe.

1.8.3.− Ancora non condivisibile sarebbe l’ulteriore tesi, secondo cui il terzo, in applicazione dell’art. 31, comma 2, cod. proc. amm., dovrebbe sollecitare l’amministrazione entro l’anno dal deposito della SCIA.

Anche questa opzione interpretativa, nella misura in cui trasporta il termine annuale per l’azione avverso il silenzio inadempimento alla sollecitazione, da parte del terzo, delle verifiche amministrative della PA, confonderebbe un termine processuale (il primo) con un termine per l’avvio di un’attività procedimentale (il secondo).

1.8.4.− Non condivisibile, ancora, sarebbe la tesi secondo cui il soggetto leso dall’iniziativa segnalata sarebbe tenuto a proporre il ricorso di cui all’art. 31 cod. proc. amm. entro il termine complessivo di un anno dalla data di acquisita «piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica».

Essa, infatti, applica il termine annuale dell’art. 31 cod. proc. amm. anche prescindendo dalla presentazione della diffida di cui all’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, in contrasto con la natura propria dello strumento azionato, che presuppone l’avvenuta presentazione di un’istanza di avvio (ovvero l’attivazione d’ufficio) di un procedimento amministrativo e la formazione del cosiddetto silenzio inadempimento dell’amministrazione.

1.9.− Alla luce di tali considerazioni, secondo il TAR Toscana, l’attuale regime della SCIA non prevede un termine per la presentazione, da parte del terzo, dell’istanza sollecitatoria delle verifiche amministrative di cui all’art. 19, comma 6-ter, e tale termine non è desumibile dal sistema normativo, con la conseguenza che la sua diffida dovrebbe ritenersi tempestiva anche se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto deposito della segnalazione.

Una simile lettura, tuttavia, si porrebbe in evidente contrasto con l’esigenza di tutelare l’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con il generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, esponendo la norma a dubbi di legittimità costituzionale.

1.10.− In punto di rilevanza, il TAR Toscana fa presente che, per decidere la controversia, deve fare applicazione dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 190, e quindi prendere posizione sul tema del termine entro cui il terzo può sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione.

L’azione giudiziaria era stata notificata il 23 ottobre 2016 e quindi, anche considerando la prima delle istanze della ricorrente (presentata il 12 novembre 2015), essa risulterebbe proposta nell’anno dalla formazione del silenzio sulla richiesta inviata all’amministrazione. Conseguentemente, in assenza della previsione espressa di un termine per sollecitare l’intervento inibitorio dell’amministrazione, il Tribunale dovrebbe rigettare l’eccezione di tardività, nonostante la ricorrente abbia atteso dopo la presentazione della SCIA ben due anni e undici mesi (tre anni e nove mesi, se si considera l’ultima istanza).

Una eventuale pronuncia di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate avrebbe, per contro, sicuri effetti sulla decisione del rimettente, sia nell’ipotesi di pronuncia additiva con cui la Corte dovesse fornire al giudice a quo il parametro temporale sulla cui base verificare la tardività della sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, sia nell’ipotesi di declaratoria «pura» di illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, per mancata previsione del termine di sollecitazione dei poteri di verifica dell’amministrazione.

1.11.− In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la disposizione, così interpretata, contrasterebbe con il principio − ricavabile dagli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e all’art. 6, paragrafo 3, TUE − di tutela dell’affidamento del segnalante, che sarebbe esposto sine die al rischio dell’inibizione dell’attività oggetto di SCIA.

Le esigenze dell’affidamento del segnalante sarebbero evidenti, laddove si consideri che in caso di verifica effettuata d’ufficio, l’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990, prevede che, «[d]ecorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis» (cioè di quelli inibitori), «l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 alle condizioni previste dall’articolo 21 nonies»: e cioè, tra l’altro, nel rispetto del termine ragionevole massimo di diciotto mesi.

Le stesse esigenze ricorrerebbero anche nel caso in cui il potere di verifica sia azionato dal terzo ai sensi del comma 6-ter, sicché la mancata previsione di un termine darebbe luogo anche a una violazione dell’art. 3 Cost., essendo irragionevole che l’affidamento del segnalante venga tutelato con la «temporizzazione dell’intervento» in autotutela dell’amministrazione e non nel caso dei poteri di verifica attivati dal terzo.

1.12.− Con specifico riguardo alla materia edilizia, poi, la soluzione normativa darebbe luogo, in violazione dell’art. 3 Cost., ad una irragionevole disparità di trattamento tra gli interventi assoggettati a SCIA e quelli assoggettati a permesso di costruire, dal momento che in tale ultimo caso la reazione del terzo è possibile solo nel breve termine decadenziale per l’impugnazione del titolo edilizio espresso.

1.13.− La mancata previsione del termine determinerebbe, ancora, la lesione dei principi di ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost., poiché l’amministrazione sarebbe costretta a verificare i presupposti dell’attività segnalata, anche qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla segnalazione e nonostante abbia già esercitato il controllo d’ufficio, con evidente aggravio dell’attività amministrativa; perché la possibilità incondizionata di rivalutare, anche a notevole distanza di tempo, l’assetto di interessi già definito aumenterebbe il rischio di decisioni amministrative contraddittorie; e perché l’incertezza normativa sull’esistenza di un termine e sul suo dies a quo – e quindi sull’obbligo dell’amministrazione di attivarsi a fronte dell’istanza del terzo − inciderebbe sull’efficienza dell’attività amministrativa.

1.14.− La norma censurata, infine, violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., «in relazione» all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., perché la mancata previsione del termine si tradurrebbe in una violazione degli standard minimi che il legislatore statale deve assicurare nella normazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; perché darebbe luogo a una disciplina contraddittoria, che, da un lato, incentiva la semplificazione e la liberalizzazione delle attività economiche e, dall’altro, espone chi si avvale dell’istituto della SCIA al rischio permanente di vedere travolta, su iniziativa del terzo, l’attività segnalata; e perché tradirebbe «l’esigenza di uniformità normativa che caratterizza l’istituto», aprendo «la strada a discipline territoriali eterogenee […] con conseguente disomogeneità degli standards di tutela».

2.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 24 ottobre 2017, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente.

Osserva l’interveniente che – dopo la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 15 del 2011 che ha riconosciuto alla SCIA il valore di atto con valenza comunicativa, oggettivamente e soggettivamente privato, non sostitutivo di un provvedimento tacito e pertanto non impugnabile − il legislatore con l’art. 6, comma 1, lettera c), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, ha introdotto nell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 il censurato comma 6-ter, con cui ha espressamente accolto la tesi della non impugnabilità della SCIA e ha precisato che i controinteressati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione, avendo a disposizione, in caso di inerzia, il solo rimedio dell’azione avverso il silenzio.

Successivamente, il legislatore è intervenuto a regolare i poteri di autotutela, esercitabili dall’amministrazione decorsi i termini di trenta e sessanta giorni previsti dal comma 3 dell’art. 19, quando l’attività prevista dalla SCIA si presume essere in atto, se non già completamente esaurita.

In particolare, la legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), all’art. 6, rubricato «Autotutela amministrativa», ha inciso direttamente sull’art. 19 della legge n. 241 del 1990, riformulandone i commi 3 e 4. Quest’ultimo estende alla SCIA la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-novies, anch’essa modificata con la previsione del termine finale di diciotto mesi per il suo esercizio.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49 del 2016 sulla necessaria ponderazione tra la tutela dell’affidamento del privato e le esigenze alla base dell’intervento amministrativo sulle attività regolate in base a SCIA, le sollevate questioni di legittimità costituzionale possano essere superate con una lettura costituzionalmente orientata della norma censurata, in combinato disposto con il comma 4 dell’art. 19, in modo da individuare un termine certo per l’esercizio dei poteri di sollecitazione riconosciuti ai terzi controinteressati.

Così, il privato potrebbe sollecitare i poteri di verifica dell’amministrazione nei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis, decorsi i quali, a tutela dell’affidamento del segnalante, i poteri della PA sarebbero esercitabili non liberamente ma solo alle condizioni previste dall’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990; scaduti i diciotto mesi, pur a seguito della sollecitazione del privato, resterebbe preclusa all’amministrazione la possibilità di intervenire sull’attività oggetto di SCIA.

Aggiunge il Presidente del Consiglio dei ministri che, nel caso in cui l’attività oggetto di SCIA non venga di fatto tempestivamente iniziata e conseguentemente il terzo non sia in grado di proporre la sua istanza entro i termini sopra detti, l’onere della sua attivazione dovrà essere condizionato all’effettiva intrapresa dell’attività segnalata, «conformemente ai principi del codice amministrativo».

3.− Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 17 ottobre 2017, si è costituita P. M., ricorrente nel giudizio a quo.

3.1.− La parte privata ha eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità delle questioni, perché il rimettente, per un verso, prospetta soluzioni alternative (pronuncia additiva e declaratoria «pura» di incostituzionalità) e, per altro verso, censura la discrezionalità del legislatore senza prospettare l’unica soluzione costituzionalmente compatibile, in violazione dell’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

3.2.− Ha eccepito, poi, il difetto di rilevanza, poiché i parametri costituzionali invocati non sarebbero in concreto violati nel caso di specie, sicchè le questioni sollevate si presenterebbero come meramente ipotetiche ed eventuali.

3.3.− Nel merito, esse sarebbero infondate, perché la facoltà attribuita al terzo di attivare il doveroso potere di verifica dell’amministrazione non sarebbe sine die ma comunque soggetta al termine decennale di prescrizione dei diritti, che costituirebbe un termine di chiusura dell’ordinamento.

Quanto alla diversità di trattamento rispetto ai soggetti il cui intervento sia assoggettato a permesso di costruire, sarebbe evidente che si tratta di congegni abilitativi assolutamente diversi, sicché non potrebbe predicarsi una necessaria eguaglianza nei meccanismi di tutela.

Con riferimento alla censura di violazione del principio del buon andamento, la previsione «di un vero e proprio stallo» dell’attività amministrativa sarebbe infondata, sia perché «le richieste di verifica in termini statistici sono sempre un numero minimo rispetto a quello delle pratiche semplificate» sia in ragione della digitalizzazione dei procedimenti amministrativi.

In ogni caso, non sarebbe affatto dimostrato come l’attività delle amministrazioni risulti aggravata dalla norma «rispetto all’attività riconducibile ad una “accettabile” tutela che comunque dovrebbe riconoscersi al terzo».

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione.

2.− Secondo il rimettente la disposizione censurata vìola, in primo luogo, gli artt. 3, 11 e 117, primo comma – quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993 − e secondo comma, lettera m), della Costituzione, perché non tutela l’affidamento del segnalante, che sarebbe esposto sine die al rischio di inibizione dell’attività oggetto di SCIA.

L’art. 19, comma 6-ter, poi, violerebbe, sotto altro profilo, l’art. 3 Cost., perché, con specifico riferimento all’attività edilizia, darebbe luogo ad una irragionevole disparità di trattamento tra il segnalante e coloro che realizzino interventi assoggettati a permesso di costruire, esposti alla reazione del terzo per il solo termine di sessanta giorni previsto, a pena di decadenza, per l’impugnazione del titolo edilizio espresso.

La disposizione censurata, ancora, violerebbe i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., poiché l’amministrazione sarebbe costretta a verificare i presupposti dell’attività segnalata anche qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dal deposito della SCIA e nonostante abbia già esercitato il controllo d’ufficio, così aggravandosi l’attività amministrativa; perché la possibilità incondizionata di rivalutare, anche a notevole distanza di tempo, l’assetto di interessi già definito aumenterebbe il rischio di decisioni amministrative contraddittorie; e perché l’incertezza normativa sull’esistenza di un termine e sul dies a quo della sua decorrenza − e quindi sull’obbligo dell’amministrazione di attivarsi a fronte dell’istanza del terzo − inciderebbe sull’efficienza dell’attività amministrativa.

Il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., infine, sarebbe violato anche «in relazione» all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., perché la mancata previsione del termine si tradurrebbe in una violazione degli standard minimi, che il legislatore statale deve assicurare nella normazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; perché darebbe luogo a una disciplina contraddittoria che, da un lato, incentiva la semplificazione e la liberalizzazione delle attività amministrative e, dall’altro, espone chi si avvale della SCIA al rischio permanente di vedere travolta, su iniziativa del terzo, l’attività segnalata; e perché tradirebbe «l’esigenza di uniformità normativa che caratterizza l’istituto», aprendo «la strada a discipline territoriali eterogenee […] con conseguente disomogeneità degli standards di tutela».

3.− La parte privata P. M., ricorrente nel giudizio a quo, ha sollevato una prima eccezione di inammissibilità delle questioni per la natura ancipite del petitum, che oscillerebbe tra la richiesta dell’addizione di un termine e la caducazione della disposizione censurata.

3.1.− L’eccezione non è fondata.

È vero che nell’ordinanza di rimessione si afferma che una eventuale pronuncia di accoglimento di questa Corte avrebbe sicuri effetti sul giudizio a quo, sia nell’ipotesi di sentenza additiva che fornisca il parametro temporale sulla cui base verificare la tardività della sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri inibitori della pubblica amministrazione, sia nell’ipotesi di declaratoria «pura» di illegittimità costituzionale del censurato art. 19, comma 6-ter (ipotesi, questa, che, nelle more dell’intervento del legislatore, secondo il TAR Toscana, renderebbe necessario applicare il diritto vivente formatosi anteriormente all’introduzione della norma censurata con la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 luglio 2011, n. 15).

In tutti gli altri passaggi della motivazione, tuttavia, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma censurata, esclusivamente nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica della PA: l’intera ordinanza è cioè costruita in senso additivo.

4.− La seconda eccezione d’inammissibilità sollevata dalla parte privata riguarda anch’essa la natura del petitum, che si risolverebbe nella richiesta di un intervento additivo priva dell’indicazione dell’unica soluzione costituzionalmente obbligata, in violazione dell’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), che impedisce a questa Corte il sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento.

4.1.− Anche questa eccezione non è fondata.

La fissazione di un termine entro cui il terzo controinteressato può attivare i poteri di verifica dell’amministrazione implica, in effetti, una scelta tra diverse soluzioni, come è reso evidente dalla molteplicità delle tesi sostenute in dottrina e in giurisprudenza e illustrate dal rimettente, soluzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore nella configurazione degli istituti processuali e nella fissazione di termini di decadenza o prescrizione o di altre disposizioni condizionanti l’azione (ex plurimis, sentenze n. 6 del 2018, n. 94 del 2017 e n. 155 del 2014).

Il giudice a quo, tuttavia, consapevole della difficoltà di individuare una soluzione a rime obbligate, a fronte della ritenuta omissione legislativa, correttamente ha invocato una pronuncia additiva di principio, che – come è noto – è utilizzata da questa Corte proprio al fine di non invadere la sfera riservata al legislatore e, nelle more del suo intervento, di fornire al giudice comune uno strumento duttile per rinvenire una soluzione del caso concreto conforme a Costituzione.

5.− Con la terza eccezione la parte privata lamenta l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, poiché il TAR Toscana si sarebbe limitato a sostenere di dovere fare applicazione della norma censurata, senza che «i parametri costituzionali invocati risultino […] in concreto violati»: il rimettente, cioè, avrebbe sollevato una questione del tutto «ipotetica ed eventuale», fermandosi ad un esame di principio o «estetico» del quadro normativo di riferimento.

In particolare, quanto alla violazione del principio dell’affidamento, il Tribunale non avrebbe considerato che i lavori intrapresi dal segnalante erano stati immediatamente sospesi e tali erano rimasti; e, quanto alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., il Comune resistente nel giudizio a quo non avrebbe lamentato alcun aggravio della sua attività amministrativa, limitandosi ad affermare l’assenza dell’obbligo di rispondere all’istanza della ricorrente.

5.1.− Anche questa eccezione è infondata.

Il TAR Toscana, con motivazione non solo plausibile ma anche corretta, ha osservato che, per decidere sull’eccezione di tardività sollevata dall’amministrazione e dal controinteressato, deve fare applicazione della norma censurata, che, secondo la ricostruzione fatta propria dal rimettente, consentirebbe al terzo di sollecitare in ogni tempo le verifiche spettanti alla PA sull’attività oggetto di SCIA (nel caso di specie, la prima sollecitazione è stata presentata dopo due anni ed undici mesi circa dal deposito della segnalazione e l’ultima dopo tre anni e nove mesi circa).

Tanto basta a fondare la rilevanza della questione (tra le più recenti, sentenze n. 236 e n. 225 del 2018; ordinanze n. 184 e n. 171 del 2017), contrariamente a quanto affermato dalla parte privata.

6.− Nel merito, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale è il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3», dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).

Nulla dice la disposizione circa il termine entro cui va fatta la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.

Tale carenza, secondo il giudice a quo, non sarebbe colmabile in via interpretativa, come si desumerebbe dall’erroneità di tutte le tesi avanzate in proposito, e ciò esporrebbe la norma a dubbi di legittimità costituzionale.

7.− Certamente non sbaglia il TAR Toscana a ritenere che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell’affidamento del segnalante (sentenza n. 49 del 2016).

Non può invece condividersi la tesi del rimettente, secondo cui tali poteri sarebbero “altri” rispetto a quelli previsti dai commi precedenti e sempre vincolati, cosicché non sarebbe possibile mutuarne la disciplina.

7.1.− Come è noto, l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede che all’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione si accompagnino successivi poteri di controllo dell’amministrazione, più volte rimodulati, da ultimo dall’art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

In particolare, il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi, «[q]ualora sia possibile»; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili «in presenza delle condizioni» previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990.

Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.

Il comma 6-bis dell’art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, «restano […] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».

8.− Ebbene, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.

8.1.− A tale conclusione si perviene anzitutto sulla base del dato testuale: la locuzione «verifiche spettanti all’amministrazione» lascia chiaramente intendere che la norma rinvia a poteri già previsti.

8.2.− Questa piana lettura testuale trova conferma, da una parte, nella genesi della disposizione censurata e, dall’altra, nella evoluzione del quadro normativo di riferimento.

Quanto al primo profilo, il comma 6-ter è stato introdotto dall’art. 6, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, in aperta dialettica con la nota sentenza n. 15 del 2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento. Il riferimento alle «verifiche spettanti all’amministrazione», dunque, non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale alla sollecitazione da parte del terzo.

Quanto al secondo profilo, la diversa opzione ermeneutica seguita dal giudice a quo darebbe luogo ad una evidente incongruenza del sistema, per come si è evoluto a seguito della introduzione − ad opera della legge n. 124 del 2015 − del termine di esercizio dell’autotutela nell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, termine reso applicabile anche ai poteri di controllo sulla SCIA dall’art. 19, comma 4, della stessa legge: si avrebbe qui, infatti, un potere sempre vincolato, e quindi più incisivo, e purtuttavia temporalmente illimitato.

Più in generale, il riconoscimento di un potere “in bianco” nel comma 6-ter sarebbe in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità che caratterizza, qualifica e limita tutti i poteri amministrativi, principio che, com’è noto, ha fondamento costituzionale (artt. 23, 97, 103 e 113 Cost.) e va letto non solo in senso formale, come necessità di una previsione espressa del potere, ma anche in senso sostanziale, come determinazione del suo ambito, e cioè dei fini, del contenuto e delle modalità del suo esercizio (sentenze n. 115 del 2011, n. 32 del 2009, n. 307 del 2003 e n. 150 del 1982).

8.3.− Non meno evidente, infine, è l’incompatibilità della lettura proposta con l’istituto della SCIA, per come conformato dalla sua storia normativa e giurisprudenziale.

Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi.

Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere.

9.− Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies).

Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.

10.− Questa conclusione, che, oltre che piana, è necessitata, non può essere messa in discussione dal timore del rimettente che ne derivi un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo.

10.1.− Il problema indubbiamente esiste, ma trascende la norma impugnata.

Esso va affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo.

In particolare, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis. Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).

Al di là delle modalità di tutela dell’interesse legittimo, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica.

Tutto ciò, peraltro, non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

11.− Così ricostruita la portata della norma censurata, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Toscana non sono fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 11, 97, 117, primo comma – quest’ultimo in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993 – e secondo comma, lettera m), della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2019.