Sentenza n. 370 del 2006

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SENTENZA  N. 370

ANNO 2006

 

Commenti alla decisione di

 

I. Antonio Ruggeri, La Corte, la clausola di "maggior favore" e il bilanciamento mancato tra autonomia regionale e autonomie locali  (per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)

 

II. Andrea Ambrosi , I consigli delle autonomie locali nelle Regioni e Province speciali: la questione della fonte competente (per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Franco                    BILE                                                     Presidente

-   Giovanni Maria        FLICK                                                   Giudice

-   Francesco               AMIRANTE                                                ”

-   Ugo                        DE SIERVO                                                ”

-   Romano                  VACCARELLA                                          ”

-   Paolo                      MADDALENA                                           ”

-   Alfio                        FINOCCHIARO                                         ”

-   Alfonso                   QUARANTA                                              ”

-   Franco                    GALLO                                                       ”

-   Luigi                        MAZZELLA                                                ”

-   Gaetano                  SILVESTRI                                                 ”

-   Sabino                    CASSESE                                                   ”

-   Maria Rita               SAULLE                                                     ”

-   Giuseppe                 TESAURO                                                  ”

-    Paolo Maria           NAPOLITANO                                           ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Provincia autonoma di Trento 15 giugno 2005, n. 7 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali), nonché dell’articolo 8, commi 1, lettera c) e 3, della medesima legge provinciale n. 7 del 2005, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato in data 22 agosto 2005 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo giorno 24 ed iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2005.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;

udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato alla Provincia autonoma di Trento in data 22 agosto 2005 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo giorno 24, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato la legge della Provincia autonoma di Trento 15 giugno 2005, n. 7 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali), per violazione dell’art. 123 Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché l’articolo 8, commi 1, lettera c), e 3, della medesima legge provinciale per violazione degli artt. 8, 9, 26, 47 e 60 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

1.1.— L’Avvocatura premette che il predetto art. 123, ultimo comma, Cost., introdotto dall’art. 7 della legge costituzionale n. 3 del 2001, dispone che «in ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali». Tale norma, pur riferita esclusivamente alle Regioni a statuto ordinario, si applica, secondo la difesa statale, anche alle Regioni a statuto speciale, in virtù della clausola contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, secondo cui «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti» le disposizioni della predetta legge costituzionale «si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Nel ricorso si puntualizza che «tali forme di maggiore autonomia sono, naturalmente, riferite anche agli enti locali».

Da ciò consegue che anche le Regioni a statuto speciale – «per le quali non sia intervenuto l’adeguamento dello statuto nel senso dell’ampliamento delle autonomie degli enti locali» – sarebbero tenute ad istituire il predetto Consiglio delle autonomie locali «con fonte statutaria e non con fonte legislativa ordinaria». Da qui la richiesta volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge impugnata.

1.2.— Il ricorrente impugna, inoltre, nello specifico, l’art. 8, comma 1, lettera c), della medesima legge provinciale, il quale dispone che al Consiglio delle autonomie locali spetta, tra le altre funzioni, anche «la formulazione di proposte legislative»; e che, «ove approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta costituisce oggetto di apposito disegno di legge presentato dalla Giunta provinciale entro trenta giorni dal ricevimento». Il comma 3 dello stesso articolo aggiunge poi che «il regolamento interno del Consiglio provinciale disciplina modalità, termini e procedure mediante le quali il Consiglio delle autonomie locali partecipa, nel rispetto dello statuto di autonomia, all’iter di formazione delle leggi presso il Consiglio provinciale». Tali disposizioni, secondo il ricorrente, si porrebbero in contrasto con gli artt. 8, 9, 26 e 47 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, che attribuiscono la potestà legislativa esclusivamente al Consiglio regionale e ai Consigli provinciali, nonché violerebbero l’art. 60 dello stesso statuto «in base al quale la disciplina del diritto di iniziativa legislativa è rimessa, peraltro con esclusivo riferimento all’iniziativa popolare, alla sola legge regionale (e non provinciale)».

1.3.— Infine, il ricorrente assume che i predetti commi 1, lettera c), e 3 dell’art. 8 della legge provinciale n. 7 del 2005 violerebbero lo stesso art. 123, ultimo comma, Cost., perché attribuiscono al Consiglio delle autonomie locali funzioni di iniziativa legislativa, «in contrasto con la qualificazione costituzionale di detto organo come meramente consultivo».

2.— Si è costituita la Provincia autonoma di Trento chiedendo che il ricorso venga dichiarato, in via principale, inammissibile e, in via subordinata, infondato.

3.— Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Provincia osserva che il primo motivo di censura fondato sulla violazione dell’art. 123, ultimo comma, della Costituzione dovrebbe essere dichiarato inammissibile per insufficiente motivazione in ordine all’applicabilità dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, così come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 175 del 2006 in relazione ad una analoga impugnazione che ha investito la legge della Regione Sardegna 17 gennaio 2005, n. 1 (Istituzione del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regioni-enti locali).

In secondo luogo, la difesa della Provincia osserva, quale ulteriore ragione di inammissibilità della censura, che nel ricorso non si chiarisce quale sia la «fonte statutaria» e cioè se essa sia lo statuto speciale ovvero la c.d. legge statutaria di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 670 del 1972. In ogni caso, il parametro sarebbe, comunque, inconferente: «se in astratto si può concepire che esso sia invocato (…) per affermare il dovere delle Regioni speciali di istituire il Consiglio delle autonomie locali, non si può ammettere che esso sia invocato per affermare il dovere delle Regioni speciali di usare (…) lo statuto ordinario».

Secondo la Provincia resistente, nel merito il ricorso è, comunque, infondato per due diversi ordini (alternativi) di motivi.

In primo luogo, perché l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 consente l’applicazione delle norme contemplate nel nuovo titolo V, nella misura in cui queste ultime stabiliscono forme di autonomia più ampie per le sole «Regioni e Province» e non anche per gli enti locali. Diversamente argomentando vi potrebbero essere casi, come quello in esame, in cui si realizza una contraddizione intrinseca del sistema: la previsione, infatti, di un dovere per la Regione di istituire un «organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali» si risolverebbe in una limitazione della sua autonomia – statutaria, legislativa e amministrativa – considerato che per determinati procedimenti si dovrebbe prevedere la fase del coinvolgimento dell’organo consultivo attraverso l’utilizzo di una specifica «fonte». Né indicazioni contrarie possono essere tratte dall’art. 1 della legge impugnata nella parte in cui si afferma che l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali è effettuata «in attuazione dell’art. 123, quarto comma, della Costituzione e dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»: si tratterebbe, infatti, nella prospettiva della Provincia autonoma, di una mera dichiarazione di intenti che «rimane sul piano politico, e non assume alcun rilievo giuridico».

In secondo luogo, si osserva come, anche a volere ritenere applicabile l’art. 123, quarto comma, Cost. alla Provincia di Trento, nondimeno non potrebbe ravvisarsi la violazione né dello statuto speciale, né della legge statutaria. In relazione allo statuto speciale, la difesa provinciale osserva come lo stesso non sia nella «disponibilità» della Provincia, avendo natura di legge costituzionale soggetta a procedimento speciale. A ciò si aggiunge che l’attuale statuto non preclude, nella parte relativa agli enti locali (Titolo IV), la possibilità di una istituzione legislativa di un organo di raccordo tra Provincia ed enti locali. La Provincia assume, inoltre, che la previsione di una forma di consultazione tra Provincia ed enti locali non potrebbe rientrare nel contenuto obbligatorio della legge statutaria, di cui all’art. 47 dello statuto, non afferendo alla «forma di governo». In ultima analisi, sarebbe, dunque, legittima la istituzione e la disciplina del Consiglio delle autonomie locali con legge ordinaria.

3.1.— Per quanto attiene all’asserita illegittimità dell’art. 8, comma 1, lettera c), la difesa della Provincia osserva come tale disposizione sia stata sostituita dall’art. 7 della legge provinciale 16 giugno 2006 n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino). Secondo la originaria previsione, il Consiglio delle autonomie locali formula «proposte legislative» e, se la proposta «è approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti», essa «costituisce oggetto di apposito disegno di legge presentato dalla Giunta provinciale al Consiglio provinciale entro trenta giorni dal ricevimento». La nuova disposizione – che non è stata oggetto di impugnazione – stabilisce che, ove la proposta legislativa sia approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti, «la Giunta provinciale valuta la proposta e formula un disegno di legge tenendo conto dei contenuti della proposta medesima». Secondo la difesa della Provincia autonoma, la modifica determinerebbe la cessazione della materia del contendere. A ogni modo, si sottolinea che anche nella versione precedente la disposizione in esame non attribuiva al Consiglio delle autonomie locali un potere di iniziativa legislativa. L’art. 8, comma 1, lettera c), non vincolava, infatti, la Giunta a recepire la proposta del Consiglio: «tale proposta costituiva “oggetto” del disegno di legge giuntale, per cui la Giunta poteva rielaborare liberamente la proposta del Consiglio, che, pertanto, non poteva ritenersi titolare del potere di iniziativa legislativa». La nuova formulazione riduce ulteriormente il vincolo in capo alla Giunta, in quanto l’attribuzione del potere di «valutazione» della proposta implica una discrezionalità anche sull’an del disegno di legge: «la proposta del Consiglio delle autonomie locali non si trasforma meccanicamente in un disegno di legge (per cui esso non è titolare neppure di un potere “indiretto” di iniziativa legislativa)».

3.2.— In relazione alla censura che ha investito l’art. 8, comma 3, della stessa legge impugnata si osserva come anche tale disposizione non conferisca alcun potere di iniziativa legislativa, ma implichi soltanto «la partecipazione ad un procedimento attivato da altri».

Secondo la difesa della Provincia autonoma, il motivo di censura in esame sarebbe, inoltre, «oscuro».

In particolare, l’art. 26 dello statuto, non prenderebbe in considerazione le leggi provinciali. Ma anche a volere ritenere che la norma si possa riferire alla competenza legislativa del Consiglio provinciale, ciò non sarebbe sufficiente a dimostrare la illegittimità della norma in esame, che non inciderebbe sul potere deliberativo finale del Consiglio. Il Consiglio non sarebbe neanche tenuto a inserire nell’ordine del giorno il disegno di legge che la Giunta abbia in ipotesi fondato sulla proposta del Consiglio delle autonomie locali.

Infine, sarebbe inconferente il riferimento all’art. 60 dello statuto, considerato che le norme impugnate non si occupano di leggi regionali, né dell’iniziativa legislativa popolare.

3.3.— Con il terzo motivo di ricorso si assume la violazione da parte dello stesso art. 8, commi 1, lettera c), e 3, dell’ultimo comma dell’art. 123 Cost., in quanto attribuirebbero al Consiglio delle autonomie locali funzioni di iniziativa legislativa «in contrasto con la qualificazione costituzionale di detto organo come meramente consultivo».

La infondatezza di tale censura deriverebbe, da un lato, dalla inapplicabilità, per le ragioni esposte, dell’art. 123, quarto comma, Cost. alla Provincia autonoma di Trento; dall’altro lato, dalla circostanza che le norme impugnate non attribuiscono alcun potere di iniziativa legislativa al Consiglio delle autonomie locali. In ogni caso si tratterebbe di un mero potere di impulso da esercitarsi nell’ambito di una attività di consultazione senza alcuna attribuzione di compiti deliberativi.

Considerato in diritto

1.— Con il ricorso indicato in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Provincia autonoma di Trento 15 giugno 2005, n. 7 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali), con la quale è stato istituito e disciplinato, in ambito regionale, il Consiglio delle autonomie locali.

Con tale impugnazione il ricorrente ha sollevato, sostanzialmente, due questioni: la prima investe l’intera legge sotto il profilo della violazione dell’art. 123, ultimo comma, della Costituzione e dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in quanto la istituzione del Consiglio delle autonomie locali sarebbe avvenuta con legge ordinaria e non con «fonte statutaria»; la seconda è relativa alle norme specifiche contenute nel comma 1, lettera c), e nel comma 3 dell’art. 8 della stessa legge provinciale, che violerebbero gli artt. 8, 9, 26, 47 e 60 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché l’art. 123, ultimo comma, della Costituzione.

2.— La Provincia autonoma di Trento, costituitasi in giudizio, ha, preliminarmente, eccepito la inammissibilità della prima questione, richiamando la sentenza n. 175 del 2006 di questa Corte, pronunciata in relazione all’impugnazione proposta dallo Stato nei confronti di analoga legge della Regione Sardegna 17 gennaio 2005, n. 1 (Istituzione del Consiglio delle autonomie locali e della Conferenza permanente Regioni-enti locali). Nel merito, poi, la difesa della Provincia ha dedotto l’infondatezza di entrambe le questioni proposte.

3.— Ha carattere preliminare l’esame della eccezione di inammissibilità sollevata dalla resistente.

Tale eccezione non può essere accolta.

È pur vero che, in una fattispecie che presenta spiccata analogia con quella ora in esame, questa Corte, con la citata sentenza n. 175 del 2006, ha dichiarato la inammissibilità dell’impugnazione proposta dallo Stato nei confronti della legge della Regione Sardegna sopra citata, in base al rilievo che il ricorrente non aveva preso in esame «anche i parametri costituzionali ricavabili dal relativo statuto, al fine di valutare se effettivamente le forme di autonomia riconosciute dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 siano più estese rispetto a quelle già risultanti dalle disposizioni statutarie».

Nella questione ora in esame, relativa alla legge emanata dalla Provincia autonoma di Trento, lo stesso legislatore provinciale ha espressamente affermato che il Consiglio delle autonomie locali viene istituito «in attuazione dell’articolo 123, quarto comma, della Costituzione e dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (…)» (art. 1).

In tale situazione, pur non rivestendo la suddetta autoqualificazione una importanza decisiva agli effetti della individuazione del potere in forza del quale la legge oggetto di impugnazione è stata adottata, trova tuttavia giustificazione, sul piano processuale, la prospettazione, da parte del ricorrente, quale vizio inficiante la legge stessa, della sola violazione della disposizione costituzionale di cui all’art. 123, ultimo comma, Cost. in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Non può, dunque, ritenersi sussistente la medesima ragione di inammissibilità dell’impugnazione rilevata con la sentenza n. 175 del 2006, atteso che appare in questo caso sufficiente – ai fini dell’ammissibilità del ricorso – il richiamo al parametro costituzionale indicato dallo stesso legislatore provinciale.

4.— Nel merito, la questione di costituzionalità involgente l’intera legge impugnata non è fondata.

4.1.— È, innanzitutto, opportuno sottolineare che l’ultimo comma dell’art. 123 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, stabilendo che «in ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali», ha previsto un organo costituzionalmente necessario che deve essere disciplinato dallo statuto.

La finalità perseguita è quella di garantire la presenza di una nuova forma organizzativa stabile di raccordo tra le Regioni e il sistema delle autonomie locali al fine di attuare il principio di leale collaborazione nei rapporti infraregionali.

Si tratta, dunque, di una disposizione da cui potrebbero trarre vantaggio gli enti territoriali minori, ai quali verrebbe assicurata la rappresentanza dei propri interessi in un organismo, obbligatoriamente istituito, di coordinamento tra i diversi livelli istituzionali di governo.

4.2.— Ciò precisato, ai fini della risoluzione della questione di legittimità costituzionale posta all’esame di questa Corte, occorre stabilire se la suddetta disposizione costituzionale possa trovare applicazione, in forza dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

Per dare risposta a tale quesito, è necessario stabilire, prioritariamente, quale sia la portata e il contenuto del citato art. 10 e se, in particolare, lo stesso consenta l’estensione dell’ultimo comma dell’art. 123 della Costituzione al sistema delle autonomie speciali.

4.2.1.— Il citato art. 10 prevede che «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti» le disposizioni del novellato titolo V della parte seconda della Costituzione «si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Si configura, pertanto, «un rapporto di preferenza, nel momento della loro “applicazione”, in favore delle disposizioni costituzionali» che prevedono, appunto, forme di autonomia più ampie di quelle risultanti dalle disposizioni statutarie (sentenza n. 314 del 2003).

La citata disposizione costituzionale è caratterizzata da «assoluta specialità», (cfr. sentenza n. 383 del 2005) – il che la rende insuscettibile sia di interpretazione estensiva che di applicazione analogica – ed ha una finalità essenzialmente transitoria: la funzione svolta dalla norma in esame è, infatti, quella di garantire alle Regioni speciali e alle Province autonome – attraverso un procedimento di adeguamento automatico e all’esito di una valutazione complessiva dei due sistemi in comparazione – quegli spazi di maggiore autonomia previsti dalle norme contemplate dal nuovo titolo V, in attesa della revisione dei singoli statuti speciali attraverso il procedimento introdotto dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano). Il legislatore costituzionale del 2001 ha, pertanto, perseguito, con la norma in esame, l’obbiettivo di evitare che il rafforzamento del sistema delle autonomie delle Regioni ordinarie, attuato dalla riforma del titolo V, potesse determinare un divario rispetto a quelle Regioni che godono di forme e condizioni particolari di autonomia.

4.2.2.— Occorre ora verificare se il citato art. 10 trovi applicazione soltanto quando il meccanismo dallo stesso prefigurato si risolva in una maggiore autonomia per le Regioni ovvero se, come sostenuto dal ricorrente, si possa applicare anche quando l’adeguamento garantisca una maggiore autonomia degli enti territoriali minori. In altri termini, si tratta di stabilire se le norme contenute nel titolo V possano estendersi alle Regioni ad autonomia differenziata anche nell’ipotesi in cui il fine perseguito è quello di assicurare un apparato di più ampie garanzie al sistema delle autonomie nel loro complesso.

Questa Corte ritiene che il meccanismo di estensione di cui al citato art. 10 possa funzionare soltanto quando esso miri a garantire, all’esito di una valutazione complessiva, maggiore autonomia all’ente Regione e non anche all’ente locale.

La restrizione del campo di operatività della citata disposizione discende, innanzitutto, dalla stessa formulazione letterale della norma che fa esclusivo riferimento alle Regioni a statuto speciale, non inserendo così nel proprio ambito applicativo gli enti territoriali minori che – godendo, dopo la riforma del titolo V, di una sicura sfera di autonomia costituzionalmente garantita – avrebbero altrimenti ricevuto una esplicita menzione da parte del legislatore costituzionale.

A ciò è da aggiungere che, qualora si ritenesse che il citato art. 10 postuli, ai fini della sua applicazione, una valutazione del complessivo sistema delle autonomie sia regionale che locale, si potrebbe verificare il caso in cui ad una ipotetica maggiore autonomia dell’ente locale corrisponda una minore autonomia dell’ente regionale. Potrebbe, infatti, accadere che una stessa norma costituzionale, introdotta attraverso il meccanismo previsto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sia idonea ad incrementare gli spazi di autonomia degli enti territoriali minori e contestualmente ad incidere in negativo sull’autonomia regionale.

Questa possibile valenza non univoca della direzione di una norma costituzionale contenuta nel titolo V impedisce la stessa applicabilità della clausola di equiparazione di cui all’art. 10, la quale presuppone una comparazione tra «grandezze omogenee» (cfr., sia pure ad altro proposito, sentenza n. 314 del 2003). E tale comparazione non è possibile quando la confluenza di elementi divergenti impedisce di stabilire se una disposizione costituzionale introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 comporti o meno, per gli enti destinatari, spazi di maggiore autonomia.

Per queste ragioni deve, dunque, ritenersi che l’adeguamento automatico previsto dal citato art. 10 operi esclusivamente a favore delle autonomie regionali e non anche delle autonomie locali.

È bene, però, precisare che, come questa Corte ha più volte affermato, quando la competenza legislativa di una Regione a statuto speciale si radica sulle norme contenute nella legge costituzionale n. 3 del 2001 – perché le stesse attribuiscono una competenza legislativa «più ampia» rispetto allo statuto – le disposizioni contenute nel titolo V trovano applicazione nella loro interezza (cfr. sentenza n. 383 del 2005). Il che significa che la legge regionale dovrà regolamentare il settore rientrante nell’ambito della propria potestà legislativa nel rispetto dei limiti e delle condizioni che la suddetta legge costituzionale ha posto anche a garanzia delle autonomie territoriali minori espressamente menzionate.

5.— Tuttavia, anche a prescindere dai profili sopra esaminati, l’art. 123, ultimo comma, Cost. non è, comunque, estensibile alle Regioni speciali, in virtù della clausola contemplata dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, risultando, sotto questo specifico aspetto, ininfluente il richiamo operato dall’art. 1 della legge impugnata alle suddette norme costituzionali.

Il citato articolo 123, ultimo comma, Cost. è, infatti, una disposizione che, per il suo contenuto precettivo, si può applicare soltanto nei confronti delle Regioni a statuto ordinario, attesa la non comparabilità tra le forme di potestà statutaria delle autonomie regionali ordinarie e speciali.

Le prime hanno, infatti, una potestà di autoorganizzazione che si manifesta mediante l’emanazione di uno statuto che, a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), è una fonte regionale sia pure caratterizzata da un procedimento speciale di approvazione.

Per le Regioni speciali è, invece, prevista, da un lato, una fonte statale, quale è lo statuto speciale approvato con legge costituzionale, ai sensi dell’art. 116 Cost., con la parziale modifica introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001; dall’altro, una fonte di autoorganizzazione, quale è la c.d. legge statutaria, introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 2001 (cfr. art. 47 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige).

Avendo riguardo al suindicato statuto speciale, è evidente che sussiste una incompatibilità strutturale con il disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 123 Cost.: quest’ultima disposizione, imponendo una espressa riserva statutaria, presuppone ovviamente che la fonte regolatrice sia nella disponibilità della Regione.

Del pari è insostenibile che il vincolo statutario, posto dall’ultimo comma dell’art. 123 della Costituzione, debba intendersi riferito alle c.d. leggi statutarie e, dunque, ad una fonte rientrante nella disponibilità della stessa Regione o Provincia. Non solo, infatti, la legge statutaria è una fonte facoltativa, ma sussistono talune diversità sostanziali e formali rispetto agli statuti delle Regioni ordinarie – afferenti all’oggetto, ai limiti e al procedimento di formazione – che non consentono  l’adeguamento automatico previsto dalla citata norma costituzionale.

L’esistenza, pertanto, di un articolato sistema eterogeneo – che rende non comparabili la potestà statutaria ordinaria e quella speciale – implica la impossibilità di ritenere applicabile alle Regioni ad autonomia differenziata e alle Province autonome l’ultimo comma dell’art. 123 Cost.

È bene, da ultimo, precisare che rimane, comunque, fermo il potere di detti enti di prevedere, in armonia con le proprie regole statutarie, particolari modalità procedimentali volte ad introdurre nel rispettivo sistema forme organizzative stabili di raccordo tra l’ente Regione e gli enti locali ispirate dalla esigenza di assicurare la osservanza del principio di leale collaborazione. Ciò tanto più  se si considera che lo statuto speciale del Trentino-Alto Adige attribuisce potestà legislativa alla Regione in materia di “ordinamento degli enti locali” (art. 4, numero 3).

Per le ragioni sin qui esposte, deve, pertanto, ritenersi non fondata la questione di legittimità costituzionale che ha investito l’intera legge provinciale n. 7 del 2005.

6.— Devono ora essere esaminate le censure rivolte dal ricorrente nei confronti dell’art. 8, commi 1, lettera c), e 3 per violazione degli artt. 8, 9, 26, 47 e 60 del d.P.R. n. 670 del 1972, nonché dell’ultimo comma dell’art. 123 Cost.

6.1.— L’art. 8, comma 1, lettera c), attribuisce al Consiglio delle autonomie locali il compito di formulare «proposte legislative» che possono costituire, ove approvate secondo le modalità stabilite dalla norma in esame, «oggetto di un apposito disegno di legge» presentato dalla stessa Giunta provinciale al Consiglio provinciale. Il ricorrente assume che tale disposizione si porrebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, in quanto inciderebbe sulla funzione di iniziativa legislativa e sulle competenze legislative del Consiglio regionale e dei Consigli provinciali, nonché sulla qualificazione del Consiglio delle autonomie locali quale organo meramente consultivo.

Successivamente alla proposizione del ricorso è, però, entrato in vigore l’art. 7, comma 1, lettera c), della legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), che, sostituendo l’art. 8, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 7 del 2005, ha previsto che, ove la proposta legislativa formulata dal Consiglio delle autonomie locali sia approvata, secondo determinate modalità, «la Giunta provinciale valuta la proposta e formula un disegno di legge tenendo conto dei contenuti della proposta medesima».

La disposizione legislativa sopravvenuta deve ritenersi satisfattiva rispetto alle censure fatte valere nell’atto introduttivo del giudizio.

Il legislatore provinciale, attraverso la modificazione della norma censurata, ha, infatti, affermato chiaramente che la Giunta provinciale ha il potere di valutare e rielaborare il contenuto della proposta ai fini della sua inclusione in un apposito disegno di legge. È evidente, pertanto, che soltanto tale procedimento ha il valore di formale iniziativa legislativa, avendo l’attività precedente svolta dal Consiglio delle autonomie locali una mera funzione consultiva e propositiva – che non determina alcun vincolo contenutistico – al fine di facilitare forme di raccordo organizzative tra sistema regionale e sistema delle autonomie locali.

Non risultando che la norma impugnata abbia ricevuto medio tempore attuazione, deve, pertanto, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla censura che ha investito l’art. 8, comma 1, lettera c).

6.2.— L’ultima censura investe il terzo comma dello stesso art. 8 della legge provinciale.

Tale disposizione demanda ad un regolamento interno del Consiglio provinciale di disciplinare modalità, termini e procedure mediante le quali il Consiglio delle autonomie locali partecipa, nel rispetto dello statuto di autonomia, all’iter di formazione delle leggi provinciali.

Il ricorrente assume che anche in questo caso sarebbero stati violati:

– gli artt. 8, 9, 26 e 47 dello statuto speciale, in quanto essi attribuiscono la potestà legislativa esclusivamente al Consiglio regionale e ai Consigli provinciali;

– l’art. 60 dello stesso statuto, in quanto «la disciplina del diritto di iniziativa legislativa è rimessa, peraltro con esclusivo riferimento all’iniziativa popolare, alla sola legge regionale (e non provinciale)»;

– l’art. 123 Cost., il quale configura il Consiglio delle autonomie locali quale organo meramente consultivo.

La questione non è fondata.

La norma impugnata si limita ad attribuire al Consiglio delle autonomie locali un compito, da definire mediante il regolamento interno del Consiglio provinciale, nella fase di formazione delle leggi provinciali, che comunque, per espressa statuizione, deve rispettare quanto previsto dallo statuto speciale e, quindi, non può incidere in alcun modo sulla titolarità della iniziativa legislativa, né tantomeno sulle competenze legislative attribuite a determinati organi dallo statuto stesso.

Per quanto attiene, invece, alla censura di violazione dell’art. 60 del d.P.R. n. 670 del 1972, è sufficiente rilevare come la disposizione statutaria richiamata ponga una riserva di legge regionale, ma con esclusivo riferimento alla disciplina dell’iniziativa legislativa popolare, mentre la legge impugnata non solo non prevede, in generale, poteri afferenti alla fase di iniziativa legislativa, ma non si occupa neanche delle forme di iniziativa legislativa popolare.

In relazione, infine, alla censura di violazione dell’art. 123, ultimo comma, Cost., la stessa deve essere rigettata per le medesime ragioni che hanno condotto a dichiarare non fondata la questione relativa all’intera legge provinciale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 1, lettera c), della legge della Provincia autonoma di Trento 15 giugno 2005, n. 7 (Istituzione e disciplina del Consiglio delle autonomie locali), proposta, in riferimento agli articoli 8, 9, 26, 47 e 60 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché all’art. 123, ultimo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima legge provinciale n. 7 del 2005, proposta, in riferimento all’articolo 123, ultimo comma, della Costituzione e all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 3, della predetta legge provinciale n. 7 del 2005, proposta, in riferimento agli articoli 8, 9, 26, 47 e 60 del citato d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e all’art. 123, ultimo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2006.

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2006.