Ordinanza n. 126 del 2007

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 126

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Romano                    VACCARELLA                            "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’articolo 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), promosso con ordinanza del 24 marzo 2006 della Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di I.A., iscritta al n. 376 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), nella parte in cui esclude che gli imprenditori che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi da essi stessi prodotti siano tenuti ad iscriversi all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, previsto dal medesimo art. 30;

che la Corte rimettente riferisce di essere investita del ricorso per cassazione, proposto dalla persona sottoposta alle indagini, avverso l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo di un autocarro, utilizzato dal ricorrente per trasportare materiali derivanti da attività di demolizione svolta nella sua qualità di imprenditore edile (materiali qualificabili come rifiuti speciali non pericolosi);

che, ad avviso del giudice a quo, potrebbe essere ravvisato nella specie il «fumus» del reato di cui all’art. 51, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997, per avere il ricorrente trasportato rifiuti senza essere iscritto all’Albo: il che implicherebbe la legittimità della misura cautelare, sussistendo altresì il pericolo che la libera disponibilità del mezzo possa facilitare la reiterazione del reato;

che a tale conclusione sarebbe peraltro di ostacolo la circostanza che l’art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998, obbliga all’iscrizione all’Albo solo «le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi» (esclusi, per queste ultime, i trasporti inferiori a una determinata soglia quantitativa giornaliera): non, dunque, gli imprenditori che – come il ricorrente – trasportino rifiuti non pericolosi derivanti dalla loro stessa attività;

che detta disposizione si porrebbe tuttavia in contrasto con l’art. 12 della direttiva 91/156/CEE del Consiglio del 18 marzo 1991 – rectius: con l’art. 12 della direttiva 75/442/CEE del Consiglio del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE – il quale, nel prevedere che «gli stabilimenti e le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale […] devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione», include tra gli imprenditori soggetti ad iscrizione anche quelli che trasportano professionalmente rifiuti propri;

che l’inosservanza, sotto tale profilo, degli obblighi comunitari è stata accertata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con sentenza 9 giugno 2005, in causa C-270/03, emessa a seguito di procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana ai sensi dell’art. 226 (ex 169) del Trattato CE;

che, peraltro, non avendo la citata direttiva sui rifiuti – e, conseguentemente, anche la sentenza della Corte di Lussemburgo che la interpreta – efficacia diretta nell’ordinamento interno, il rilevato contrasto con il diritto comunitario non potrebbe esser fatto valere dal giudice italiano, chiamato ad applicare l’art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997, se non sollevando questione di legittimità costituzionale di tale norma, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.;

che la questione – ancorché diretta a provocare una pronuncia in malam partem in materia penale – sarebbe altresì ammissibile e rilevante, dovendosi riconoscere alla disposizione censurata la natura di «norma penale di favore»: natura che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 148 del 1983, la renderebbe comunque suscettibile di scrutinio di costituzionalità;

che il legislatore nazionale, infatti, con l’originario testo dell’art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 – il quale stabiliva che «le imprese che svolgono a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, anche se da esse prodotti […], devono essere iscritte all’Albo» – aveva correttamente attuato la direttiva comunitaria;

che solo per effetto della modifica successivamente operata dall’art. 1, comma 19, della legge n. 426 del 1998 – che ha esonerato dall’iscrizione, tra gli altri, gli imprenditori che trasportino rifiuti propri non pericolosi – la disciplina interna si sarebbe viceversa posta in contrasto con le previsioni comunitarie;

che, di conseguenza, la declaratoria di incostituzionalità della disposizione censurata non comporterebbe l’ampliamento della sfera applicativa di una fattispecie criminosa al di là dei limiti stabiliti dal legislatore: operazione, questa, preclusa dall’art. 25, secondo comma, Cost.; ma si limiterebbe a ripristinare la portata di una norma incriminatrice già presente nell’ordinamento (quella di cui al combinato disposto degli artt. 30, comma 4, e 51, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997, nel testo originario), che la novella del 1998 ha «parzialmente derogato»;

che la citata sentenza n. 148 del 1983 ha inoltre chiarito che le questioni di costituzionalità concernenti norme penali di favore debbono ritenersi rilevanti nel giudizio principale, sebbene il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole – di cui agli artt. 25, secondo comma, Cost., e 2, primo comma, del codice penale – impedisca di condannare l’imputato per un fatto commesso nel vigore della norma di favore, benché dichiarata incostituzionale;

che siffatta conclusione è stata motivata, in specie, con il duplice rilievo che l’accoglimento della questione, per un verso, verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento e si rifletterebbe sullo schema argomentativo della relativa motivazione; e, per un altro verso, avrebbe comunque un «effetto di sistema», la cui valutazione resta affidata ai giudici ordinari;

che a tali considerazioni andrebbe aggiunto, con riguardo al caso di specie, un ulteriore e decisivo argomento: ossia che l’eventuale sentenza di accoglimento, pur non potendo determinare la condanna della persona sottoposta alle indagini per il fatto commesso anteriormente alla sentenza stessa, potrebbe comunque portare alla conferma del sequestro preventivo dell’autocarro da lui utilizzato per il trasporto dei rifiuti; e ciò alla luce della «consolidata giurisprudenza» secondo cui la misura cautelare di cui all’art. 321 del codice di procedura penale ha «carattere reale», prescindendo dalla «personale responsabilità» dell’indagato.

Considerato che successivamente all’ordinanza di rimessione è intervenuto il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, supplemento ordinario, il quale – in attuazione della delega conferita dall’art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) – reca, nella parte quarta, una nuova disciplina della gestione dei rifiuti, integralmente sostitutiva di quella già contenuta nel decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che viene quindi abrogato (art. 264, comma 1, lettera i, del d.lgs. n. 152 del 2006);

che, per quanto in questa sede più interessa, il citato d.lgs. n. 152 del 2006 regola in termini parzialmente innovativi, all’art. 212, anche la materia dell’iscrizione delle imprese esercenti attività di gestione dei rifiuti nell’apposito Albo (il quale assume ora la denominazione di «Albo nazionale gestori ambientali»);

che, in particolare, il comma 8 dell’art. 212 obbliga all’iscrizione all’Albo – con il presidio della sanzione penale comminata dall’art. 256, comma 1 (che sostituisce l’art. 51, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997) – anche le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come «attività ordinaria e regolare» e le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti i limiti già previsti, ai fini dell’esonero dall’iscrizione, dall’art. 30, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 1997 (trenta chilogrammi o trenta litri al giorno): sia pur prefigurando, per dette imprese, un regime sensibilmente agevolato (esse non sono infatti tenute alla prestazione delle garanzie finanziarie normalmente imposte dal comma 7 dell’art. 212 del d.lgs. n. 152 del 2006 e la loro l’iscrizione all’Albo ha luogo in base a semplice richiesta scritta, senza che la stessa sia soggetta a valutazione relativa alla capacità finanziaria e all’idoneità tecnica del richiedente e senza che occorra la nomina di un responsabile tecnico);

che, pertanto – a prescindere da ogni rilievo circa l’effettiva possibilità di qualificare la disposizione censurata come «norma penale di favore», a fronte di quanto chiarito da questa Corte con sentenza n. 394 del 2006 (successiva all’ordinanza di rimessione); ed a prescindere, altresì, dalle ulteriori modifiche sopravvenute, inerenti al quadro normativo comunitario di riferimento (abrogazione della direttiva 75/442/CEE ad opera della nuova direttiva in materia di rifiuti 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006), non foriere, in parte qua, di innovazioni sostanziali – gli atti vanno restituiti alla Corte rimettente, ai fini di una nuova valutazione circa la rilevanza della questione sollevata alla luce dello ius superveniens.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2007.