Sentenza n. 21 del 2005

SENTENZA N. 21

ANNO 2005

 

Commento alla decisione di

 

Matteo Barbero

La Consulta promuove l’Irap maggiorata

(per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

-  Valerio                                  ONIDA                        Presidente

-  Carlo                                     MEZZANOTTE           Giudice

-  Guido                                    NEPPI MODONA            “

-  Piero Alberto                         CAPOTOSTI                     “

-  Annibale                                MARINI                            “

-  Franco                                   BILE                                  “

-  Giovanni Maria                     FLICK                               “

-  Francesco                              AMIRANTE                      “

-  Ugo                                       DE SIERVO                      “

-  Romano                                 VACCARELLA                “

-  Paolo                                     MADDALENA                 “

-  Alfio                                      FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                                 QUARANTA                    “

-  Franco                                   GALLO                            “

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6, 7 e 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) e successive modifiche, promossi con ordinanze depositate il 17 gennaio 2003 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, il 22 novembre 2002 dalla Commissione tributaria provinciale di Bergamo, il 20 maggio 2003 dalla Commissione tributaria provinciale di Cuneo e il 18 settembre 2003 dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, rispettivamente iscritte ai nn. 495, 502, 836 e 1190 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 32 e 43, prima serie speciale, dell’anno 2003 e n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visti gli atti di costituzione della s.p.a. Deutsche Bank Capital Markets, della s.p.a. B.P.B. Leasing, della s.p.a. Banca Passadore & C., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2004 il Giudice relatore Franco Gallo;

  uditi gli avvocati Vittorio D. Gesmundo e Victor Uckmar per la s.p.a. B.P.B. Leasing, Antonio Lovisolo e Leonardo Perrone per la s.p.a. Banca Passadore & C. e l’Avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.– Con quattro distinte ordinanze, le Commissioni tributarie provinciali di Milano, Bergamo, Cuneo e Genova, nel corso di altrettanti giudizi  promossi da società contribuenti avverso il diniego (talora espresso, talora formatosi con silenzio-rifiuto) del rimborso delle somme versate dalle medesime società a titolo di IRAP, hanno sollevato – premessane la rilevanza e non manifesta infondatezza – questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), quale modificato dall’art. 6, comma 17, lettera b), della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2000). La Commissione tributaria provinciale di Milano, nel corso del medesimo giudizio pendente davanti a sé, ha sollevato questione di legittimità costituzionale anche degli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997.

Secondo tutti i giudici rimettenti, le norme denunciate, nel prevedere in via transitoria, per i soli soggetti di cui agli artt. 6 e 7 del medesimo d.lgs. n. 446 del 1997, aliquote comparativamente più elevate, attribuirebbero irragionevolmente alle banche, agli altri enti e società finanziari, nonché alle imprese di assicurazione una capacità contributiva maggiore di quella degli altri soggetti gravati dallo stesso tributo, nonostante l’identità della grandezza economica assunta dal legislatore quale indice di capacità contributiva (cioè il valore della produzione netta), per legge riferibile a tutti i settori di attività e da calcolarsi secondo basi imponibili differenti per ciascuna categoria di soggetti, proprio per tener conto delle diverse regole che disciplinano la rappresentazione della situazione economico-patrimoniale e reddituale. Sarebbe perciò violato il combinato disposto degli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione (e, per la Commissione tributaria provinciale di Milano, anche dell’art. 2 Cost.), quale espressione del principio di eguaglianza e di proporzionalità del prelievo alla capacità contributiva.

In particolare, secondo alcune rimettenti (Commissioni tributarie provinciali di Bergamo e di Cuneo), la censurata disciplina transitoria non potrebbe trovare giustificazione nelle ragioni indicate nella relazione governativa allo schema di decreto legislativo e nella allegata nota tecnica, cioè nell’intento del legislatore di ridurre l’impatto redistributivo della nuova imposta, in presenza di un consistente sgravio fiscale per il settore dell’intermediazione finanziaria (interessato anche da altri provvedimenti agevolativi connessi con la sua ristrutturazione), nonché di un significativo aggravio per i produttori agricoli (anche in relazione agli inasprimenti del regime IVA per tale settore). Sarebbe, infatti, incongruo impedire l’effetto redistributivo voluto dalla riforma fiscale, prevedendo meccanismi di temporaneo mantenimento proprio di quelle distorsioni che tale riforma vorrebbe eliminare; inoltre, l’esigenza di assicurare la gradualità del passaggio al nuovo sistema d’imposizione sarebbe soddisfatta già dalla cosiddetta “clausola di salvaguardia” di cui all’art. 45, commi da 3 a 6, del d.lgs. n. 446 del 1997 e di cui al decreto ministeriale 5 maggio 1998, che, operando nello stesso modo in situazioni di pari capacità contributiva e senza introdurre discriminazioni tra i diversi settori di attività, prevede una riduzione dell’IRAP dovuta nei primi tre anni di applicazione dell’imposta, ove quest’ultima abbia comportato un incremento del prelievo fiscale, rispetto al regime precedente, superiore a certi limiti percentuali ed assoluti; infine, le agevolazioni fiscali previste per le ristrutturazioni aziendali nel settore delle imprese finanziarie non solo sarebbero estranee alla disciplina del tributo, ma potrebbero riguardare solo quelle imprese concretamente coinvolte in processi di ristrutturazione e, perciò, non anche le società parti del giudizio.

Sotto un diverso profilo, le Commissioni tributarie provinciali di Bergamo, Cuneo e Genova, nel corso degli indicati giudizi, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, definita rilevante e non manifestamente infondata, del medesimo art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, perché questa disposizione – dato il vincolo, posto dallo stesso decreto legislativo, di mantenere l’equivalenza di gettito complessivo dell’IRAP nel settore privato, rispetto al gettito che sarebbe stato ritraibile in base al precedente regime – porrebbe a carico esclusivamente dei soggetti passivi appartenenti ai settori sottoposti ad aliquota superiore a quella di equilibrio (cioè ai settori bancario, finanziario ed assicurativo) il peso della copertura finanziaria dell’agevolazione riconosciuta ai settori agricolo e delle cooperative della piccola pesca, sottoposti ad un’aliquota inferiore a quella di equilibrio. Per le rimettenti, tale disciplina violerebbe l’art. 53, primo comma, della Costituzione, inteso come espressione del principio della generalità dell’obbligo contributivo e, dunque, come divieto di addossare soltanto ad alcuni soggetti passivi di imposta l’onere di finanziare gli interventi a sostegno di una particolare categoria di altri soggetti; tanto più che, secondo quanto osservato dalla Commissione tributaria provinciale di Cuneo, vi sarebbe una tendenza legislativa a stabilizzare nel tempo la denunciata differenziazione delle aliquote per settori di attività.

 

2.– Nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, si è costituita, con memoria depositata fuori termine (in data 22 gennaio 2004, a fronte della notificazione dell’ordinanza in data 5 maggio 2003), la s.p.a. Deutsche Bank Capital Markets.

3.– Nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Bergamo, si è costituita la s.p.a. B.P.B. Leasing, ribadendo genericamente la rilevanza e la fondatezza dei profili di illegittimità costituzionale sollevati dal giudice rimettente, riservandosi ogni ulteriore deduzione e produzione.

4.– Nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Cuneo, non si è costituita la s.c. a r.l. Banca di credito cooperativo di Alba, Langhe e Roero.

5.– Nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, si è costituita la s.p.a. Banca Passadore & C., che, con la memoria di costituzione e con una successiva memoria illustrativa, ha ribadito ed ampliato le argomentazioni svolte dal giudice rimettente: a) sottolineando la sufficienza della cosiddetta clausola di salvaguardia a soddisfare le esigenze del passaggio dal vecchio al nuovo regime tributario; b) affermando che l’area di discrezionalità riservata al legislatore in materia tributaria è pur sempre presidiata dal principio della correlazione tra prestazioni tributarie e capacità contributiva (nel senso della necessità che, in situazioni identiche, il carico tributario sia commisurato in modo uniforme), senza che possano invocarsi, in contrario, i vaghi concetti, privi di tutela costituzionale, di “ragion fiscale” o di “interesse tributario alla riscossione”; c) rilevando che i provvedimenti agevolativi per la ristrutturazione delle imprese bancarie, indicati dalla relazione allo schema di decreto legislativo come  ragione della transitoria maggiorazione dell’aliquota dell’IRAP per il settore dell’intermediazione finanziaria, possono riguardare solo le imprese concretamente coinvolte in processi di ristrutturazione e, dunque, non la s.p.a. in causa; d) osservando che la previsione di un’aliquota più onerosa per il settore delle banche troverebbe la sua sola (ed illegittima) ragion d’essere nell’esigenza di assicurare la copertura finanziaria dell’agevolazione riconosciuta al settore agricolo; e) sostenendo che l’estensione temporale del periodo di transitoria applicazione delle aliquote differenziate, con ulteriore inasprimento delle aliquote per le banche e le imprese assicurative, disposto dall’art. 6, comma 17, lettera b), della legge n. 488 del 1999, nonché l’esplicita connessione tra le variazioni reciproche delle aliquote transitorie dell’IRAP disposte dal citato comma 17 ed il finanziamento di specifici capitoli di spesa, instaurata dal comma 19 dello stesso articolo di legge (secondo il quale, nel caso di gettito inferiore agli importi indicati nella legge per la riduzione, a partire dall’anno 2000, del Fondo sanitario nazionale di parte corrente, le aliquote transitorie dell’IRAP «sono rideterminate in modo da assicurare i gettiti previsti») evidenzierebbero la tendenza legislativa a rendere stabile sia il suddetto regime differenziato per i settori agricolo e finanziario, sia il reciproco collegamento delle differenze di aliquote, escludendo così in radice la possibilità di addurre la temporaneità del sacrificio quale giustificazione di una tale disciplina discriminatoria.

6.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

  Quanto all’inammissibilità, ha eccepito: a) la carenza di motivazione sulla rilevanza delle sollevate questioni; b) la mancata indicazione delle censure riguardanti i denunciati artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997 (eccezione limitata all’ordinanza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano); c) la insindacabile discrezionalità del potere (nella specie esercitato in modo non palesemente irragionevole) del legislatore di determinare l’aliquota dell’imposta.

  Quanto all’infondatezza, ha dedotto che la norma denunciata, nel fissare transitoriamente un’aliquota maggiorata per il settore bancario, finanziario ed assicurativo, troverebbe giustificazione, nel quadro dell’esigenza che la nuova imposta assicuri lo stesso gettito dei tributi e contributi da questa sostituiti: a) nella previsione del non censurato art. 3, comma 144, lettera f), della legge di delegazione 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica); b) nella ragionevole applicazione di tale criterio da parte del decreto delegato, tenuto conto dello sgravio apportato dall’IRAP al carico fiscale dei settori finanziario ed assicurativo e dell’aggravio, invece, apportato al settore dell’agricoltura; c) nella sussistenza di un effettivo collegamento del presupposto di imposta (anche per gli istituti finanziari ed assicurativi) con fatti espressivi di capacità contributiva, non imponendo l’art. 53 Cost. né che il prelievo tributario sia identico per differenziate categorie di contribuenti, né il divieto di applicare transitoriamente aliquote differenziate in ragione delle diverse categorie economiche, al fine di una coerente e ragionevole redistribuzione del carico tributario conseguente alla nuova imposta.

 

7.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la s.p.a. B.P.B. Leasing, in relazione al giudizio promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Bergamo, ha tempestivamente presentato una memoria illustrativa. La società, nel ribadire le già formulate conclusioni di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata, deduce: a) il mancato rispetto, con l’inasprimento ed il prolungamento per i periodi d’imposta 2001 e 2002 delle aliquote, disposto dall’art. 6, comma 17, della legge n. 488 del 1999, della natura transitoria delle maggiorazioni di aliquote di cui all’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997; b) la necessità, in base alla natura dell’IRAP, di un’unica aliquota, tenuto conto che la previsione di differenti e specifiche regole di determinazione della base imponibile riconduce l’indice di capacità contributiva alla medesima unità di misura; c) che, in base ai lavori preparatori, l’unica ragione della maggiorazione di aliquota per i settori bancario, finanziario ed assicurativo è identificabile nell’esigenza di assicurare a carico esclusivamente di tali settori (con disparità di trattamento nei confronti della generalità dei contribuenti) la copertura finanziaria delle agevolazioni concesse (mediante la previsione di un’aliquota ridotta) a favore del settore agricolo, come successivamente dimostrato anche dall’art. 6, comma 19, della legge n. 488 del 1999, che prevede l’eventuale rideterminazione delle aliquote di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 45 del d.lgs. n. 446 del 1997 (quali modificate dal comma 17 dello stesso art. 6 della legge n. 488 del 1999), in modo da assicurare in ogni caso i gettiti in aumento per gli anni dal 2000 al 2002, indicati dallo stesso comma 19 e corrispondenti alle riduzioni di pari importo apportate correlativamente al Fondo sanitario di parte corrente; d) l’importanza, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, dell’esame degli atti preparatori; e) la non riconducibilità della differenziazione di aliquote all’esigenza di assicurare la gradualità del passaggio al nuovo sistema impositivo, essendo tale esigenza soddisfatta dalla cosiddetta clausola di salvaguardia di cui all’art. 45, commi da 3 a 6, del d.lgs. n. 446 del 1997; f) il mancato godimento da parte della contribuente (non esercente attività bancaria) di agevolazioni previste, per le ristrutturazioni di aziende bancarie, dall’art. 13 del d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153, attuativo della legge delega del 23 dicembre 1998, n. 461, e comunque revocate dal d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, in attuazione della decisione della Commissione CE dell’11 dicembre 2001, che le aveva qualificate come aiuti di Stato vietati dall’ordinamento comunitario; g) che l’alleggerimento delle aliquote dell’IRAP in favore del settore agricolo integra un aiuto di Stato incompatibile con il diritto comunitario; h) che i continui e disordinati interventi del legislatore, diretti ad inasprire le aliquote ed a procrastinare indefinitamente una disciplina che dovrebbe essere transitoria, minano il principio della certezza dell’ordinamento giuridico, elemento essenziale dello Stato di diritto.

8.– Sempre nell’imminenza dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha tempestivamente presentato, in tutti i giudizi, distinte memorie illustrative: quelle per i giudizi promossi dalle Commissioni tributarie provinciali di Milano, Bergamo e Cuneo richiamano la memoria di cui al giudizio promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, corredata da vari documenti.

 

  La difesa erariale ribadisce preliminarmente l’eccezione di inammissibilità della questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Genova per carenza di motivazione sulla rilevanza, osservando che, in ogni caso, la questione potrebbe rilevare, attesa la qualità soggettiva della ricorrente s.p.a. Banca Passadore & C., solo con riferimento ai soggetti di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 446 del 1997 e non anche ai soggetti di cui all’art. 7 dello stesso decreto.

Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato, dopo aver premesso che la questione si risolve nella verifica del rispetto, da parte del legislatore, del «limite della arbitrarietà-irragionevolezza» nella temporanea introduzione di una maggiore aliquota per il settore finanziario, oppone alle osservazioni dei rimettenti e delle parti private: a) che non può essere negata la natura transitoria della norma denunciata, senza che in contrario (nel senso cioè della lamentata “stabilizzazione” del regime) rilevino né l’art. 6, comma 19, della legge n. 488 del 1999 (avente efficacia limitata all’arco temporale transitorio prefissato dall’art. 45 del d.lgs. n. 446 del 1997), né la cosiddetta clausola di salvaguardia (applicabile ai contribuenti IRAP solo nel triennio dal 1998 al 2000); b) che l’IRAP (progettata come strumento di razionalizzazione e non di gettito, dato il principio dell’invarianza di gettito rispetto ai tributi e contributi soppressi) ha comportato una redistribuzione perequativa per settori omogenei di imposizione, così da esigere la considerazione comparata degli effetti del vecchio e del nuovo sistema di prelievo, in modo da realizzare gradualmente il passaggio tra i due sistemi ed assicurare la equilibrata distribuzione del relativo onere tra i vari settori di attività; c) che è erronea l’affermazione secondo cui l’IRAP esigerebbe un’unica aliquota per tutti i settori (come dimostrato dalla lettera degli artt. 3, comma 144, della legge di delegazione n. 662 del 1996 e 16 del d.lgs. n. 446 del 1997, che prevedono non transitorie differenziazioni di aliquote per settori ed in particolare anche il potere di variazione delle aliquote da parte delle Regioni, entro un limite percentuale prefissato); d) che l’attività finanziaria e creditizia hanno caratteristiche proprie, tali da non potere essere fiscalmente equiparate ad altre attività; e) che l’IRAP ha comportato un diminuito carico fiscale per il settore bancario, diminuzione prevista nella relazione al d.lgs. n. 446 del 1997 e riscontrata dalla Commissione parlamentare dei Trenta nella relazione finale del 29 settembre 1999; f) che non sussiste alcuna correlazione causale tra la riduzione dell’aliquota per il settore agricolo e la maggiorazione dell’aliquota per i settori di cui agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997, trattandosi di disposizioni distinte e sorrette da autonome giustificazioni, come dimostrato anche dalla non coincidenza dei rispettivi periodi transitori; g) che il citato art. 6, comma 19, della legge n. 488 del 1999, consentendo la rideterminazione di entrambe le aliquote (quella maggiorata e quella ridotta) – e non già della sola aliquota applicabile alle banche – per coprire il minor gettito derivante dalla riduzione di aliquota per il settore agricolo, dimostra l’assenza della denunciata correlazione tra le variazioni reciproche delle aliquote transitorie per i settori in discorso; h) che, comunque, l’ipotizzata correlazione tra le aliquote non si traduce nella violazione degli artt. 3 e 53 Cost., quando, come nella specie, la previsione della maggior aliquota si àncori, secondo la non arbitraria valutazione discrezionale del legislatore, al rilievo di una maggiore forza economica espressa dal presupposto di imposta riferito ai soggetti del settore perciò maggiormente e transitoriamente gravato.

Considerato in diritto

 

1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe, le Commissioni tributarie provinciali di Milano, Bergamo, Cuneo e Genova – in riferimento agli artt. 2, 3 e 53, primo comma, della Costituzione – sollevano questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, 7 e 45, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), quale modificato dall’art. 6, comma 17, lettera b), della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2000), nella parte in cui fissano in via transitoria, per i soggetti di cui agli artt. 6 (banche e altri enti e società finanziari) e 7 (imprese di assicurazione) del medesimo decreto legislativo, aliquote più elevate rispetto a quella ordinaria del 4,25 per cento e, segnatamente, a quelle agevolate previste a favore dei soggetti che operano nei settori agricolo e delle cooperative della piccola pesca e loro consorzi.

2.– I giudizi, data l’evidente connessione, vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati e decisi.

3.– In accoglimento dell’eccezione proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, deve dichiararsi preliminarmente l’inammissibilità della questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano in relazione agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997, sia per la formale mancanza, nell’ordinanza di rimessione, di una motivazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza specificamente riferite a tali articoli, sia per la sostanziale estraneità delle norme in essi contenute (disciplinanti la determinazione del valore della produzione netta, rispettivamente, delle banche e degli altri enti e società finanziari, da un lato, e delle imprese di assicurazione, dall’altro) alle censure sollevate dalla rimettente, aventi ad oggetto non già i criteri di determinazione dell’imponibile, ma esclusivamente la temporanea differenziazione delle aliquote di imposta per settori di attività produttiva.

4.– Quanto alle questioni riguardanti l’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, l’Avvocatura generale dello Stato ne eccepisce l’inammissibilità per carenza di motivazione circa la rilevanza nei giudizi a quibus.

  L’eccezione è infondata e va respinta.

  Dalla descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi contenuta nelle ordinanze di rimessione (ricorsi avverso dinieghi espressi o silenzi-rifiuto in ordine ad istanze di rimborso di somme corrisposte a titolo di IRAP per periodi di imposta compresi tra il 1998 ed il 2000) e dalla stessa denominazione sociale delle ricorrenti (s.p.a. Deutsche Bank Capital Markets, s.p.a. BPB Leasing, s.c. a r.l. Banca di credito cooperativo di Alba, Langhe e Roero, s.p.a. Banca Passadore & C.) emerge che alle società contribuenti – in quanto esercenti attività bancaria o, comunque, finanziaria – è applicabile, nei giudizi a quibus, il denunciato art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997: di qui l’evidente rilevanza delle sollevate questioni.

5.– Sempre in ordine alle questioni riguardanti l’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, l’Avvocatura generale dello Stato ne eccepisce l’inammissibilità sotto il diverso profilo che le censure atterrebbero al potere discrezionale del legislatore di differenziare transitoriamente l’aliquota dell’imposta in relazione a particolari categorie di contribuenti.

  Anche tale eccezione è infondata e va respinta.

  Le rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della norma denunciata perché ne assumono la contrarietà ai princìpi di eguaglianza e di proporzionalità del prelievo alla capacità contributiva nonché al principio della generalità dell’obbligo contributivo. Le proposte censure si risolvono, dunque, nella denuncia del superamento di limiti costituzionalmente imposti all’esercizio discrezionale del potere legislativo e postulano uno scrutinio nel merito, rispetto agli evocati parametri costituzionali, sotto il profilo della non arbitrarietà e della non irragionevolezza.

  6.– Nel merito, le questioni vengono sollevate sotto due distinti profili.

Sotto il primo profilo, tutti i giudici rimettenti censurano l’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, in riferimento al combinato disposto degli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione (la Commissione tributaria provinciale di Milano menziona anche l’art. 2 Cost., evocato, però, come parametro meramente rafforzativo degli altri), quale espressione del principio di eguaglianza e di proporzionalità del prelievo alla capacità contributiva. Nelle ordinanze di rimessione si osserva che la norma denunciata comporterebbe, a carico delle banche, degli altri enti e società finanziari e delle imprese di assicurazione, un maggior prelievo fiscale, a parità di capacità contributiva, misurata quest’ultima secondo il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, a sua volta calcolato – al fine di ottenere una base imponibile confrontabile tra i vari settori e le varie attività produttive – con regole diverse stabilite dal legislatore in relazione al tipo di attività. Il tutto, senza che ricorrano transitorie esigenze di gradualità nel passaggio dal regime fiscale anteriore all’istituzione dell’IRAP a quello successivo. Queste, infatti, sarebbero già soddisfatte dall’art. 45, commi da 3 a 6, del d.lgs. n. 446 del 1997 e dal decreto ministeriale 5 maggio 1998, che, attraverso la cosiddetta clausola di salvaguardia, prevedono una riduzione dell’IRAP dovuta nei primi tre anni di applicazione dell’imposta, ove quest’ultima abbia comportato un incremento del prelievo fiscale, rispetto al regime precedente, superiore a certi limiti percentuali ed assoluti.

  Sotto il secondo profilo, le Commissioni tributarie provinciali di Bergamo, Cuneo e Genova censurano il citato art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 in riferimento all’art. 53, primo comma, della Costituzione (inteso come espressione del principio della generalità dell’obbligo contributivo), perché, con la norma denunciata, a parità di gettito complessivo dell’imposta nel settore privato, il minor gettito derivante dall’applicazione, in favore dei soggetti operanti nel settore agricolo e delle cooperative della piccola pesca e loro consorzi, di un’aliquota inferiore a quella ordinaria del settore privato, comporterebbe l’attribuzione esclusivamente ai soggetti di cui agli artt. 6 e 7 dello stesso d.lgs. del peso della copertura finanziaria della predetta agevolazione. Ciò a maggior ragione ove si ritenesse in atto una tendenziale stabilizzazione nel tempo del regime di differenziazione delle aliquote.

7.– Le questioni sono infondate, in relazione ad entrambi i prospettati profili.

Quanto al primo profilo, il percorso logico seguito dalle ordinanze di rimessione presenta una complessa articolazione argomentativa.

  Le censure muovono dal presupposto per cui la struttura dell’IRAP esigerebbe, per intrinseca necessità logica e normativa, l’unicità dell’aliquota da applicarsi all’imponibile, data la confrontabilità, nell’àmbito di tutto il settore privato, della misura del valore aggiunto prodotto. Da questa confrontabilità intersettoriale, che sarebbe garantita dai diversi criteri di computo di tale valore fissati dalla legge per ciascun settore da questa considerato, i rimettenti traggono la conseguenza della irragionevolezza di qualsiasi differenziazione, anche transitoria, di aliquote per settori e, quindi, della violazione del principio di capacità contributiva.

  Posta tale premessa, le Commissioni rimettenti passano a negare che la norma denunciata, con la sua temporanea differenziazione di aliquote, riposi sulle esigenze, tipiche del diritto transitorio, di graduare il passaggio da un regime di prelievo ad un altro che lo sostituisce. Ciò, sia perché tali esigenze sarebbero integralmente soddisfatte dalla cosiddetta clausola di salvaguardia di cui all’art. 45, commi da 3 a 5, del d.lgs. n. 446 del 1997, sia perché non opererebbero i fattori di variazione di carico fiscale genericamente indicati, per i settori privati in discorso, nei lavori preparatori di questo decreto legislativo (diverso impatto del tributo nei vari settori; coevi provvedimenti di agevolazione per le ristrutturazioni aziendali bancarie e di inasprimento, specie in materia di IVA, per il settore agricolo), sia perché l’ampio periodo di tempo previsto dal decreto legislativo per l’applicazione delle aliquote differenziate, nonché l’asserito intento del legislatore di rendere stabile tale differenziazione, escluderebbero la natura transitoria della norma denunciata. Di qui la lamentata violazione degli evocati parametri costituzionali.

7.1.– Nessuna di tali argomentazioni può accogliersi.

È errato l’assunto dei giudici rimettenti secondo cui la disciplina dell’IRAP, per sottrarsi ai prospettati dubbi di legittimità costituzionale, dovrebbe prevedere un’aliquota unica da applicare alle basi imponibili diversificate ai sensi degli artt. da 4 a 11-bis del d.lgs. n. 446 del 1997. La previsione di aliquote differenziate per settori produttivi e per tipologie di soggetti passivi rientra, infatti, pienamente nella discrezionalità del legislatore, se sorretta da non irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva.

A regime, tale discrezionalità è esercitata dalle regioni entro limiti prefissati ed a partire da una certa data, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 (come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 506), in base al quale le regioni, a decorrere dal terzo anno successivo a quello di emanazione del decreto, hanno la facoltà di variare l’aliquota di cui al comma 1 dello stesso articolo 16 fino ad un massimo di un punto percentuale, con potere di differenziare la variazione per settori di attività e per categorie di soggetti passivi. In tal caso, la differenziazione delle aliquote trova la sua giustificazione, fisiologica e avulsa da esigenze intertemporali, nei diversi obiettivi di politica economica e redistributiva che le regioni stesse intendano perseguire nell’àmbito della loro autonomia finanziaria.

Con riferimento, invece, alla prima applicazione del tributo – ipotesi che segna i limiti del presente giudizio – tali ragioni trovano il loro specifico fondamento nel carattere dell’IRAP di tributo sostitutivo di altri tributi e prestazioni imposte e, quindi, nel ragionevole intento del legislatore delegato di garantire una certa continuità tra il precedente e il nuovo regime, soprattutto in termini redistributivi e di gettito. In particolare, le ragioni poste a base della differenziazione sono riconducibili ai seguenti princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge di delegazione 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica): a) l’aliquota base dell’imposta deve essere fissata in misura tale da rendere il gettito equivalente complessivamente a quello dei tributi e contributi soppressi (art. 3, comma 143, lettera e); b) detta aliquota (come, del resto, la base imponibile) può essere differenziata per settori di attività per ragioni (appunto) di politica economica e redistributiva, tenendo anche conto del carico dei tributi e contributi soppressi (art. 3, comma 143, lettera f); c) sempre nella fase transitoria, deve essere attuata una graduale sostituzione del gettito dei tributi da sopprimere, al fine di evitare carenze e sovrapposizioni nei flussi finanziari dello Stato, delle regioni e degli altri enti locali (art. 3, comma 147, lettera a).

L’aumento provvisorio e calibrato delle aliquote per i settori bancario, finanziario e assicurativo, operato in coerenza a tali princìpi di delega, è dunque pienamente giustificato sotto il profilo degli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione, essendo esso la conseguenza, da una parte, della valutazione circa il minore impatto del nuovo tributo sui detti settori e, dall’altra, di una scelta di politica redistributiva volta ad assicurare, in ragione del carattere surrogatorio del tributo, la continuità del prelievo e ad evitare, quindi, possibili divergenze tra la precedente ripartizione del carico fiscale e quella che si sarebbe verificata ove nella fase di prima applicazione si fosse adottata una aliquota unica e indifferenziata per tutti i settori produttivi del comparto privato.

7.1.1.– La ragionevolezza della transitoria differenziazione delle aliquote disposta dall’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 risulta, del resto, dai dati economici e contabili considerati dal legislatore in sede di prima applicazione del tributo e solo genericamente contestati dai giudici a quibus e dalle società contribuenti. La nota tecnica allegata alla relazione governativa al citato decreto legislativo e le successive indagini parlamentari evidenziano, infatti, uno «sgravio consistente» apportato dall’introduzione dell’IRAP per il settore dell’intermediazione finanziaria e un «aggravio significativo» per il settore agricolo. È indicativo, al riguardo, che la Commissione bicamerale consultiva in materia di riforma fiscale, in esito alle indagini empiriche effettuate sull’attuazione dell’IRAP, abbia affermato, nella relazione finale del 29 settembre 1999, che, pur con l’aliquota maggiorata, il vantaggio tratto dai settori finanziario ed assicurativo dall’applicazione dell’IRAP è stato «superiore alle aspettative» e che «l’impossibilità che comunque permane di omologare totalmente il settore finanziario agli altri settori impone che se ne tenga conto attraverso un’aliquota differenziata» (paragrafo 9.1.).

La transitoria differenziazione dell’aliquota relativa ai settori indicati negli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997 è stata, dunque, disposta dal legislatore in modo non palesemente irragionevole, dopo aver concretamente valutato l’insufficienza della sola differenziazione settoriale delle basi imponibili a raggiungere l’obiettivo del mantenimento dell’originaria ripartizione del carico fiscale. Ciò tanto più vale se si considera che – come costantemente sottolineato da questa Corte – la discrezionalità del legislatore è particolarmente ampia quando trattasi di dettare disposizioni transitorie (v., ex plurimis, le ordinanze n. 131 del 1988 e n. 66 del 1994).

7.1.2.– Va infine chiarito che la tesi dell’incompatibilità dell’IRAP con una pluralità di aliquote non potrebbe trovare conforto nelle affermazioni contenute nell’ordinanza di questa Corte n. 426 del 2002 (secondo cui, «se l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta è identica per tutte le forme di attività autonomamente organizzata, siano esse di tipo imprenditoriale o professionale, ne discende che la sottoposizione di tutti i soggetti passivi alla medesima aliquota non contrasta né con il principio di eguaglianza né con quello di capacità contributiva»), perché tale pronuncia non implica affatto – né sul piano logico né su quello letterale – che la pluralità di aliquote violi necessariamente gli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione. La Corte infatti, negando l’illegittimità costituzionale di un’unica aliquota, non ha inteso escludere la legittimità costituzionale di aliquote differenziate per settori.

  7.2.– Le Commissioni rimettenti e le parti private costituite, per porre in dubbio la ragionevolezza e la congruità della denunciata disciplina transitoria, negano anche che la maggiorazione dell’aliquota prevista dall’art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 trovi la sua ratio nell’obiettivo di riequilibrare temporaneamente l’impatto redistributivo dell’IRAP sui settori bancario, finanziario ed assicurativo. A tal fine assumono o che tale finalità sarebbe riservata esclusivamente alla cosiddetta clausola di salvaguardia di cui ai commi da 3 a 6 dello stesso art. 45 o che la differenziazione di aliquote sarebbe in realtà “tendenzialmente” non temporanea.

Tuttavia, appare evidente che la clausola di salvaguardia e la temporanea differenziazione di aliquote operano su piani diversi. La prima si applica individualmente, in relazione agli acconti dovuti dal contribuente ed indipendentemente dal settore cui questo appartiene, nella eventualità in cui il maggior carico fiscale, rispetto a quello che sarebbe derivato dai tributi e contributi soppressi, superi gli ammontari percentuali ed assoluti fissati con apposito decreto ministeriale. La seconda è disposta invece in generale, per settori di attività, in considerazione della diversa entità del gettito della nuova imposta rispetto a quello virtualmente ritraibile dai tributi e contributi soppressi, così da modulare nel tempo (per i periodi di imposta stabiliti dalla legge) l’impatto redistributivo del nuovo tributo. È, perciò, chiaro che le due misure non si escludono reciprocamente, potendo applicarsi congiuntamente nella singola fattispecie. Anche la temporanea differenziazione delle aliquote svolge, infatti, una funzione di salvaguardia in senso lato, perché opera in un più vasto e strategico disegno di diritto transitorio, senza porsi in contraddizione con la menzionata “clausola” di cui all’art. 45, commi da 3 a 6, del d.lgs. n. 446 del 1997.

Quanto alla paventata “tendenziale” stabilizzazione dell’aliquota maggiorata applicabile ai soggetti di cui agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 446 del 1997, è irrilevante ai fini della decisione la prospettazione del timore di una futura non gradita modifica della normativa vigente. A prescindere dalla già rilevata facoltà per le regioni di differenziare le aliquote a regime, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 e successive modificazioni, la norma impugnata prevede solo una limitata durata del periodo transitorio di vigenza di aliquote differenziate, durata che non esula dalla comune nozione di transitorietà.

Né, per dimostrare la volontà del legislatore di stabilizzare la differenziazione delle aliquote, i giudici rimettenti e le parti private costituite possono addurre il disposto dell’art. 6, comma 19, della legge n. 488 del 1999, che prevede l’eventuale rideterminazione delle aliquote di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 45 del d.lgs. n. 446 del 1997 (quali modificate dal comma 17 dello stesso art. 6 della legge n. 488 del 1999), in modo da assicurare in ogni caso i gettiti in aumento per gli anni dal 2000 al 2002, indicati dallo stesso comma 19 e corrispondenti alle riduzioni di pari importo apportate correlativamente al Fondo sanitario di parte corrente. Anche in tal caso, infatti, il legislatore ha operato nell’àmbito dei periodi di transizione fissati dall’art. 45 del d.lgs. n. 446 del 1997 e, soprattutto, non ha trasceso la descritta logica normativa della transitorietà, limitandosi a consentire temporanei interventi correttivi sulle aliquote, in caso di errori nelle previsioni di aumento di gettito.

8.– In riferimento al secondo profilo delle questioni (prospettato in tre delle quattro ordinanze di rimessione), la denunciata violazione del principio della generalità dell’obbligo contributivo si fonda su una non condivisibile interpretazione di tale principio e sull’errato presupposto che le agevolazioni transitoriamente attribuite dal legislatore con l’art. 45 del d.lgs. n. 446 del 1997 al settore agricolo e delle cooperative della piccola pesca e loro consorzi siano esattamente ed esclusivamente finanziate, con correlazione causale necessaria, dalle maggiori aliquote transitoriamente poste a carico del settore bancario, finanziario ed assicurativo.

Siffatta lettura del principio di generalità dell’obbligo di concorrere alle spese pubbliche è erronea perché non considera il necessario collegamento con la capacità contributiva postulato dallo stesso art. 53, primo comma, Cost. e perché, di conseguenza, impedirebbe ogni politica redistributiva del carico fiscale, ogni differenziazione di aliquote ed ogni agevolazione, pur se rispettose dei princìpi di eguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva.

A parte ciò, l’erroneità di quanto presupposto dai rimettenti è dimostrata non solo dall’autonomia delle ragioni giustificatrici della differenziazione delle aliquote di ciascun settore (neutralizzazione sia del maggiore impatto del nuovo tributo sui settori agricolo e della piccola pesca, sia del minore impatto sui settori bancario, finanziario ed assicurativo), ma anche dalla diversa durata dei periodi transitori previsti per i menzionati settori (sette periodi d’imposta a decorrere da quello in corso al 1° gennaio 1998 per i settori ad aliquota ridotta; cinque periodi d’imposta, con la stessa decorrenza, per i settori ad aliquota maggiorata). Non v’è, perciò, alcuna correlazione biunivoca tra il differenziale virtuale di gettito complessivo nei settori ad aliquota agevolata ed il differenziale virtuale di gettito complessivo nei settori ad aliquota maggiorata. Il decreto istitutivo dell’IRAP non offre alcun elemento normativo a sostegno della tesi dei rimettenti, né a questa gioverebbe il richiamo del sopra citato art. 6, comma 19, della legge n. 488 del 1999, che anzi, nel consentire l’eventuale rideterminazione delle aliquote, in aumento od in diminuzione, prescinde dalla correlazione ipotizzata nelle ordinanze di rimessione.

Va dunque esclusa qualsiasi lesione del principio dell’obbligo di tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 53, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 45, comma 2, del predetto decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, quale modificato dall’art. 6, comma 17, lettera b), della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2000), sollevate, in riferimento agli articoli 2, 3 e 53, primo comma, della Costituzione, dalle Commissioni tributarie provinciali di Milano, Bergamo, Cuneo e Genova con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11  gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2005.