Sentenza n. 313 del 2013

SENTENZA N. 313

ANNO 2013

 

Commento alla decisione di

Francesco Marone

La CEDU da parametro di legittimità costituzionale della legge a fonte concorrente con la Costituzione?

in questa Rivista, Studi, 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                     Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                                 "

-           Giuseppe                     TESAURO                                                "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                        "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                           "

-           Paolo                           GROSSI                                                    "

-           Giorgio                        LATTANZI                                               "

-           Aldo                            CAROSI                                                    "

-           Marta                           CARTABIA                                              "

-           Sergio                          MATTARELLA                                        "

-           Mario Rosario              MORELLI                                                 "

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                             "

-           Giuliano                       AMATO                                                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 19 febbraio 2009, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Francesco Storace nei confronti del Presidente della Repubblica, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, con ricorso notificato il 16 marzo 2012, depositato in cancelleria il 27 marzo 2012 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi;

udito l’avvocato Tommaso Edoardo Frosini per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1 – Con ordinanza-ricorso del 15 giugno 2011, il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione assunta dal Senato della Repubblica il 19 febbraio 2009 (di approvazione del doc. IV-quater, n. 1) con la quale è stato affermato che le dichiarazioni rese dal senatore Francesco Storace nei confronti del Presidente della Repubblica – e per le quali pende procedimento penale – concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nella garanzia di insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il Tribunale ricorrente segnala che – come si ricava dal decreto di giudizio immediato – il senatore Storace è imputato del delitto previsto dall’art. 278 del codice penale (Offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica), perché, commentando sul sito internet www.storace.it l’intervento del Presidente della Repubblica (nel quale questi esprimeva indignazione per gli attacchi rivolti alla senatrice Rita Levi Montalcini), offendeva l’onore e il prestigio del Capo dello Stato, attribuendogli testualmente «disdicevole storia personale, palese e nepotistica conduzione familiare, evidente faziosità istituzionale, è indegno di una carica usurpata a maggioranza, in Roma il 13.10.2007».

Riprodotte ampiamente le considerazioni poste a base della proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, poi fatte proprie dall’Assemblea, in ordine alla riconducibilità delle espressioni usate dal parlamentare all’area dell’insindacabilità sancita dall’art. 68, primo comma, Cost., il ricorrente Tribunale evidenzia come le argomentazioni stesse finiscano per entrare nel merito della valutazione della condotta ascritta all’imputato e della sua concreta offensività, che spetta soltanto al giudice apprezzare. All’Assemblea competerebbe, invece, unicamente esprimersi sull’insindacabilità in ragione della sussistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia e l’esercizio delle relative funzioni.

Richiamata la giurisprudenza costituzionale sul punto, il ricorrente sottolinea come, nella specie, non risulti che le opinioni espresse dal senatore Storace avessero alcun collegamento con attività parlamentari cui il medesimo avesse offerto il proprio contributo; anzi – soggiunge il Tribunale – «quelle opinioni così dissociate dal contributo politico contestualmente fornito dal parlamentare non sono affatto divulgative dell’attività intra moenia, bensì sono espressione di libero pensiero e come tali devono poter essere valutate. Nessun atto tipico che possa fungere da copertura alla insindacabilità delle dichiarazioni extra moenia consente pertanto di applicare la garanzia costituzionale dell’art. 68 Cost.». Né sarebbe possibile attribuire valore, a tal fine, alla presentazione di un disegno di legge costituzionale (volto alla abrogazione dell’art. 59 Cost., sul rilievo che i senatori a vita in quel periodo erano stati accusati di aver tradito e alterato il voto popolare offrendo il loro appoggio al Governo di centro-sinistra) di cui l’imputato ha riferito, in sede di dichiarazioni spontanee, all’udienza del 23 novembre 2009, posto che le espressioni oggetto di contestazione non potevano rappresentare momento divulgativo di quella iniziativa parlamentare.

Da qui la scelta di sollevare conflitto, con la conseguente richiesta di dichiarare ammissibile il ricorso e di procedere alla declaratoria di non spettanza in ordine alla «valutazione della condotta addebitabile al senatore Francesco Storace nel presente procedimento penale, in quanto estranea alla previsione di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, con conseguente annullamento della delibera del Senato del 19.2.2009».

2.– Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 57 del 2012, ritualmente notificata.

3.– Il Senato della Repubblica ha depositato memoria di costituzione nella quale ha conclusivamente richiesto di affermare la sussistenza del potere del Senato «di dichiarare insindacabili le opinioni espresse dal sen. Francesco Storace e, comunque, dichiarare le stesse coperte dalla garanzia di insindacabilità prevista dall’art. 68, comma 1, della Costituzione».

Dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale in tema di «nesso funzionale», il Senato sottolinea come un «aggiornamento» di quella giurisprudenza potrebbe meglio rispondere alle esigenze di bilanciamento tra i valori costituzionali coinvolti, segnalando come uno spunto in tale senso potrebbe essere offerto dall’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), il quale individua anche l’attività di denuncia politica come connessa alla funzione di parlamentare ancorché svolta al di fuori del Parlamento.

Malgrado le puntualizzazioni offerte al riguardo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 120 del 2004 – la quale ha escluso che dalla norma richiamata derivi un ampliamento dell’ambito dell’immunità garantita ai parlamentari dall’art. 68, primo comma, Cost. –, un «aggiornamento interpretativo del “nesso funzionale” potrebbe portare alla sua individuazione in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino-elettore illustrando la propria posizione». Il caso in esame sarebbe al riguardo pertinente, «in quanto fondato su una critica politica, priva di rilevanza giuridica e che deve essere legittimamente attribuita al parlamentare».

In una successiva memoria, ribadita l’esigenza di procedere ad un aggiornamento interpretativo del concetto di «nesso funzionale», si osserva come alcune delle «frasi» usate dal senatore Storace («evidente faziosità istituzionale» e «indegno di una carica usurpata a maggioranza») costituiscano «espressione di una forte critica politica, certo discutibile sul piano dello stile specie se riferite al Capo dello Stato, ma di certo prive di rilevanza giuridica in relazione all’ipotesi delittuosa» contestata. Le altre «frasi» («per disdicevole storia personale» e «palese e nepotistica conduzione familiare») sarebbero da ritenersi una mera «accentuazione della vis polemica, certamente di cattivo gusto ma non ingiuriosamente espresse», da ricondurre, pertanto, alla libera manifestazione del pensiero.

D’altra parte, il senatore Storace era stato promotore di un disegno di legge costituzionale (presentato il 10 ottobre 2007) per l’abolizione della nomina dei senatori a vita: ciò che spiegherebbe le ragioni della frase secondo cui la senatrice Levi Montalcini avrebbe svolto il ruolo di “stampella del Governo”. Non sussisterebbe, dunque, alcuna offesa al Presidente della Repubblica e comunque, trattandosi di critica politica, sussisterebbe il «nesso funzionale» con l’attività insindacabile a norma dell’art. 68, primo comma, Cost.

L’esigenza di un aggiornamento del concetto di «nesso funzionale» si esalterebbe, poi, in ragione delle diverse modalità di «comunicazione politica», fra le quali si evocano – come nel caso in esame – «nuove forme di tecnologia comunicativa (siti web, blog, twitter, facebook, etc.)».

In via subordinata, si chiede poi che, ove non si riconosca il potere del Senato di dichiarare insindacabili le opinioni del senatore Storace, venga sollevata dalla stessa Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 278 cod. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost. La norma, infatti, retaggio del passato regime, potrebbe giustificarsi in un sistema monarchico, quale strumento punitivo dei fatti di “lesa maestà”, ma non in un assetto in cui la scelta del Presidente è effettuata dal Parlamento e può riguardare qualsiasi cittadino. Sarebbe comunque illegittima una norma che privilegi quel solo soggetto istituzionale, addirittura prevedendo, nell’ipotesi della violazione, «la restrizione della libertà personale».

Dopo aver sottolineato limiti e critiche cui sono andati incontro i reati di opinione in genere ed il vilipendio in particolare, nonché le modifiche apportate a vari articoli del codice penale dalla legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione), si osserva che il reato di cui all’art. 278 cod. pen. – norma definita «anacronistica e irragionevole» – dovrebbe essere uniformato alla nuova disciplina dettata dall’art. 292, primo comma, cod. pen.

Si segnala, infine, come sia stato lo stesso Presidente Giorgio Napolitano a ricordare, in un intervento pubblico del 16 ottobre 2010, la facoltà dei titolari dell’iniziativa legislativa di proporre l’abrogazione dell’art. 278 cod. pen.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione assunta dal Senato della Repubblica il 19 febbraio 2009 (di approvazione del doc. IV-quater, n. 1) con la quale è stato affermato che le dichiarazioni rese dal senatore Francesco Storace sul sito internet www.storace.it nei confronti del Presidente della Repubblica («disdicevole storia personale, palese e nepotistica conduzione familiare, evidente faziosità istituzionale, è indegno di una carica usurpata a maggioranza») – e per le quali pende procedimento penale davanti al Tribunale ricorrente per il delitto di cui all’art. 278 del codice penale (Offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica) – concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nella garanzia di insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Secondo il Tribunale ricorrente, le argomentazioni poste a base della predetta deliberazione finiscono per entrare nel merito della valutazione della condotta ascritta all’imputato e della sua concreta offensività, che spetta soltanto al giudice apprezzare, spettando, invece, all’Assemblea parlamentare unicamente esprimersi sull’insindacabilità in ragione della sussistenza di un «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese extra moenia e l’esercizio delle funzioni parlamentari.

Nella specie, non risulterebbe che le opinioni espresse dal senatore Storace avessero alcun collegamento con attività parlamentari cui il medesimo avesse offerto un contributo e andrebbero dunque valutate come espressione di libero pensiero. Né, a tal fine, sarebbe possibile attribuire valore alla presentazione di un disegno di legge costituzionale volto alla abrogazione dell’art. 59 Cost., posto che le espressioni oggetto di contestazione non potevano rappresentare momento divulgativo di quella iniziativa parlamentare.

1.1.– Il ricorso è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 57 del 2012, ritualmente notificata.

2.– Il Senato della Repubblica ha depositato memoria di costituzione nella quale ha conclusivamente richiesto di affermare la sussistenza del potere del Senato «di dichiarare insindacabili le opinioni espresse dal sen. Francesco Storace e, comunque, dichiarare le stesse coperte dalla garanzia di insindacabilità prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione».

Dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale sul tema, il Senato sottolinea come un «aggiornamento interpretativo del “nesso funzionale” potrebbe portare alla sua individuazione in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino-elettore illustrando la propria posizione». Il caso in esame sarebbe al riguardo pertinente, «in quanto fondato su una critica politica, priva di rilevanza giuridica e che deve essere legittimamente attribuita al parlamentare».

In una successiva memoria, ribadito come le espressioni impiegate dal senatore Storace rappresentino una «critica politica» all’intervento svolto dal Presidente della Repubblica ed alle caratteristiche politiche che avevano connotato la sua elezione, si è sottolineato che il senatore Storace era stato promotore di un disegno di legge costituzionale (presentato il 10 ottobre 2007) per l’abolizione dell’istituto dei senatori a vita.

L’esigenza di un aggiornamento del concetto di «nesso funzionale» si esalterebbe, poi, in ragione delle diverse attuali modalità di «comunicazione politica», fra le quali si evocano – in quanto significative nella vicenda in esame – «nuove forme di tecnologia comunicativa (siti web, blog, twitter, facebook, etc.)».

In via subordinata, si chiede poi che la Corte sollevi davanti a se stessa questione di legittimità costituzionale dell’art. 278 cod. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost.: detta norma – non giustificabile nel vigente assetto costituzionale – risulterebbe «anacronistica e irragionevole», oltre che non conforme alla più recente disciplina in materia di reati di opinione.

3.– Deve, preliminarmente, essere confermata l’ammissibilità del ricorso, sussistendo i richiesti presupposti soggettivi ed oggettivi per il conflitto.

4.– Nel merito, il ricorso è fondato.

5.– Questa Corte ha più volte messo in luce la circostanza che, ai fini dell’individuazione del perimetro entro il quale riconoscere la garanzia della insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento in contesti diversi dal rigoroso ambito di svolgimento dell’attività parlamentare strettamente intesa, lo scrutinio debba tenere contemporaneamente conto di due esigenze, entrambe di risalto costituzionale: da un lato, quella di salvaguardare – secondo una tradizione consolidata nelle costituzioni moderne – l’autonomia e la libertà delle assemblee parlamentari, quali organi di diretta rappresentanza popolare, dalle possibili interferenze di altri poteri; dall’altro, quella di garantire ai singoli il diritto alla tutela della loro dignità di persone, presidiato dall’art. 2 della Costituzione oltre che da diverse norme convenzionali. Se, infatti, l’attività del parlamentare intra moenia può essere sindacata e, se del caso, censurata anche attraverso gli strumenti previsti dai regolamenti parlamentari – con la conseguenza che comportamenti eventualmente lesivi della dignità delle persone possono essere opportunamente prevenuti –, le condotte “esterne” rispetto all’attività parlamentare tipica, in tanto possono godere della garanzia della insindacabilità, prevista dall’art. 68, primo comma, Cost., in quanto risultino rigorosamente riconducibili alle specifiche e “qualificate” attribuzioni parlamentari.

Il nesso che deve, dunque, sussistere tra «la dichiarazione divulgativa extra moenia e l’attività parlamentare propriamente intesa, non può essere visto come un semplice collegamento di argomento o di contesto politico fra l’una e l’altra, ma come identificabilità della dichiarazione quale espressione della attività parlamentare, postulandosi anche, a tal fine, una sostanziale contestualità tra i due momenti, a testimonianza dell’unitario alveo “funzionale” che le deve, appunto, correlare» (fra le tante, sentenza n. 82 del 2011).

D’altra parte, poiché la garanzia della insindacabilità opera in relazione non alle opinioni espresse “in occasione” o “a causa” delle funzioni parlamentari, ma soltanto a quelle riconducibili “all’esercizio” delle funzioni medesime, qualsiasi diversa lettura dilaterebbe il perimetro costituzionalmente tracciato, generando un’immunità non più soltanto funzionale, ma, di fatto, sostanzialmente “personale”, a vantaggio di chi sia stato eletto membro del Parlamento.

Perspicue sono, del resto, al riguardo, le censure mosse, in varie occasioni, all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale – proprio sul tema dell’insindacabilità delle opinioni dei parlamentari e del confliggente diritto di accesso ad un tribunale da parte del privato che si assuma offeso da quelle opinioni, sancito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 – ha sottolineato come non si possa «giustificare un rifiuto di accesso alla giustizia per il solo fatto che la disputa potrebbe essere di natura politica oppure connessa ad un’attività politica». «Secondo il parere della Corte», si è soggiunto,   «l’assenza di un legame evidente con un’attività parlamentare richiama un’interpretazione stretta della nozione di proporzionalità tra lo scopo perseguito e i mezzi impiegati. Questo è particolarmente vero quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Concludere diversamente equivarrebbe a ridurre in modo incompatibile con l’art. 6 par. 1 della Convenzione il diritto d’accesso ad un tribunale dei privati cittadini ogni qualvolta che i discorsi impugnati giudiziariamente siano stati pronunciati da un membro del Parlamento». Con la conseguenza che deve considerarsi estraneo alla garanzia della insindacabilità un comportamento che non sia connesso «all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu» (sentenza 30 gennaio 2003, Cordova contro Italia, ricorso n. 45649/99, e sentenza 30 gennaio 2003, Cordova contro Italia, ricorso n. 40877/98, nonché sentenza 24 febbraio 2009, CGIL e Cofferati contro Italia, ricorso n. 46967/07, e le altre pronunce ivi citate).

6.– Ebbene, se tutto ciò vale a contrassegnare il confine entro il quale configurare la prerogativa costituzionale dell’insindacabilità agli effetti della tutela da riconoscere ai terzi danneggiati dalle opinioni espresse extra moenia dai membri del Parlamento, entro lo stesso ambito deve ritenersi operante la medesima nei casi in cui l’opinione espressa integri, come nel caso di specie, una ipotesi di illecito diverso dalla diffamazione del privato: se, infatti, l’opinione – o la condotta attraverso la quale essa si esprime – è in grado di ledere o esporre a pericolo (anche) beni diversi da quelli dell’onore e della reputazione del singolo cittadino, o di qualunque soggetto che assuma di essere stato danneggiato, l’area della insindacabilità non può che essere la stessa, a prescindere dal nomen iuris della relativa fattispecie o dal titolo in ragione del quale si pretenda di “sindacare” quel “fatto”. Dunque, lo scrutinio relativo alla sussistenza del nesso funzionale tra opinione “divulgativa” e atto o atti parlamentari “tipici”, di cui la prima sia espressione, va in ogni caso condotto in termini particolarmente rigorosi, secondo un parametro che questa Corte ha da tempo individuato nella «corrispondenza sostanziale» (tra le altre, sentenza n. 137 del 2001): ciò in linea anche con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ove, come si è visto, nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze, si richiede la sussistenza di un “legame evidente” tra l’atto in ipotesi lesivo e l’esercizio della funzione tipica del parlamentare.

La tesi del Senato – secondo la quale il concetto di «nesso funzionale» dovrebbe essere “aggiornato”, fino a ritenersi sussistente «in tutte quelle occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione, specie se questa sia riferibile alla dialettica politica, ovvero alla critica politica» – appare, quindi, proprio per la eccessiva vaghezza dei termini e dei concetti impiegati, non compatibile con il disegno costituzionale: da un lato, infatti, essa si concentra su un’attività – quella “politica“ – non necessariamente coincidente con la funzione parlamentare, posto che, tra l’altro, questa si esprime, di regola, attraverso atti tipizzati (non è un caso che l’art. 68 Cost. circoscriva l’irresponsabilità dei membri del Parlamento alle “opinioni espresse” ed ai “voti dati” «nell’esercizio delle loro funzioni»); dall’altro, la tesi in questione non mette in collegamento diretto opinioni espresse e atti della funzione, ma semplicemente attribuisce allo stesso parlamentare la selezione dei temi “politici” da divulgare; al punto da rendere, in definitiva, lo stesso parlamentare arbitro dei confini entro i quali far operare la garanzia della insindacabilità.

Per altro verso – e come implicitamente può trarsi dalla giurisprudenza costituzionale, proprio in tema di vilipendio e di libertà di critica (già la sentenza n. 20 del 1974) –, occorre pur sempre che la divulgazione extra moenia possa, essa stessa, qualificarsi come “opinione”, vale a dire come illustrazione più o meno argomentata di una tesi, senza che possano reputarsi attratte, all’interno della portata espressiva di questo vocabolo, espressioni o valutazioni almeno incongrue, indipendentemente dal loro carattere eventualmente offensivo o denigratorio.

Ora, nella specie, le espressioni utilizzate dal senatore Storace nei confronti del Presidente della Repubblica, oltre a presentare una indubbia eccentricità rispetto a ciò che possa intendersi per “opinione”, non presentano alcuna attinenza con atti funzionalmente tipici riferibili allo stesso parlamentare: a sostegno della delibera di insindacabilità, il Senato si è, infatti, limitato a dedurre il promovimento, da parte del medesimo senatore Storace, di una iniziativa di legge costituzionale – peraltro rimasta priva di seguito – diretta all’abrogazione dell’art. 59 della Costituzione, in materia di senatori a vita. Iniziativa che, all’evidenza, non ha, in sé, nulla a che vedere con gli attacchi rivolti alla senatrice Rita Levi Montalcini, con la replica del Presidente della Repubblica e con la successiva reazione del senatore Storace oggetto del procedimento penale a suo carico.

7.– Quanto, infine, alla subordinata richiesta del Senato di autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 278 cod. pen., la stessa non può trovare accoglimento, in quanto, tra l’altro, priva dell’indispensabile requisito della rilevanza, per l’evidente carenza del necessario nesso di pregiudizialità tra la risoluzione della questione medesima e la definizione del giudizio.

È appena il caso di sottolineare che nel giudizio per conflitto tra poteri dello Stato la Corte è chiamata a giudicare sull’«ordine costituzionale delle competenze» (sentenza n. 457 del 1999) o, anche, secondo la formula dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sulla «delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali», fermo restando che le competenze medesime si esercitino su materie o oggetti specificamente disciplinati, di regola, nel sistema della legislazione ordinaria.

Su questa base, la definizione dell’attuale giudizio per conflitto non può ritenersi in alcuna misura subordinata alla soluzione di un dubbio di legittimità costituzionale relativo a una norma incriminatrice la cui applicazione spetta al giudice penale ricorrente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara che non spettava al Senato della Repubblica affermare che le dichiarazioni rese da Francesco Storace, senatore all’epoca dei fatti, per le quali pende procedimento penale davanti al Tribunale di Roma per il reato di cui all’art. 278 del codice penale, di cui al ricorso in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

2) annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 19 febbraio 2009 (doc. IV–quater, n. 1).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2013.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2013.