SENTENZA N.
267
ANNO 2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA
"
- Mario
Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’articolo 4, commi 11 e 12, della legge 12 novembre 2011, n.
183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2012),
promosso dal Tribunale ordinario di Roma nel procedimento vertente tra
Caravassilis Daniele ed altri e il Ministero dell’interno con ordinanza del 6
dicembre 2012, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2013 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera
di consiglio del 23 ottobre 2013 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto in fatto
1.— Con ordinanza del 6
dicembre 2012, depositata nella cancelleria di questa Corte il 6 maggio 2013
(reg. ord. n. 110 del 2013), il Tribunale ordinario di Roma, prima sezione
lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4,
commi 11 e 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2012), per violazione dell’art. 117, primo comma,
della Costituzione, in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell’accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla
direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato).
La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro dispone che «Per prevenire
gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti
sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali,
e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme
equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle
esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure
relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei
suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o
rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei
suddetti contratti o rapporti».
2.— L’articolo 4, comma
11, della legge n. 183 del 2011 modifica la lettera a) del comma 2 dell’articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo
2006, n. 139 (Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti
del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell’articolo 11 della legge
29 luglio 2003, n. 229). Secondo la formulazione originaria di quest’ultima
disposizione, il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco
poteva essere richiamato in servizio «in caso di particolari necessità delle strutture centrali e periferiche del
Corpo nazionale»; secondo l’attuale formulazione, tale richiamo può avvenire
«in caso di necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo
nazionale motivate dall’autorità competente che opera il richiamo».
L’articolo 4, comma 12,
della legge n. 183 del 2011 modifica invece
il comma 1 dell’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368
(Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a
tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), inserendo la
lettera c-bis), che esclude dal campo
di applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001 i richiami in servizio del personale
volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, precisando che essi «ai
sensi dell’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139,
non costituiscono rapporti di impiego con l’Amministrazione».
3.— La questione di
costituzionalità è stata sollevata nel corso di un giudizio che – secondo
quanto riferisce il Tribunale rimettente – ha ad oggetto la richiesta di sette
iscritti negli elenchi del personale volontario del Dipartimento dei Vigili del
fuoco del Ministero dell’interno, con distinti atti depositati tra il 14 e il
18 ottobre 2011, volta a ottenere: il riconoscimento della sussistenza tra le
parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato; la
dichiarazione di nullità e inefficacia dei termini apposti a detti «contratti»,
sul presupposto che i richiami dei volontari «integrino dei contratti di lavoro
subordinato a tempo determinato»; la conversione dei rispettivi rapporti di
lavoro in rapporti di lavoro a tempo indeterminato; l’accertamento del loro
diritto alla stabilizzazione e la condanna del Ministero convenuto alla loro
immissione in ruolo; in ogni caso, la condanna del Ministero convenuto al
risarcimento del danno da illegittima reiterazione di contratti a tempo
determinato.
Il Tribunale ordinario
di Roma, prima sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 4, commi 11 e 12, della legge n. 183 del 2011.
4.— Ad avviso del
giudice rimettente, i commi 11 e 12 dell’articolo 4 della legge n. 183 del
2011, nel consentire «il richiamo in servizio a tempo determinato del personale
volontario dei Vigili del Fuoco in caso di (qualsivoglia) necessità delle
strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale, al di fuori
dell’applicazione dei principi di cui al d.lgs. n. 368/2001», determinerebbero
«una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e
comunque svincolata dall’indicazione di ragioni obiettive o dalla
predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi» e
sarebbero quindi in contrasto con la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, in violazione dell’art. 117,
primo comma, Cost.
Secondo il giudice a quo, l’attività dei volontari dei vigili del fuoco non è in alcun modo
riconducibile al volontariato, la cui caratteristica è la gratuità (art. 2
della legge 11 agosto 1991, n. 266 – Legge-quadro sul volontariato), ma
presenterebbe tutti gli elementi propri del rapporto di lavoro, caratterizzato
dalla subordinazione, come si evincerebbe dalle disposizioni del d.lgs. n. 139
del 2006, in base alle quali «Al personale volontario richiamato in servizio
temporaneo, per l’intera durata di tale richiamo, spetta il trattamento
economico iniziale del personale permanente di corrispondente qualifica, il
trattamento di missione, i compensi inerenti alle prestazioni di lavoro
straordinario» (art. 10) e al medesimo personale si applicano sanzioni
disciplinari, quali la censura, la sospensione dai richiami e la radiazione
(art. 11).
Tuttavia – prosegue il
giudice rimettente – al personale volontario dei Vigili del fuoco non
troverebbe applicazione la disciplina interna in materia di rapporti a tempo
determinato, prevista dal d.lgs. n. 368
del 2001, di attuazione della direttiva n. 1999/70/CE. Dato che le disposizioni
impugnate consentirebbero che il richiamo dei volontari possa avvenire per
«qualsivoglia» necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo
nazionale dei Vigili del fuoco, per essi non varrebbe «alcuna delle norme
limitative dettate al fine di dare attuazione alla citata direttiva europea del
1999», né sotto il profilo della sussistenza di «situazioni eccezionali o di
emergenza», né sotto il profilo dei «limiti temporali».
Nell’osservare che vi sarebbe un contrasto tra le disposizioni impugnate
e la direttiva comunitaria in materia di contratti a tempo determinato, il giudice rimettente rileva di non poter egli
stesso disapplicare le disposizioni interne ritenute incompatibili perché la
direttiva europea è priva di effetto diretto. Come affermato dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (ex multis, sentenze
23 aprile 2009, C-378, 379
e 380/07,
e 15
aprile 2008, C-268/06), infatti, la clausola 5 dell’accordo quadro,
lasciando agli Stati il potere di scegliere, in modo discrezionale, una o più
delle misure elencate in detta clausola o di ricorrere a norme equivalenti in
vigore, non sarebbe «sufficientemente precisa per poter essere invocata da un
singolo dinanzi a un giudice nazionale».
Il giudice rimettente
ritiene che la questione sia rilevante, in quanto «tutti i ricorrenti risultano
assunti in forza di atti privi dell’indicazione dei motivi ed in assenza di
ragioni giustificatrici obiettive (che non possono comunque risolversi in
esigenze permanenti del datore di lavoro, in fabbisogni tendenzialmente
immutabili o dalla durata non preventivabile) e alcuni di loro per una durata
complessiva di oltre trentasei mesi, e ciò in difetto di specifiche, valide ed
applicabili indicazioni su durata massima dei contratti o rapporti e numero dei
loro rinnovi», e quindi la eventuale pronuncia di accoglimento della Corte
«schiuderebbe le porte alla domanda di risarcimento dei danni, proposta dai
ricorrenti in via subordinata» rispetto alla richiesta di conversione del
contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
5.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri è intervenuto in giudizio, chiedendo che la questione
sia dichiarata non rilevante, inammissibile e infondata.
Ad avviso del
Presidente del Consiglio, non si comprenderebbe dall’ordinanza di rimessione
«se i ricorrenti lamentino l’illegittimità del termine finale apposto al
contratto di lavoro con il Ministero perché privo di una ragione obiettiva e/o
lamentino la reiterazione di rapporti di lavoro a termine con il Ministero».
Nel caso in cui il giudizio a quo vertesse
sul primo rapporto di lavoro a termine intercorso tra i ricorrenti e il
Ministero, la questione sarebbe non rilevante dato che la Corte di giustizia
dell’Unione europea ha più volte precisato che la direttiva n. 1999/70/CE «non
ha lo scopo di impedire o limitare la stipula di rapporti di lavoro a termine»,
ma «di evitare l’abusiva reiterazione dei rapporti a termine».
Nel merito, secondo la
difesa statale la questione non sarebbe fondata, in primo luogo, in quanto la
direttiva n. 1999/70/CE «non stabilisce le condizioni precise in base alle
quali si può far ricorso al contratto a tempo determinato», ma «sancisce
soltanto l’adozione, qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti,
di almeno una delle misure enunciate alla clausola 5, punto 1, che attengono,
rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali
contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi
contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero di rinnovi di questi
ultimi». Secondo il Presidente del Consiglio, la disciplina che consente il
richiamo dei volontari «in caso di necessità delle strutture centrali e
periferiche del Corpo nazionale motivate dall’autorità competente che opera il
richiamo» costituirebbe «norma equivalente» ai sensi della clausola 5
dell’accordo quadro e non vi sarebbe, quindi, alcun contrasto con la normativa
comunitaria, anche in ragione della previsione – nella disciplina interna – di
un limite massimo di centosessanta giorni all’anno per detti richiami.
In secondo luogo, la
difesa statale osserva che la distinzione del personale del Corpo nazionale dei
vigili del fuoco in una componente «permanente» e una «volontaria», il cui
«connotato essenziale» è «la temporaneità delle prestazioni» risale alla legge
27 dicembre 1941, n. 1570 (Nuove norme per l’organizzazione dei servizi
antincendi). Si rileva che tale «natura temporanea della prestazione»
costituisce «l’esclusiva e diretta conseguenza della peculiarità del servizio
prestato e non già espressione della volontà dell’Amministrazione di apporre un
qualsiasi termine di durata al richiamo in servizio».
Il Presidente del
Consiglio dei ministri sottolinea, poi, che già l’art. 1, comma 3, del d.P.R. 6
febbraio 2004, n. 76 (Regolamento concernente disciplina delle procedure per il
reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale volontario del Corpo
nazionale dei vigili del fuoco) specifica che «Il personale volontario non è
vincolato da rapporto di impiego con l’amministrazione ed è chiamato a svolgere
temporaneamente i propri compiti ogni qualvolta se ne manifesti il bisogno»;
previsione successivamente confermata dal d.lgs. n. 139 del 2006. Infine, la
difesa statale ricorda come già la legge n. 1570 del 1941 prevedeva che, nel
caso di richiamo temporaneo in servizio del personale volontario, i datori di
lavoro, pubblici o privati, hanno l’obbligo di lasciare disponibili i propri
dipendenti, «conservando loro il rispettivo posto di lavoro e considerando
l’assenza giustificata ad ogni effetto di legge», e come anche tale previsione
sia stata confermata dalla disciplina successiva. Ad avviso della difesa
statale, quindi, l’articolo 4, comma 12, della legge n. 183 del 2011, censurato
dal giudice rimettente, nel prevedere l’inapplicabilità della direttiva
comunitaria concernente gli abusi derivanti dall’utilizzo improprio dei
contratti a tempo determinato, si limiterebbe a «chiarire in modo definitivo»
che «il rapporto che intercorre tra il vigile del fuoco volontario e
l’Amministrazione non è riconducibile […] ad un rapporto di lavoro subordinato
ma, piuttosto, si tratta di attività di volontariato al servizio del Corpo
Nazionale dei Vigili del Fuoco», al quale «non può ritenersi applicabile la
normativa prevista per il pubblico impiego ed in particolare la normativa sul
contratto a termine».
Considerato in diritto
1.— Con ordinanza del 6
dicembre 2012, il Tribunale ordinario di Roma, prima sezione lavoro, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, commi 11 e
12, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2012), per violazione dell’art. 117, primo comma,
della Costituzione in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28
giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva
del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato).
2.— In via preliminare,
va esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del
Consiglio dei ministri, ad avviso del quale non si comprenderebbe
dall’ordinanza di rimessione se si lamenti «l’illegittimità del termine finale
apposto al contratto di lavoro con il Ministero [dell’Interno] perché privo di
una ragione obiettiva e/o lamentino la reiterazione di rapporti di lavoro a
termine». Secondo la difesa dello Stato, laddove il giudizio principale vertesse sul primo rapporto di lavoro a
termine tra i volontari e la pubblica amministrazione, la questione
difetterebbe di rilevanza perché la Corte di giustizia dell’Unione europea
avrebbe più volte precisato che la direttiva n. 1999/70/CE «non ha lo scopo di
impedire o limitare la stipula di rapporti di lavoro a termine», ma «di evitare
l’abusiva reiterazione» di tali rapporti.
L’eccezione non è
fondata, in quanto la questione di legittimità è inequivocabilmente riferita
all’illegittima reiterazione dei rapporti intercorsi tra i volontari del Corpo
dei vigili del fuoco e il Ministero dell’interno: infatti, il giudice
rimettente precisa che le disposizioni sono censurate nella parte in cui
consentono una «successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo
determinato».
3.— Ancora in via preliminare,
va precisato che la questione sollevata
con riferimento alla violazione della clausola 5 dell’accordo quadro allegato
alla direttiva n. 1999/70/CE risponde ai requisiti di ammissibilità
individuati dalla giurisprudenza costituzionale. Nell’ambito di un giudizio in via incidentale, le norme comunitarie
possono costituire elementi integrativi del parametro di costituzionalità di
cui all’art. 117, primo comma, Cost., soltanto se tali norme siano prive di
effetto diretto: circostanza che ricorre per la clausola 5 dell’accordo quadro
allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, come già rilevato dalla Corte di
giustizia (sentenza
15 aprile 2008, C-268/06) e da questa Corte (ordinanza n. 207
del 2013).
4.— La questione relativa all’articolo
4, commi 11 e 12, della legge n. 183 del 2011 deve quindi essere esaminata nel merito.
Il Tribunale ordinario di Roma ritiene che le disposizioni censurate
consentirebbero al Ministero dell’interno di richiamare il personale volontario
del Corpo dei Vigili del fuoco per «qualsivoglia» necessità dell’amministrazione,
escludendo inoltre tali eventuali richiami dall’applicazione del decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE
relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,
dal CEEP e dal CES). Ciò sarebbe in contrasto con la clausola 5, punto 1, del citato accordo
quadro, prevista «per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato», con
conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, invece, il personale
volontario dei Vigili del fuoco «non è vincolato da rapporto di impiego con
l’amministrazione ed è chiamato a svolgere temporaneamente i propri compiti
ogni qualvolta se ne manifesti il bisogno».
4.1.— La questione non è fondata.
Il giudice rimettente muove dal presupposto interpretativo che tra i
volontari dei Vigili del fuoco e la pubblica amministrazione vi sia un rapporto
di lavoro a tempo determinato. Tale presupposto è però escluso dalle norme che
regolano la materia.
La disciplina riguardante i volontari del Corpo dei vigili del fuoco
costituisce un sottosistema peculiare, ma non isolato. In altri casi, infatti,
il legislatore ha previsto che privati cittadini possano partecipare come
«volontari» allo svolgimento di funzioni pubbliche, quali la difesa militare e
la protezione civile. Similmente, altri ordinamenti – come quello tedesco –
hanno attribuito a personale volontario e non professionale un’ampia parte
delle attività di protezione civile.
In particolare, i volontari del Corpo dei vigili del fuoco non hanno una
funzione suppletiva, bensì emergenziale. Questa peculiare figura di volontari,
infatti, è stata introdotta in pieno periodo bellico, dalla legge 27 dicembre
1941, n. 1570 (Nuove norme per l’organizzazione dei servizi antincendi), per
sopperire a esigenze straordinarie. A conferma di ciò, ancora oggi l’art. 9,
comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 (Riassetto delle disposizioni
relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco,
a norma dell’articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n. 229), stabilisce che i
volontari possano essere richiamati innanzitutto «in occasione di calamità
naturali o catastrofi». I richiami hanno la durata massima di centosessanta
giorni all’anno, sono disposti a rotazione e devono essere adeguatamente
motivati dall’autorità che opera il richiamo, con ragioni strettamente
collegate alla funzione principale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco
(calamità naturali, catastrofi, soccorso pubblico, altre emergenze). Detti
richiami, quindi, sono disposti non per «qualsivoglia» necessità
dell’amministrazione, ma «in caso di necessità» funzionali allo svolgimento dei
summenzionati compiti, per il «soccorso pubblico» e per i «corsi di formazione»
a questo scopo.
Del resto, i volontari – al contrario del personale permanente del Corpo
dei Vigili del fuoco – non sono scelti a sèguito di pubblico concorso, ma su
domanda presentata dai diretti interessati e dopo un periodo di addestramento.
Inoltre, questi volontari possono avere
un rapporto di lavoro con altro soggetto: per quest’ultimo – che può essere
anche un privato – vi è l’obbligo di lasciare disponibili, in caso di loro
richiamo, i dipendenti iscritti negli appositi elenchi e di conservare loro il
posto di lavoro (art. 8, comma 4, d.lgs. n. 139 del 2006), atteso che
«l’assenza dal servizio deve considerarsi giustificata a ogni effetto di legge»
(art. 22 del d.P.R. 6 febbraio 2004, n. 76 «Regolamento concernente disciplina
delle procedure per il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale
volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco»).
Per tutte queste
ragioni, il legislatore ha per ben tre volte escluso esplicitamente che tra i
volontari del Corpo dei vigili del fuoco e la pubblica amministrazione vi sia
un rapporto di lavoro. Il censurato art. 4, comma 12, della legge n. 183 del
2011, infatti, nel prevedere che «i richiami in servizio» di tale personale
volontario «non costituiscono rapporti di impiego con l’Amministrazione», si
limita a ripetere quanto già stabilito per la medesima categoria di soggetti
dall’art. 6 del d.lgs. n. 139 del 2006 («Il personale volontario non è legato
da un rapporto d’impiego all’Amministrazione») e dall’art. 1, comma 3, del
d.P.R. n. 76 del 2004 («Il personale volontario non è vincolato da rapporto di
impiego con l’Amministrazione»).
4.2.— In conclusione,
il rapporto tra la pubblica amministrazione e il personale volontario del Corpo
dei vigili del fuoco, per l’esercizio di funzioni straordinarie e collegate ad
eventi di natura eccezionale e di durata ed entità non prevedibili, consiste in
una dipendenza di carattere esclusivamente funzionale. I volontari dei vigili
del fuoco non ricadono quindi nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro
allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, perché tale accordo si applica «ai lavoratori a
tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro
disciplinato dalla legge» (clausola 2); nel caso in esame, non vi è un rapporto
di lavoro, ma di servizio.
La questione, dunque,
non è fondata per l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muovono le
censure prospettate dal giudice rimettente (ex
multis, sentenze n. 236
e n. 229 del
2013).
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, commi 11 e 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– Legge di stabilità 2012), sollevata dal Tribunale
ordinario di Roma, prima sezione lavoro, con l’ordinanza indicata
in epigrafe, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e alla
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato, allegato alla direttiva 28
giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all'accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre
2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2013.