Sentenza n. 166 del 2014

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SENTENZA N. 166

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                     Presidente

-           Sabino                         CASSESE                                          Giudice

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia nel procedimento vertente tra Energie Verdi Trinitapoli srl e la Regione Puglia ed altri, con ordinanza del 28 agosto 2012, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2012.

         Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia; 

         udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

         udito l’avvocato Maria Liberti per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo per la Regione Puglia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

La disposizione impugnata vieta la realizzazione in zona agricola di impianti alimentati da biomasse, salvo che queste ultime provengano, nella misura minima del 40 per cento, da “filiera corta”, cioè da un’area contenuta entro 70 chilometri dall’impianto.

Il giudizio a quo ha per oggetto il diniego di autorizzazione unica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da biomasse in zona agricola, che la ricorrente si è vista opporre in data 30 settembre 2010, in esclusiva applicazione dell’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 31 del 2008. L’impianto, infatti, non sarebbe stato alimentato in misura sufficiente da biomasse provenienti da “filiera corta”.

Tale applicazione, aggiunge il giudice rimettente, si impone sul piano temporale, poiché il decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), con cui si è conferita attuazione all’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), è entrato in vigore il 3 ottobre 2010, e dunque in epoca posteriore al diniego impugnato dalla ricorrente.

Il giudice a quo specifica, perciò, che non sono rilevanti in causa i criteri di localizzazione degli impianti introdotti dal d.m. appena citato, pur osservando che anch’essi vieterebbero alla legge regionale di precludere l’insediamento degli impianti in tutte le zone agricole.

Ciò premesso in punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che la norma impugnata, nel formulare tale preclusione con riferimento al caso sottoposto a giudizio, contrasterebbe con l’art. 12, commi 7 e 10, del d.lgs. n. 387 del 2003.

In particolare, l’art. 12, comma 7, consentendo espressamente di localizzare gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da biomasse in zone agricole, esprimerebbe un principio fondamentale della materia dell’energia, assegnata alla competenza legislativa statale concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Il Tribunale rimettente richiama la sentenza n. 119 del 2010 di questa Corte, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge regionale n. 31 del 2008, che poneva ulteriori divieti di localizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. In quell’occasione, precisa il Tribunale, l’introduzione di tali divieti prima dell’emanazione delle linee guida previste dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, fu reputata costituzionalmente illegittima.

Inoltre, si dovrebbe ritenere la disposizione oggi censurata in contrasto con la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), posto che a tale ambito materiale appartengono le linee guida.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata.

La Regione sostiene che la norma impugnata non vieta l’insediamento in zona agricola degli impianti, ma si limita a «prescrivere particolari modalità gestionali», costituite dall’obbligo, al fine di alimentare l’impianto, di approvvigionarsi parzialmente di materiale prodotto entro 70 chilometri dalla struttura.

Posto che per biomassa deve intendersi la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 387 del 2003), si tratterebbe di «una scelta di politica industriale ed agricola perfettamente razionale». Essa, infatti, garantirebbe che l’impianto sito in zona agricola «si ponga, almeno in parte, in funzione complementare rispetto alla produzione agricola» e nel rispetto della «capacità di carico» del territorio di riferimento.

Tale scelta sarebbe espressiva delle competenze regionali in materia di agricoltura, di governo del territorio e di energia.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo per la Regione Puglia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

La disposizione impugnata vieta «la realizzazione in zona agricola di impianti alimentati da biomasse, salvo che gli impianti medesimi non siano alimentati da biomasse stabilmente provenienti, per almeno il quaranta per cento del fabbisogno, da “filiera corta”, cioè ottenute in un raggio di 70 chilometri dall’impianto».

Essa costituisce uno dei divieti che l’art. 2 della legge regionale n. 31 del 2008 recava, quanto all’insediamento territoriale di impianti alimentati da fonti rinnovabili, e che, con l’eccezione del qui censurato comma 4, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza di questa Corte n. 119 del 2010.

In tale occasione, la Corte ha evidenziato che è preclusa al legislatore regionale la «individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa», in assenza delle linee guida approvate in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 12, comma 10, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

Tale giudizio in via principale non ha avuto per oggetto la norma censurata dal Tribunale rimettente, posto che essa non era stata impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri. Il giudice a quo però ritiene che anch’essa leda la sfera di competenza legislativa statale, e in particolare attenga alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) e alla materia dell’energia (art. 117, terzo comma, Cost.).

Innanzi al Tribunale rimettente è stato impugnato il diniego di autorizzazione unica all’apertura di un impianto energetico alimentato da biomasse in zona agricola, ovvero un provvedimento fondato esclusivamente sull’applicazione dell’art. 2, comma 4, impugnato. L’istante non ha infatti soddisfatto la condizione di approvvigionarsi, per almeno il 40 per cento del fabbisogno, con biomasse provenienti da “filiera corta”.

Il rimettente reputa che tale condizione, la cui mancanza è stata opposta al ricorrente del giudizio principale prima dell’entrata in vigore delle già rammentate linee guida, leda anzitutto l’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione del contrasto con le norme interposte costituite dall’art. 12, commi 7 e 10, del d.lgs. n. 387 del 2003.

In particolare, il legislatore regionale non potrebbe stabilire divieti di realizzazione degli impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili (tra cui le biomasse: art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 387 del 2003) prima dell’adozione delle linee guida (art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003), né precluderne l’installazione in zona agricola (art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003).

2.– La questione è fondata.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 enuncia principi fondamentali della materia, a riparto concorrente, attinente alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (sentenze n. 224 del 2012, n. 44 del 2011, n. 119 del 2010 e n. 282 del 2009). Ne consegue che la normativa regionale non può discostarsi da quanto previsto dal legislatore statale a tale titolo.

L’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, stabilisce che gli impianti energetici da fonti rinnovabili, tra cui l’impianto oggetto del giudizio a quo, possono essere ubicati anche in zone agricole, pur dovendosi tener conto delle disposizioni in materia di sostegno del settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, nonchè del patrimonio culturale e del paesaggio rurale.

Il citato art. 12, comma 7, nella parte in cui afferma la compatibilità urbanistica dell’impianto energetico con la vocazione agricola del fondo, riflette il più ampio «principio, di diretta derivazione comunitaria, della diffusione degli impianti a fini di aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili» (sentenza n. 275 del 2012). Viceversa, laddove consente di temperare tale principio per casi specifici, in ragione, tra l’altro, delle esigenze del settore agricolo, la norma statale formula una ben delimitata eccezione rispetto alla regola (sentenze n. 275 del 2012 e n. 278 del 2010). Questa previsione di salvaguardia non può pertanto svilupparsi oltre i limiti che le assegna il legislatore statale. In tal modo lo sviluppo della rete energetica, che resta l’interesse prioritario, trova un contemperamento nella possibilità di sottrarre limitate porzioni di territorio agricolo all’insediamento dell’impianto, ove esse meritino cure particolari, connesse alle tradizioni agroalimentari locali, alla biodiversità, al patrimonio culturale e al paesaggio rurale.

In altri termini, la norma interposta, ammettendo taluni limiti alla localizzazione in zona agricola, si preoccupa di preservare il «corretto inserimento degli impianti» nel paesaggio (art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003), in modo da prevenire il danno che potrebbe venire inferto all’ambiente e all’agricoltura di pregio. Essa, al contrario, non assume a principio fondamentale della materia il perseguimento dell’interesse allo sviluppo della produzione agricola, trattandosi di profilo estraneo all’oggetto principale dell’intervento normativo.

Sulla base di tali premesse, le stesse linee guida, peraltro prive di rilievo ai fini dell’odierna questione in quanto sopraggiunte rispetto alla norma impugnata (sentenza n. 344 del 2010), permettono alla Regione di precludere all’impianto energetico solo «aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili», se interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità e pregio (Allegato 3, paragrafo 17, del decreto ministeriale 10 settembre 2010). Si tratta di un’attuazione per tale verso coerente con la norma primaria, posto che gli interessi facenti capo all’agricoltura assumono rilievo esclusivamente a fini conservativi, e non di incentivo alla produzione agricola.

Ciò precisato, appare evidente che la norma regionale impugnata persegue un obiettivo che trascende i limiti tracciati dalla normativa statale di principio, in un ambito materiale ove la Corte ha già ravvisato la prevalenza della materia “energia” (sentenza n. 119 del 2010). Si tratta, infatti, di conseguire lo scopo, originato dal diritto dell’Unione, di raggiungere una quota di energia da fonti rinnovabili, come indicato da ultimo dall’art. 3 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2011/77/CE e 2003/30/CE).

La stessa difesa regionale ha invece sottolineato che la norma impugnata è espressione di una «scelta di politica industriale ed agricola», il cui fine è di obbligare l’impianto energetico ad approvvigionarsi, in parte consistente, per mezzo di biomasse prodotte dal territorio locale, sotto forma di parte biodegrabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse (art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 387 del 2003). In tal modo il legislatore regionale intende non certo salvaguardare dalla distruzione le colture di pregio, ma promuovere la produzione  agricola, rendendola servente rispetto all’impianto energetico. Vengono perciò imposte “modalità gestionali” che risultano incongruenti rispetto ai limiti consentiti dalla normativa statale di principio alla localizzazione in area agricola dell’impianto energetico. Né si può escludere che esse impediscano l’esecuzione dell’opera in via definitiva, come accade nei casi in cui il territorio limitrofo non sia capace di generare quanto necessario ad alimentare la struttura per il 40 per cento del fabbisogno, e trasmodino così in potenziale divieto di insediamento, in contrasto con l’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003.

L’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 disciplina le procedure autorizzative per l’apertura dell’impianto e seleziona gli interessi che in tale fase possono assumere rilievo. Una volta che l’opera sia stata realizzata, non è certamente escluso che vengano introdotti incentivi affinché, unitamente alla produzione dell’energia pulita, essa serva a valorizzare l’agricoltura locale; ed, anzi, l’art. 26, comma 4-bis, del decreto-legge        1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 29 novembre 2007, n. 222, lo prevede espressamente, al pari dell’art. 8 del decreto del Ministero dello sviluppo economico 6 luglio 2012 (Attuazione dell’art. 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici). Si tratta, tuttavia, di profili che assumono rilievo nella sola fase posteriore alla localizzazione dell’opera, e che in nessun caso ne condizionano l’avvio, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.

Può aggiungersi che, come questa Corte ha già affermato, eventuali limiti a tale localizzazione non possono precedere, da parte della Regione, l’adozione delle linee guida (sentenze n. 344, n. 168 e n. 119 del 2010, n. 282 e n. 166 del 2009), anche con specifico riguardo alle zone agricole (sentenze n. 224 del 2012 e n. 44 del 2011).

3.– L’accoglimento della questione basata sull’art. 117, terzo comma, Cost., consente di assorbire la censura relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

4.– Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 2, comma 5, della legge della Regione Puglia n. 31 del 2008, che regola l’applicazione del divieto recato dal comma 4 ai progetti presentati prima dell’entrata in vigore della legge, e che resta del tutto privo di oggetto a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 2, comma 4, della medesima legge.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale);

2) dichiara, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, della legge della Regione Puglia n. 31 del 2008.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2014.