Ordinanza n. 103 del 2008

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ORDINANZA N. 103

ANNO 2008

 

Commenti alla decisione di

 

I. Luciana Pesole, La Corte Costituzionale ricorre per la prima volta al rinvio pregiudiziale. Spunti di riflessione sull'ordinanza n.103 del 2008 (per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it)

 

II. Irene Spigno, La Corte Costituzionale e la vexata questio del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, (per gentile concessione della Rivista telematica Osservatorio sulle fonti)

 

III. Sergio Bartole, Pregiudiziale comunitaria ed " integrazione " di ordinamenti, (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

IV. Tommaso Giovannetti, L’ultimo passo del "cammino comunitario” conduce la Corte a Lussemburgo, (per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco BILE Presidente

-  Giovanni Maria FLICK Giudice

-  Francesco AMIRANTE "

-  Ugo DE SIERVO "

-  Alfio FINOCCHIARO "

-  Alfonso QUARANTA "

-  Franco GALLO  "

-  Luigi MAZZELLA "

-  Gaetano SILVESTRI "

-  Sabino CASSESE "

-  Maria Rita SAULLE "

-  Giuseppe TESAURO  "

-  Paolo Maria NAPOLITANO  "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 2 agosto 2007, depositato in cancelleria il 7 agosto successivo ed iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2007.

         Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;

         udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2008 il giudice relatore Franco Gallo;

uditi l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Graziano Campus e Paolo Carrozza per la Regione Sardegna.

Ritenuto che, con i ricorsi n. 91 del 2006 e n. 36 del 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, nei confronti della Regione Sardegna, questioni di legittimità costituzionale: a) degli artt. 2, 3 e 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), sia nel testo originario sia nel testo sostituito, rispettivamente, dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 3 della legge reg. 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007); b) dell’art. 5 della citata legge reg. n. 2 del 2007;

che ciascuno degli articoli denunciati stabilisce e disciplina un particolare tributo regionale;

che i giudizi promossi con i suddetti ricorsi sono stati riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi;

che, per quanto qui rileva, con il ricorso n. 36 del 2007 è stato censurato l’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007, istitutivo dell’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto;

che tale censura, relativa alle imprese, è stata sollevata con riferimento a diversi parametri costituzionali e, in particolare, all’art. 117, primo comma, della Costituzione, per violazione delle norme del Trattato CE relative alla tutela della libera prestazione dei servizi (art. 49), alla tutela della concorrenza (art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10»), e al divieto di aiuti di Stato (art. 87);

che il ricorrente richiede, in proposito, che sia effettuato il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE;

che, con sentenza n. 102 del 2008, depositata in data odierna nei due giudizi riuniti, questa Corte ha deciso le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso n. 91 del 2006 e parte di quelle promosse con il ricorso n. 36 del 2007;

che, in particolare, quanto all’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto denunciata con quest’ultimo ricorso, con la indicata sentenza sono state dichiarate inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento a parametri costituzionali diversi dal primo comma dell’art. 117 Cost.;

che, con la stessa sentenza, è stata altresí disposta la separazione del giudizio concernente la questione di legittimità costituzionale della suddetta imposta regionale sullo scalo turistico promossa con riferimento al primo comma dell’art. 117 Cost. e relativa all’assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili o unità da diporto.

Considerato che, nell’àmbito del giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 36 del 2007, quale separato con la menzionata sentenza di questa Corte depositata in data odierna, si pongono in via pregiudiziale dubbi di interpretazione della normativa comunitaria evocata dal ricorrente come elemento integrativo del parametro di cui al primo comma dell’art. 117 della Costituzione;

che, al riguardo, è opportuno tratteggiare preliminarmente il quadro normativo utile per una migliore comprensione dei suddetti problemi interpretativi;

che, quanto al quadro normativo interno:

– 1) l’art. 11 Cost. cosí dispone:

«L’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.»;

– 2) l’art. 117, primo comma, Cost., evocato quale parametro di costituzionalità, cosí dispone:

«La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.»;

– 3) l’art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale della Regione Sardegna), nel testo modificato dal comma 834 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006 n. 296, cosí dispone:

«Le entrate della regione sono costituite:

a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione;

b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo dell’energia elettrica e delle tasse sulle concessioni governative percette nel territorio della regione;

c) dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione;

d) dai nove decimi dell’imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio della regione;

e) dai nove decimi della quota fiscale dell’imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione;

f) dai nove decimi del gettito dell’imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall’ISTAT;

g) dai canoni per le concessioni idroelettriche;

h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i princípi del sistema tributario dello Stato;

i) dai redditi derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio;

l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria;

m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici.

Nelle entrate spettanti alla regione sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono, in attuazione di disposizioni legislative o per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della regione.»;

– 4) il censurato art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, quale sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007, cosí dispone:

«(Imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto)

1. A decorrere dall’anno 2006 è istituita l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto.

2. Presupposto dell’imposta sono:

a) lo scalo negli aerodromi del territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale di cui all’articolo 743 e seguenti del Codice della navigazione adibiti al trasporto privato di persone nel periodo compreso dal 1° giugno al 30 settembre;

b) lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio regionale e nei campi di ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale lungo le coste della Sardegna delle unità da diporto di cui al decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171 (Codice della nautica da diporto) o comunque delle unità utilizzate a scopo di diporto, di lunghezza superiore ai 14 metri, misurate secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666, ai sensi dell’articolo 3, lettera b) del citato decreto legislativo, nel periodo compreso dal 1° giugno al 30 settembre.

3. Soggetto passivo dell’imposta è la persona fisica o giuridica avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale che assume l’esercizio dell’aeromobile ai sensi degli articoli 874 e seguenti del Codice della navigazione, o che assume l’esercizio dell’unità da diporto ai sensi degli articoli 265 e seguenti del Codice della navigazione.

4. L’imposta regionale di cui al comma 2, lettera a) è dovuta per ogni scalo, quella di cui al comma 2, lettera b) è dovuta annualmente.

5. L’imposta è stabilita nella seguente misura:

a) euro 150 per gli aeromobili abilitati fino al trasporto di quattro passeggeri;

b) euro 400 per gli aeromobili abilitati al trasporto da cinque a dodici passeggeri;

c) euro 1.000 per gli aeromobili abilitati al trasporto di oltre dodici passeggeri;

d) euro 1.000 per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra 14 e 15,99 metri;

e) euro 2.000 per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra 16 e 19,99 metri;

f) euro 3.000 per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra 20 e 23,99 metri;

g) euro 5.000 per le navi di lunghezza compresa tra 24 e 29,99 metri;

h) euro 10.000 per le navi di lunghezza compresa tra 30 e 60 metri;

i) euro 15.000 per le navi di lunghezza superiore ai 60 metri.

Per le unità a vela con motore ausiliario e per i motorsailer l’imposta è ridotta del 50 per cento.

6. Sono esenti dall’imposta:

a) le imbarcazioni che fanno scalo per partecipare a regate di carattere sportivo, a raduni di barche d’epoca, di barche monotipo ed a manifestazioni veliche, anche non agonistiche, il cui evento sia stato preventivamente comunicato all’Autorità marittima da parte degli organizzatori; dell’avvenuta comunicazione deve essere data notizia all’ARASE, prima dell’approdo;

b) le unità da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali;

c) la sosta tecnica, limitatamente al tempo necessario per l’effettuazione della stessa.

Con specifico provvedimento dell’ARASE sono indicate le modalità di certificazione delle cause di esenzione.

7. L’imposta è versata:

a) all’atto dello scalo per gli aeromobili di cui al comma 2, lettera a);

b) entro 24 ore dall’arrivo delle unità da diporto nei porti, negli approdi, nei punti e nei campi d’ormeggio ubicati lungo le coste della Sardegna;

mediante modalità da stabilirsi con provvedimento dell’ARASE.

8. La riscossione del tributo può essere affidata dall’ARASE mediante:

a) stipula di apposite convenzioni con soggetti terzi;

b) stipula di apposite convenzioni a soggetti che gestiscono gli aeroporti, i porti, gli approdi, i punti e i campi di ormeggio ubicati lungo le coste regionali, con riconoscimento di un aggio pari al 5 per cento dell’imposta riscossa.

9. I soggetti gestori di cui al comma 8 che accedono alla convenzione di riscossione provvedono, con le modalità previste dal provvedimento dell’ARASE, al riversamento alla Tesoreria regionale del tributo percetto, al netto degli eventuali aggi ad essi spettanti. Con il predetto provvedimento sono altresí disciplinate le caratteristiche degli eventuali moduli e precisati i dati che negli stessi devono essere riportati per individuare le unità da diporto.

10. I soggetti gestori delle strutture portuali ed aeroportuali che accedono alle convenzioni di cui al comma 8 sono obbligati a verificare il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria. Entro il 31 ottobre di ciascun anno sono obbligati a presentare all’Assessorato regionale competente in materia di entrate un rendiconto amministrativo delle somme incassate secondo le modalità previste con deliberazione della Giunta regionale.

11. I soggetti che gestiscono gli aeroporti, i porti, gli approdi, i punti e i campi di ormeggio ubicati lungo le coste regionali sono tenuti a comunicare all’Assessorato regionale del turismo, artigianato e commercio, a fini statistici, i movimenti registrati nelle strutture di rispettiva pertinenza. Con successivo provvedimento dell’Assessore regionale del turismo, artigianato e commercio, sono disciplinate le modalità di trasmissione degli elementi conoscitivi necessari alle indagini statistiche.»;

– 5) gli artt. 265, 266, da 272 a 274, da 743 a 746 da 874 a 876 del codice della navigazione, cosí dispongono:

«Art. 265

(Dichiarazione di armatore)

Chi assume l’esercizio di una nave deve preventivamente fare dichiarazione di armatore all’ufficio di iscrizione della nave o del galleggiante.

Quando l’esercizio non è assunto dal proprietario, se l’armatore non vi provvede, la dichiarazione può essere fatta dal proprietario.

Quando l’esercizio è assunto dai comproprietari mediante costituzione di società di armamento, le formalità, di cui agli articoli 279, 282 secondo comma, tengono luogo della dichiarazione di armatore.»;

«Art. 266

(Dichiarazione di armatore per le navi addette alla navigazione interna)

Per l’esercizio delle navi addette alla navigazione interna, l’annotazione dell’atto di concessione o di autorizzazione per il servizio di trasporto o di rimorchio, nei registri d’iscrizione della nave, tiene luogo della dichiarazione di armatore.»;

«Art. 272

(Presunzione di armatore)

In mancanza della dichiarazione di armatore debitamente resa pubblica, armatore si presume il proprietario fino a prova contraria.»;

«Art. 273

(Nomina di comandante della nave)

L’armatore nomina il comandante della nave e può in ogni momento dispensarlo dal comando.»;

«Art. 274

(Responsabilità dell’armatore)

L’armatore è responsabile dei fatti dell’equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave per quanto riguarda la nave e la spedizione.

Tuttavia l’armatore non risponde dell’adempimento da parte del comandante degli obblighi di assistenza e salvataggio previsti dagli articoli 489, 490, né degli altri obblighi che la legge impone al comandante quale capo della spedizione.»;

«Art. 743

(Nozione di aeromobile)

Per aeromobile si intende ogni macchina destinata al trasporto per aria di persone o cose.

Sono altresí considerati aeromobili i mezzi aerei a pilotaggio remoto, definiti come tali dalle leggi speciali, dai regolamenti dell’ENAC e, per quelli militari, dai decreti del Ministero della difesa.

Le distinzioni degli aeromobili, secondo le loro caratteristiche tecniche, e secondo il loro impiego, sono dall’ENAC con propri regolamenti e, comunque, dalla normativa speciale in materia.

Agli apparecchi costruiti per il volo da diporto o sportivo, compresi nei limiti indicati nell’allegato annesso alla legge 25 marzo 1985, n. 106, non si applicano le disposizioni del libro primo della parte seconda del presente codice.»;

«Art. 744

(Aeromobili di Stato e aeromobili privati)

Sono aeromobili di Stato gli aeromobili militari e quelli, di proprietà dello Stato, impiegati in servizi istituzionali delle Forze di polizia dello Stato, della Dogana, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Dipartimento della protezione civile o in altro servizio di Stato.

Tutti gli altri aeromobili sono considerati privati.

Salvo che non sia diversamente stabilito da convenzioni internazionali, agli effetti della navigazione aerea internazionale sono considerati privati anche gli aeromobili di Stato, ad eccezione di quelli militari, di dogana, di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Sono equiparati agli aeromobili di Stato gli aeromobili utilizzati da soggetti pubblici o privati, anche occasionalmente, per attività dirette alla tutela della sicurezza nazionale.»;

«Art. 745

(Aeromobili militari)

Sono militari gli aeromobili considerati tali dalle leggi speciali e comunque quelli, progettati dai costruttori secondo caratteristiche costruttive di tipo militare, destinati ad usi militari.

Gli aeromobili militari sono ammessi alla navigazione, certificati ed immatricolati nei registri degli aeromobili militari dal Ministero della difesa.»;

«Art. 746

(Aeromobili equiparati a quelli di Stato)

Salvo quanto disposto dell’ articolo 744, quarto comma, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può, con proprio provvedimento, equiparare agli aeromobili di Stato quegli aeromobili che, pur appartenendo a privati ed essendo da questi esercitati, siano adibiti a un servizio di Stato di carattere non commerciale.

Il provvedimento stabilisce limiti e modalità dell’equiparazione ed indica la categoria di aeromobile di Stato cui essa si riferisce.

L’equiparazione rende applicabili le disposizioni relative alla categoria cui essa si riferisce e le altre disposizioni indicate nel provvedimento.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sono stabiliti i criteri e le modalità per l’attribuzione della qualifica di volo e di Stato all’attività di volo esercitata nell’interesse delle autorità e delle istituzioni pubbliche.»;

«Art. 874

(Dichiarazione di esercente)

Chi assume l’esercizio di un aeromobile deve preventivamente farne dichiarazione all’Enac, nelle forme e con le modalità prescritte negli articoli 268 a 270.

Quando l’esercizio non è assunto dal proprietario, se l’esercente non provvede, la dichiarazione può essere fatta dal proprietario.»;

«Art. 875

(Pubblicità della dichiarazione)

La dichiarazione di esercente deve essere trascritta nel registro aeronautico nazionale ed annotata sul certificato di immatricolazione.

L’annotazione sul certificato di immatricolazione è fatta dall’autorità competente del luogo nel quale l’aeromobile si trova o verso il quale è diretto, previa comunicazione da parte dell’ufficio che tiene il registro aeronautico nazionale.

In caso di discordanza fra la trascrizione nel registro l’annotazione sul certificato di immatricolazione, prevalgono le risultanze del registro.»;

«Art. 876

(Presunzione di esercente)

In mancanza della dichiarazione di esercente, debitamente resa pubblica, esercente si presume il proprietario fino a prova contraria.»;

– 6) gli artt. 58 e 59 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), cosí dispongono:

«Art. 58

(Domicilio fiscale)

Agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello Stato, giusta le disposizioni seguenti.

Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune della cui anagrafe sono iscritte. Quelle non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. I cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato.

I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività.

In tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo.

Le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate.»;

«Art. 59

(Domicilio fiscale stabilito dall’amministrazione)

L’amministrazione finanziaria può stabilire il domicilio fiscale del soggetto, in deroga alle disposizioni dell’articolo precedente, nel comune dove il soggetto stesso svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel comune in cui è stabilita la sede amministrativa.

Quando concorrono particolari circostanze la amministrazione finanziaria può consentire al contribuente, che ne faccia motivata istanza, che il suo domicilio fiscale sia stabilito in un comune diverso da quello previsto dall’articolo precedente.

Competente all’esercizio delle facoltà indicate nei precedenti commi è l’intendente di finanza o il Ministro per le finanze a seconda che il provvedimento importi lo spostamento del domicilio fiscale nell’ambito della stessa provincia o in altra provincia.

Il provvedimento è in ogni caso definitivo, deve essere motivato e notificato all’interessato ed ha effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato notificato.»;

– 7) gli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. 18 luglio 2005, n. 171 (Codice della nautica da diporto ed attuazione della direttiva 2003/44/CE, a norma dell’articolo 6 della legge 8 luglio 2003, n. 172), cosí dispongono:

«Art. 1

(Finalità e àmbito di applicazione)

1. Le disposizioni del presente decreto legislativo si applicano alla navigazione da diporto.

2. Ai fini del presente codice si intende per navigazione da diporto quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro.

3. Per quanto non previsto dal presente codice, in materia di navigazione da diporto si applicano le leggi, i regolamenti e gli usi di riferimento ovvero, in mancanza, le disposizioni del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, e le relative norme attuative. Ai fini dell’applicazione delle norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi ed ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle dieci tonnellate, se a propulsione meccanica, ed alle venticinque tonnellate, in ogni altro caso, anche se l’imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di ventiquattro metri.»;

«Art. 2

(Uso commerciale delle unità da diporto)

1. L’unità da diporto è utilizzata a fini commerciali quando:

a) è oggetto di contratti di locazione e di noleggio;

b) è utilizzata per l’insegnamento professionale della navigazione da diporto;

c) è utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo.

2. L’utilizzazione a fini commerciali delle imbarcazioni e navi da diporto è annotata nei relativi registri di iscrizione, con l’indicazione delle attività svolte e dei proprietari o armatori delle unità, imprese individuali o società, esercenti le suddette attività commerciali e degli estremi della loro iscrizione, nel registro delle imprese della competente camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. Gli estremi dell’annotazione sono riportati sulla licenza di navigazione.

3. Qualora le attività di cui al comma 1 siano svolte con unità da diporto battenti bandiera di uno dei Paesi dell’Unione europea, l’esercente presenta all’autorità marittima o della navigazione interna con giurisdizione sul luogo in cui l’unità abitualmente staziona una dichiarazione contenente le caratteristiche dell’unità, il titolo che attribuisce la disponibilità della stessa, nonché gli estremi della polizza assicurativa a garanzia delle persone imbarcate e di responsabilità civile verso terzi e della certificazione di sicurezza in possesso. Copia della dichiarazione, timbrata e vistata dalla predetta autorità, deve essere mantenuta a bordo.

4. Le unità da diporto di cui al comma 1, lettera a), possono essere utilizzate esclusivamente per le attività a cui sono adibite.»;

«Art. 3

(Unità da diporto)

1. Le costruzioni destinate alla navigazione da diporto sono denominate:

a) unità da diporto: si intende ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto;

b) nave da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666 per la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto;

c) imbarcazione da diporto: si intende ogni unità con scafo di lunghezza superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri, misurata secondo le norme armonizzate di cui alla lettera b);

d) natante da diporto: si intende ogni unità da diporto a remi, o con scafo di lunghezza pari o inferiore a dieci metri, misurata secondo le norme armonizzate di cui alla lettera b).»;

che, quanto al quadro normativo comunitario, oltre alle norme del Trattato CE evocate dal ricorrente:

– 1) l’art. 2 del Regolamento (CE) n. 2096/2005 della Commissione del 20 dicembre 2005, che stabilisce requisiti comuni per la fornitura di servizi di navigazione aerea, cosí dispone:

«(Definizioni)

1. Ai fini del presente regolamento si applicano le definizioni di cui al regolamento (CE) n. 549/2004.

2. In aggiunta alle definizioni di cui al paragrafo 1, si applicano le seguenti definizioni:

a) "lavoro aereo”: l’operazione di un aeromobile utilizzato per servizi specialistici, quali ad esempio servizi connessi con l’agricoltura, la costruzione, la fotografia, i rilevamenti topografici, le ricognizioni nonché le attività di pattugliamento, ricerca e salvataggio, o servizi di pubblicità aerea;

b) "trasporto aereo commerciale”: qualsiasi operazione di un aeromobile che comporta il trasporto di passeggeri, merci e posta effettuata dietro compenso o mediante noleggio;

[…]

d) "aviazione generale”: tutte le operazioni di un aeromobile nel settore dell’aviazione civile diverse dal trasporto aereo commerciale e dal lavoro aereo; […].»;

– 2) il numero 11) dell’allegato al Regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2002, che istituisce norme comuni per la sicurezza dell’aviazione civile, contiene la seguente definizione:

«11) "Aviazione generale”: l’attività di volo di linea o non di linea non offerta o messa a disposizione del pubblico.»;

– 3) l’art. 2, lettera l), del Regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio del 18 gennaio 1993, relativo a norme comuni per l’assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità, contiene la seguente definizione:

«l) "aviazione d’affari”, il settore dell’aviazione generale che concerne l’esercizio o l’impiego di aeromobili da parte di imprese per il trasporto di passeggeri o merci a titolo ausiliario all’esercizio della loro attività, a fini che in genere non rientrano nelle attività di pubblico noleggio, e pilotati da persone che sono quantomeno titolari di una licenza valida di pilota commerciale con un’abilitazione al volo strumentale.»;

che, quanto all’ammissibilità dell’evocazione, nei giudizi promossi in via principale davanti a questa Corte sulla legittimità costituzionale di leggi regionali, di norme comunitarie quali elementi integrativi del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117, primo comma, Cost., va rilevato che l’ammissibilità consegue alla particolare natura di tali giudizi;

che, al riguardo, va premesso che, ratificando i Trattati comunitari, l’Italia è entrata a far parte dell’ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno, ed ha contestualmente trasferito, in base all’art. 11 Cost., l’esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle Province autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi;

che le norme dell’ordinamento comunitario vincolano in vario modo il legislatore interno, con il solo limite dell’intangibilità dei princípi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili dell’uomo garantiti dalla Costituzione (ex multis, sentenze nn. 349, 348 e 284 del 2007; n. 170 del 1984);

che, nei giudizi davanti ai giudici italiani, tale vincolo opera con diverse modalità, a seconda che il giudizio penda davanti al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a séguito di ricorso proposto in via principale;

che, nel caso di giudizio pendente davanti al giudice comune, a quest’ultimo è precluso di applicare le leggi nazionali (comprese le leggi regionali), ove le ritenga non compatibili con norme comunitarie aventi efficacia diretta;

che detto giudice, al fine dell’interpretazione delle pertinenti norme comunitarie, necessaria per l’accertamento della conformità della norme interne con l’ordinamento comunitario, si avvale, all’occorrenza, del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia CE di cui all’art. 234 del Trattato CE;

che nel caso, come quello di specie, in cui il giudizio pende davanti alla Corte costituzionale a séguito di ricorso proposto in via principale dallo Stato e ha ad oggetto la legittimità costituzionale di una norma regionale per incompatibilità con le norme comunitarie, queste ultime «fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.» (sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del 2004) o, più precisamente, rendono concretamente operativo il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale della norma regionale giudicata incompatibile con tali norme comunitarie;

che, in relazione alle leggi regionali, questi due diversi modi di operare delle norme comunitarie corrispondono alle diverse caratteristiche dei giudizi: davanti al giudice comune deve applicarsi la legge la cui conformità all’ordinamento comunitario deve essere da lui preliminarmente valutata; davanti alla Corte costituzionale adíta in via principale, invece, la valutazione di detta conformità si risolve, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di legittimità costituzionale, con la conseguenza che, in caso di riscontrata difformità, la Corte non procede alla disapplicazione della legge, ma ne dichiara l’illegittimità costituzionale con efficacia erga omnes;

che, pertanto, l’assunzione della normativa comunitaria quale elemento integrante il parametro di costituzionalità costituisce la precondizione necessaria per instaurare, in via di azione, il giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale che si assume essere in contrasto con l’ordinamento comunitario;

che, dunque, la censura in esame è ammissibile, perché le norme comunitarie sono state evocate nel presente giudizio di legittimità costituzionale quale elemento integrante il parametro di costituzionalità costituito dall’art. 117, primo comma, Cost.;

che, quanto ai limiti entro cui il diritto comunitario può essere preso in considerazione come elemento integrativo del parametro costituzionale evocato nel presente giudizio, va osservato che, in forza del combinato disposto degli artt. 23, 27 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 – secondo cui, nei giudizi in via principale, la Corte costituzionale dichiara quali sono le disposizioni legislative illegittime, nei limiti dei parametri costituzionali e dei motivi di censura indicati nel ricorso –, questa Corte può esaminare esclusivamente le violazioni denunciate dal ricorrente, riguardanti gli artt. 49, 81, «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10», e 87 del Trattato CE;

che, quanto all’applicabilità della norma censurata alle imprese, va premesso che l’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 (con effetto dal 31 maggio 2007, ai sensi dell’art. 37 di quest’ultima legge), istituisce, a decorrere dall’anno 2006, l’«imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto», applicabile, nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, alle persone fisiche o giuridiche aventi domicilio fiscale fuori dal territorio regionale che assumono l’esercizio dell’aeromobile o dell’unità da diporto (con l’esenzione dall’imposta: a. delle imbarcazioni che vengono in Sardegna per partecipare a regate di carattere sportivo, a raduni di barche d’epoca, di barche monotipo ed a manifestazioni veliche, anche non agonistiche, il cui evento sia stato preventivamente comunicato all’Autorità marittima da parte degli organizzatori; b. per la sosta tecnica degli aeromobili e delle imbarcazioni, limitatamente al tempo necessario per l’effettuazione della stessa; c. per le unità da diporto che sostano tutto l’anno nelle strutture portuali regionali);

che, in forza dello stesso articolo, l’imposta è dovuta: 1) per ogni scalo negli aerodromi del territorio regionale degli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al trasporto privato di persone, per classi determinate in relazione al numero dei passeggeri che tali aeromobili sono abilitati a trasportare; 2) annualmente, per lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio regionale e nei campi d’ormeggio attrezzati ubicati nel mare territoriale lungo le coste della Sardegna delle unità da diporto di cui al codice della nautica da diporto (decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171) e, comunque, delle unità utilizzate a scopo di diporto, per classi di lunghezza, a partire da 14 metri;

che, pertanto, la suddetta imposta regionale sullo scalo si applica anche alle imprese esercenti unità da diporto (o, comunque, utilizzate a scopo di diporto) non fiscalmente domiciliate in Sardegna e, in particolare, alle imprese la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere dette unità a disposizione di terzi;

che l’imposta si applica, altresí, alle imprese esercenti «aeromobili dell’aviazione generale […] adibiti al trasporto privato di persone», cioè (come rilevato nella citata sentenza di questa Corte, depositata in data odierna) alle imprese che effettuano operazioni di trasporto aereo (diverse dal «lavoro aereo»), senza compenso, e, quindi, nell’àmbito della cosiddetta "aviazione generale di affari”, definita dal menzionato art. 2, lettera l), del Regolamento (CEE) n. 95/93, come attività di aviazione generale effettuata dall’esercente con trasporto senza remunerazione per motivi attinenti alla propria attività di impresa;

che, quanto alle prospettate questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto comunitario, questa Corte ritiene opportuno sollevare questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia CE ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE esclusivamente con riguardo alle violazioni degli artt. 49 e 87 del Trattato CE, riservando al prosieguo del giudizio ogni decisione sull’asserita violazione dell’ art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza delle suddette questioni pregiudiziali con riferimento all’applicazione dell’imposta regionale sullo scalo turistico alle imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna, la denunciata norma, nell’assoggettare a tassazione le imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna, sembra creare una discriminazione rispetto alle imprese che, pur svolgendo la stessa attività, non sono tenute al pagamento del tributo per il solo fatto di avere domicilio fiscale nella Regione;

che, infatti, per le imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna – con riguardo tanto all’ampio mercato dell’utilizzazione commerciale delle unità da diporto, quanto al più ristretto mercato delle imprese che effettuano direttamente trasporti aerei aziendali di persone senza remunerazione – può ipotizzarsi che l’applicazione della censurata imposta regionale dia luogo a un aggravio selettivo del costo dei servizi resi, che assume rilevanza per l’ordinamento comunitario sia come restrizione alla libera prestazione dei servizi (art. 49 del Trattato CE), sia come aiuto di Stato alle imprese con domicilio fiscale in Sardegna (art. 87 del Trattato CE), con effetti discriminatori e distorsivi della concorrenza;

che, tuttavia, potrebbe in contrario addursi – come fa la Regione resistente – che le norme comunitarie evocate dal ricorrente non ostano alla tassazione delle sole imprese non aventi domicilio fiscale in Sardegna, perché queste imprese, nell’effettuare lo scalo, fruiscono, al pari delle imprese con domicilio fiscale nella Regione, dei servizi pubblici regionali e locali, ma, a differenza di queste ultime, non concorrono al finanziamento di tali servizi con il pagamento dei già esistenti tributi;

che, secondo la stessa Regione, questa giustificazione del prelievo regionale sarebbe rafforzata da quella fondata sulla necessità di compensare, attraverso la tassazione delle imprese fiscalmente non domiciliate in Sardegna, i maggiori costi sostenuti dalle imprese ivi domiciliate, in ragione delle peculiarità geografiche ed economiche legate al carattere insulare della Regione stessa;

che le due suddette giustificazioni traggono fondamento da circostanze attinenti alla sostenibilità dello sviluppo turistico regionale e dall’esigenza di riequilibrare la situazione economica dei soggetti "non residenti” rispetto a quella dei soggetti "residenti”;

che, secondo questa Corte, le medesime giustificazioni non tengono, tuttavia, conto né del fatto che l’insularità non appare, di per sé, un elemento idoneo a incrementare i costi sostenuti dalle imprese con riferimento allo scalo turistico, né soprattutto del fatto che la circostanza di far partecipare – attraverso l’applicazione dell’imposta oggetto di censura – l’imprenditore non avente domicilio fiscale in Sardegna ai costi aggiuntivi determinati dal turismo potrebbe non essere sufficiente a rendere inoperante, nella specie, il principio comunitario di non discriminazione e, conseguentemente, inapplicabili le connesse disposizioni del Trattato CE sulla libertà di prestazione di servizi e sul divieto di aiuti di Stato;

che tale principio è, infatti, di generale applicazione nell’ordinamento interno e fornisce una tutela delle imprese "non residenti” – sotto il profilo della concorrenza e delle libertà economiche fondamentali –, la cui delimitazione è rimessa non a regole di diritto interno, ma al diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE anche con riferimento ad "enti infrastatali” che, come la Regione resistente, sono dotati di autonomia statutaria, normativa e finanziaria (Corte di giustizia, sentenza 6 settembre 2006, C-88/03, Repubblica portoghese c. Commissione);

che la Corte di giustizia CE, in più occasioni, si è occupata di fattispecie analoghe alla denunciata imposta di scalo, affermando la sussistenza di una restrizione alla libera prestazione dei servizi nel caso in cui una determinata misura renda le prestazioni transfrontaliere più onerose delle prestazioni nazionali comparabili (sentenze 11 gennaio 2007, C-269/05, Commissione c. Repubblica ellenica; 6 febbraio 2003, C-92/01, Stylianakis; 26 giugno 2001, C-70/99, Commissione c. Portogallo);

che, tuttavia, i casi esaminati dalla Corte di giustizia non sono esattamente corrispondenti a quello oggetto del presente giudizio, perché attengono a tributi che discriminano tra voli nazionali e voli internazionali o tra voli aventi percorrenza superiore e inferiore ad una determinata distanza o, ancora, tra trasporti infranazionali ed internazionali, e, pertanto, non viene direttamente in rilievo, in tali pronunce, una possibile discriminazione – pur astrattamente rilevante per il diritto comunitario – tra imprese aventi o no domicilio fiscale in una regione di uno Stato membro;

che, per quanto attiene, poi, alla dedotta violazione dell’art. 87 del Trattato CE, si pone anche il problema se il vantaggio economico concorrenziale derivante alle suddette imprese "residenti” in Sardegna dal loro non assoggettamento all’imposta regionale sullo scalo rientri nella nozione di aiuto di Stato, considerato che detto vantaggio deriva non dalla concessione di una agevolazione fiscale, ma indirettamente dal minor costo da esse sopportato rispetto alle imprese "non residenti” (analogamente alla fattispecie, per alcuni versi simile, esaminata dalla Corte di giustizia CE con la sentenza del 22 novembre 2001, C-53/00, Ferring SA);

che il suddetto problema interpretativo prescinde, ovviamente, dalla valutazione della compatibilità della misura di aiuto con il mercato comune, spettante alla competenza esclusiva della Commissione CE, che agisce sotto il controllo dei giudici comunitari;

che sussiste, pertanto, un dubbio circa la corretta interpretazione – tra quelle possibili – delle evocate disposizioni comunitarie, tale da rendere necessario procedere al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, perché questa accerti: a) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione della norma censurata alle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da loro stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di "aviazione generale d’affari” (cioè trasporto senza remunerazione per motivi attinenti alla propria attività d’impresa); b) se la norma censurata, nel prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d’affari, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna; c) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione della norma censurata alle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità; d) se la norma censurata, nel prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna;

che, quanto alla rilevanza delle questioni interpretative pregiudiziali, essa sussiste, perché: a) l’interpretazione richiesta alla Corte di giustizia è necessaria per pronunciare la sentenza di questa Corte, essendo le indicate questioni interpretative ricomprese nell’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale proposto in via principale; b) la fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale dedotti dal ricorrente con riferimento a questioni diverse da quelle oggetto della presente ordinanza è stata già esclusa da questa Corte per le ragioni esposte nella sentenza n. 102 del 2008, depositata in data odierna, e, quindi, la legittimità costituzionale della norma censurata non può essere scrutinata, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., senza che si proceda alla valutazione della sua conformità al diritto comunitario;

che, quanto alla sussistenza delle condizioni perché questa Corte sollevi davanti alla Corte di giustizia CE questione pregiudiziale sull’interpretazione del diritto comunitario, va osservato che la Corte costituzionale, pur nella sua peculiare posizione di supremo organo di garanzia costituzionale nell’ordinamento interno, costituisce una giurisdizione nazionale ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE e, in particolare, una giurisdizione di unica istanza (in quanto contro le sue decisioni – per il disposto dell’ art. 137, terzo comma, Cost. – non è ammessa alcuna impugnazione): essa, pertanto, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale è legittimata a proporre questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia CE;

che, in tali giudizi di legittimità costituzionale, a differenza di quelli promossi in via incidentale, questa Corte è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia;

che conseguentemente, ove nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale non fosse possibile effettuare il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE, risulterebbe leso il generale interesse alla uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE.

Vista la sentenza n. 102 del 2008 di questa Corte, depositata in data odierna, con la quale, nell’àmbito del giudizio introdotto con il suddetto ricorso n. 36 del 2007, è stata disposta la separazione del giudizio riguardante la questione concernente l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto – disciplinata dall’art. 4 della legge reg. n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 2 del 2007 – e relativa all’assoggettamento a tassazione delle imprese esercenti aeromobili od unità da diporto.

Visti gli artt. 234 del Trattato CE e 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dispone di sottoporre alla Corte di giustizia CE, in via pregiudiziale, le seguenti questioni di interpretazione degli artt. 49 e 87 del Trattato CE:

a) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione di una norma, quale quella prevista dall’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007), secondo la quale l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d’affari;

b) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti aeromobili da esse stesse utilizzati per il trasporto di persone nello svolgimento di attività di aviazione generale d’affari, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna;

c) se l’art. 49 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione di una norma, quale quella prevista dallo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, secondo la quale l’imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità;

d) se lo stesso art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 2 del 2007, nel prevedere che l’imposta regionale sullo scalo turistico delle unità da diporto grava sulle sole imprese che hanno domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna esercenti unità da diporto la cui attività imprenditoriale consiste nel mettere a disposizione di terzi tali unità, configuri – ai sensi dell’art. 87 del Trattato – un aiuto di Stato alle imprese che svolgono la stessa attività con domicilio fiscale nel territorio della Regione Sardegna;

sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddette questioni pregiudiziali;

ordina l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia CE.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2008.