ORDINANZA N.
169
ANNO 2011
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Paolo MADDALENA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dei decreti del Presidente
della Repubblica del 23 marzo 2011, con i quali, viste le sentenze di
ammissibilità della Corte costituzionale nn. 24 e 26 del 2011, e vista la
deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2011, sono stati indetti
i due referendum, e sono stati convocati i relativi comizi per il giorno di
domenica 12 giugno 2011, con prosecuzione delle operazioni di votazione nel
giorno successivo, giudizio promosso da Carsetti Paolo, nella qualità di
presidente e legale rappresentante del Comitato promotore per il Sì ai
referendum per l’Acqua Pubblica, con ricorso depositato in cancelleria l’8
aprile 2011 ed iscritto al n. 1 del registro conflitti tra poteri dello Stato
2011, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio dell’11 maggio 2011 il
Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che, con ricorso depositato l’8 aprile 2011, Paolo
Carsetti, nella qualità di presidente e legale rappresentante del Comitato
promotore per il Sì ai referendum per l’Acqua Pubblica – referendum ammessi da
questa Corte con sentenze n. 24 e n. 26 del 2011
e riguardanti, il primo, l’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99
(Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché
in materia di energia), e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135
(Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per
l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia della Comunità europea),
convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166; il
secondo, l’art. 154, comma 1, del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in materia ambientale) – ha sollevato conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato nei confronti del Consiglio dei ministri, in riferimento ai
decreti del Presidente della Repubblica del 23 marzo 2011 che hanno indetto i
referendum, in una data (12-13 giugno 2011) diversa da quella stabilita per le
elezioni amministrative (15-16 maggio);
che, con riguardo alla ammissibilità del
ricorso, sotto il profilo soggettivo, i ricorrenti ritengono pacifica la qualificazione
del comitato promotore come potere dello Stato, richiamando l’orientamento
costante di questa Corte, che risale all’ordinanza n. 17 del 1978, in base al
quale il comitato promotore di un referendum, pur essendo figura soggettiva
esterna rispetto allo Stato-apparato, è titolare di funzioni pubbliche tutelate
dall’art. 75 della Costituzione;
che, sotto il profilo oggettivo, i
ricorrenti sostengono che il Governo abbia fatto cattivo uso del potere
attribuitogli dall’art. 34 della legge 25 maggio 1970, n. 325 (Norme sui
referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del
popolo), non avendo accorpato lo svolgimento dei referendum con le elezioni
amministrative indette il 15-16 maggio 2011;
che in tal modo, secondo i ricorrenti, il
Governo – «lungi dall’implementare il mandato dell’art. 3 Cost.», nella parte
in cui richiede la rimozione degli ostacoli che impediscono l’effettiva
partecipazione all’organizzazione politica del paese – avrebbe compiuto una
scelta irragionevole, «invasiv[a] e lesiv[a] di attribuzioni di rilievo
costituzionale dei ricorrenti in quanto rappresentanti del popolo sovrano»,
perché il mancato accorpamento rivelerebbe un tentativo di elusione della
richiesta referendaria, che contrasta con il principio d’imparzialità
nell’esercizio dei pubblici poteri e con il favor che assiste l’istituto
referendario (art. 75 Cost.);
che la decisione del Governo sarebbe
altresì contraria al principio di buon andamento sancito dall’art. 97 Cost., in
quanto il mancato accorpamento del referendum con le elezioni amministrative
arrecherebbe un notevole danno alle finanze pubbliche, oltre che all’economia
nazionale, e perciò violerebbe i criteri di efficienza, efficacia ed
economicità che connotano la buona azione amministrativa;
che i ricorrenti richiamano le pronunce
con le quali questa Corte ha chiarito che la discrezionalità di cui gode il
Governo nello scegliere la data delle consultazioni incontra il limite delle
ipotesi in cui «sussistano oggettive situazioni di carattere eccezionale [...]
idonee a determinare un’effettiva menomazione del diritto di voto referendario»
(ordinanze n. 38
del 2008, n.
198 del 2005 e n. 131 del 1997)
e affermano che, nel caso specifico, siffatte situazioni oggettive di carattere
eccezionale sarebbero rappresentate dalla duplice circostanza che «i comizi
elettorali per le elezioni amministrative sono già stati convocati in date
interne alla finestra referendaria» e che il Paese sta attraversando una crisi
economica di gravità eccezionale, tale da rendere la scelta compiuta dal
Governo irragionevole e lesiva dell’esercizio del diritto di voto referendario;
che la determinazione da parte del
Governo della data dei referendum sarebbe lesiva della sfera di attribuzioni
dei ricorrenti perché avvenuta in violazione del principio – immanente
nell’ordinamento costituzionale – di leale collaborazione tra poteri, in base
al quale tale data dovrebbe essere stabilita in concertazione con il comitato
promotore e previa audizione dello stesso;
che, poi, sorgerebbero dubbi di
legittimità costituzionale in relazione all’art. 34 della legge n. 352 del
1970, nella parte in cui non prevede il coinvolgimento del comitato promotore
nella determinazione della data d’indizione dei referendum, «unica fase di
tutto il procedimento in cui esso non è chiamato in causa»;
che, in ogni caso, anche se la legge non
prevede la consultazione del comitato, «ciò non significa che il Governo non
debba attenersi al principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato,
che trova applicazione ogni qual volta diversi poteri abbiano in cura il
medesimo interesse (che in questo caso non può che essere l’esercizio della
sovranità popolare)»;
che i ricorrenti chiedono, pertanto, che
questa Corte pronunci un’ordinanza di sospensione ex art. 26 delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008,
in considerazione «della durata minima necessaria di tale procedimento e
dell’urgenza di una decisione che risolva il conflitto sollevato»; che
«sollev[i] davanti a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34
della legge n. 352 del 1970 nella parte in cui non prevede che il comitato
promotore del referendum partecipi con il Governo alla determinazione della
data del referendum»; che «annull[i] i decreti del Presidente della Repubblica
del 23 marzo 2011 pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 77 del 4 aprile 2011 e
indic[hi] la fissazione di una nuova data, coincidente con la data del primo
turno delle elezioni amministrative (15-16 maggio) o con quella del secondo
turno (29 maggio)»; che, «in subordine, qualora i tempi non consentano
l’anticipazione delle consultazioni referendarie, posticip[i] la data delle
elezioni amministrative al 12-13 giugno, massimizzando in tal modo il risparmio
di denaro pubblico secondo quanto disposto dall’art. 97 Costituzione»;
che, con memoria integrativa depositata
il 19 aprile 2011, il comitato promotore lamenta che il mancato accorpamento
della consultazione referendaria con le elezioni amministrative produrrebbe un
ulteriore effetto negativo, consistente nella disinformazione degli elettori
circa il suo svolgimento, ulteriormente acuito sia dalla mancata
regolamentazione delle tribune referendarie da parte della Commissione per
l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, sia
dall’introduzione – a norma dell’art. 13 della legge 30 aprile 1999, n. 120
(Disposizioni in materia di elezione degli organi degli enti locali, nonché
disposizioni sugli adempimenti in materia elettorale) – della tessera
elettorale, che, dato il suo carattere permanente, non ha, a differenza del
preesistente certificato elettorale, funzione di notifica rispetto alle
consultazioni referendarie;
che, infine, i ricorrenti formulano due
richieste aggiuntive, invitando questa Corte a sollevare davanti a sé la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge n. 120 del
1999, «nella parte in cui istituisce la tessera elettorale per tutte le
consultazioni referendarie, senza considerare la particolarità delle
consultazioni referendari[e] data dall’elemento costitutivo di validità del
quorum», e a «disporre che, anche nelle more della fissazione dell’udienza di
merito, sia data agli elettori debita comunicazione, notificata personalmente,
delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno».
Considerato che, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), in questa fase questa Corte è chiamata a delibare
esclusivamente se il ricorso sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio
tra le parti, se sussistano i requisiti soggettivi e oggettivi di un conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, sotto il profilo soggettivo, la
giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che va riconosciuto agli
elettori, in numero non inferiore a 500.000, sottoscrittori della richiesta di
referendum – dei quali i promotori sono competenti a dichiarare la volontà in
sede di conflitto – la titolarità, nell’ambito della procedura referendaria, di
una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano
la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari (ex multis, ordinanze n. 172 del 2009,
n. 38 del 2008
e n. 17 del 1978);
che, ancora sotto il profilo soggettivo,
il conflitto è proponibile nei confronti del Governo;
che, in relazione al requisito
oggettivo, occorre verificare se gli atti impugnati possano dar luogo a una
lesione della sfera di attribuzioni che le norme costituzionali assegnano al
comitato promotore;
che, a questo proposito, i ricorrenti
sostengono che il Governo abbia fatto cattivo uso del potere di fissazione
della data del referendum, non avendone accorpato lo svolgimento con le
elezioni amministrative e compiendo così una scelta irragionevole che
rivelerebbe un tentativo di elusione della richiesta referendaria e che
contrasterebbe con il principio di buon andamento sancito dall’art. 97 Cost.,
in quanto arrecherebbe un notevole danno alle finanze pubbliche;
che questa Corte ha già chiarito che
«rientra nella sfera delle attribuzioni del comitato la pretesa allo
svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la
procedura di verifica della legittimità e della costituzionalità delle relative
domande, ma non anche la pretesa alla scelta, tra le molteplici, legittime
opzioni, della data entro l’arco temporale prestabilito» (ordinanza n. 131 del 1997;
ordinanze n. 38
del 2008 e n.
198 del 2005);
che, inoltre, questa Corte ha affermato
che «l’individuazione di un rigido e ristretto arco temporale, entro il quale
deve essere tenuta la votazione, rivela che la valutazione dei possibili
interessi coinvolti é stata effettuata dal legislatore, secondo la disciplina,
di per sé non irragionevole, dettata dalla legge n. 352 del 1970 in un contesto
procedimentale con puntuali scansioni temporali, che rende, nella fisiologia
del sistema, non altrimenti vincolata la scelta della data all’interno del
predetto arco temporale, salvo che sussistano oggettive situazioni di carattere
eccezionale – [...] idonee a determinare un’effettiva menomazione
dell’esercizio del diritto di voto referendario» (ordinanza n. 131
del 1997);
che le situazioni considerate
«eccezionali» dal comitato promotore sono in realtà circostanze ordinarie e, in
ogni caso, riferibili a situazioni «esterne» o di contesto: esse non incidono
direttamente sul diritto di voto referendario e non ne precludono l’esercizio;
che, pertanto, in assenza di tali
oggettive situazioni di carattere eccezionale, il mancato accorpamento dei
referendum con le elezioni amministrative di per sé non agevola, ma neppure
ostacola, lo svolgimento delle operazioni di voto referendario e non è
suscettibile di incidere sulle attribuzioni costituzionalmente garantite del
comitato promotore;
che, non essendo configurabile, in
ordine alla scelta della data, una specifica potestà costituzionalmente
garantita del comitato promotore, risulta inconferente il richiamo al principio
di leale collaborazione: esso in tanto può trovare applicazione in quanto vi
sia l’esigenza di coordinare l’esercizio di prerogative analoghe spettanti a
poteri diversi che concorrono alla cura di un medesimo interesse
costituzionalmente rilevante, né sussistono i presupposti affinché questa Corte
sollevi dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34
della legge n. 352 del 1970, secondo quanto richiesto dai ricorrenti;
che, quanto al presunto contrasto della
scelta governativa con il principio di buon andamento, occorre osservare che,
in assenza di situazioni oggettive di carattere eccezionale, nella fissazione
della data del referendum spetta al Governo, nell’ambito della cornice
temporale definita dalla legge, «la valutazione dei possibili interessi
coinvolti» (ordinanza
n. 131 del 1997), tra i quali rientra anche quello al contenimento della
spesa;
che anche le circostanze menzionate
nella censura secondo cui il mancato accorpamento avrebbe l’effetto di
disinformare gli elettori circa lo svolgimento della consultazione referendaria
e che tale effetto di disinformazione sarebbe ulteriormente acuito
dall’introduzione, a norma dell’art. 13 della legge 30 aprile 1999, n. 120,
della tessera elettorale – a prescindere dalla ammissibilità di tale censura,
perché avanzata solo nella memoria integrativa – non introducono ostacoli che
impediscono lo svolgimento delle operazioni di voto referendario e, quindi, non
ledono le attribuzioni del comitato promotore costituzionalmente garantite
dall’art. 75 Cost.;
che, in conclusione, assorbita ogni
altra questione, il ricorso per conflitto di attribuzione è inammissibile per
mancanza del requisito oggettivo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
inammissibile il ricorso per
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Comitato
promotore per il Sì ai referendum per l’Acqua Pubblica nei confronti del
Consiglio dei ministri con ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2011.
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 maggio
2011.