Ordinanza n. 404 del 2005

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ORDINANZA N. 404

ANNO 2005

 

Commento alla decisione di

Andrea Ridolfi

Villa Certosa e segreto di Stato: inammissibile, per intervenuta cessazione della materia del contendere, il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato

(per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Piero Alberto  CAPOTOSTI               Presidente

- Guido             NEPPI MODONA        Giudice    

- Annibale         MARINI                           “

- Franco             BILE                                 “

- Giovanni Maria FLICK                            “

- Francesco        AMIRANTE                     “

- Ugo                 DE SIERVO                     “

- Romano          VACCARELLA              “

- Paolo               MADDALENA                 “

- Alfio               FINOCCHIARO               “

- Alfonso           QUARANTA                   “

- Franco             GALLO                            “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito del decreto del Ministro dell'interno 6 maggio 2004 prot. n. 1004/100 – 1158, che ha apposto il segreto di Stato sull'area denominata “Villa La Certosa”, in località Punta della Volpe (Olbia), in locazione all'attuale Presidente del Consiglio dei ministri (decreto a sua volta segretato con nota 2 ottobre 2004, prot. N. 1004/110 – 1933/2 del Ministero dell'interno, Gabinetto del Ministro, Segreteria speciale); della nota del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004, prot. n. 6000.2.4.1/66279/STP, che – in forza di delega conferitagli dal Presidente del Consiglio dei ministri il 21 dicembre 2004 – ha confermato l'esistenza del segreto di Stato su detta area, promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in persona del suo Procuratore capo, con ricorso depositato il 15 gennaio 2005 ed iscritto al n. 282 del registro ammissibilità conflitti.

  Visto l'atto di intervento dell'associazione “Friends of the earth international – Amici della Terra” – Delegazione Sardegna e dell'associazione “Gruppo di intervento giuridico”.

    Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

    Ritenuto che, con ricorso depositato il 15 gennaio 2005, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in persona del suo Procuratore capo, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Governo della Repubblica, in relazione al decreto del Ministro dell'Interno 6 maggio 2004, prot. n. 1004/101158, che ha disposto l'assoggettamento dell'area in località Punta della Volpe, denominata “Villa La Certosa”, alle previsioni di cui all'art. 12 della legge 24 ottobre 1997, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), interdicendone l'accesso «allo scopo di preservare la conoscibilità dei luoghi», nonché in relazione alla nota del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 23 dicembre 2004, prot. n. 6000.2.4.1/66279/STP, che – a ciò delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri – ha confermato l'esistenza del segreto di Stato sulla predetta area;

    che, premette il ricorrente, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania aveva avviato, in base a notizie giornalistiche e successive relazioni del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, un procedimento penale, prima nei confronti di persone da individuare, e, successivamente, nei confronti dell'amministratore della società proprietaria di un'area di 50 ettari in località Punta Lada-Porto Rotondo, nella quale si ipotizzava la realizzazione di opere edilizie in assenza della prescritta concessione e/o in difformità dalle autorizzazioni a suo tempo rilasciate, in violazione delle prescrizioni di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), nonché all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma della legge 8 ottobre 1997, n. 352) e ora all'art. 142 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), trattandosi di area sottoposta a vincoli paesaggistici;

    che, al fine di verificare lo stato dei luoghi, e la sussistenza di eventuali reati, la Procura di Tempio Pausania, in data 11 maggio 2004, aveva disposto un'ispezione all'Interno della proprietà “Villa La Certosa”;

    che, a seguito della notifica di questo decreto di ispezione, il difensore del proprietario dell'area segnalava, con una lettera del 26 maggio 2004, la circostanza che una parte dei lavori in oggetto era stata coperta da segreto di Stato, pregando altresì il magistrato inquirente di voler “soprassedere dall'eventuale disposizione di ispezioni o sopralluoghi”;

    che la Procura veniva incontro a tale richiesta del difensore sino alla indiretta conoscenza della nota del Capo di gabinetto del Ministero dell'interno, 8 giugno 2004, prot. n. 1004/1101102/4, nella quale si affermava che l'area in questione era stata assoggettata alle previsioni dell'art. 12 della legge n. 801 del 1997;

    che, a seguito di tale informativa, la Procura ricorrente richiedeva – con nota riservata del 27 agosto 2004 diretta al Ministero dell'Interno e al Comitato per i servizi di informazione e sicurezza (CESIS) – la collaborazione di questi ultimi al fine di “consentire l'espletamento dell'attività ispettiva, sottolineando peraltro la non opponibilità, in sede di ispezione dei luoghi, del decreto di apposizione del segreto di Stato sull'area in questione”;

    che, in data 7 settembre 2004, la Procura adottava un secondo decreto di ispezione di luoghi, con riferimento alle pertinenze di Villa La Certosa;

    che, in data 9 e 10 settembre 2004, il Ministero dell'Interno, Gabinetto del Ministro, Segreteria speciale, comunicava alla Procura che l'area di Villa La Certosa era stata dichiarata, con decreto del Ministro dell'Interno del 6 maggio 2004, “soggetta alla previsioni di cui all'art. 12 della legge n. 801 del 1997” e che, “in applicazione del citato d.m., è espressamente interdetto l'accesso all'area in oggetto, allo scopo di preservare la conoscibilità dei luoghi”;

    che il tentativo della Procura della Repubblica di procedere, in data 14 settembre 2004, alla surrichiamata ispezione dei luoghi veniva reso impossibile dalla affermazione da parte di rappresentanti ministeriali che, in base al d.m. 6 maggio 2004 del Ministro dell'Interno, “tali luoghi e fabbricati ivi esistenti non sono conoscibili né ispezionabili neppure dall'Autorità giudiziaria”;

    che, successivamente, perveniva alla Procura la nota 2 ottobre 2004, prot. n. 1004/110-1933/2 del Ministero dell'interno, Gabinetto del Ministro – Segreteria speciale, con la quale si trasmetteva il decreto con cui il Ministro aveva apposto il segreto di Stato, precisandosi però che il documento, inviato a soli fini processuali, avrebbe dovuto, una volta consultato e visionato, essere restituito, senza essere riprodotto;

    che il ricorrente, con nota riservata in data 3 novembre 2004, richiedeva al Presidente del Consiglio, di “comunicare entro il termine di 60 giorni, così come analogamente previsto dagli artt. 202 e 256 cod. proc. pen., l'esistenza e la attualità del segreto”;

    che, con la nota impugnata, in data 23 dicembre 2004, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, su delega del Presidente del Consiglio dei ministri, confermava “l'esistenza del segreto di Stato sull'area ubicata in località Punta di Volpe detta “Villa La Certosa”, in quanto rientrante nell'oggetto di tutela indicato dall'art. 12 della legge n. 801 del 1997”: ciò in quanto l'area in questione sarebbe stata individuata quale “sede alternativa di massima sicurezza” per “l'incolumità del Presidente del Consiglio, dei suoi familiari e dei suoi collaboratori e per la continuità dell'azione di Governo”, nell'ambito di una “pianificazione nazionale antiterrorismo che, tra l'altro, prevede particolari modalità di tutela per la alte cariche dello Stato”;

    che, ciò premesso in fatto, la Procura ricorrente espone le ragioni di diritto a sostegno del sollevato conflitto di attribuzione, rilevando, quanto alla ammissibilità del ricorso sotto il profilo soggettivo, che secondo la costante giurisprudenza costituzionale il pubblico ministero sarebbe legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato “in quanto titolare diretto ed esclusivo – ai sensi dell'art. 112 Cost. dell'attività di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale”;

    che “uguale legittimazione” dovrebbe riconoscersi “sul lato passivo” sia al Presidente del Consiglio dei ministri, sia al Governo della Repubblica nel suo complesso: il primo, infatti, sarebbe l'organo deputato a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, in relazione alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato; il secondo, dal canto suo, sarebbe comunque il soggetto “cui l'atto impugnato deve ritenersi imputabile”;

    che, dal punto di vista oggettivo, non vi sarebbe dubbio che, nel caso concreto, si controverta in ordine alla “delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”, dal momento che si lamenta “l'illegittima apposizione del segreto di Stato da parte del potere esecutivo, tale da determinare una menomazione delle competenze costituzionalmente spettanti al pubblico ministero”;

    che, in relazione al merito, il ricorrente afferma che gli atti impugnati gli impedirebbero di procedere “all'ispezione dei luoghi e delle cose ai fini della individuazione dei fatti di reato per i quali (...) procede” e dunque di svolgere le attività che il codice di procedura penale configura come preordinate all'eventuale esercizio dell'azione penale;

    che, nella specie, la opposizione del segreto di Stato, da parte del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in forza di puntuale delega del Presidente del Consiglio, sia da parte del Ministro dell'interno, sarebbe da ritenere “assolutamente illegittima”;

    che tale illegittimità deriverebbe, quanto al Ministro dell'interno, dalla circostanza che la determinazione in questione sarebbe stata adottata “al di fuori dì qualsiasi (...) previsione legislativa di competenza”; e, quanto al Ministro dell'interno e al Sottosegretario alla Presidenza, perché adottata “con riferimento ad un'ipotesi (l'ispezione dei luoghi) non rientrante nella disciplina della legge 24 ottobre 1977, n. 801”;

    che, in ogni caso, la illegittimità dipenderebbe dalla circostanza che gli atti in questione sarebbero stati posti in essere “al di fuori delle ipotesi previste dalla disciplina vigente del segreto di Stato”, così come emergerebbe anche alla luce della giurisprudenza costituzionale sul punto;

    che, in relazione al primo di tali aspetti, nel ricorso si afferma come “la sicurezza dello Stato sia attribuita dal legislatore esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri”, e non “al Governo nella sua collegialità o a singoli Ministri”;

    che, in relazione al secondo aspetto, invece, si osserva come le ispezioni, le perquisizioni e gli altri mezzi processuali di ricerca della prova non conoscerebbero “limitazione alcuna in dipendenza della normativa speciale sul segreto di Stato”, dal momento che limitazioni sussisterebbero solo per la testimonianza ed il sequestro, ai sensi rispettivamente degli artt. 202 e 256 del codice di rito, non essendo in vigore analoga normativa concernente le ispezioni;

    che, peraltro, secondo il ricorrente, il segreto di Stato non potrebbe essere apposto su “luoghi”, non potendosi interpretare in tal senso il riferimento ad “ogni altra cosa” contenuto nell'art. 12 della legge n. 801 citata, sia in quanto non sarebbe possibile identificare “un luogo con una cosa”, sia in quanto la apposizione del segreto sarebbe finalizzata ad evitare il rischio derivante dalla diffusione del contenuto di atti, documenti o notizie, nonché “dalle informazioni desumibili da una cosa”, e perciò stravolgerebbe il dettato normativo “estendere il concetto di diffusione fino al punto di ricomprendervi anche i luoghi, intesi in senso strettamente materiale”;

    che, d'altronde, come ribadito anche dalla sentenza n. 86 del 1977 di questa Corte, al principio di segretezza sarebbe consentito “incidere (...) su valori parimenti rilevanti dal punto di vista costituzionale, quali quelli tutelati dal potere giudiziario”, solo nei casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non rientrerebbe il caso in questione;

    che, ad ulteriore sostegno delle tesi sostenute, il ricorrente richiama le sentenze di questa Corte n. 410 e n. 110 del 1998, nelle quali si afferma che “onde evitare un'alterazione dell'equilibrio dei rapporti tra potere esecutivo e autorità giudiziaria, l'esistenza del segreto di Stato non può impedire al pubblico ministero di indagare sui fatti a cui si riferisce la notitia criminis, e di esercitare, se del caso, l'azione penale, ma ha il solo effetto di inibire la utilizzazione di prove coperte dal segreto, ove illegittimamente acquisite”;

    che, inoltre, la Procura ricorrente evidenzia come – per effetto dei provvedimenti che hanno dato causa al conflitto – l'area in questione risulterebbe “sottratta a qualsivoglia controllo di legalità”, determinandosi in tal modo la conseguenza secondo la quale il Presidente del Consiglio, i suoi familiari, i suoi collaboratori ed i suoi ospiti godrebbero in essa di una sorta di “immunità territoriale”, estesa anche a fatti ed atti non connessi all'esercizio delle funzioni istituzionali creandosi, conseguentemente, “un regime differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione, in particolare quella penale”;

    che, ancora, la apposizione del segreto non potrebbe giustificarsi neppure con la necessità, affermata nella nota in data 23 dicembre 2004 del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, di salvaguardare l'incolumità del Presidente del Consiglio, dei suoi familiari e dei suoi collaboratori, in quanto ciò giustificherebbe la predisposizione di un adeguato e specifico apparato di sicurezza, anche a presidio dei luoghi in cui egli dimora o transita ma non “l'assoggettamento a segreto di Stato di un'intera area privata in maniera stabile e permanente”;

    che, da ultimo, la apposizione del segreto, nel caso in questione, non potrebbe giustificarsi in relazione all'esigenza di “preservare la conoscibilità dei luoghi”, in considerazione del fatto che “una dettagliata descrizione – corredata di fotografie dell'attuale residenza secondaria” dell'attuale Presidente del Consiglio” sarebbe già stata divulgata da alcune pubblicazioni;

    che, in data 21 febbraio 2005, hanno depositato atto di intervento ad adiuvandum l'associazione “Friends of the earth international – Amici della Terra” associazione non governativa ambientalista, riconosciuta con d.m. 20 febbraio 1987, ex art. 13 della legge n. 349 del 1986, nonché l'associazione “Gruppo d'intervento giuridico”, associazione ambientalista non riconosciuta ex artt. 36 e ss. cod. civ.;

che, successivamente, il ricorrente ha depositato una memoria, nella quale, oltre ad insistere nel ricorso, chiede a questa Corte di ordinare alla Presidenza del Consiglio dei ministri l'esibizione del decreto del Ministro dell'Interno 6 maggio 2004, nonché del verbale di sopralluogo che sarebbe stato compiuto nella zona oggetto del segreto da una non precisata autorità e di cui era stato disposto il divieto di divulgazione;

    che, con nota 13 maggio 2005, n. 10041110-963/4, il Capo di gabinetto del Ministro dell'interno informava la Procura della Repubblica di Tempio Pausania che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva comunicato al Ministro, con lettera 10 maggio 2005, la sua volontà di consentire, avvalendosi delle prerogative previste dal decreto in data 6 maggio 2004, n. 10041110-115812 (5047), l'accesso all'area “in questione” “ai fini di procedere all'ispezione richiesta” dalla Procura;

    che, a seguito di tale atto, il ricorrente ha depositato una nuova memoria, nella quale insiste nel ricorso affermando che l'assenso all'accesso alla località Punta della Volpe e alla effettuazione dell'ispezione dei luoghi non potrebbe equivalere alla revoca del decreto che illegittimamente aveva apposto il segreto;

    che, in data 16 luglio 2005, l'Avvocatura generale dello Stato, riferendo di aver ricevuto la notifica dell'atto di intervento in giudizio di “Friends of the earth international – Amici della Terra”, ha fatto pervenire a questa Corte il verbale di ispezione ex art. 244 e ss. cod. proc. pen. dell'area di “Villa La Certosa” eseguita dalla Procura della Repubblica di Tempio Pausania il 20, 22 e 23 giugno 2005, nonché il verbale del sopralluogo sui medesimi luoghi svolto 1'11 luglio 2005 dal direttore del Servizio tutela del paesaggio di Sassari della Regione autonoma della Sardegna;

    che il ricorrente ha depositato una ulteriore memoria, nella quale, pur dando atto della effettuazione dell'ispezione, di cui viene depositato il relativo verbale, ribadisce le proprie richieste, escludendo che l'assenso all'accesso sui luoghi e la effettiva ispezione degli stessi possano determinare una pronuncia di cessazione della materia del contendere, dal momento che alcuni effetti giuridici si sarebbero comunque prodotti e residuerebbe l'interesse del ricorrente a ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione, che rappresenterebbe “l'oggetto principale del giudizio di questa Corte, in base all'art. 38 della legge n. 87 del 1953".

    Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte è chiamata a decidere, con ordinanza, se il ricorso sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se sussistano i requisiti soggettivi e oggettivi di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;

    che, in relazione alla sussistenza dei requisiti soggettivi, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, deve essere riconosciuta la legittimazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania a sollevare conflitto di attribuzione, in quanto organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 112 della Costituzione e dunque gravato dell'obbligo di esercitare l'azione penale e le attività di indagine a questa finalizzate;

    che, ancora, dal punto di vista soggettivo, nessun dubbio può sussistere sulla legittimazione del Presidente del Consiglio dei ministri a resistere al conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo sulla base della legge n. 801 del 1977, ma, come questa Corte ha già più volte chiarito, anche alla stregua delle disposizioni costituzionali che ne delimitano le attribuzioni (sentenze n. 410 e n. 110 del 1998, n. 86 del 1977; ordinanza n. 426 del 1997);

    che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il ricorso, che ha come oggetto l'asserita menomazione dei poteri dell'autorità giudiziaria in conseguenza degli atti ministeriali impugnati, è indirizzato alla garanzia della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali, in quanto la lesione lamentata dal Procuratore della Repubblica ricorrente concerne funzioni riconducibili all'art. 112 della Costituzione;

    che, peraltro, nelle more dell'attuale fase del giudizio, è intervenuta la nota del Ministero dell'interno n. 1004/110-96314 del 13 maggio 2005, con la quale, rappresentandosi espressamente la volontà del Presidente del Consiglio dei ministri, si è consentito al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania di accedere all'area già oggetto del provvedimento di apposizione del segreto di Stato “ai fini di procedere all'ispezione richiesta”, e che tale ispezione è stata pienamente effettuata, in attuazione del relativo decreto, nelle date 20, 22 e 23 giugno 2005, alla presenza del difensore dell'indagato e di funzionari del CESIS;

    che, su proposta degli stessi funzionari del CESIS, l'ispezione si è estesa anche a “siti non menzionati espressamente nel decreto di ispezione datato 7.09.2004” ed in particolare alle “opere di più recente realizzazione”, nell'asserito “spirito di leale collaborazione tra i poteri dello Stato e nell'ottica della sempre più ampia collaborazione con l'autorità giudiziaria procedente” (secondo quanto risulta dal relativo verbale);

    che, di conseguenza, il compimento dell'ispezione, ai sensi dell'art. 244 e seguenti del codice di procedura penale, da parte dell'autorità giudiziaria ricorrente ha rimosso l'ostacolo frapposto all'esercizio del potere d'indagine spettante alla stessa autorità giudiziaria, così da far venir meno, allo stato, l'oggetto del conflitto;

    che, in relazione ai lamentati possibili effetti sui poteri dell'autorità ricorrente derivanti dal trascorrere del tempo relativo allo svolgimento della vicenda, si tratta di una mera situazione di fatto, comunque non rimediabile anche a seguito di una ipotetica pronuncia di questa Corte sul merito del conflitto;

    che questa Corte, in sede di risoluzione dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, è chiamata a giudicare, come confermato dalla costante giurisprudenza (cfr., per tutte, la sentenza n. 420 del 1995), su conflitti non astratti o ipotetici, ma attuali e concreti;

    che, conseguentemente, essendo venuta meno la materia del contendere, il conflitto deve essere dichiarato inammissibile per difetto del requisito oggettivo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in persona del suo Procuratore capo, con il ricorso indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2005.