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SENTENZA N. 6
ANNO 2013
Commenti alla decisione di
I. Leonardo Brunetti, Ordinamento civile, governo del territorio
e distanze tra gli edifici, (per gentile
concessione del Forum di Quaderni
Costituzionali)
II. Giovanni Di Cosimo, Se
una legge vale meno di un decreto ministeriale, per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1,
secondo comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979, n. 31 (Interventi edificatori nelle zone di completamento
previste dagli strumenti urbanistici generali comunali), promosso dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, nel
procedimento vertente tra F.G. ed altra e la Pasticceria Garden di Castelletti
Bruno & C. snc, con ordinanza del 29 dicembre 2011, iscritta al n. 177 del
registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento della Regione Marche;
udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 il
Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto
in fatto
1.— La Corte di cassazione, sezione
seconda civile, con ordinanza depositata presso la cancelleria di quella Corte
il 29 dicembre 2011 e iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2012 di questa
Corte, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1,
secondo comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979, n. 31 (Interventi
edificatori nelle zone di completamento previste dagli strumenti urbanistici
generali comunali), con riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera l),
e terzo comma, della Costituzione.
1.1.— Il giudizio a quo verte su una domanda di accertamento della violazione delle
distanze legali, rigettata in sede di primo e secondo grado, con la quale i
ricorrenti presso la Corte di cassazione avevano chiesto la condanna della
controparte ad arretrare e dunque a demolire l’ampliamento di un edificio realizzato
da quest’ultima.
La Corte rimettente ha sollevato
d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma,
della legge regionale Marche sopramenzionata, in quanto consente ampliamenti di
edifici in deroga ai piani regolatori generali, con l’unico obbligo di
mantenere una distanza minima di tre metri dai fabbricati. In particolare, il
censurato articolo 1, secondo comma, permette ai Comuni, ai sensi del
successivo art. 2, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge,
di individuare gli edifici suscettibili di ampliamento tra quelli aventi
impianto edilizio preesistente, compresi nelle zone di completamento con
destinazione residenziale previste dagli strumenti urbanistici generali
comunali. Inoltre, l’art. 2, quarto comma, della medesima legge regionale,
afferma che la procedura così delineata, che si conclude con l’approvazione del
Consiglio comunale, ha efficacia di piano particolareggiato. Il giudice a quo ritiene che tale normativa sia in
contrasto con l’art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde
pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi
strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), che fissa una distanza minima tra gli
edifici, commisurandola alla dimensione delle strade e consentendo tuttavia
l’edificazione a distanze inferiori «nel caso di gruppi di edifici che formino
oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni
planovolumetriche».
1.2.— In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che il giudizio posto al
suo esame verte sulla richiesta di accertamento della violazione delle distanze
legali con riferimento ad un ampliamento, la cui legittimità sarebbe
argomentabile solo in base all’esistenza della normativa regionale censurata.
1.3.— Quanto alla non manifesta
infondatezza, con riferimento ai parametri costituzionali invocati, la Corte di
cassazione muove dalla considerazione che la Corte costituzionale, con sentenza n. 232 del
2005, ha affermato che la disciplina delle distanze tra le costruzioni
riguarda immediatamente i rapporti tra proprietari di fondi finitimi, per cui
essa rientra nella materia «ordinamento civile», di esclusiva competenza
legislativa statale. La Corte costituzionale in quell’occasione ha altresì
aggiunto che, data la specificità delle diverse aree territoriali, la
disciplina della distanza tra gli edifici può anche riguardare interessi di
natura pubblicistica, legati alle competenze regionali e locali in materia di
«governo del territorio». Per tale ragione si è consentito che gli enti
territoriali possano ponderare adeguatamente l’articolazione tra interessi privati
e pubblici e dunque stabilire distanze diverse, in considerazione della
conformazione dei singoli territori.
Tuttavia, le Regioni, secondo il giudice
rimettente, dovrebbero esercitare le loro competenze in materia di «governo del
territorio», rimanendo nell’ambito dei principi della legislazione statale –
principi tra i quali si colloca l’individuazione della distanza minima tra i
fabbricati, residuando loro la competenza a fissare eventualmente distanze
maggiori. Le uniche deroghe alle distanze minime ammesse dal legislatore
statale dovrebbero, stando al tenore normativo di cui all’art. 9, ultimo comma,
del decreto ministeriale sopracitato, essere contenute in piani
particolareggiati, in quanto strumenti urbanistici idonei a delineare un
assetto complessivo ed unitario delle specifiche zone territoriali e, pertanto,
ricadenti nella competenza regionale in materia di «governo del territorio». Le
deroghe non dovrebbero invece incidere nella regolazione dei rapporti tra fondi
finitimi, aspetto – quest’ultimo – di natura privatistica e pertanto riservato
alla competenza del legislatore statale.
La legge della Regione Marche, nella
parte censurata, non rispetterebbe i limiti della potestà legislativa
concorrente in materia di «governo del territorio», attribuendo invece
l’efficacia di piano particolareggiato alla procedura che i Comuni possono
seguire per consentire ampliamenti anche di singoli edifici, procedura che
invece esula dagli strumenti urbanistici.
2.— È intervenuta nel giudizio la
Regione Marche, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il 2
ottobre 2012, argomentando per l’inammissibilità e in ogni caso per
l’infondatezza della questione prospettata dal rimettente.
2.1.—
La difesa regionale innanzitutto nota che l’ordinanza di rimessione non
avrebbe «motivazione autonoma» rispetto a quanto affermato da questa Corte
nella sentenza
n. 232 del 2005 e dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza
20 maggio 2010, n. 12424, e Corte di cassazione, sezioni unite civili, 18
febbraio 1997, n. 1486, e dunque sarebbe carente in punto di motivazione sulla
non manifesta infondatezza.
2.2.— Nel merito, la difesa regionale
ricostruisce l’orientamento della Corte costituzionale sostenendo che questa
ritenga essere attribuito agli strumenti urbanistici il potere di derogare alla
normativa statale sulle distanze minime, in base alla competenza legislativa
regionale in materia di «governo del territorio». Secondo la parte resistente,
la legge regionale censurata avrebbe dettato una disciplina relativa
all’assetto urbanistico, consentendo nelle zone di completamento con
destinazione residenziale specifici ampliamenti, subordinati alla verifica
della presenza di alcune condizioni, e attribuendo a tali interventi
l’efficacia di piani particolareggiati. La disposizione impugnata, pertanto,
non sarebbe in contrasto con la sentenza della
Corte costituzionale n. 232 del 2005, che, nell’interpretazione della
Regione Marche, si sarebbe limitata a dichiarare l’illegittimità di norme
regionali riguardanti esclusivamente interessi di natura privatistica, relativi
ai soli titolari dei fondi finitimi, senza vietare alle Regioni di derogare,
con strumenti di natura urbanistica, alle distanze minime fissate dalle
disposizioni statali di riferimento.
Nel caso in esame, la deroga disposta
dalla legge regionale impugnata riguarderebbe un numero imprecisato di edifici,
da individuare ad opera del Comune, con una delibera equiparata per efficacia
al piano particolareggiato. La Regione avrebbe, dunque, disciplinato uno
strumento di pianificazione a disposizione dei Comuni, senza esorbitare dalle
proprie competenze. La riduzione delle distanze tra gli edifici rientrerebbe
pertanto tra gli strumenti di pianificazione territoriale riconducibili alla
materia «governo del territorio» e non interferirebbe con quella «ordinamento
civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Pertanto, in tesi, la censura dovrebbe
dirsi infondata.
3.— La Regione Marche ha depositato
presso la cancelleria della Corte il 30 ottobre 2012 memoria difensiva, con la
quale ha ulteriormente argomentato per l’inammissibilità e, in subordine, per
l’infondatezza della questione come prospettata dal giudice a quo.
3.1.— Quanto all’inammissibilità, la
difesa regionale rammenta che la giurisprudenza della Corte costituzionale – in
particolare la sentenza
n. 232 del 2005 – mentre aveva qualificato in termini di «ordinamento
civile» la disciplina delle distanze tra edifici, con riferimento ai rapporti
tra proprietari di fondi finitimi, aveva invece affermato che, per i profili attinenti
all’inserimento dei fabbricati sul territorio e ai loro rapporti all’interno
del medesimo, il titolo competenziale fosse da rinvenirsi nel «governo del
territorio». Su questo punto, ad avviso della Regione Marche, l’ordinanza della
Corte di cassazione mancherebbe di qualsiasi motivazione atta a ricondurre la
legislazione censurata nell’alveo della competenza dell’ordinamento civile,
sulla base della quale è stata mossa la censura. Infatti, l’ordinanza
motiverebbe solo sulla non conformità della disposizione impugnata ai principi
fondamentali della materia «governo del territorio» e, pertanto, la motivazione
sarebbe insufficiente e contraddittoria, quanto meno con riferimento
all’evocazione del parametro «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost.
3.2.— Nel merito, la Regione sostiene
che la Corte di cassazione, seconda sezione civile, con sentenza 29 settembre
2009, n. 20852, avrebbe riconosciuto, nella normativa qui censurata,
l’obiettivo di regolare le distanze tra gli edifici relativamente al loro
inserimento urbanistico, ritenendola, dunque, espressione della competenza
regionale in materia di «governo del territorio». La disposizione oggetto del
giudizio pertanto si confermerebbe finalizzata a consentire ai Comuni di
individuare gli edifici su cui intervenire attraverso uno specifico
apprezzamento urbanistico.
Ricondotta la disciplina regionale
nell’alveo della materia di competenza legislativa concorrente «governo del
territorio», la difesa regionale richiama nuovamente la sentenza della
Corte costituzionale n. 232 del 2005, che consentirebbe precisamente
interventi in deroga alle distanze stabilite dal decreto ministeriale più volte
richiamato, attraverso un iter
procedurale di natura urbanistica che, nel caso di specie, sarebbe rispettato,
in quanto alla procedura prevista dalla legge impugnata è riconosciuta
efficacia di piano particolareggiato.
Considerato in diritto
La disposizione censurata – art. 1,
secondo comma – consente che gli edifici aventi impianto edilizio preesistente,
con evidenti caratteristiche di non completezza, compresi nelle zone di
completamento con destinazione residenziale previste dagli strumenti
urbanistici generali comunali approvati, siano ampliati anche in deroga alle
distanze e/o al volume stabiliti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.
1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i
fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765). Il
successivo articolo 2, della medesima legge regionale n. 31 del 1979,
stabilisce che a tal fine i Comuni, entro un anno dalla data di entrata in
vigore della stessa, individuano gli edifici da ampliare, distinguendo gli
edifici aventi bisogno di deroga dai distacchi, quelli aventi bisogno di
completamento volumetrico, quelli aventi bisogno sia di completamento
volumetrico sia di deroga dai distacchi. Ai sensi del medesimo articolo 2,
quarto comma, tale procedura è approvata dal Consiglio comunale e ha efficacia
di piano particolareggiato.
Secondo l’ordinanza di rimessione, la
previsione regionale censurata, nella parte in cui consente ampliamenti in
deroga alle distanze e/o ai volumi stabiliti dal d.m. n. 1444 del 1968, sarebbe
costituzionalmente illegittima, in quanto travalicherebbe la competenza
regionale concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost.,
interferendo con la disciplina delle distanze tra le costruzioni, che rientra
nella materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva statale
ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
2.— Occorre
preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla
Regione Marche, intervenuta in giudizio.
Ad avviso della Regione interveniente,
l’ordinanza sarebbe inammissibile «perché priva di qualsiasi motivazione»,
limitandosi a richiamare la sentenza della
Corte costituzionale n. 232 del 2005. Mancherebbe, in particolare, ogni
argomentazione circa l’attinenza della disposizione impugnata all’ambito dei
rapporti interprivati, anziché alla disciplina degli assetti urbanistici.
L’eccezione non è fondata.
L’ordinanza di rimessione, dopo aver
adeguatamente motivato sulla rilevanza della questione sollevata nel giudizio a quo – trattandosi di giudizio in cui
si discute della richiesta di accertamento della violazione delle distanze
legali, violazione che risulterebbe esclusa solo per effetto della disposizione
regionale impugnata, sulla base della quale l’intervento edilizio è stato
autorizzato –, prosegue richiamando la giurisprudenza costituzionale in materia
di limiti alla potestà legislativa delle Regioni in materia di edilizia e
urbanistica, con particolare riferimento a quelli concernenti la disciplina delle
distanze tra costruzioni, che rientrano nella competenza legislativa statale in
materia di «ordinamento civile». In riferimento alla disposizione impugnata,
l’ordinanza afferma poi che il dubbio di legittimità costituzionale dipende
dalla considerazione che, mentre secondo la giurisprudenza costituzionale le
deroghe alla disciplina civilistica delle distanze sono consentite solo per
finalità di natura urbanistica e pertanto debbono riguardare edifici inclusi
tutti in un medesimo piano particolareggiato, viceversa la disposizione
regionale consente deroghe non rispettose di tali principi.
3.— Nel merito, la questione è fondata.
3.1.— Come ricorda correttamente
l’ordinanza di rimessione, questa Corte ha già affermato che la regolazione
delle distanze tra i fabbricati deve essere inquadrata nella materia
«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze
n. 114 del 2012,
n. 173 del 2011,
n. 232 del 2005).
Infatti, tale disciplina attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra
proprietari di fondi finitimi e ha la sua collocazione innanzitutto nel codice
civile. La regolazione delle distanze è poi precisata in ulteriori interventi
normativi, tra cui rileva, in particolare, il citato d.m. n. 1444 del 1968.
Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha altresì chiarito che, poiché «i
fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri – per
ragioni naturali e storiche – specifiche caratteristiche, la disciplina che li
riguarda – ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso –
esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi
pubblici» (sentenza
n. 232 del 2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla
competenza concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost.
Per queste ragioni, in linea di
principio la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella
materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale;
alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime
stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia
giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo
del territorio. Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una
competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici,
dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente
circoscritta dal suo scopo – il governo del territorio – che ne detta anche le
modalità di esercizio. Pertanto, la legislazione regionale che interviene in
tale ambito è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di
carattere urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a «strumenti
urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate
zone del territorio» (sentenza n. 232 del
2005).
Le norme regionali che, disciplinando le
distanze tra edifici, esulino da tali finalità, ricadono illegittimamente nella
materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato.
3.2.— Il punto di equilibrio tra la
competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» e quella
regionale in materia di «governo del territorio», come identificato dalla Corte
costituzionale, trova una sintesi normativa nell’ultimo comma dell’art. 9 del
d.m. n. 1444 del 1968, che la Corte costituzionale ha più volte ritenuto dotato
di «efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale
consolidato» (sentenza
n. 114 del 2012; ordinanza n. 173
del 2011; sentenza
n. 232 del 2005). Quest’ultima disposizione consente che siano fissate
distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel
caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche». Le deroghe
all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono, dunque, consentite nei
limiti ora indicati, se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a
conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del
territorio.
3.3.— La norma regionale censurata
infrange i principi sopra ricordati, in quanto consente espressamente ai Comuni
di derogare alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del 1968, senza
rispettare le condizioni stabilite dall’art. 9, ultimo comma, del medesimo
decreto ministeriale, che, come si è detto, esige che le deroghe siano inserite
in appositi strumenti urbanistici, a garanzia dell’interesse pubblico relativo
al governo del territorio. La disposizione regionale impugnata, al contrario,
autorizza i Comuni ad «individuare gli edifici» dispensati dal rispetto delle
distanze minime. La deroga non risulta, dunque, ancorata all’esigenza di
realizzare la conformazione omogenea dell’assetto urbanistico di una
determinata zona, ma può riguardare singole costruzioni, anche individualmente
considerate.
3.4.— La procedura delineata dal
legislatore regionale non è dunque conforme ai principi sopra enunciati, né il vizio
può ritenersi insussistente in ragione dell’art. 2, quarto comma, della legge
regionale impugnata, che intende conferire a tale procedura «efficacia di piano
particolareggiato», ex lege. Anzi,
attraverso tale autoqualificazione, il legislatore regionale pretende di
attribuire gli effetti tipici degli strumenti urbanistici a un procedimento che
non ne rispecchia la sostanza e le finalità. L’attribuzione, per via
legislativa, della qualifica formale di piano particolareggiato ad una procedura
che del piano urbanistico non ha le caratteristiche, perché permette di
derogare caso per caso alle regole sulle distanze tra edifici, non offre alcuna
garanzia che la legge regionale persegua quelle finalità pubbliche di governo
del territorio che, sole, possono giustificare l’esercizio di una competenza
legislativa regionale in un ambito strettamente connesso alla competenza
statale in materia di «ordinamento civile».
Pertanto, l’art. 1, secondo comma, della
legge regionale Marche n. 31 del 1979 deve essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo, in quanto eccede la competenza regionale concorrente del «governo
del territorio», violando il limite dell’«ordinamento civile», di competenza
legislativa esclusiva dello Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio
2013.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2013.