CONSULTA ONLINE
SENTENZA N.
253
ANNO 2003
Commento
alla decisione di
Tania Groppi, La
sentenza n. 253 del 2003: la Corte e il “diritto mite”
per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori Giudici:
- Riccardo
CHIEPPA, Presidente
- Gustavo
ZAGREBELSKY
- Valerio
ONIDA
- Carlo
MEZZANOTTE
- Fernanda
CONTRI
- Guido NEPPI
MODONA
- Piero
Alberto CAPOTOSTI
- Annibale
MARINI
- Franco BILE
- Giovanni
Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale degli articoli 219, primo e terzo comma (Assegnazione
a una casa di cura e di custodia), e 222 (Ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario) del codice penale, promosso con ordinanza del 10
luglio 2002 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova, iscritta
al n. 514 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in
fatto
1.– Con
ordinanza emessa il 10 luglio 2002 e pervenuta a questa Corte il 5 novembre
2002, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova, chiamato a
pronunciarsi nelle forme del rito abbreviato sulla responsabilità penale di un
imputato maggiorenne, in relazione ai delitti di cui agli articoli 56, 609-bis,
609-ter e 582 codice penale (tentata violenza sessuale aggravata e
lesione personale), ha sollevato questione incidentale di legittimità
costituzionale dell’art. 219, primo e terzo comma del codice penale (Assegnazione
a una casa di cura e di custodia), in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, e dell’art. 222 del codice penale (Ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario), in riferimento agli articoli 3 e 32 della
Costituzione.
2.– Premette
il giudice a quo che l’imputato è stato ritenuto, a seguito di perizia
psichiatrica eseguita in incidente probatorio, totalmente incapace di intendere
e di volere, e che ne è stata esclusa la pericolosità sociale solo se
"ricoverato in una comunità per psicotici".
Sulla base di
tale situazione, la difesa ha eccepito l’incostituzionalità dell’art. 219,
primo e terzo comma, cod. pen., nella parte in cui,
rispettivamente, non vi si prevede il ricovero in casa di cura e di custodia
anche per chi sia prosciolto per infermità psichica, e sia di scarsa
pericolosità sociale, e non vi si prevede la possibilità per il giudice di
applicare la libertà vigilata anche a chi sia stato prosciolto per infermità
psichica e sia di scarsa pericolosità sociale.
Il giudice a
quo ritiene non manifestamente infondata la questione così proposta, posto
che la disciplina di legge ancorerebbe la scelta in ordine alla misura di
sicurezza da adottare ad un criterio (la gravità del reato) espressivo della
funzione retributiva, anziché di prevenzione speciale della misura stessa.
In secondo
luogo, e soprattutto, aggiunge il remittente, , essa farebbe dipendere il
giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto non da un accertamento in
concreto, ma da un indice astratto e presuntivo, connesso alla distinzione tra
vizio totale e vizio parziale di mente (e alla conseguente maggiore pericolosità
dell’imputato nel primo, piuttosto che nel secondo caso), privo di "alcun
supporto scientifico".
La necessaria
applicazione all’imputato, sulla base di tali condizioni, della misura di
sicurezza detentiva di cui all’art. 222 cod. pen. si
porrebbe, ad avviso del remittente, in contrasto con l’art. 3 della
Costituzione.
Viene altresì
censurato, su conforme eccezione del pubblico ministero, alla luce degli
articoli 3 e 32 della Costituzione, l’art. 222 cod. pen.,
nella parte in cui, imponendo la misura del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario, non prevede l’applicabilità al maggiorenne affetto da vizio totale
di mente della libertà vigilata.
Per un primo
profilo, secondo il remittente verrebbe così a manifestarsi disparità di
trattamento rispetto alla condizione del minore non imputabile, cui possono
essere applicate le misure, dotate di valenza terapeutica "più
soddisfacente", del ricovero in una casa di cura e di custodia e della
libertà vigilata (articoli 232 e 224 cod. pen.),
posto che in entrambi i casi si tratterebbe di difendere la collettività da un
individuo al tempo stesso pericoloso e penalmente irresponsabile.
L’evoluzione
della psichiatria e della farmacologia, poi, garantirebbero di poter conseguire
tale obiettivo mediante la misura, più efficace terapeuticamente, della libertà
vigilata, anziché tramite il ricorso alle forme segreganti dell’ospedale
psichiatrico giudiziario.
Per un
secondo profilo, la disposizione censurata precluderebbe la possibilità di
impiegare "soluzioni coerenti con le valutazioni medico-legali": nel
caso di specie, l’imputato potrebbe proficuamente, secondo il giudice a quo,
permanere in comunità di recupero, mentre le prescrizioni proprie del regime di
libertà vigilata, "con possibilità di ricorrere a misure segreganti,
qualora venisse meno la volontà dell’imputato di sottoporsi alle cure
necessarie", rafforzerebbero l’efficacia del trattamento.
Difatti,
aggiunge il remittente, il regime di cura cui l’imputato è sottoposto risulta
adeguato alle esigenze terapeutiche e, nel contempo, tutela la collettività in
misura soddisfacente.
La rigidità
dei criteri imposti dalle disposizioni censurate in ordine alla scelta della
misura di sicurezza si tradurrebbe, perciò, nel vizio denunciato.
3.– Non vi è stata
costituzione in giudizio delle parti, né intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Considerato
in diritto
1.– Nel corso
di un giudizio abbreviato nei confronti di un soggetto ritenuto, in sede di
perizia, totalmente incapace di intendere e di volere per infermità psichica,
nonché socialmente pericoloso solo se non ricoverato in una comunità per
psicotici, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova ha
sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo
3 della Costituzione, dell’articolo 219 (Assegnazione a una casa di cura e
di custodia), primo e terzo comma, e, in riferimento agli articoli 3 e 32
della Costituzione, dell’articolo 222 (Ricovero in un ospedale psichiatrico
giudiziario) del codice penale.
L’art. 219 è
denunciato nella parte in cui, nel prevedere che il condannato per delitto non
colposo ad una pena diminuita per vizio parziale di mente sia ricoverato in una
casa di cura e di custodia (primo comma), con possibilità di sostituire a detta
misura, a certe condizioni, quella della libertà vigilata (terzo comma), non
contempla le stesse possibilità nei riguardi del soggetto prosciolto per totale
incapacità di intendere e di volere a causa di infermità psichica, la cui
pericolosità sociale non sia tale da richiedere la misura del ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario. L’art. 222 è a sua volta denunciato nella
parte in cui, nei riguardi del soggetto prosciolto per infermità psichica,
giudicato socialmente pericoloso, impone sempre di adottare la misura del
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, senza consentire (come invece è
previsto per il minore non imputabile dagli articoli 224 e 232, primo e secondo
comma, del codice penale) di adottare altre misure, e in specie quella della
libertà vigilata, con eventuali prescrizioni.
Il giudice
remittente ritiene che la rigidità dei criteri imposti dalla legge per l’adozione
della misura segregante del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario nel
caso di maggiorenne totalmente incapace e socialmente pericoloso, e la
conseguente impossibilità di ricorrere, come invece è previsto per il
seminfermo di mente e per il minore non imputabile, ad altre misure, stabilendo
la legge una presunzione di maggiore pericolosità dei soggetti affetti da vizio
totale di mente, non confortata da alcun supporto scientifico, realizzino una
irragionevole disparità di trattamento rispetto a dette analoghe situazioni;
ancorino l’adozione della misura di sicurezza a un criterio (la gravità
astratta del reato) che finisce per attribuire ad essa funzione retributiva
anziché di prevenzione speciale; e impediscano l’adozione di soluzioni idonee a
difendere la collettività e insieme a curare adeguatamente un soggetto
pericoloso ma penalmente irresponsabile (donde la violazione dell’art. 32 della
Costituzione).
2.– La
questione è fondata.
Non è da oggi
che la Corte è stata investita di questioni di legittimità costituzionale volte
a censurare l’inadeguatezza della disciplina che la legge penale prevede nel
caso degli infermi di mente che commettono fatti costituenti oggettivamente
reato (il solo art. 222 del codice penale risulta oggetto di ben 18 decisioni
della Corte, dal 1967 ad oggi). Una volta risolto il problema, inizialmente
assai dibattuto, della necessaria "attualizzazione" della valutazione
di pericolosità sociale (sentenza n. 139 del 1982), sono state ripetutamente
sottoposte alla Corte questioni tendenti a mettere in dubbio la legittimità sul
piano costituzionale della previsione della misura "obbligatoria" del
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, spesso facendo leva anche sulla
legislazione che, a partire dalla legge 13 maggio 1978, n.180 (Accertamenti e
trattamenti sanitari volontari ed obbligatori), ha cercato di far fronte al
problema dell’assistenza ai malati di mente superando l’antica prassi del
ricovero in strutture segreganti come erano i manicomi: infatti gli ospedali
psichiatrici giudiziari (nuovo nome dei manicomi giudiziari) sono rimaste le
ultime strutture "chiuse" per la cura di infermi psichiatrici.
La
specificità di questa misura di sicurezza sta, ovviamente, nella circostanza
che essa è prevista nei confronti di persone che, per essere gravemente infermi
di mente, non sono in alcun modo penalmente responsabili, e dunque non possono
essere destinatari di misure aventi un contenuto anche solo parzialmente
punitivo. La loro qualità di infermi richiede misure a contenuto terapeutico,
non diverse da quelle che in generale si ritengono adeguate alla cura degli
infermi psichici. D’altra parte la pericolosità sociale di tali persone,
manifestatasi nel compimento di fatti costituenti oggettivamente reato, e
valutata prognosticamente in occasione e in vista
delle decisioni giudiziarie conseguenti, richiede ragionevolmente misure atte a
contenere tale pericolosità e a tutelare la collettività dalle sue ulteriori
possibili manifestazioni pregiudizievoli. Le misure di sicurezza nei riguardi
degli infermi di mente incapaci totali si muovono inevitabilmente fra queste
due polarità, e in tanto si giustificano, in un ordinamento ispirato al
principio personalista (art. 2 della Costituzione), in quanto rispondano
contemporaneamente a entrambe queste finalità, collegate e non scindibili (cfr.
sentenza n. 139 del 1982), di cura e tutela
dell’infermo e di contenimento della sua pericolosità sociale. Un sistema che
rispondesse ad una sola di queste finalità (e così a quella di controllo
dell’infermo "pericoloso"), e non all’altra, non potrebbe ritenersi
costituzionalmente ammissibile.
Di più, le
esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure
tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente (cfr.
sentenze n. 307 del 1990, n. 258 del 1994, n. 118 del 1996, sulle misure sanitarie
obbligatorie a tutela della salute pubblica): e pertanto, ove in concreto la
misura coercitiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario si
rivelasse tale da arrecare presumibilmente un danno alla salute psichica
dell’infermo, non la si potrebbe considerare giustificata nemmeno in nome di
tali esigenze.
Fino ad oggi
però la Corte si è trovata di fronte a questioni volte o ad un intento
meramente caducatorio, il cui accoglimento avrebbe
condotto ad un vuoto di tutela, o più spesso a richiedere la introduzione di
una nuova disciplina di creazione giurisprudenziale, non ancorata a contenuti
normativi già esistenti: così che essa si è indotta a pronunciarne la infondatezza,
o più spesso la inammissibilità, vuoi perché non disponeva degli strumenti
necessari per intervenire nel senso indicato, vuoi perché le questioni
prospettavano profili di fattuale inadeguatezza delle strutture di ricovero più
che di inadeguatezza delle previsioni normative (cfr. sentenza n. 139 del 1982, ordinanze n. 24 del 1985, n. 111 del 1990, n. 333 del 1994, n. 396 del 1994, sentenze n. 111 del 1996 e n. 228 del 1999, ordinanza n. 88 del 2001). E’ tuttavia significativo
che in più occasioni la Corte abbia avvertito l’esigenza di indicare, là dove
era possibile, soluzioni pratiche adeguate (cfr. ordinanza n. 111 del 1990, relativa all’attiguo tema
della misura del ricovero del seminfermo di mente in casa di cura e custodia),
e soprattutto di esprimere la propria valutazione circa il "non
soddisfacente trattamento riservato all’infermità psichica grave ( ... ) specie
quando è incompatibile con l’unico tipo di struttura custodiale
oggi prevista" (sentenza n. 111 del 1996), nonché circa
l’opportunità di una "attenta revisione" dell’intera disciplina in
questione, "sia alla stregua dei dubbi avanzati intorno all’istituto
stesso dell’ospedale psichiatrico giudiziario, sia alla stregua di una
valutazione relativa all’adeguatezza di tale istituzione in relazione ai
mutamenti introdotti sin dalle leggi 13 maggio 1978, n. 180 e 23 dicembre 1978,
n. 833 per il trattamento dei soggetti totalmente infermi di mente"
(sentenza n. 228 del 1999).
Solo nei
confronti dei minori infermi di mente la Corte ha potuto giungere alla
caducazione della norma che anche nei loro riguardi prevedeva il ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario, facendo leva sulla necessità costituzionale
di un trattamento differenziato dei soggetti minorenni (cfr. sentenza n. 324 del 1998).
3.– L’odierna questione si pone con
connotati diversi da quelli di altre del passato. Il remittente non invoca qui
né la semplice eliminazione della misura di sicurezza, né la sua sostituzione
con misure alternative di creazione giurisprudenziale, e nemmeno riferisce la
sua censura ad una inadeguatezza di fatto delle strutture degli ospedali
psichiatrici giudiziari. Denuncia invece il rigido "automatismo"
della regola legale che impone al giudice, in caso di proscioglimento per
infermità mentale per un delitto che comporti una pena edittale superiore nel
massimo a due anni, di ordinare il ricovero dell’imputato in ospedale
psichiatrico giudiziario per un periodo minimo di due anni, o per un periodo
più lungo in relazione all’entità della pena edittale prevista, senza
consentirgli di disporre, in alternativa, misure diverse, pur quando in
concreto tale prima misura non appaia adeguata alle caratteristiche del
soggetto, alle sue esigenze terapeutiche e al livello della sua pericolosità
sociale: a differenza di quanto avviene sia nel caso del seminfermo di mente
(per il quale l’art. 219, terzo comma, prevede, a certe condizioni, la
sostituibilità della misura del ricovero in casa di cura e custodia con quella
della libertà vigilata), sia nel caso del minore non imputabile (per il quale
l’art. 224 del codice penale contempla la possibilità di disporre la libertà
vigilata in alternativa al ricovero in riformatorio giudiziario: e in proposito
cfr. sentenza n. 1 del 1971, che ha eliminato l’obbligo, in certi casi, di
ordinare il ricovero in riformatorio giudiziario, nonché sentenza n. 324 del 1998, che esclude
l’applicabilità ai minori della misura del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario).
In sostanza
ciò che viene denunciato come incostituzionale è il vincolo rigido imposto al
giudice di disporre comunque la misura detentiva (tale è il ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario: art. 215, primo comma, n. 3, cod. pen.) anche quando una misura meno drastica, e in
particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata,
che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice, di contenuto non
tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica), "idonee ad evitare le
occasioni di nuovi reati" (art. 228, secondo comma, cod. pen.), appaia capace, in concreto, di soddisfare
contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di
controllo della sua pericolosità sociale.
La legge qui
adotta un modello che esclude ogni apprezzamento della situazione da parte del
giudice, per imporgli un’unica scelta, che può rivelarsi, in concreto, lesiva del
necessario equilibrio fra le diverse esigenze che deve invece necessariamente
caratterizzare, questo tipo di fattispecie, e persino tale da pregiudicare la
salute dell’infermo: ciò che, come si è detto, non è in alcun caso ammissibile.
Non sono
poche le ipotesi nelle quali la Corte è dovuta intervenire a correggere od
eliminare automatismi di tal genere, nelle quali l’apprezzamento da parte del
giudice della situazione concreta, e la conseguente possibilità per il giudice
stesso di adottare diverse determinazioni nell’ambito delle previsioni legali,
è apparso l’unico modo per realizzare il bilanciamento di diverse esigenze
costituzionali (cfr. ad esempio sentenze n. 343 del 1987, n. 306 del 1993, n. 186 del 1995, n. 504 del 1995, n. 173 del 1997, n. 445 del 1997), in particolare con riguardo
all’esigenza di flessibilità e di individualizzazione della risposta penale
relativa ai soggetti minori (cfr. sentenze n. 46 del 1978, n. 222 del 1983, n. 128 del 1987, n. 78 del 1989, n. 182 del 1991, n. 143 del 1996, n. 109 del 1997, n. 403 del 1997, n. 16 del 1998, n. 450 del 1998 e n. 436 del 1999).
La situazione
dell’infermo di mente che abbia compiuto atti costituenti oggettivamente reato,
ma non sia responsabile penalmente in forza appunto della sua infermità, è per
molti versi assimilabile a quella di una persona bisognosa di specifica
protezione come il minore. Anche per l’infermo di mente l’automatismo di una
misura segregante e "totale", come il ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta,
infrange l’equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali
di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute
di cui all’art. 32 della Costituzione.
In
conclusione, mentre solo il legislatore (la cui inerzia in questo campo,
caratterizzato da scelte assai risalenti nel tempo e mai riviste alla luce dei
principi costituzionali e delle acquisizioni scientifiche, non può omettersi di
rilevare ancora una volta) può intraprendere la strada di un ripensamento del
sistema delle misure di sicurezza, con particolare riguardo a quelle previste
per gli infermi di mente autori di fatti di reato, e ancor più di una
riorganizzazione delle strutture e di un potenziamento delle risorse, questa
Corte non può sottrarsi al più limitato compito di eliminare l’accennato
automatismo, consentendo che, pur nell’ambito dell’attuale sistema, il giudice
possa adottare, fra le misure che l’ordinamento prevede, quella che in concreto
appaia idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un
lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale dall’altro
lato.
Deve pertanto
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 222 del codice penale
nella parte in cui preclude al giudice, che in concreto ravvisi l’inidoneità della
misura del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario a rispondere alle
predette esigenze, di adottare un’altra fra le misure previste dalla legge, e
in specie la misura della libertà vigilata, accompagnata, ai sensi dell’art.
228, secondo comma, del codice penale, da prescrizioni idonee nella specie ad
evitare le occasioni di nuovi reati.
Non richiede
invece alcun intervento additivo l’art. 219 del codice penale, pure denunciato dal
remittente, ma in realtà costituente, nello schema della questione da lui
posta, piuttosto un tertium comparationis.
per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
a) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 222 del codice penale (Ricovero
in un ospedale psichiatrico giudiziario), nella parte in cui non consente
al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista
dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far
fronte alla sua pericolosità sociale;
b) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 219, primo
e terzo comma, del codice penale (Assegnazione a una casa di cura e di
custodia), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2
luglio 2003.
Riccardo
CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA,
Redattore
Depositata in
Cancelleria il 18 luglio 2003.