Sentenza n. 392 del 2005

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SENTENZA N. 392

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

- Alfonso QUARANTA

- Franco GALLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, primo periodo e lettera a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 dicembre 1999, n. 30 (Gestione ed esercizio dell'attività venatoria nella Regione Friuli-Venezia Giulia), così come integrato dall'articolo 2, comma 1 (recte: comma 2), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 20 (Modifiche alla legge regionale n. 29/1993 in materia di aucupio, modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 24/1996 e alla legge regionale n. 30/1999, nonché ulteriori disposizioni in materia faunistico-venatoria), promosso con ordinanza del 23 aprile 2003 dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, sul ricorso proposto dalla LAV Lega Anti Vivisezione contro Provincia di Pordenone ed altri, iscritta al n. 500 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell'anno 2003.

Visto l'atto di costituzione della LAV Lega Anti Vivisezione;

udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri;

udito l'avvocato Alessio Petretti per la LAV Lega Anti Vivisezione.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 23 aprile 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 3, primo periodo e lettera a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 dicembre 1999, n. 30 (Gestione ed esercizio dell'attività venatoria nella Regione Friuli-Venezia Giulia), così come integrato dall'articolo 2, comma 1 (recte: comma 2), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 20 (Modifiche alla legge regionale n. 29/1993 in materia di aucupio, modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 24/1996 e alla legge regionale n. 30/1999, nonché ulteriori disposizioni in materia faunistico-venatoria), in riferimento all'articolo 6, numero 3, e all'articolo 4, numero 3, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché in riferimento all'articolo 116, primo comma, della Costituzione.

Il TAR premette in fatto di essere stato investito del ricorso per l'annullamento di una deliberazione della Giunta provinciale di Pordenone relativa all'individuazione del personale preposto al controllo della cattura e dell'abbattimento della fauna nociva. Con tale deliberazione, adottata in revoca di una precedente, sospesa in via cautelare dal medesimo TAR, la Giunta ha motivato in ordine alla prevalenza del parere del Servizio autonomo per la gestione faunistica e venatoria della Regione Friuli-Venezia Giulia rispetto a quello del competente dirigente di servizio della Provincia ed ha confermato il dispositivo.

In ordine alla rilevanza, il giudice a quo precisa che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma regionale condurrebbe il collegio a riconoscere la sussistenza del fumus boni iuris e quindi, essendo già stata riconosciuta la sussistenza di un danno grave e irreparabile (che ha indotto il collegio a sospendere in via interinale il provvedimento impugnato fino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale), all'accoglimento dell'istanza cautelare di sospensione della deliberazione giuntale che su tale norma fonda il suo dispositivo.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente afferma che la norma censurata non osserva i limiti della potestà legislativa regionale integrativo-attuativa in materia di protezione della fauna, di cui all'articolo 6, numero 3, dello statuto, poiché consente che all'esecuzione di piani di abbattimento di fauna selvatica ritenuta nociva – autorizzati, ai sensi dell'articolo 37 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 dicembre 1999 n. 30, dall'Assessore delegato in materia di caccia – procedano, oltre che i soggetti di cui all'articolo 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), cui l'articolo 37 fa espresso rinvio, anche le riserve di caccia, a mezzo dei cacciatori ad esse iscritti, in quanto qualificate dalle citate norme regionali come "conduttori a fini faunistico venatori dei fondi".

Secondo il rimettente, infatti, la disposizione censurata non si limiterebbe ad integrare e attuare l'articolo 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ma lo modificherebbe, aggiungendo ai soggetti autorizzati al controllo della fauna nociva, che sono tassativamente indicati in tale articolo (guardie venatorie provinciali e, se in possesso di licenza di caccia, proprietari o conduttori dei fondi interessati, guardie forestali o comunali), numerosi altri soggetti, quali, potenzialmente, tutti i cacciatori iscritti alle riserve di caccia della Provincia di Pordenone, di volta in volta inserite nei piani di abbattimento.

In tal modo, ad avviso del rimettente, si comprometterebbe "la stessa finalità di bilanciamento fra la tutela degli interessi tutelati contro l'eccessiva moltiplicazione di specie faunistiche nocive e quella della conservazione di dette specie, assicurata attraverso la tassativa indicazione dei soggetti, che possono essere autorizzati ad attuare le misure di controllo selettivo di detta fauna".

Il giudice a quo precisa inoltre che, pur essendo incontestato che la disciplina in esame vada ricondotta alla materia "tutela della fauna", l'articolo 7, comma 3, primo periodo e lettera a), della legge regionale n. 30 del 1999 sarebbe, comunque, viziato anche qualora si volesse ricondurre la potestà esercitata dalla Regione alla "materia caccia", materia in cui la Regione ha, ai sensi dell'articolo 4, numero 3, dello statuto, competenza esclusiva.

Infatti, anche questa potestà deve svolgersi in armonia con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, fra cui vanno annoverate tutte quelle di principio della legge n. 157 del 1992, alle quali sono tenute ad adeguarsi anche le regioni a statuto speciale.

Al giudice rimettente non pare dubbio che l'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992 costituisca norma di riforma economico-sociale, perché elenca un numerus clausus di soggetti autorizzati all'esecuzione dei piani di abbattimento, all'evidente scopo di evitare che la tutela degli interessi (sanitari, di selezione biologica, di protezione delle produzioni zootecniche, ecc.) perseguita con i piani di abbattimento trasmodi in compromissione della sopravvivenza delle specie faunistiche.

Sempre secondo il giudice a quo, la normativa regionale viola non solo i limiti posti alla potestà legislativa integrativo-attuativa in materia di protezione della fauna riconosciuta dall'articolo 6, numero 3, dello statuto, ma ogni potestà legislativa regionale, anche esclusiva, nella parte in cui, in violazione dei principî generali dell'ordinamento e degli interessi nazionali, dispone, per il solo territorio del Friuli-Venezia Giulia, una modifica dell'ordinamento civilistico, introducendo una nuova figura di conduttore dei fondi, vale a dire i conduttori a fini faunistico venatori.

Tale disposizione si porrebbe in contrasto con le richiamate norme dello statuto, eccedendo i limiti della potestà legislativa integrativo-attuativa e della potestà esclusiva, anche perché limiterebbe le facoltà di disposizione e godimento del proprietario, conduttore e affittuario, i quali devono consentire a soggetti estranei di introdursi nel fondo proprio o da loro detenuto.

Nel complesso, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata viola, oltre alle citate norme statutarie, anche l'articolo 116, primo comma, della Costituzione, in quanto alle Regioni a statuto speciale è concessa esclusivamente l'autonomia prevista dai rispettivi statuti.

2. – Con memoria depositata il 2 settembre 2003 si è costituita in giudizio la Lega Anti Vivisezione (LAV), ricorrente nel giudizio a quo, che insiste per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale, facendo propri i motivi esposti nell'ordinanza di rimessione.

La LAV precisa che la disposizione impugnata sarebbe in contrasto anche con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, poiché, nel permettere a soggetti che non hanno i requisiti previsti dall'art. 19 della legge n. 157 del 1992 di esercitare azioni di prelievo con abbattimento di specie protette in periodi non consentiti dal calendario venatorio, in aree non consentite e con l'uso di mezzi normalmente vietati, comporterebbe la loro non assoggettabilità al sistema penale italiano.

3. – In prossimità dell'udienza pubblica, con memoria depositata il 20 aprile 2005, la Lega Anti Vivisezione (LAV) insiste per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale, ribadendo quanto sostenuto nell'atto di costituzione e richiamando altresì la giurisprudenza di questa Corte ed in particolare la sentenza n. 135 del 2001.

Secondo la parte privata, con tale decisione, la Corte ha chiarito che l'articolo 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992 costituisce un principio fondamentale della materia, tale da vincolare la potestà legislativa regionale non solo per la sua collocazione all'interno della legge quadro, ma anche per il suo significato innovativo rispetto alla disciplina del controllo faunistico di cui alla precedente legge cornice 27 dicembre 1977, n. 968, che all'articolo 12 non precludeva la partecipazione dei cacciatori (non proprietari dei fondi interessati) all'esecuzione dei piani di abbattimento.

Rispetto al secondo profilo di censura, vale a dire la violazione del limite dell'ordinamento civile, la LAV precisa che, mentre l'articolo 842 del cod. civ. consente l'accesso ai fondi da parte dei cacciatori muniti di licenza rilasciata dall'autorità, l' articolo 7, comma 3, primo periodo e lettera a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 30 del 1999 consentirebbe, "unicamente nella Regione Friuli-Venezia Giulia, l'accesso su fondi altrui per l'esercizio di un'attività diversa dalla caccia ed a soggetti di diritto, quali le Riserve di caccia, e quindi a tutti i cacciatori della regione ad esse associati nei rispettivi ambiti territoriali".

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 23 aprile 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 3, primo periodo e lettera a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 dicembre 1999, n. 20 (Gestione ed esercizio dell'attività venatoria nella Regione Friuli-Venezia Giulia), così come integrato dall'articolo 2, comma 1 (recte: comma 2), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 30 (Modifiche alla legge regionale n. 29/1993 in materia di aucupio, modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 24/1996 e alla legge regionale n. 30/1999, nonché ulteriori disposizioni in materia faunistico-venatoria), in riferimento all'articolo 6, numero 3, e all'articolo 4, numero 3, della legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché in riferimento all'articolo 116, primo comma, della Costituzione.

L'art. 7, comma 3, primo periodo e lett. a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 30 del 1999, così come integrato dall'articolo 2, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 20 è censurato nella parte in cui consente che all'esecuzione di piani di abbattimento di fauna selvatica procedano, oltre che i soggetti di cui all'art. 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), anche le Riserve di caccia situate nel territorio della Regione, a mezzo di cacciatori ad esse assegnati, in quanto qualificate come "conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi".

2. – La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.

La norma censurata si inserisce nel complesso quadro normativo degli articoli 7 e 37 della legge regionale citata e dell'articolo 19, comma 2, della legge statale n. 157 del 1992.

L'articolo 7 si occupa di definire le Riserve di caccia e di prevederne le funzioni. In particolare, secondo tale articolo, "il territorio regionale destinato a gestione venatoria pubblica è suddiviso nelle unità territoriali denominate Riserve di caccia", associazioni senza fini di lucro, "composte dai cacciatori ad esse assegnati". Prosegue ancora l'articolo prevedendo che, al fine del perseguimento della protezione, incremento e razionale sfruttamento del patrimonio faunistico e della gestione dell'esercizio venatorio, le Riserve, "quali conduttori a fini faunistico-venatori", pongono in essere diverse attività tra le quali, alla lettera a), è prevista l'attuazione di censimenti e la predisposizione di piani di abbattimento.

L'articolo 37 della medesima legge dispone che, su motivata e documentata richiesta, l'Assessore regionale delegato in materia di caccia, previo parere dell'Istituto faunistico regionale e del Comitato faunistico venatorio regionale, possa autorizzare, in ogni tempo e a condizioni predeterminate e controllate, la cattura e l'abbattimento della cosiddetta fauna nociva, avvalendosi dei soggetti di cui all'articolo 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992.

Infine, l'articolo 19, comma 2, della legge statale n. 157 del 1992, nel disciplinare l'abbattimento di fauna nociva, prevede che "le regioni per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia.Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio".

Si tratta chiaramente di attività non svolta per fini venatori, perché l'abbattimento di fauna nociva – che peraltro viene preso in considerazione dalla norma statale solo come extrema ratio, dopo che i metodi ecologici non sono risultati efficaci risulta previsto soltanto a fini di tutela dell'ecosistema. Più esattamente, la norma da ultimo citata trae origine da un'attenta ponderazione per evitare che la tutela degli interessi (sanitari, di selezione biologica, di protezione delle produzioni zootecniche, ecc.) perseguiti con i piani di abbattimento trasmodi nella compromissione della sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorché nocive. A tale scopo l'art. 19, comma 2, contiene un elenco tassativo di soggetti autorizzati all'esecuzione di tali piani (guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani di abbattimento, guardie forestali e guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio), nel quale non sono compresi i cacciatori, come si desume, altresì, dal comma 3 del medesimo articolo 19, secondo il quale le sole Province di Trento e Bolzano possono attuare i piani di abbattimento della fauna nociva anche avvalendosi di altre persone, purché munite di licenza per l'esercizio venatorio.

La previsione dell'art. 19 della legge statale n. 157 del 1992, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, "nella parte in cui disciplina i poteri regionali di controllo faunistico, costituisce un principio fondamentale della materia a norma dell'art.117 della Costituzione, tale da condizionare e vincolare la potestà legislativa regionale: non solo per la sua collocazione all'interno della legge quadro e per il rilievo generale dei criteri in esso contenuti, frutto di una valutazione del legislatore statale di idoneità e adeguatezza di tali misure rispetto alle finalità ivi indicate, del controllo faunistico; ma anche per il suo significato innovativo rispetto alla disciplina del controllo faunistico di cui alla precedente legge cornice 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia)  che all'art. 12 non precludeva la partecipazione dei cacciatori (non proprietari dei fondi interessati) alla esecuzione dei piani di abbattimento destinati al controllo selettivo  e per l'inerenza della disposizione […] a materia contemplata dalla normativa comunitaria in tema di protezione delle specie selvatiche. La rigorosa disciplina del controllo faunistico recata dall'art.19 della legge n. 157 del 1992 è infatti strettamente connessa all'ambito di operatività della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione di uccelli selvatici" (sentenza n. 135 del 2001).

Ed è proprio con tale principio espresso dalla norma statale che si pone in contrasto l'articolo 7, comma 3, primo periodo e lettera a) della legge regionale impugnata, così come integrato dall'art. 2, comma 2, della legge del Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 20. Non in quanto la norma censurata prevede, alla lettera a), che le Riserve di caccia "provvedono all'attuazione dei censimenti ed alla predisposizione dei piani di abbattimento" (tale formula, così come quella usata dal successivo articolo 10 della medesima legge, deve essere intesa nel senso che alle Riserve è affidato il diverso, e più limitato, compito di porre in essere una serie di attività preparatorie che nulla hanno a che vedere con l'esecuzione dei piani), ma in quanto qualifica tali Riserve "quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi", facendo così rientrare le Riserve di caccia, e per esse i cacciatori assegnati, tra i soggetti autorizzati all'esecuzione dei piani. Non trattandosi nella specie di attività venatoria, il previsto ampliamento risulta irragionevole, e in quanto tale si pone come esorbitante rispetto alla potestà integrativo-attuativa che l'art. 6, numero 3, dello statuto attribuisce al legislatore regionale in materia di tutela della fauna.

La norma censurata è pertanto costituzionalmente illegittima limitatamente alla qualificazione delle Riserve di caccia quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 dicembre 1999, n. 30 (Gestione ed esercizio dell'attività venatoria nella Regione Friuli-Venezia Giulia), così come integrato dall'articolo 2, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 20 (Modifiche alla legge regionale n. 29/1993 in materia di aucupio, modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 24/1996 e alla legge regionale n. 30/1999, nonché ulteriori disposizioni in materia faunistico-venatoria), limitatamente alle parole "quali conduttori a fini faunistico-venatori dei fondi rientranti nella previsione dei commi 1 e 2".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2005.