Ordinanza n. 109 del 2008

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ORDINANZA N.109

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, lettera e), della legge 22 aprile 2005 n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso con ordinanza del 25 ottobre 2006 dalla Corte d’appello di Venezia nel procedimento penale a carico di D.L.M., iscritta al n. 78 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11 (non richiamato in dispositivo, ma espressamente indicato in motivazione) e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui pone, quale causa ostativa alla consegna del soggetto nei cui confronti sia stato emesso mandato di arresto europeo, la mancata previsione, nella legislazione dello Stato membro di emissione, di «limiti massimi della carcerazione preventiva»;

che la Corte rimettente – investita della richiesta di applicazione della misura cautelare avanzata, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 69 del 2005, dal Procuratore generale in relazione a un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria della Repubblica federale tedesca − rileva che il sistema processuale penale di tale Paese prevede, per la custodia cautelare, limiti temporali determinati solo fino alla sentenza di primo grado;

che il giudice a quo, richiamando una pronuncia della Corte di cassazione, assume, altresì, che − sebbene la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo abbia ritenuto conformi alle garanzie prescritte dall’art. 5, terzo comma, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, i sistemi processuali basati sul «controllo periodico ravvicinato» della custodia cautelare, anche in assenza di previsioni legislative di limiti temporali − una «interpretazione sistematica e razionalizzatrice», ispirata a tale orientamento, non sarebbe applicabile alla norma censurata;

che, infatti, l’art. 18, comma 1, lettera e), impone il rifiuto della consegna e, quindi, la reiezione della richiesta di misura cautelare propedeutica, nel caso in cui la legislazione dello Stato richiedente non preveda «limiti massimi di carcerazione preventiva»; né sarebbe possibile elidere tale condizione ostativa in forza del principio di “interpretazione conforme” al diritto comunitario, giacché quest’ultimo non potrebbe comunque «servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale»: e ciò tanto più ove si consideri, nella specie, «l’obiettiva conformità del principio contenuto in questa causa di esclusione della consegna con quello previsto nell’ultimo comma dell’art. 13 della Costituzione»;

che, alla luce di queste premesse e nell’impossibilità di disapplicare la norma, la Corte d’appello rimettente ritiene che la richiesta di misura cautelare debba essere rigettata, proprio perché nell’ordinamento tedesco non sono previsti termini massimi di custodia cautelare; con conseguente rilevanza della questione sollevata;

che − prosegue ancora il giudice  a quo − la «conformità letterale» della norma censurata all’ultimo comma dell’art. 13 Cost. impone «di apprezzare prima […] la conformità della causa di esclusione della consegna alla nostra Costituzione, in particolare verificando se si tratti di norma rispondente ad un principio generale indefettibile dell’ordinamento giuridico interno, come tale idoneo a superare eventuali principi e norme comunitarie di diverso contenuto»;  

che, ad avviso della medesima Corte, la norma impugnata si porrebbe tuttavia in contrasto con gli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost.

che, infatti, introducendo il requisito della previsione dei limiti massimi di custodia cautelare, il legislatore nazionale avrebbe inserito, quale causa impeditiva della consegna, una condizione non prevista nella decisione quadro: condizione che − in ragione delle diverse modalità con cui i sistemi nazionali risolvono il problema della verifica della permanente legittimità ed opportunità della custodia cautelare, in ossequio all’obbligo posto dall’art. 5 CEDU − verrebbe a risolversi, di fatto, in un insormontabile ostacolo alla consegna per le richieste provenienti dalla maggior parte degli Stati dell’Unione europea, anche di consolidata tradizione giuridica; «con ciò vanificando la stessa adesione formale dello Stato italiano al sistema del mandato di arresto europeo»;

che, pertanto, risulterebbe violato l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza del considerare «la nostra soluzione nazionale dei limiti massimi come parametro non solo interno, ma da imporre agli Stati esteri»; e ciò pur in un contesto in cui quegli Stati hanno consapevolmente disciplinato la verifica sulla legittimità ed opportunità del protrarsi della custodia cautelare, ricorrendo a soluzioni valutate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo come maggiormente adeguate della nostra;

che sarebbero lesi anche gli artt. 11 e 117, primo comma, della Carta fondamentale, poiché la negazione della consegna a Stati la cui disciplina cautelare – pur diversa da quella vigente nel nostro ordinamento – appare in realtà non solo compatibile, ma addirittura più coerente con i principi giuridici europei, si risolverebbe in una «sostanziale vanificazione della disciplina europea»;

che, inoltre, secondo la Corte d’appello rimettente, rientra nella competenza della Corte costituzionale, «anche per la delicatezza istituzionale delle implicazioni connesse, la soluzione interpretativa del problema del rapporto tra l’art. 13, ultimo comma, della Costituzione (che l’art. 18, lettera e, della legge n. 69 del 2005 richiama) e i principi e le norme europee»; così da devolvere, in particolare, a questa Corte «la risposta al quesito se la norma contenuta nell’articolo 13 debba essere considerata di rilevanza sistematica tale da non consentire il riconoscimento delle diverse e pur efficaci soluzioni sul punto date da diversi Stati della comunità europea»; 

che ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque,  per l’infondatezza della questione;

che la difesa erariale prospetta un’analitica ricostruzione tanto della “storia” dell’ordinamento comunitario, quanto del sistema normativo nei quali si viene a collocare il mandato di arresto europeo ed esamina il rapporto tra la norma censurata e l’ultimo comma dell’art. 13 Cost.; sulla base di ciò, evidenzia come la previsione di un limite massimo al protrarsi della custodia cautelare – rispondendo al più generale principio “europeo” della durata ragionevole della custodia medesima – renda irrilevante la circostanza che il sistema processuale italiano preveda dei termini di fase e dei termini massimi, a differenza di altre legislazioni le quali, invece, fondano la ragionevolezza della durata della custodia cautelare esclusivamente su controlli di ufficio dell’autorità giudiziaria, obbligatori e periodici;

che la piena rispondenza di questi ultimi alle esigenze di garanzia di cui all’art. 5, paragrafo 3, della Convenzione europea è stata peraltro certificata dal costante orientamento della Corte di Strasburgo, la quale, anzi, è giunta «in un caso a censurare la legislazione di quegli Stati, come l’Italia, nei quali il controllo sulla carcerazione preventiva è rimesso ad una disposizione di legge generale ed astratta»;

che, quanto al sistema processuale tedesco, il giudice a quo avrebbe omesso, inoltre, di considerare che – accanto alla previsione di un limite temporale predeterminato della custodia, fino alla sentenza di primo grado – una serie di norme evocano, con la possibilità di proroga di tale termine, un sistema di criteri connessi alla proporzionalità e ragionevolezza della stessa proroga, peraltro eccezionale; talché ne risulta un sistema che si conforma pienamente tanto all’art. 5 della Convenzione europea, quanto alla interpretazione di essa fornita dalla Corte di Strasburgo;  

che, dunque, se si considera che l’obbligo del giudice italiano è nel senso di garantire l’effettività del diritto comunitario, ne deriva che l’art. 18, lettera e), della legge n. 69 del 2005 potrebbe essere interpretato secondo canoni di razionalizzazione sistematica: vale a dire, nel senso che il mandato di arresto europeo non possa essere rifiutato dall’Italia, quando lo Stato estero richiedente «ha una disciplina della custodia cautelare ispirata al principio della durata ragionevole della medesima custodia»;

che, infine, l’Avvocatura dello Stato, a riprova della praticabilità della interpretazione adeguatrice sostenuta, fa rilevare che è stata rimessa alla Sezioni unite della Cassazione proprio la questione «se la disposizione di cui all’art. 18, lettera e), legge 22 aprile 2005, n. 69 debba essere valutata in termini restrittivi, oppure possa essere valutata in concreto, verificando, di volta in volta, se il sistema cautelare straniero fornisca una garanzia equivalente a quella offerta nel nostro ordinamento, attraverso il regime dei limiti massimi di custodia, prendendo in considerazione anche istituti diversi, comunque funzionali ad un effettivo controllo e limitazione della ‘carcerazione preventiva’».

Considerato che la Corte d’appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, dell’art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui configura, come causa ostativa alla consegna del soggetto nei cui confronti sia stato emesso mandato di arresto europeo, la mancata previsione, nella legislazione dello Stato membro di emissione, di «limiti massimi della carcerazione preventiva»;

che, ad avviso della Corte rimettente, la norma impugnata risulterebbe lesiva del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.); essa, infatti, verrebbe ad “imporre” la soluzione dell’ordinamento italiano, in tema di previsione di limiti massimi di carcerazione preventiva, anche a Stati esteri che – come nel caso di specie – prevedono periodici controlli sulla legittimità ed opportunità della protrazione della custodia cautelare: soluzione, quest’ultima, giudicata maggiormente “garantista” della prima dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo;

che sarebbero compromessi, altresì, gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., giacché l’effetto della norma censurata − ossia il rifiuto di consegna del soggetto destinatario di mandato d’arresto europeo a Stati la cui disciplina della custodia cautelare, sebbene diversa da quella italiana, risulta non solo non contraria, ma addirittura maggiormente coerente ai «principi giuridici europei», e segnatamente all’art. 5, paragrafo 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo − si risolverebbe in una «sostanziale vanificazione» degli obiettivi della decisione quadro che pure la legge n. 69 del 2005 era diretta ad attuare;

che il rimettente esclude che la norma impugnata si presti ad una interpretazione “adeguatrice”, sulla scorta del mero richiamo ad una pronuncia della Corte di cassazione, senza peraltro esplicitare le ragioni della sua condivisione e della conseguente impossibilità di una diversa soluzione ermeneutica: soluzione successivamente adottata, peraltro, dalle Sezioni unite della stessa Corte di cassazione (sentenza 30 gennaio 2007, n. 46114);

che − a prescindere da ogni rilievo circa tale assunto preliminare − il giudice  a quo, nel formulare il quesito di costituzionalità, omette totalmente di esprimersi sul problema − condizionante, per sua stessa affermazione, la fondatezza o meno della questione − se la regola della previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, che la norma denunciata mutua dall’art. 13, ultimo comma, Cost., sia o meno “cedevole” di fronte all’obbligo di rispetto dei vincoli scaturenti dall’ordinamento comunitario e dalle convenzioni internazionali, sancito a carico del legislatore nazionale dall’art. 117 Cost.;

che, al riguardo, il giudice rimettente − limitandosi ad affermare che spetta a questa Corte «la soluzione interpretativa del problema del rapporto tra l’art. 13, ultimo comma, Cost.», che la norma impugnata «richiama», «ed i principi e le norme europee» − si astiene dichiaratamente dall’effettuare il doveroso scrutinio circa l’effettiva consistenza del dubbio di costituzionalità: giacché è proprio lo scioglimento di tale alternativa ermeneutica irrisolta a costituire la base logica della valutazione di non manifesta infondatezza, che spetta al giudice a quo compiere prima di sollevare la questione di costituzionalità;

che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera e), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2008.