Sentenza n. 135 del 2006

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SENTENZA N. 135

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Annibale                          MARINI                                       Presidente

-      Franco                             BILE                                                 Giudice

-      Giovanni Maria               FLICK                                                   "

-      Francesco                        AMIRANTE                                         "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                         "

-      Romano                           VACCARELLA                                   "

-      Paolo                               MADDALENA                                    "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                                  "

-      Alfonso                           QUARANTA                                        "

-      Franco                             GALLO                                                 "

-      Luigi                                MAZZELLA                                         "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                          "

-      Sabino                             CASSESE                                             "

-      Maria Rita                       SAULLE                                               "

-      Giuseppe                         TESAURO                                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8-septies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, promosso con ordinanza del 10 febbraio 2005 dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, nel procedimento civile vertente tra la Regione Puglia e Iolanda Capraro ed altri, iscritta al n. 291 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2005.

            Visti l’atto di costituzione di Iolanda Capraro e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

            uditi l’avvocato Vincenzo Vitale per Iolanda Capraro e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

            1. - Nel corso del giudizio d’appello promosso dalla Regione Puglia contro la sentenza con la quale il Giudice di pace di Mesagne l’aveva condannata a pagare a Iolanda Capraro ed altri le differenze tra gli importi loro riconosciuti negli elenchi degli aventi diritto ai benefici di cui all’art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 1990, n. 367 (Misure urgenti a favore delle aziende agricole e zootecniche danneggiate dalla eccezionale siccità verificatasi nell’annata agraria 1989-1990), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 gennaio 1991, n. 31, e le somme effettivamente erogate da essa Regione, il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, con ordinanza del 10 febbraio 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8-septies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), introdotto dalla legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186.

            Il giudice rimettente ha ricordato che originariamente l’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 stabiliva, a favore delle aziende olivicole e viticole del Mezzogiorno colpite dalla siccità nell’annata agraria 1989-90 che avessero subito un danno superiore al cinquanta per cento della produzione lorda vendibile, l’attribuzione di «un contributo una tantum di lire 2 milioni per ettaro, e comunque entro il limite massimo di cinquanta milioni ad azienda» e che la Corte di cassazione si è sempre pronunciata nel senso della giurisdizione del giudice ordinario, riconoscendo natura di diritto soggettivo al contributo in oggetto in considerazione del fatto che i presupposti e la misura dello stesso non erano sottoposti a valutazioni discrezionali da parte della pubblica amministrazione.

            Il Tribunale ha aggiunto che successivamente è entrato in vigore l’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004, introdotto dalla legge di conversione n. 186 del 2004, il quale, da un lato, ha stabilito che il contributo una tantum in questione deve intendersi erogabile dagli enti territoriali interessati entro i limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 11 del d. l. n. 367 del 1990 e nell’ambito della quota destinata a ciascun ente, e, dall’altro, ha modificato il testo dell’art. 2, comma 2, del medesimo decreto-legge, stabilendo che le parole «di lire» siano sostituite da «fino a lire».

            Un simile intervento da parte del legislatore comporterebbe, secondo il giudice a quo, la degradazione del diritto soggettivo al contributo a mero interesse legittimo poiché la norma attribuirebbe all’ente territoriale la discrezionalità nel determinare la misura del contributo il quale, ricorrendo i presupposti di legge, non sarebbe più pari in ogni caso a lire due milioni per ettaro, bensì andrebbe riconosciuto fino a lire due milioni per ettaro e comunque entro i limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 11 del d. l. n. 367 del 1990 e della quota destinata a ciascun ente. Ciò renderebbe l’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004 illegittimo sotto vari profili.

            In primo luogo esso violerebbe l’art. 3 Cost. per contrasto con il principio di ragionevolezza. Infatti, secondo il giudice rimettente, la norma rappresenterebbe l’interpretazione autentica di una disposizione (l’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990) che non ha dato adito ad alcun dubbio interpretativo, dal momento che indicava chiaramente i requisiti e le condizioni dei richiedenti nonché l’ammontare del contributo, ed era sempre stata intesa dalla Corte di cassazione come  attributiva di un diritto soggettivo.

            Ulteriore profilo di contrasto con il principio di ragionevolezza è individuabile, a parere del Tribunale, considerando che la norma censurata sarebbe destinata ad operare solo in via retroattiva su vicende collegate ad un evento calamitoso occorso quattordici anni prima, i cui effetti pregiudizievoli si sono ormai esauriti, per il quale sono decorsi i termini per la presentazione delle domande volte alla erogazione del contributo ed i relativi procedimenti amministrativi sono ormai conclusi.

            L’art. 8-septies contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 101, 102 e 104 Cost. perché avrebbe il precipuo (se non addirittura il solo) fine di vincolare il giudice all’adozione di una determinata decisione in specifiche ed individuate controversie, assumendo così un carattere provvedimentale.

            Il giudice rimettente censura infine la norma con riferimento agli artt. 3 e 24  Cost. per violazione del principio dell’affidamento nella certezza dell’ordinamento giuridico perché la chiara formulazione dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 non poteva che indurre i titolari delle aziende colpite dalla siccità a confidare nella certezza di aver diritto al contributo ed al suo esatto ammontare. Al riguardo occorrerebbe anche considerare che coloro che domandavano il contributo una tantum rinunciavano alla possibilità di richiedere altre forme di contributo che dalla legge erano ritenute incompatibili con il primo. Secondo il Tribunale la degradazione da diritto soggettivo ad interesse legittimo avrebbe di fatto comportato anche una lesione del diritto di difesa, avendo ridotto gli strumenti e la portata dei mezzi di tutela giudiziaria a disposizione degli interessati.

            Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente sottolinea che la controversia sottoposta al suo esame, concernendo la pretesa dei titolari delle aziende agricole di ottenere la condanna dell’ente regionale al pagamento della differenza tra la somma risultante dall’applicazione della misura stabilita dall’originaria versione dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 ed il minore importo effettivamente erogato dalla Regione Puglia, non può essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della prospettata questione di legittimità costituzionale.

2. - Si è costituita nel giudizio Iolanda Capraro, parte del giudizio a quo, la quale ha eccepito l’irrilevanza della norma censurata nel rapporto tra i titolari delle aziende agricole e la Regione.

Secondo la parte privata, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004, la sua posizione giuridica in materia di contributo una tantum si configura come diritto soggettivo in virtù del provvedimento a suo tempo emanato dal Comune. Infatti l’ente locale, a seguito di apposita istruttoria, aveva redatto gli elenchi degli aventi diritto, determinando, per ciascuno di essi, l’ammontare del relativo contributo che, essendo stato calcolato in misura pari a lire due milioni per ettaro, deve considerarsi conforme anche al nuovo testo dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990, il quale consente che il contributo possa arrivare fino al limite dei due milioni per ettaro.

La Capraro ha aggiunto che la somma di lire 165 miliardi assegnata dallo Stato alla Regione Puglia sarebbe stata sufficiente al pagamento per intero del contributo così come originariamente quantificato, posto che la stessa Regione aveva indicato in lire 148 miliardi il fabbisogno di spesa per la provvidenza di cui all’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367.

Né, d’altro canto, l’art. 8-septies potrebbe incidere su quel diritto soggettivo, poiché la Regione agirebbe in virtù di un rapporto di delegazione amministrativa intersoggettiva con lo Stato, onde risponderebbe del pagamento delle provvidenze con tutto il suo patrimonio. Il fatto, poi, che i fondi siano forniti alla Regione dallo Stato, non inciderebbe sulla concreta attuazione degli interventi e l’art. 8-septies potrebbe avere l’unica conseguenza di impedire che la Regione possa conseguire dallo Stato il rimborso di quanto versato ai privati.

Sul merito della questione, la parte privata ha sostenuto che all’art. 8-septies deve essere negata natura di norma di interpretazione autentica sia perché esso ha riscritto la norma originaria (sostituendo le parole «di lire» con «fino a lire»), sia perché ha introdotto per la prima volta un limite alla spesa complessiva.

Ha aggiunto che nella fattispecie l’intervento del legislatore avrebbe travalicato i limiti entro i quali, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, possono essere emanate norme retroattive. Infatti, poiché la pubblicazione degli elenchi degli aventi diritto al contributo ha concluso definitivamente il relativo procedimento amministrativo e nessuna azienda agricola può più avanzare nuove richieste per ottenere il contributo in questione, l’art. 8-septies avrebbe l’unico scopo di incidere intenzionalmente sui giudizi in corso al fine di interrompere l’orientamento giurisprudenziale favorevole alle parti private, con violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 Cost. Inoltre, poiché il contributo contemplato dall’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 era alternativo alle provvidenze previste dal precedente comma 1 dello stesso articolo, il titolare dell’azienda agricola, optando per il primo, ha implicitamente rinunciato alle seconde e pertanto l’intervento del legislatore, che aveva ridotto l’entità del contributo e non anche quella delle altre provvidenze, si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento.

3. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, invocando il rigetto della questione di legittimità costituzionale per manifesta infondatezza.

Ha evidenziato, al riguardo, che il d. l. n. 367 del 1990, all’art. 11, aveva valutato in complessivi 900 milioni di lire gli oneri derivanti dalla sua applicazione e non aveva previsto ulteriori mezzi per far fronte ad una spesa maggiore. Ne conseguirebbe che già dalla disciplina del 1990 risultava che il contributo avrebbe potuto essere concesso solamente nei limiti della copertura finanziaria prevista dall’art. 11 del d. l. n. 367 del 1990 e dello stanziamento assegnato alle singole Regioni, onde l’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004 non avrebbe alcun contenuto innovativo.

L’interveniente ha aggiunto che, comunque, la giurisprudenza costituzionale è consolidata nel senso che la retroattività di una norma legislativa non costituisce di per sé motivo di illegittimità costituzionale se non si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza o con altri valori ed interessi costituzionali specificamente protetti. Nella fattispecie la norma deve ritenersi giustificata dall’esigenza di assicurare la concreta attuazione delle finalità del contributo una tantum nei limiti dello stanziamento disposto dall’art. 11 del d. l. n. 367 del 1990, in applicazione dell’art. 81, quarto comma, Cost.

Né, secondo l’Avvocatura dello Stato, è ipotizzabile un vulnus alla potestas iudicandi perché il legislatore si è mosso sul piano generale ed astratto delle fonti.

4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato successivamente altra memoria nella quale ha ribadito la fondatezza delle tesi esposte nel proprio atto di intervento, aggiungendo che, secondo una recentissima giurisprudenza della Corte di cassazione, già l’originaria disciplina normativa del contributo di cui si discute doveva essere interpretata nel senso che la somma di lire due milioni per ettaro poteva essere erogata a favore dei coltivatori danneggiati nella misura in cui vi fosse capienza negli stanziamenti disposti a favore della Regione dal Fondo di solidarietà nazionale in agricoltura e, dunque, solamente in quota matematicamente riproporzionata sulla base di quegli stanziamenti. Conseguentemente, la disposizione oggetto del presente giudizio non avrebbe fatto altro che ribadire quanto già risultava dal testo della normativa del 1990.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 8-septies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), introdotto dalla legge di conversione 27 luglio 2004, n. 186, nella parte in cui prevede che il contributo una tantum contemplato dall’art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 1990, n. 367 (Misure urgenti a favore delle aziende agricole e zootecniche danneggiate dalla eccezionale siccità verificatasi nell’annata agraria 1989-1990), convertito, con modificazioni, nella legge 30 gennaio 1991, n. 31, deve intendersi erogabile dagli enti territoriali interessati entro i limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 11 del medesimo decreto-legge e nell’ambito della quota destinata a ciascun ente, e nella parte in cui ha modificato il testo dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990, stabilendo che le parole «di lire» siano sostituite da «fino a lire».

            2. - La parte privata nel giudizio a quo eccepisce preliminarmente il difetto di rilevanza della questione perché il suo diritto a ricevere dalla Regione proprio l’importo risultante dalla moltiplicazione di lire due milioni per il numero di ettari rientranti nella zona danneggiata discenderebbe dal provvedimento a suo tempo emanato dal competente Comune rispetto al quale la norma censurata sarebbe ininfluente poiché: a) la Regione agirebbe in virtù di un rapporto di delegazione amministrativa intersoggettiva con lo Stato e dunque risponderebbe del pagamento dei contributi con tutto il suo patrimonio; b) anche il nuovo tenore dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 consente che il contributo possa essere riconosciuto nella misura (massima) di lire due milioni per ettaro; c) la somma trasferita dallo Stato alla Regione Puglia (pari a lire 165 miliardi) era comunque sufficiente per far fronte al pagamento in misura integrale del contributo, dal momento che la Regione stessa aveva quantificato in lire 148 miliardi il complessivo fabbisogno di spesa relativo a quel contributo.

            L’eccezione è infondata.

Il provvedimento sul quale fa leva la parte privata (vale a dire l’approvazione delle liste degli aventi diritto da parte del Comune) non è costitutivo di alcun diritto, ma solamente ricognitivo della sussistenza di determinate circostanze di fatto poiché la fonte del diritto rivendicato dagli agricoltori è la norma di legge, e precisamente l’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990, che, escludendo l’intervento discrezionale della pubblica amministrazione, definisce i presupposti della concessione del contributo. Conseguentemente, una volta appurato che l’ammontare del contributo esposto in quel provvedimento comunale sia stato calcolato in maniera errata, la Regione non può ritenersi da esso vincolata.

Che, poi, in astratto la Regione sia tenuta a rispondere del pagamento dei contributi in oggetto con tutto il suo patrimonio non significa certo che nel caso concreto essa possa essere obbligata a pagare più di quanto dovuto in applicazione della legge.

Inoltre, il fatto che l’attuale formulazione dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 permetta che il contributo sia concesso fino al limite dei due milioni di lire per ettaro, non comporta che il beneficio sia concesso nella misura massima pur in difetto dei fondi necessari.

Infine, a proposito della circostanza secondo la quale la somma trasferita dallo Stato alla Regione Puglia era superiore, nel suo complesso, alla spesa per il contributo prevista dalla stessa Regione sulla base di lire due milioni per ettaro, occorre ricordare che lo stanziamento statale era stato disposto per far fronte a tutte le provvidenze contemplate dal d. l. n. 367 del 1990 e non è possibile ritenere che la Regione fosse tenuta a impiegarlo pressoché interamente per il pagamento del contributo di cui al citato art. 2, comma 2, nella misura massima consentita.

            3. - Nel merito la questione non è fondata.

Il d. l. n. 367 del 1990 prevede una serie di interventi a favore delle aziende agricole e zootecniche colpite dalla siccità nell’annata agraria 1989-90. Tra questi vi è quello contemplato dall’art. 2, comma 2, consistente in «un contributo una tantum di lire 2 milioni per ettaro» a favore delle aziende olivicole e viticole del Mezzogiorno, ricadenti nelle aree all’uopo delimitate da ciascuna Regione e danneggiate in misura superiore al cinquanta per cento dell’intera produzione lorda vendibile.

Successivamente, in sede di conversione del d. l. n. 136 del 2004, la legge n. 186 del 2004 ha introdotto, nel testo del decreto-legge medesimo, l’art. 8-septies, il cui comma 1 dispone che il contributo una tantum previsto dall'art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 «deve intendersi erogabile dagli enti territoriali interessati entro i limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 11 del medesimo decreto-legge e nell'àmbito della quota destinata a ciascun ente» e, al successivo comma 2, stabilisce che «al citato articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 367 del 1990, le parole: "di lire" sono sostituite dalle seguenti: "fino a lire"».

            A parere del giudice rimettente tale norma comporterebbe la degradazione del diritto soggettivo al contributo a mero interesse legittimo, attribuendo all’ente territoriale la discrezionalità nel determinare la misura del contributo il quale, ricorrendo i presupposti di legge, non sarebbe più pari in ogni caso a lire due milioni per ettaro, bensì andrebbe riconosciuto «fino a lire 2 milioni per ettaro» e comunque entro i limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 11 del d. l. n. 367 del 1990 e della quota destinata a ciascun ente.

Di qui, secondo il rimettente, l’illegittimità dell’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004 per violazione: a) dell’art. 3 Cost., per contrasto con il principio di ragionevolezza, stante la mancanza di dubbi interpretativi in ordine all’originario testo dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 e l’esclusivo effetto retroattivo della norma censurata; b) degli artt. 101, 102 e 104 Cost., perché la norma avrebbe il solo fine di vincolare il giudice ad assumere una determinata decisione in specifiche ed individuate controversie; c) degli artt. 3 e 24 Cost., per violazione del principio  dell’affidamento nella certezza dell’ordinamento giuridico e per lesione del diritto di difesa in quanto la degradazione da diritto soggettivo ad interesse legittimo ridurrebbe gli strumenti e la portata dei mezzi di tutela giudiziaria a disposizione degli interessati.

Le censure formulate dal rimettente muovono da un’erronea interpretazione della norma del 1990. La disposizione dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 deve essere coordinata con quella dettata dal successivo art. 11 dello stesso decreto-legge che stabilisce, a carico dello Stato, l’erogazione di lire 650 miliardi per l’anno 1990 e di lire 250 miliardi per l’anno 1991. Il necessario rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost. impone di ritenere che l’unica interpretazione dell’art. 2, comma 2, del d. l. n. 367 del 1990 accettabile in quanto conforme a Costituzione sia stata, sin dall’inizio, quella secondo la quale la norma riconosceva, a favore delle aziende agricole, il diritto soggettivo ad un contributo il cui oggetto, però, non coincideva necessariamente con l’intero ammontare indicato nella medesima norma (due milioni di lire per ogni ettaro), bensì con la somma matematicamente determinabile sulla base degli stanziamenti disponibili.

D’altronde, nello stesso senso, si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità.

Tenendo conto di un simile significato occorre, dunque, valutare la legittimità costituzionale dell’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004. La censura del rimettente diretta ad evidenziare un’illegittimità di tale articolo non è fondata. Non v’è alcuna irrazionale retroattività della norma perché essa afferma una delle interpretazioni plausibili dell’art. 2, comma 2, del d. l. 367 del 1990. Il legislatore del 1990 ha voluto che le aziende agricole danneggiate avessero diritto ad un contributo determinato matematicamente sulla base dei fondi effettivamente stanziati. All’art. 8-septies del d. l. n. 136 del 2004 deve essere quindi riconosciuta la semplice funzione di aver definitivamente imposto per legge la corretta interpretazione della norma del 1990. 

Le argomentazioni svolte per il loro carattere assorbente esonerano dall’esame di tutte le ulteriori censure.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8-septies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136 (Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Mesagne, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2006.