Sentenza n. 175 del 2018

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SENTENZA N. 175

ANNO 2018

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                       Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                            Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                             

-      Mario Rosario             MORELLI                                                

-      Giancarlo                    CORAGGIO                                            

-      Silvana                        SCIARRA                                                

-      Daria                           de PRETIS                                               

-      Nicolò                         ZANON                                                   

-      Augusto Antonio       BARBERA                                              

-      Giulio                         PROSPERETTI                                        

-      Giovanni                     AMOROSO                                              

-      Francesco                    VIGANÒ                                                  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 12 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) e dall’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel procedimento vertente tra Maria Roggi e Equitalia Nord spa-agente della riscossione per la Provincia di Milano e altri, con ordinanza del 22 novembre 2016, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di Equitalia servizi di riscossione spa, quale società incorporante di Equitalia Nord spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato Alfonso Papa Malatesta per l’Agenzia delle entrate-Riscossione per i contribuenti e gli enti creditori, subentrata ex lege ad Equitalia servizi di riscossione spa, società incorporante di Equitalia Nord spa, e l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 22 novembre 2016 (reg. ord. n. 59 del 2017), la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 12 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) e dall’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), in riferimento agli artt. 3, primo comma; 24, primo e secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, «nella parte in cui abilita il Concessionario della Riscossione alla notificazione diretta, senza intermediario, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, della cartella di pagamento» nonché «nella parte in cui non prevede che la notifica di cartella di pagamento tramite il servizio postale avvenga con l’osservanza dell’art. 7 legge n. 890/82, così come modificato con la legge n. 31 del 2008 di conversione del decreto-legge n. 248/2007».

La CTR rimettente riferisce di dover decidere sull’appello promosso da una contribuente avverso la sentenza di primo grado con cui la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva dichiarato inammissibile il ricorso avente ad oggetto un preavviso di fermo amministrativo di autovettura e tre cartelle esattoriali, con relativi provvedimenti impositivi, inerenti a tasse e tributi locali della cui esistenza la contribuente asseriva di aver appreso solo con la ricezione dell’impugnato preavviso. Nella specie la notificazione delle cartelle, così come denunciato dall’appellante, era stata effettuata direttamente dal concessionario per la riscossione a mezzo di invio di raccomandata con avviso di ricevimento, senza seguire le procedure previste dall’art. 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari).

Evidenziate le differenze tra la procedura seguita nel caso in esame e le regole stabilite dall’art. 149 del codice di procedura civile, la CTR richiama il testo dell’art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973 e menziona il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui è valida la notificazione "diretta” della cartella ad opera dell’agente della riscossione mediante il servizio postale, in quanto la seconda parte del primo comma dell’art. 26 d.P.R. n. 602 del 1973 prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso e all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella prevista dalla prima parte della medesima disposizione, di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati.

Muovendo da questa interpretazione, che ha acquisito i connotati del "diritto vivente”, la CTR rimettente deduce innanzi tutto la irragionevolezza di una regola che abilita un soggetto privato, nella specie il concessionario (poi agente) per la riscossione, all’esercizio di una funzione pubblicistica, qual è la notificazione. E infatti, mentre per i soggetti pubblici l’ordinamento contempla ipotesi di notificazione "diretta” (artt. 12 e 14 legge n. 890 del 1982), per i soggetti privati tale facoltà è concessa eccezionalmente e solo per specifici atti, per lo più di natura processuale (come nel caso delle notificazioni effettuate dagli avvocati). Dunque, non sarebbe «costituzionalmente compatibile con gli articoli 24 e 111 della Costituzione un potere notificatorio di tale ampiezza, sganciato da oneri di osservanza di qualsivoglia efficace formalità, esercitato da parte di un soggetto privato».

La CTR pone poi in rilievo che la mancanza di intermediario può comportare seri pregiudizi anche all’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e alla regola di «parità delle armi» (art. 111 Cost.). Infatti, nonostante la cartella (per la duplice natura di comunicazione dell’estratto di ruolo e di intimazione ad adempiere) abbia la stessa importanza del titolo esecutivo e dell’atto di precetto nel rito ordinario, il concessionario non ha oneri né di relata di notifica, né di assolvimento di particolari formalità nella predisposizione e consegna al servizio postale − che compie direttamente – dell’atto o degli atti (ove plurimi) inseriti dal mittente medesimo nel plico chiuso da inviare al destinatario.

Infine, la CTR lamenta la diminuzione della tutela del notificatario derivante dal fatto che il recapito del plico, essendo regolato dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario, non richiede l’osservanza dell’art. 7 della legge n. 890 del 1982; manca in particolare la comunicazione di avvenuta notifica ove il plico sia stato consegnato al portiere, come nel caso di specie.

In sintesi, le formalità eccessivamente semplificate non sarebbero giustificabili né compatibili con l’attuale generale assetto ordinamentale delle notificazioni.

2.– Con atto depositato il 23 maggio 2017, si è costituita in giudizio Equitalia servizi di riscossione spa, quale società incorporante di Equitalia Nord spa, domandando che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, nel merito, infondate.

Preliminarmente Equitalia spa rileva che le questioni sono state formulate in modo ancipite, in quanto il giudice a quo ha domandato sia l’eliminazione, con pronuncia ablativa, della notificazione "diretta”, sia il mantenimento della stessa con l’aggiunta, attraverso una pronuncia additiva, delle tutele previste dall’art. 7 della legge n. 890 del 1982.

La parte, poi, osserva che la CTR − nel ravvisare l’irragionevolezza della disposizione nella parte in cui abilita un soggetto privato, nella specie il concessionario per la riscossione, all’esercizio di una funzione pubblicistica, qual è l’attività di notificazione − ha fondato il proprio ragionamento su un presupposto errato. Infatti, già prima della riforma del sistema nazionale della riscossione effettuata ad opera dell’art. 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, era assolutamente pacifica l’attribuzione ai concessionari della riscossione della qualifica di organi indiretti della Pubblica Amministrazione, cui veniva delegato l’esercizio di poteri pubblicistici funzionali alla riscossione delle entrate pubbliche.

La scelta del legislatore sarebbe frutto di un bilanciamento tra contrapposti interessi pubblici: da un lato l’interesse volto a garantire la conoscibilità degli atti da parte dei destinatari; dall’altro l’interesse ad una riscossione efficiente e rapida. Si tratterebbe di una valutazione compiuta, peraltro, tenendo conto dell’elevatissimo numero di atti che Equitalia servizi di riscossione spa è tenuta a notificare (circa venti milioni l’anno).

Quanto all’asserito contrasto della disposizione impugnata con l’art. 111 Cost. sotto il profilo della violazione della regola di «parità delle armi», la parte reputa la censura inammissibile, oltre che infondata nel merito, in quanto la CTR rimettente non solo non ne ha esplicitato le ragioni, ma non ha nemmeno considerato che l’art. 111 Cost., tutelando il principio del giusto processo, non può essere invocato con riferimento alla notifica, procedura che si colloca in un momento antecedente al giudizio.

Per ciò che attiene alla lamentata violazione dell’art. 24 Cost., ravvisata nella mancata previsione nell’ambito della notificazione "diretta” dell’accertamento da parte del pubblico ufficiale circa la conformità tra atto consegnato e atto emesso, Equitalia spa contesta la stessa configurabilità della discrasia, evidenziando che il plico notificato contiene l’atto originale, unico documento emesso dall’esattore.

3.– Con atto depositato il 23 maggio 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque, manifestamente infondate.

Preliminarmente, sotto il profilo soggettivo, la difesa dell’interveniente sostiene che le questioni, oltre che irrilevanti, siano inammissibili, in quanto fondate sull’errato presupposto che la disposizione impugnata abiliti un soggetto privato all’esercizio di una funzione pubblica. In realtà, l’attività di riscossione è demandata all’Agenzia delle entrate ed è stata svolta dapprima per il tramite di Equitalia spa e poi, a decorrere dal 1° luglio 2017, dall’Agenzia delle entrate-Riscossione per i contribuenti e gli enti creditori, ente pubblico economico sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’economia e delle finanze.

Sotto il profilo oggettivo, l’Avvocatura generale evidenzia che la censura relativa alla mancanza di garanzie circa la conformità tra atto notificato e originale è priva di fondamento poiché l’atto originale è contenuto nel plico notificato. Oltre tutto, l’esigenza dell’attestazione di conformità insorge solo quando nel procedimento interviene l’ufficiale giudiziario che riceve dal mittente copia dell’atto da consegnare e non in caso di notificazione "diretta”. Inoltre, la censura riferita all’omessa previsione di un ordine dei soggetti consegnatari sarebbe infondata, in quanto l’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, pur discostandosi da quanto stabilito dall’art. 7 della legge n. 890 del 1982, indica comunque un ordine di priorità.

4.– Con memoria depositata il 30 maggio 2018, l’Agenzia delle entrate-Riscossione per i contribuenti e gli enti creditori, subentrata ex lege ad Equitalia servizi di riscossione spa, ha ribadito le difese da questa precedentemente svolte.

5.– Con memoria depositata il 30 maggio 2018, l’Avvocatura generale ha parimenti confermato le proprie difese, ponendo ancora in rilievo la natura pubblica del soggetto incaricato della riscossione e sottolineando che la peculiarità dell’attività svolta da quest’ultimo giustifica, alla luce di un bilanciamento di interessi, la scelta operata dal legislatore nel predisporre uno strumento semplificato per il perfezionamento della notifica.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 22 novembre 2016 (reg. ord. n. 59 del 2017), la Commissione tributaria regionale (di seguito: CTR) della Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 12 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) e dall’art. 1, lettera c), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), in riferimento agli artt. 3, primo comma; 24, primo e secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, «nella parte in cui abilita il Concessionario della Riscossione alla notificazione diretta, senza intermediario, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, della cartella di pagamento» nonché «nella parte in cui non prevede che la notifica di cartella di pagamento tramite il servizio postale avvenga con l’osservanza dell’art. 7 legge n. 890/82, così come modificato con la legge n. 31 del 2008 di conversione del decreto-legge n. 248/2007».

Il primo comma della disposizione censurata, rubricata «Notificazione della cartella di pagamento», così dispone (nel testo vigente alla data dell’ordinanza di rimessione): «La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda».

La CTR rimettente sottolinea la «assoluta anomalia» dell’avere il legislatore abilitato un soggetto di diritto privato − l’agente della riscossione (nella specie Equitalia Nord spa) − ad esercitare una funzione eminentemente pubblicistica, quale è quella dell’esercizio delle funzioni di notificazione diretta delle cartelle di pagamento, tipici atti di natura tributaria. La mancanza di alcun intermediario nella notificazione comporterebbe – secondo la CTR − «seri pregiudizi» all’esercizio del diritto di difesa (art. 24, primo e secondo comma, Cost.) e alla regola di «parità delle armi» congiuntamente al canone del giusto processo (art. 111, primo e secondo comma, Cost.) e ridonderebbe in un «anacronistico» ed «ingiustificabile privilegio» (art. 3, primo comma, Cost.). In particolare, le regole di recapito della cartella di pagamento, in quanto semplificate, determinerebbero una diminuzione di tutela per il notificatario sotto più profili: non è richiesta la relata di notifica; non è rispettato l’ordine preferenziale nella consegna del plico, prescritto dall’art. 7, secondo e terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari); non è previsto l’obbligo dell’invio della raccomandata informativa dell’avvenuta notifica nel caso, come nella specie, di avvenuta consegna del plico al portiere.

2.– La parte costituita e l’Avvocatura generale dello Stato hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità delle questioni di costituzionalità perché formulate in modo alternativo ed ancipite.

L’eccezione è infondata.

Il dispositivo dell’ordinanza di rimessione, che indica come disposizione indubbiata unicamente l’art. 26, primo comma, citato, presenta però un duplice capo perché la censura è mossa: a) nella parte in cui tale disposizione abilita il concessionario della riscossione alla notificazione diretta, senza intermediario, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, della cartella di pagamento; b) nella parte in cui non prevede che la notifica della cartella di pagamento tramite il servizio postale avvenga con l’osservanza dell’art. 7 legge n. 890 del 1982, così come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31.

Se anche, in generale, l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure, questa Corte ritiene però inammissibili le questioni sollevate con una formulazione contraddittoria ed ambigua o con una conclusione ancipite (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2016 e n. 248 del 2014; ordinanza n. 221 del 2017). Tale sarebbe, in ipotesi, la prospettazione alternativa di una censura diretta, al contempo, ad ampliare o a restringere il campo di applicazione della disposizione indubbiata. L’alternatività irrisolta della prospettazione della questione non consentirebbe a questa Corte di identificare il verso della censura e ridonderebbe nella sua inammissibilità.

Ma ben può, invece, il giudice rimettente prospettare in termini gradatamente sequenziali, e quindi subordinati, i possibili esiti dello scrutinio di costituzionalità pur senza una formale e testuale qualificazione di ciascuna conclusione rispettivamente come «principale» e «subordinata» (sentenze n. 127 del 2017 e n. 280 del 2011).

Ed è ciò che ha fatto la CTR rimettente che ha ipotizzato, in via principale, la radicale caducazione della notificazione diretta ad opera del concessionario, poi agente della riscossione, e, in via subordinata, la sua (asserita) reductio ad legitimitatem con l’innesto delle prescrizioni previste per l’ordinaria notifica a mezzo del servizio postale dall’art. 7 legge n. 890 del 1982.

3.– Le questioni sono ammissibili anche sotto il profilo della loro rilevanza.

La CTR della Lombardia è chiamata a decidere l’appello proposto da una contribuente che si era vista dichiarare inammissibile, in primo grado, il suo ricorso cumulativo con cui aveva impugnato, oltre al preavviso di fermo amministrativo (atto ritenuto non impugnabile dalla commissione tributaria provinciale, giudice di primo grado), anche tre cartelle di pagamento poste a fondamento di tale misura cautelare.

La nullità della notifica delle cartelle di pagamento, dedotta dall’appellante, inciderebbe, in particolare, sulla decorrenza del termine per l’impugnazione delle cartelle stesse. Nella specie, dall’ordinanza di rimessione risulta che l’appellante non si è limitata a censurare la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha ritenuto valide le notifiche "dirette” delle cartelle di pagamento (ai sensi dell’art. 26, primo comma, censurato) – ciò che avrebbe altrimenti fatto dubitare della rilevanza dell’incidente di costituzionalità in ragione della possibile inammissibilità di una censura in ipotesi non estesa anche al merito della legittimità delle cartelle di pagamento − ma, sul presupposto dell’allegata nullità di tali notifiche, ha sostenuto la tempestività dell’impugnazione delle cartelle stesse deducendo, tra l’altro, la decadenza del potere impositivo e comunque la prescrizione del credito tributario.

Sussiste quindi la rilevanza della questione incidentale di costituzionalità perché la parte appellante sostiene la illegittimità della notificazione delle cartelle di pagamento eseguita secondo la disciplina della corrispondenza ordinaria in plico raccomandato (nella specie, con consegna dello stesso al portiere), come la disposizione censurata facoltizza il concessionario, poi agente della riscossione, a fare; disposizione che quindi la CTR è chiamata ad applicare e della cui legittimità costituzionale dubita nella parte in cui le modalità semplificate di tale forma di notificazione sarebbero in contrasto con gli evocati parametri.

Non rileva invece, sul piano del sindacato di legittimità costituzionale della disposizione, la circostanza di fatto – menzionata nell’ordinanza di rimessione − della dedotta illeggibilità della firma del portiere, apposta sull’avviso di ricevimento del plico, costituendo questo, invece, un ordinario profilo di legittimità, o no, della notifica, prospettato dalla parte appellante come motivo di impugnazione per violazione di legge.

4.– Nel merito le questioni non sono fondate.

5.– La disposizione censurata (art. 26, primo comma, citato) prevede una disciplina specifica della notifica delle cartelle di pagamento, che – estesa (dal successivo art. 49) anche alla notifica di tutti gli atti dell’espropriazione forzata − è speciale rispetto a quella dettata dall’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), per gli avvisi di accertamento ed altri atti di natura tributaria indirizzati al contribuente. Sia l’art. 26 del d.P.R. n. 602 che l’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 sono fatti espressamente salvi dall’art. 14 della legge n. 890 del 1982 che, con riferimento all’utilizzo, nella materia tributaria, del servizio postale (in generale consentito dall’art. 149 del codice di procedura civile), detta prescrizioni specifiche per la notificazione degli «atti che per legge devono essere notificati al contribuente».

Il reticolo normativo delle regole che governano la notificazione degli atti in materia tributaria risulta complesso e stratificato, anche diacronicamente. La stessa disposizione censurata, introdotta dal d.P.R. n. 602 del 1973 per la notifica delle cartelle di pagamento, è stata modificata più volte ed in particolare, per quanto qui rileva, in occasione del riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, dapprima dall’art. 12 del d.lgs. n. 46 del 1999, ed in seguito dall’art. 1, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 193 del 2001.

Nella sua originaria formulazione, il primo comma dell’art. 26 censurato aveva un duplice contenuto normativo. Stabiliva da una parte chi era legittimato alla notifica delle cartelle di pagamento (i messi notificatori dell’esattoria, gli ufficiali esattoriali, gli ufficiali giudiziari, i messi comunali e i messi di conciliazione). D’altra parte introduceva una speciale forma di notificazione "diretta” prevedendo che essa poteva essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Questa parte della disposizione si saldava con quello che era l’originario comma successivo, in tal modo prevedendosi altresì che la notificazione si aveva per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone legittimate a ricevere l’atto: destinatario o persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda. Siffatta notificazione "diretta” era altresì "semplificata”, nel senso che trovavano applicazione le disposizioni ordinarie del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni» (d’ora in avanti: codice postale), e non già quelle della citata legge n. 890 del 1982 sulla notificazione a mezzo del servizio postale.

Peraltro, nella materia tributaria una forma di notificazione "diretta”, senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario, era – ed è tuttora – prevista in generale dal citato art. 14 legge n. 890 del 1982, secondo cui la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi anche a mezzo del servizio postale «direttamente dagli uffici finanziari».

In particolare, quindi, per le cartelle di pagamento si aveva che, in forza dell’art. 26, primo comma, l’esattore aveva a disposizione, oltre alle forme ordinarie per il tramite di un intermediario (quale innanzi tutto l’ufficiale giudiziario), anche uno strumento agile per la loro notificazione: l’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento e con consegna, da parte dell’agente postale, vuoi direttamente al destinatario (raggiungendo così il risultato della conoscenza effettiva dell’atto), vuoi a soggetti il cui rapporto (familiare, di lavoro, di collaborazione) con il destinatario fosse tale da fondare una ragionevole presunzione di consegna dell’atto a quest’ultimo, realizzando in tal modo la conoscenza legale dell’atto, stante – secondo la giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 29 luglio 2016, n. 15795) – il generale canone di presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 del codice civile.

Questa modalità di notificazione "diretta” delle cartelle di pagamento (e degli atti dell’espropriazione forzata) per lungo tempo non ha dato luogo, per i giudici che si sono trovati ad applicare la disposizione che la prevedeva, a dubbi di legittimità costituzionale.

6.– L’art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973, pur conservando la stessa struttura nel suo contenuto essenziale, muta in occasione del riordino della riscossione mediante ruolo e viene riformulata nel testo di cui è chiamata a fare applicazione la CTR rimettente. Da una parte, viene aggiornato il catalogo dei soggetti abilitati a procedere alla notifica delle cartelle di pagamento nelle forme ordinarie: ufficiali della riscossione o altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge, messi comunali, agenti della polizia municipale. Dall’altra parte, è ribadita − nel secondo periodo, che è quello specificamente attinto dalle censure mosse dalla CTR rimettente − la facoltà della notificazione "diretta” senza intermediazione dei menzionati soggetti abilitati alla notifica; si precisa, inoltre, che la notifica della cartella di pagamento deve avvenire in plico chiuso e, altresì, viene aggiunto, tra i possibili consegnatari del plico, il portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda del contribuente. Ma soprattutto non viene ripetuto testualmente che la facoltà della notificazione "diretta” è attribuita al concessionario (poi agente) della riscossione, diversamente da quanto prevedeva l’originario primo comma dell’art. 26 citato, che invece espressamente riferiva tale facoltà all’esattore. Sicché, la giurisprudenza, soprattutto, si è interrogata se tale possibilità di notificazione "diretta” permanesse, come in passato, o invece dovesse ritenersi riservata agli stessi soggetti abilitati alla notificazione secondo l’indicazione del parimenti novellato primo periodo dell’art. 26.

La questione ha poi assunto maggiore rilievo ed importanza dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 280 del 2005) dell’art. 25 d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dal d.lgs n. 193 del 2001, nella parte in cui non prevedeva un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario dovesse notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte; sicché, dalla legittimità, o no, della notifica "diretta” ad opera del concessionario (poi agente) della riscossione dipendeva la stessa facoltà dell’amministrazione finanziaria di agire in executivis.

Per lungo tempo i dubbi interpretativi hanno visto divisa la giurisprudenza di merito, ma alla fine, in epoca peraltro relativamente recente (ex plurimis, Corte di Cassazione, sezione quinta civile, ordinanza 13 luglio 2017, n. 17248), sono stati risolti da un costante e ripetuto orientamento della giurisprudenza di legittimità, di cui dà conto l’ordinanza di rimessione. Si è riconosciuto, in linea di continuità con quanto in passato ritenuto nella vigenza dell’originario primo comma dell’art. 26 citato, che la notificazione "diretta”, anche dopo la riforma della riscossione coattiva, continua ad essere una facoltà del concessionario, poi divenuto agente, della riscossione.

Occorre, quindi, muovere da questo presupposto interpretativo, radicato ormai in una situazione di diritto vivente, come riconosce la stessa ordinanza di rimessione. Del resto, questo approdo interpretativo della giurisprudenza di legittimità appare più coerente con il riordino (d.lgs. n. 46 del 1999) e poi con la riforma della riscossione coattiva ex art. 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, che hanno accentuato il ruolo pubblicistico dell’agente della riscossione, ben più di quello che in passato aveva l’esattore, avvicinandolo all’attività di amministrazione diretta degli uffici finanziari.

7.– Tutto ciò premesso in ordine al presupposto interpretativo e al quadro normativo di riferimento, venendo ora alle censure di incostituzionalità mosse dalla CTR rimettente alla disposizione indubbiata, è innanzi tutto non fondata quella consistente nella denunciata mancanza di giustificazione (ex art. 3, primo comma, Cost.) del regime differenziato della notificazione "diretta”, quale asserito privilegio in favore dell’agente della riscossione.

La disciplina speciale recata dalla disposizione censurata, per cui attualmente l’agente per la riscossione può procedere alla notificazione diretta ex art. 26, primo comma, delle cartelle di pagamento, come per anni ha fatto l’esattore, trova, ancor più che in passato, giustificazione nella natura sostanzialmente pubblicistica della posizione e dell’attività del primo, il quale, secondo l’espressa previsione dell’art. 24 del d.P.R. n. 602 del 1973, è depositario del ruolo formato dall’amministrazione finanziaria e, per conto di quest’ultima, procede per legge alla riscossione coattiva. Si tratta, quindi, di un organo indiretto dell’amministrazione finanziaria, cui è delegato l’esercizio di poteri pubblicistici funzionali alla riscossione delle entrate pubbliche. Ciò è tanto più vero a seguito dell’istituzione del sistema nazionale della riscossione, secondo la previsione dell’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, con l’attribuzione delle relative funzioni all’Agenzia delle entrate che le ha esercitate, fino ad epoca recente, mediante una società a capitale interamente pubblico (Riscossione spa, poi divenuta Equitalia spa). Le società facenti parte del gruppo Equitalia sono, quindi, soggetti pubblici, ancorché aventi la struttura privatistica della società per azioni, tant’è che, coerentemente, risultano inserite nell’elenco delle amministrazioni centrali del cosiddetto "conto economico consolidato”, predisposto in attuazione dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).

Dal 1º luglio 2017 le società del gruppo Equitalia sono state sciolte – in forza del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1º dicembre 2016, n. 225 – e l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione è ora demandato all’Agenzia delle entrate-Riscossione per i contribuenti e gli enti creditori, nuovo ente pubblico economico strumentale dell’Agenzia delle Entrate; ente che ha connotazioni ancora più marcatamente pubblicistiche.

Questa Corte ha più volte evidenziato come il regime differenziato della riscossione coattiva delle imposte risponde all’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare con regolarità le risorse necessarie alla finanza pubblica, affermando che «la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (sentenze n. 90 del 2018 e n. 281 del 2011). In questo contesto, l’agente per la riscossione svolge una funzione pubblicistica finalizzata al raggiungimento di questo scopo. È questa particolare funzione svolta dall’agente per la riscossione a giustificare un regime differenziato, qual è la censurata previsione della speciale facoltà del medesimo di avvalersi della notificazione "diretta” delle cartelle di pagamento.

Deve, quindi, ritenersi non fondata, sotto questo primo profilo, la sollevata questione di legittimità costituzionale della disposizione censurata, in riferimento essenzialmente all’art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui facoltizza l’agente della riscossione alla notifica "diretta” delle cartelle esattoriali.

8.– Parimenti non fondate – ma con una puntualizzazione in chiave di interpretazione adeguatrice di cui si dirà oltre − sono le censure che riguardano la denunciata diminuzione di garanzie per il soggetto notificatario quando l’agente per la riscossione procede alla notifica "diretta” delle cartelle di pagamento, senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario (o di altro soggetto abilitato) e nel rispetto delle prescrizioni del codice postale, piuttosto che alla notifica ordinaria a mezzo del servizio postale.

Anche se, come pone in rilievo la CTR rimettente, la semplificazione insita nella notificazione diretta comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della legge n. 890 del 1982, non di meno – per quanto si viene ora a rilevare – è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi dell’art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973.

9.– Un primo tratto della semplificazione che connota la notificazione "diretta” consiste nella mancanza della relazione di notificazione di cui agli artt. 148 cod. proc. civ. e 3 legge n. 890 del 1982, relazione deputata ad attestare i dati significativi dell’avvenuta notificazione. Però, d’altro canto, nella forma della notificazione "diretta” ex art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973 c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo; plico recante, di norma, l’originale della cartella di pagamento, estratta dal ruolo formato da parte dell’amministrazione finanziaria e consegnato all’agente della riscossione per essere notificato al contribuente quale atto di avvio del procedimento di riscossione coattiva, assimilabile all’atto di precetto nell’ordinaria esecuzione forzata. La notifica – come prescrive l’art. 26 nella formulazione del 1999 – è effettuata in plico chiuso e rilevano le disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati. Prescrive l’art. 8 del d.P.R. 29 maggio 1982, n. 655, recante «Approvazione del regolamento di esecuzione dei libri I e II del codice postale e delle telecomunicazioni (norme generali e servizi delle corrispondenze e dei pacchi)» che l’agente postale, il quale consegna il plico con avviso di ricevimento, fa firmare quest’ultimo dal destinatario; se il destinatario rifiuta di firmare, è sufficiente, ai fini della prova dell’avvenuta consegna, che l’agente postale apponga sull’avviso stesso la relativa dichiarazione. L’avviso di ricevimento, così completato, viene rispedito subito all’interessato. Analogamente dispone l’art. 33 del decreto del Ministro delle comunicazioni 15 febbraio 2006, n. 134 (Modifiche ed integrazioni al regolamento recante disposizioni in materia di autorizzazioni generali nel settore postale, adottato con decreto del Ministro delle comunicazioni 4 febbraio 2000, n. 75), che prevede la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento da parte del destinatario del plico.

Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, alle indicazioni contenute nell’avviso di ricevimento non può essere riconosciuta fede privilegiata, nella parte non riconducibile all’agente postale, posto che l’art. 6 d.P.R. n. 655 del 1982 prescrive che gli avvisi di ricevimento, di cui all’art. 37 codice postale, sono predisposti dagli interessati. Tuttavia l’avviso di ricevimento è avviato all’indirizzo del destinatario insieme all’oggetto cui si riferisce (art. 7 d.P.R. n. 655 del 1982) e l’agente postale, che consegna il plico, fa firmare l’avviso di ricevimento al destinatario o al consegnatario (art. 8, primo comma, del suddetto d.P.R.), provvedendo a spedire subito all’interessato la ricevuta così completata (art. 8, secondo comma, dello stesso d.P.R.). Tale formalità comporta che le indicazioni dell’avviso, ritualmente prodotto agli atti del giudizio tributario, debbano essere valutate sul piano presuntivo, al fine dell’assolvimento dell’onere della prova della ricezione del plico e della presunzione di conoscenza ex art. 1335 cod. civ.

A seguito della più recente modifica introdotta dall’art. 19-octies, comma 2, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2017, n. 172 – l’art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973 ora stabilisce, nel suo primo periodo, che quando ai fini del perfezionamento della notifica sono necessarie più formalità, le stesse possono essere compiute, in un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, e va distintamente certificata l’attività svolta mediante relazione datata e sottoscritta. Tale modifica ha in sostanza un valore confermativo, perché viene espressamente prevista la relazione di notifica solo nel primo periodo, con riferimento ai soggetti legittimati ad eseguire la notificazione in via ordinaria, e non già nel secondo periodo, che riguarda la notificazione diretta ad iniziativa dell’agente della riscossione, rimasta invariata.

Vi è poi che per la consegna del plico l’operatore postale segue l’ordine previsto dal decreto del Ministero delle comunicazioni 9 aprile 2001 (Approvazione delle condizioni generali del servizio postale), il cui art. 39 prevede che sono abilitati a ricevere gli invii di posta presso il domicilio del destinatario anche i componenti del nucleo familiare, i conviventi ed i collaboratori familiari dello stesso e, se vi è servizio di portierato, il portiere. Tale ordine, anche se non è pienamente sovrapponibile a quello dell’art. 7 della legge n. 890 del 1982, ha una fonte legale (la citata normativa subprimaria) ed assicura che il plico sarà consegnato dall’operatore postale allo stesso destinatario o a persona legittimata a riceverlo in ragione del rapporto (familiare, di lavoro o di collaborazione) che lo lega al destinatario.

10.– Ma il tratto differenziale più significativo attiene alla mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN).

L’operatore postale, dopo aver consegnato il plico e completato l’avviso di ricevimento facendolo sottoscrivere al destinatario o consegnatario dell’atto, provvede ad inviarlo all’agente della riscossione notificante, ma – come ritiene la CTR rimettente secondo un’interpretazione testuale, nonché conforme alla giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sezione quinta civile, sentenza 11 maggio 2017, n. 11619) – non spedisce al notificatario alcuna comunicazione dell’avvenuta notificazione, a differenza di quanto in generale prescritto (alla data dell’ordinanza di rimessione) dall’art. 7 legge n. 890 del 1982 per le notifiche a mezzo del servizio postale.

L’obbligo della comunicazione informativa è stato introdotto nel citato art. 7 (dopo il quinto comma) dal comma 2-quater dell’art. 36 d.l. n. 248 del 2007; disposizione questa che, in un’ottica di rafforzamento delle garanzie del notificatario, ha previsto che se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell’atto, l’agente postale dà notizia a quest’ultimo della sua avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata.

In precedenza era l’art. 139 cod. proc. civ. a prevedere – come prevede tuttora – un’ipotesi di comunicazione di avvenuta notifica, operando però una distinzione: l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione, a mezzo di lettera raccomandata, solo se l’atto sia stato consegnato al portiere o ad un vicino di casa che accetti di riceverlo, non anche se consegnato a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, sul presupposto che l’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto sia maggiore in questi ultimi casi – e quindi non bisognevole della comunicazione di avvenuta notifica – e minore nei primi, che invece richiedono l’approntamento di una garanzia ulteriore.

In termini più ampi, ma in una fattispecie ben più limitata, l’art. 660, ultimo comma, cod. proc. civ. prevede che se l’intimazione di licenza o di sfratto non è stata notificata in mani proprie, l’ufficiale giudiziario deve spedire avviso all’intimato dell’effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione. 

Nella materia tributaria, la comunicazione di avvenuta notifica continua ad essere prevista dall’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 37, comma 27, lettera a), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, che, in materia di notificazioni degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, prescrive in generale che «se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso» l’agente notificatore, oltre a svolgere una serie di formalità che condizionano l’integrazione della conoscenza legale e quindi il perfezionamento della notifica, dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso a mezzo di lettera raccomandata, rafforzando così la tutela del destinatario dell’atto.

In queste fattispecie, l’obbligo dell’invio della comunicazione di avvenuta notifica, con un contenuto più o meno esteso, vale a integrare le formalità del procedimento notificatorio e, se violato, comporta la nullità della notifica, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sezioni unite civili, ordinanza interlocutoria 31 luglio 2017, n. 18992), mentre un precedente orientamento affermava esservi solo una mera irregolarità del procedimento notificatorio.

Tale obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24, primo e secondo comma, Cost.) del destinatario dell’atto. Ma non costituisce, nella disciplina della notificazione, una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto.

Prima della ricordata novella del 2008, il citato art. 7 legge n. 890 del 1982 non contemplava affatto la comunicazione di avvenuta notifica e questa Corte, pronunciandosi in riferimento a tale disposizione nella sua formulazione originaria, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della stessa, nella parte in cui non prevedeva che, avvenuta la consegna del piego al portiere dello stabile, fosse data notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata. Ha affermato questa Corte che «non è irragionevole non prevedere l’invio di una lettera raccomandata da parte dell’ufficiale postale che ha proceduto alla consegna dell’atto al portiere in quanto tale raccomandata avrebbe le medesime caratteristiche "postali” dell’atto del quale dovrebbe dare notizia al destinatario» (ordinanza n. 131 del 2007).

Con riferimento alle cartelle di pagamento è poi stata introdotta al secondo comma dell’art. 26 d.P.R. n. 602 del 1973 la possibilità di notificazione mediante posta elettronica certificata ad opera dell’art. 38, comma 4, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, che parimenti – come la disposizione attualmente censurata − non contiene l’obbligo della comunicazione informativa.

Recentemente, il citato art. 7 legge n. 890 del 1982 è stato nuovamente riformulato dall’art. 1, comma 461, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), e non contiene più la comunicazione dell’avvenuta notificazione, evidentemente ritenuta non essenziale dal legislatore in un’ottica di semplificazione ed anche di allineamento alla notificazione mediante posta elettronica certificata, che parimenti non prevede siffatta formalità ulteriore.

Neppure la disposizione censurata (art. 26, primo comma), pur modellando la fattispecie della notificazione diretta ad iniziativa dell’agente della riscossione in termini non dissimili da quelli dell’art. 7, prevede la comunicazione dell’avvenuta notificazione al destinatario nel caso in cui il plico non sia consegnato direttamente a quest’ultimo dall’operatore postale e neppure nel caso più specifico di consegna del plico al portiere.

Anche in ciò sta la semplificazione che il legislatore ha voluto per la notificazione "diretta”, ad opera dell’agente della riscossione, delle cartelle di pagamento al fine di accelerare e snellire le operazioni della riscossione coattiva.

11.– Considerati nel loro complesso, i rilevati scostamenti della disposizione censurata rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo del servizio postale, che costituiscono il proprium della semplificazione insita nella notificazione "diretta” ex art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973 segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma non superano il limite di compatibilità con i parametri evocati dalla CTR rimettente.

Va infatti considerato che − venendo in rilievo l’ordinaria disciplina del servizio postale quanto alle ipotesi di effettiva reperibilità del destinatario dell’atto o di altro soggetto legittimato a riceverlo − la notificazione "diretta” delle cartelle di pagamento ad opera dell’agente della riscossione, della cui legittimità costituzionale la rimettente CTR dubita, costituisce una forma semplificata di notificazione, di cui è predicato il normale buon esito con la consegna del plico al destinatario o al consegnatario. A questa ipotesi si riferisce l’ordinanza di rimessione della CTR che è chiamata a pronunciarsi in ordine alla validità, o no, di una notifica "diretta” ex art. 26, primo comma, effettuata con consegna del plico al portiere, con le modalità semplificate del servizio postale ordinario ed in particolare senza comunicazione dell’avvenuta notifica.

Con riferimento, quindi, alla forma di notificazione "diretta”, con consegna del plico al destinatario o a chi sia legittimato a riceverlo, può dirsi che le modalità pur semplificate del procedimento notificatorio soddisfano il requisito – richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte − della «effettiva possibilità di conoscenza» dell’atto (sentenze n. 346 del 1998 e n. 360 del 2003). La disposizione censurata non viola i parametri evocati dalla CTR rimettente, sotto il profilo della ipotizzata violazione del diritto di azione e di difesa del notificatario (art. 24, primo e secondo comma, Cost.) e del principio della "parità delle armi” integrato dal canone del giusto processo (art. 111, primo e secondo comma, Cost.) perché non è superato quel «limite inderogabile» che la giurisprudenza di questa Corte pone alla discrezionalità che ha il legislatore nel regolare il procedimento notificatorio, in particolare prevedendo ipotesi di conoscenza legale dell’atto da notificare. Questa Corte ha infatti affermato in proposito che rientra nella discrezionalità del legislatore la conformazione degli istituti processuali e, quindi, la disciplina delle notificazioni, con il «limite inderogabile» derivante dal diritto di difesa del notificatario, al quale deve essere assicurata una «effettiva possibilità di conoscenza» dell’avvenuto deposito dell’atto. E ha, altresì, precisato che la discrezionalità del legislatore deve comunque assicurare il «fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli» (sentenza n. 346 del 1998).

Ma le ipotesi di insufficienti garanzie per il notificatario, ritenute tali da questa Corte, sono relative a prescrizioni formali del procedimento notificatorio, integranti la conoscenza legale dell’atto, senza che l’atto sia stato consegnato a chi, per ragioni varie (riferibili a rapporti familiari, di convivenza, di servizio, di lavoro), sia chiamato a notiziarne il destinatario così realizzando una ragionevole presunzione di «effettiva conoscenza» dell’atto. Tra tali ipotesi − che hanno richiesto la correzione del procedimento notificatorio mediante pronunce di illegittimità costituzionale − può ricordarsi quella della cosiddetta irreperibilità relativa (id est evenienze riconducibili a quelle previste dall’art. 140 cod. proc. civ.) sia nell’ordinario procedimento notificatorio a mezzo posta (sentenza n. 346 del 1998), sia nel regime del codice di rito ex art. 140 cod. proc. civ. (sentenza n. 3 del 2010); nonché quella della temporanea irrilevanza delle variazioni anagrafiche del contribuente (sentenza n. 360 del 2003) e quella della notificazione al contribuente residente all’estero (sentenza n. 366 del 2007).

Anche con più specifico riferimento alla notifica di cartelle di pagamento relative a debiti previdenziali secondo l’ordinario procedimento di notifica a mezzo del servizio postale ex lege n. 890 del 1982, questa Corte − nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all’attualmente vigente quarto comma) dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 − ha affermato che non è «riconducibile ad alcuna ragionevole ratio, con violazione dell’art. 3 della Costituzione» che la notificazione di una cartella di pagamento nei casi di irreperibilità relativa, previsti dall’art. 140 cod. proc. civ., possa avvenire (ex art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973) con la semplice affissione nell’albo del Comune, secondo «modalità improntate ad un criterio legale tipico di conoscenza della cartella», anziché secondo il «criterio dell’effettiva conoscibilità dell’atto» (sentenza n. 258 del 2012).

Rispetto a tali ipotesi si ha invece che, nella fattispecie della notificazione "diretta” ex art. 26, primo comma, qui in esame, vi è un più elevato livello di conoscibilità – ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto − stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo, sicché il «limite inderogabile» della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica, non diversamente – mutatis mutandis – da quanto accade nell’ipotesi di una notificazione, che anch’essa può dirsi semplificata, eseguita per posta elettronica certificata, ritenuta da questa Corte compatibile con il diritto di difesa del notificatario (sentenza n. 146 del 2016).

12.– A questa conclusione – che predica il mancato superamento, nella fattispecie in esame, del «limite inderogabile» della «effettiva possibilità di conoscenza» dell’atto notificato − può pervenirsi anche perché dall’art. 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) – che prevede espressamente che, ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari, l’amministrazione finanziaria deve assicurare la «effettiva conoscenza» da parte del contribuente degli atti a lui destinati – è possibile ricavare un canone interpretativo che vale a compensare, su un piano diverso − quello della rimessione in termini − lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva. Anche la citata sentenza n. 146 del 2016 di questa Corte ha evidenziato in via interpretativa un "correttivo” della modalità semplificata della notificazione mediante PEC del ricorso per la dichiarazione di fallimento riconoscendo al notificatario più ampie facoltà di contestazione in sede di reclamo avverso la successiva sentenza dichiarativa di fallimento.

Analogamente, nella fattispecie della notifica "diretta” delle cartelle di pagamento, lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva è suscettibile di essere riequilibrato per soddisfare l’esigenza di assicurare l’effettiva conoscenza degli atti. Si ha, infatti, che il richiamato canone generale, recato dall’art. 6 citato, influenza, in termini di interpretazione costituzionalmente orientata, la portata della rimessione in termini, nel senso che la mancanza, in concreto, di «effettiva conoscenza» dell’atto, per causa non imputabile, può legittimare il destinatario a richiedere la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ. – disposizione la cui applicabilità al giudizio tributario è riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, anche con riferimento alle decadenze ad esse esterne, come l’impugnazione degli atti impositivi (Corte di Cassazione, sezione sesta civile, sottosezione-T, ordinanza 20 gennaio 2017, n. 1486) − per poter ricorrere avverso la cartella di pagamento, fermi restando gli effetti derivanti dal perfezionamento della notifica per il notificante – agente della riscossione per conto dell’amministrazione finanziaria − in ragione dell’osservanza delle formalità della notificazione "diretta” ex art. 26, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973, con conseguente rispetto del termine di decadenza per la notifica della cartella di pagamento al contribuente dopo l’iscrizione a ruolo.

Altrimenti detto, come la disposizione censurata agevola, con la (finora esaminata) notificazione "diretta” in forma semplificata, l’agente della riscossione nella notifica della cartella di pagamento perché sia rispettato, per l’amministrazione finanziaria, il termine di decadenza di cui all’art. 25 d.P.R. n. 602 del 1973, e l’attività di riscossione coattiva non subisca ritardi, così l’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente legittima un’applicazione estensiva dell’istituto della rimessione in termini, sì da tutelare il contribuente che non abbia avuto «effettiva conoscenza» dell’atto restituendolo nel termine di decadenza, di cui all’art. 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), per impugnare l’atto.

È rimesso al prudente apprezzamento del giudice della controversia valutare ogni comprovato elemento presuntivo (art. 2729 cod. civ.), offerto dal destinatario della notifica "diretta” della cartella di pagamento − il quale, pur essendo integrata un’ipotesi di conoscenza legale in ragione del rispetto delle formalità (tanto più che semplificate) dell’art. 26, primo comma, secondo periodo, assuma di non aver avuto conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile − al fine di accogliere, o no, la richiesta di rimessione in termini.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma; 24, primo e secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2018.