SENTENZA
N. 353
ANNO 2003
Commento alla decisione
di
Tania Groppi, Nota
alla sentenza n. 353 del 2003 della Corte costituzionale
(per gentile
concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI
MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25
(Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non
convenzionali), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,
notificato il 30 dicembre 2002, depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2003 ed
iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione della
Regione Piemonte;
udito nell’udienza pubblica del 14
ottobre 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Enrico Romanelli per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1. — Il Presidente del Consiglio dei
ministri, con ricorso notificato il 30 dicembre 2002, depositato il 9 gennaio
2. — Il ricorrente premette che la legge
regionale impugnata reca la regolamentazione delle pratiche terapeutiche e
delle discipline non convenzionali -quali la "agopuntura", la
"fitoterapia", la "omeopatia", la
"omotossicologia" e le altre pratiche omologhe indicate nell'art. 2,
comma 1- che espressamente riconosce, al dichiarato scopo di favorire la
libertà di scelta del paziente, nell'ottica del pluralismo scientifico.
La difesa erariale, anche nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza pubblica, sostiene che le norme
impugnate, poiché attengono all’esercizio di professioni sanitarie secondo
metodi e mezzi non convenzionali, sarebbero riconducibili alla competenza
legislativa di tipo concorrente, nel cui esercizio la Regione, ex art. 117
Cost., deve osservare sia i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario
(primo comma), sia i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato
(terzo comma) che, nella specie, risulterebbero entrambi violati.
Secondo il ricorrente, sarebbe anzitutto
illegittimo il riconoscimento "regionale" di professioni aventi ad
oggetto l'esercizio di pratiche terapeutiche "non convenzionali" non
ancora istituite dalle norme statali, alle quali è riservata la formulazione
dei principi generali nella materia. Infatti, la regione non potrebbe emanare
norme aventi ad oggetto la disciplina, attraverso l'istituzione d'un registro,
o albo, e la regolamentazione dei requisiti per la relativa iscrizione, di
figure di operatori professionali non ancora individuate dal legislatore
statale. L'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e
l'art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, hanno infatti riservato
allo Stato l’individuazione delle figure professionali in oggetto –quindi,
degli operatori di pratiche terapeutiche "non convenzionali"- e hanno
enunciato nella materia della "sanità" un principio fondamentale, da
ritenersi vigente anche successivamente alla novellazione del Titolo V della
Costituzione realizzata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
La legge impugnata si porrebbe altresì
in contrasto con i "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario"
in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi. Le
direttive comunitarie aventi ad oggetto la libera circolazione dei
professionisti riguardano infatti anche il riconoscimento dei titoli di
abilitazione conseguiti in uno Stato membro ai fini dell'esercizio della attività
professionale in un altro Stato, tenuto a garantirne l’osservanza su tutto il
proprio territorio. Senonché, la legge impugnata, da un canto, determina
l’operatività del principio derivante dalle norme comunitarie in riferimento
alle nuove figure professionali, dall’altro, inevitabilmente limita ad una
parte del territorio nazionale l’esercizio del diritto alla libera
circolazione, realizzando in tal modo una discriminazione "tra cittadini
residenti e cittadini provenienti da un altro Stato membro".
3. — Nel giudizio si è costituita la
Regione Piemonte, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo la resistente, sarebbe notorio
che sono ampiamente diffuse le cc.dd. "terapie non convenzionali",
praticate in Europa da un numero sempre più ampio di pazienti, al punto che il
Parlamento europeo, nel
La legge impugnata mirerebbe a garantire
chiarezza e trasparenza di queste attività, tutte concretamente e legalmente
già esercitate, anche allo scopo di assicurare una corretta informazione. La
realizzazione di questa finalità sarebbe garantita dall’istituzione di una
Commissione alla quale sono stati attribuiti compiti di informazione, studio e
verifica del possesso dei requisiti da parte di coloro che chiedono di essere
iscritti nel registro regionale degli operatori di pratiche terapeutiche e di
discipline non convenzionali.
Secondo la Regione, le norme impugnate
non istituirebbero affatto un albo professionale, ma disciplinerebbero
"uno strumento assolutamente non vincolante per gli esercenti le
professioni considerate", che non sostituisce, né elimina e neppure limita
i titoli di abilitazione professionale e lo svolgimento dell’attività, secondo
le norme vigenti.
4. — All’udienza pubblica le parti hanno
insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. — Il giudizio in via principale,
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe
nei confronti della Regione Piemonte, ha ad oggetto la legge regionale 24
ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle
discipline non convenzionali) in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma,
della Costituzione.
Secondo la ricorrente Avvocatura
erariale, il riconoscimento "regionale" di professioni aventi ad
oggetto l’esercizio di pratiche terapeutiche "non convenzionali", non
ancora previste ed istituite dalle norme statali, eccederebbe la competenza
della Regione, così come violerebbe i limiti della competenza regionale previsti
dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal momento che sarebbe
riservata alla legislazione dello Stato la formulazione dei principi
fondamentali attinenti all’individuazione, nell’ambito della materia
"sanità", delle figure professionali di operatori di pratiche
terapeutiche "non convenzionali". Sarebbero inoltre, secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, violati anche i "vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario" in tema di libera circolazione dei
professionisti e di riconoscimento dei titoli di abilitazione conseguiti in uno
Stato membro, poiché le direttive comunitarie in materia non consentirebbero
che l’istituzione di nuove figure professionali non sia garantita in tutto il
territorio statale, realizzandosi altrimenti "trattamenti discriminatori
tra cittadini residenti e cittadini provenienti da un altro Stato membro".
2. — La questione è fondata.
La legge impugnata 24 ottobre 2002, n.
25, della Regione Piemonte regolamenta le "pratiche terapeutiche e le
discipline non convenzionali", prevedendo, tra l’altro, l’istituzione
"nell’ottica del pluralismo scientifico e della libertà di scelta da parte
del paziente" di un registro per le pratiche terapeutiche e per le
discipline non convenzionali (art. 1), nonché la costituzione di una Commissione
permanente presso l’Assessorato regionale alla sanità (art. 3), con compiti, in
particolare, di definizione dei requisiti minimi per il riconoscimento degli
istituti deputati alla formazione degli operatori, di verifica del possesso, a
seguito del superamento di apposita prova teorico-pratica, dei requisiti
occorrenti alla iscrizione in un apposito registro regionale (art. 4), ed
altresì di verifica, nel periodo transitorio, di idoneità degli operatori, già
esercenti sul territorio regionale tali pratiche non convenzionali, ai fini
dell’iscrizione in tale registro (art. 7).
I contenuti precipui della legge, che si
focalizzano sui requisiti dei nuovi operatori, in correlazione con le argomentazioni
prospettate nel ricorso inducono a ritenere che l’oggetto della questione di
legittimità costituzionale in esame vada ricondotto essenzialmente alla materia
delle professioni sanitarie. A questo proposito, segnalando che già il r.d. 27
luglio 1934, n. 1265, assoggettava a vigilanza statale, tra l’altro,
l’esercizio delle professioni sanitarie e delle "arti ausiliarie delle
professioni sanitarie", stabilendo l’obbligo del conseguimento del
rispettivo titolo di abilitazione professionale, va ricordato che dopo
l’entrata in vigore della Costituzione la disciplina delle funzioni relative
all’esercizio delle professioni sanitarie e delle relative professioni ed arti
ausiliarie è stata riservata, ai sensi dell’art. 117, nell’ambito della materia
"assistenza sanitaria", alla competenza statale, anziché a quella
regionale (cfr. sentenza
n. 82 del 1997), da una serie di atti legislativi, tra cui: il d. P.R. 14
gennaio 1972, n. 4, il d. P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la legge 23 dicembre
1978, n. 833, il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
In particolare, il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, all’art. 6, comma 3,
riservando alla competenza statale il relativo potere, ha disposto che le
figure professionali da formare ed i connessi profili, nonché i rispettivi
ordinamenti didattici fossero definiti da apposite disposizioni, secondo un
principio che è stato poi confermato dall’art. 124, comma 1, lettera b), del
citato d. lgs. n. 112 del 1998, nonché dall’art. 1,
comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, il quale ha stabilito che
"il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni
sanitarie" è determinabile in base alle specifiche norme istitutive dei
relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi
corsi di diploma universitario. Infine, la legge 10 agosto 2000, n.
A seguito dell’entrata in vigore del
nuovo Titolo V della Costituzione, la disciplina de qua è da ricondurre, come
già detto, nell’ambito della competenza concorrente in materia di
"professioni", di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
I relativi principi fondamentali, non essendone stati, fino ad ora, formulati
dei nuovi, sono pertanto da considerare quelli, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (cfr. sentenze n. 201 del 2003
e n. 282 del
2002), risultanti dalla legislazione statale già in vigore.
Non pare quindi dubbio che, anche oggi,
la potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie debba
rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui
l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed
ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato. Né si può dire che
trattandosi di nuove pratiche terapeutiche e di discipline non convenzionali
quel principio non trovi applicazione, ed infatti la legge della Regione
Piemonte n. 25 del 2002 –istituendo, tra l’altro, un registro dedicato sia agli
operatori medici sia a quelli non medici, prevedendo percorsi formativi di
durata pluriennale, nonché il rilascio di titoli professionali- viene
soprattutto ad incidere su aspetti essenziali della disciplina degli operatori
sanitari senza appunto rispettare, in violazione dell’art. 117, terzo comma
della Costituzione, il principio fondamentale che riserva allo Stato la
individuazione e definizione delle varie figure professionali sanitarie.
Sotto questo profilo è pertanto
costituzionalmente illegittima l’impugnata legge della Regione Piemonte 24
ottobre 2002, n. 25, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale
della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione
delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali).
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 dicembre
2003.