Sentenza n. 268/2002

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SENTENZA N. 268

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA             

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori; ora: Diritto del minore ad una famiglia), promosso con ordinanza emessa il 20 novembre 2000 dalla Corte di appello di Torino - sezione per i minorenni, iscritta al n. 127 del registro ordinane 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2001.

   Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte d’appello di Torino – sezione per i minorenni, con ordinanza emessa il 20 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 30, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), nella parte in cui, rinviando all'art. 299 del codice civile per l’attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari, non consente che il minore, o i suoi legali rappresentanti, o gli adottanti possano ottenere, sempre nell'interesse del minore, che questi mantenga il suo precedente cognome, ovvero lo anteponga o lo aggiunga a quello dell’adottante, o ancora sostituisca il cognome dell'adottante al suo.

La Corte rimettente é investita dell’esame di un reclamo avverso un provvedimento del tribunale per i minorenni che ha dichiarato inammissibile un'istanza con la quale si chiedeva l’attribuzione ad un minore, adottato ai sensi dell’art. 44, lettera b), della legge n. 184 del 1983, del solo cognome dell’adottante (nella fattispecie, il coniuge della madre), con la conseguente sostituzione del suo cognome originario.

2. - In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che il rinvio operato dalla disposizione impugnata alle norme che regolano l'adozione degli adulti, che stabiliscono che "l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio", non presenta alcuna valida ragione, perchè in questo modo viene fissata un’unica disciplina per due istituti completamente diversi, dato che l'adozione degli adulti comporta essenzialmente la scelta di un erede che assume il cognome dell’adottante, mentre l'adozione del minore in casi particolari risponde ad un bisogno di famiglia del minore e fa sorgere il dovere dell'adottante di mantenere, istruire e educare l'adottato.

Ad avviso della Corte rimettente la disciplina scelta dal legislatore viola diverse norme costituzionali e segnatamente: l’art. 2 Cost., per il mancato riconoscimento del diritto del minore al cognome più opportuno per la formazione della sua personalità nella famiglia adottiva; l’art. 3, secondo comma, Cost., per l’impedimento al pieno sviluppo della personalità del minore con l’uso di un cognome che identifichi la sua appartenenza familiare o adottiva; l’art. 30, terzo comma, Cost., per la mancata tutela dei diritti dei figli nati fuori del matrimonio, quando l'adozione in casi particolari riguarda figli naturali riconosciuti da un solo genitore, adottati dal coniuge dello stesso; ed infine l’art. 31, secondo comma, Cost., dal momento che la protezione della gioventù, mediante gli istituti necessari a tale scopo, comprende l'attribuzione del cognome che meglio risponda all'identità sociale che il minore viene ad assumere.

Il giudice a quo esamina quindi le varie ipotesi in cui l’art. 44 della legge n. 184 del 1983 consente l’adozione in casi particolari, rilevando che in tutti i casi possono prospettarsi, quanto all’attribuzione del cognome all’adottato, diverse possibili opportunità, quali: la sostituzione del cognome con quello adottivo ovvero il suo mantenimento, quando gli adottanti vivono nello stesso contesto sociale dei genitori defunti e il cognome per il bambino é un elemento costitutivo definitivo della sua identità personale; l'aggiunta o l'anticipo del cognome degli adottanti, soluzione che dipende dal grado di presenza o di lontananza del padre o della madre, legittimi o naturali, di cui il genitore adottivo/coniuge occupa il posto; ed ancora la morte del primo genitore, la condizione dell’adottato figlio naturale di ragazza madre, l'esistenza di fratelli con diverso cognome, la conoscenza ormai nota nei rapporti sociali del cognome come qualità della personalità e autonomo segno distintivo dell'identità personale.

Secondo il giudice a quo, in tutti i casi di adozione in casi particolari emerge quindi l’irragionevolezza della disciplina dell'attribuzione del cognome dettata dall'art. 299 cod. civ. e il contrasto dei suoi automatismi con la valutazione di quale possa essere in concreto l'interesse del minore.

La Corte rimettente ricorda ancora come l’ordinamento, nel caso del padre che riconosce il figlio naturale già riconosciuto dalla madre, attribuisce al tribunale per i minorenni, nell'interesse del minore, la decisione circa l'assunzione del cognome (art. 262, terzo comma, cod. civ.) e che la Corte, con la sentenza n. 297 del 1996, ha interpretato nel modo più ampio questo potere del giudice che, per costante giurisprudenza, può sostituire o mantenere il primo cognome, ovvero anteporre o posporre al primo cognome materno quello del padre che per secondo ha effettuato il riconoscimento, con la conseguente non giustificazione della diversa disciplina del cognome dettata per l'adozione in casi particolari.

Sempre secondo il giudice a quo, la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 297 del 1996 e n. 13 del 1993) ha rotto alcune ipotesi consolidate di automatismo dell'attribuzione dei cognomi in presenza di interessi costituzionalmente protetti, consentendo al giudice di attribuire o mantenere un cognome diverso da quello che spetterebbe secondo la disciplina legislativa, situazione che si porrebbe in analogia con quella oggi sottoposta all'esame di questa Corte.

La Corte torinese aggiunge che non può valere in senso contrario l'argomento, addotto dal Tribunale per i minorenni di Torino nel provvedimento impugnato, che si potrebbe ricorrere alla modifica del cognome con la procedura amministrativa di cui all'art. 153 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), poichè tale procedura prescinde dalla valutazione dell'interesse del minore.

3. - Nel giudizio di legittimità costituzionale non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri nè si sono costituite parti private.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino – sezione per i minorenni, investe l'art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori; ora, dopo le modifiche introdotte dalla legge 28 marzo 2001, n. 149: Diritto del minore ad una famiglia), che, per l’attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari, rinvia all'art. 299 del codice civile, norma dettata per l’adozione di persone maggiori d’età; in forza di tale rinvio "l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio", senza quindi che il minore, o i suoi legali rappresentanti, o gli adottanti possano chiedere al tribunale per i minorenni, nell'interesse del minore, che questi dopo l’adozione mantenga il suo precedente cognome, anteponendolo, o aggiungendolo a quello dell'adottante, o sostituisca il cognome di quest'ultimo al suo.

Secondo il giudice rimettente la disposizione in esame violerebbe l’art. 2 della Costituzione, perchè non riconosce il diritto del minore al cognome più opportuno per la formazione della sua personalità nella famiglia adottiva; violerebbe anche l’art. 3, secondo comma, Cost., perchè impedisce il pieno sviluppo della personalità del minore attraverso l'attribuzione di un cognome che identifichi la sua appartenenza familiare o adottiva; si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 30, terzo comma, Cost., perchè, quando l’adozione riguarda figli nati fuori dal matrimonio, non tutela i loro diritti; ed ancora sarebbe illegittima in riferimento all’art. 31, secondo comma, Cost., perchè non attua la protezione della gioventù mediante l'attribuzione del cognome che meglio risponda all'identità sociale che il minore, con l'adozione, viene ad assumere.

Le ragioni della rimessione si incentrano, quindi, sull'automatismo della norma impugnata, che non consente al giudice, una volta dichiarata l’adozione in casi particolari, di valutare, nell’esclusivo interesse del minore, quale sia il cognome più idoneo da attribuire all’adottato; con la censura prospettata il giudice a quo chiede quindi alla Corte una pronuncia additiva che inserisca nella disciplina della legge un procedimento che accerti quale sia, di volta in volta, il cognome più idoneo.

2. - La questione non é fondata.

3. - Quanto alla violazione dell’art. 2 Cost. indicata dal giudice a quo, occorre premettere che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui il cognome é una "parte essenziale ed irrinunciabile della personalità" che, per tale ragione, gode di tutela di rilievo costituzionale in quanto "costituisce il primo ed immediato elemento che caratterizza l'identità personale"; esso é quindi riconosciuto come un "bene oggetto di autonomo diritto dall'art. 2 Cost." e costituisce oggetto di un "tipico diritto fondamentale della persona umana" (sentenze n. 13 del 1994, n. 297 del 1996 e, da ultimo, sentenza n. 120 del 2001).

In forza dei citati principi, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 105 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nella parte in cui non prevedeva che, in caso di rettifica dei registri dello stato civile, il soggetto si vedesse riconosciuto dal giudice competente il diritto a mantenere il cognome che gli era stato originariamente attribuito, quando questo costituiva ormai un segno distintivo della sua identità personale, anche nella vita sociale di relazione (sentenza n. 13 del 1994).

Successivamente la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo anche l'art. 262 cod. civ., nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o aggiungendolo a questo, il cognome col quale era precedentemente conosciuto, quando questo fosse diventato un segno, autonomo e distintivo, della sua identità personale (sentenza n. 297 del 1996).

In questi casi la Corte ha quindi ritenuto illegittime, per violazione dell'art. 2 Cost., norme che, prevedendo dei criteri rigidi ed automatici per l'attribuzione alla persona di un cognome diverso da quello col quale essa era conosciuta nell'ambiente sociale nel quale aveva sino a quel momento svolto la propria personalità, finivano per far prevalere la corrispondenza del cognome allo status familiare, sacrificando nel contempo il diritto all'identità personale del soggetto; in entrambi i casi la soluzione adottata é stata quella di lasciare la scelta se mantenere il cognome originario - solo o in aggiunta a quello adottivo - quale tratto consolidato della personalità.

La rimozione del carattere distintivo della vita precedente del soggetto non si verifica nella disciplina per l’adozione in casi particolari, per la quale é stato previsto che l'adottato assuma il cognome dell'adottante anteponendolo al proprio, che in questo modo non viene cancellato ma continua a costituire, in uno col nuovo cognome attribuito al minore, un tratto essenziale della sua identità personale.

Come questa Corte ha già più volte affermato (v., tra le molte, le sentenze n. 27 del 1991 e n. 383 del 1999), l’adozione in casi particolari, prevista dagli artt. 44 e seguenti della legge n. 184 del 1983, é un istituto diverso sia dall’adozione legittimante sia da quella tra persone maggiori di età, pur avendo in comune con la prima la finalità di perseguire l’esclusivo interesse del minore e con la seconda l’effetto non legittimante del provvedimento, col quale non vengono rescissi i rapporti dell’adottato con la sua famiglia di origine.

Il legislatore, nello stabilire la disciplina dell’adozione in casi particolari, ha quindi compiuto una "non facile composizione" di esigenze diverse, tra le quali quella di "evitare che l'instaurazione del nuovo rapporto comporti la rottura di quello esistente con l'altro genitore biologico e/o con i di lui parenti, pur quando con costoro il minore abbia instaurato e mantenga legami significativi" (sentenza n. 27 del 1991, cit.), operando una scelta del tutto conforme alle finalità dell'istituto.

A ciò va aggiunto che le ipotesi previste nell’art. 44 della legge n. 184 del 1983 per questa particolare forma di adozione considerano situazioni diverse fra loro e cioé: l’essere il minore orfano di entrambi i genitori (art. 44, lettera a), ovvero figlio, anche adottivo, dell’altro coniuge (lettera b), o il caso in cui vi sia la constatata impossibilità di procedere ad un affidamento preadottivo (lettera d); ed ora, dopo le modifiche introdotte con la legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante "Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori", nonchè al titolo VIII del libro primo del codice civile), anche l’ulteriore ipotesi in cui il minore, orfano di padre e di madre, si trovi nelle condizioni indicate dall’art. 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), in assenza del vincolo di cui alla lettera a).

Nel disciplinare l'attribuzione del cognome all'adottato, la scelta fatta dal legislatore, nella sua discrezionalità, é stata quella di non eliminare il legame del minore col proprio passato e, perciò, con la sua identità personale come essa é stata ed é conosciuta nell'ambiente sociale di cui egli é, e deve continuare ad essere, parte; per tale ragione, pur essendo astrattamente possibili soluzioni differenziate per i diversi casi (cfr. la sentenza n. 27 del 1991), il legislatore ha previsto una disciplina unitaria, rispettosa della personalità del soggetto come tutelata dall'art. 2 Cost., proprio in quanto mantiene il cognome originario, cui aggiunge, anteponendolo, quello dell'adottante, con ciò dando atto dei precedenti e non interrotti legami familiari dell'adottato.

4. - Non può neppure dirsi che la disciplina prevista dalla legge per l’attribuzione del cognome ai minori adottati in casi particolari violi le altre norme costituzionali indicate dal giudice a quo; l'attribuzione del cognome dell’adottante, anteposto a quello originario del minore facente già parte della sua individualità, non può invero essere un ostacolo di ordine sociale allo sviluppo della personalità umana ai sensi dell’art. 3, secondo comma, Cost., o costituire un trattamento deteriore dei figli nati fuori dal matrimonio ai sensi dell'art. 30, terzo comma Cost., o risolversi in una disciplina che non attua la protezione del minore richiesta dall'art. 31, secondo comma, Cost..

Si tratta, al contrario, di una disposizione rispettosa della personalità del minore e non discriminatoria; l’attribuzione del doppio cognome, infatti, sta proprio a significare l’avvenuto inserimento del minore nel nuovo nucleo familiare, senza che nel contempo venga imposta la perdita del cognome col quale egli era ed é conosciuto nei diversi ambienti che frequenta e dei legami con la famiglia di origine, secondo la ratio complessiva della adozione in casi particolari.

Il legislatore, avendo operato, nella sua discrezionalità, una scelta non irragionevole, ha voluto quindi evitare, attraverso il mantenimento del cognome originario cui si antepone quello dell'adottante, proprio quell'effetto di perdita di legami sociali, con conseguente difficoltà allo sviluppo della personalità, che viene paventato dal giudice rimettente.

La norma impugnata non può neppure causare l’effetto di una minor tutela per i figli nati fuori dal matrimonio, come sostiene il rimettente, qualora l'adozione riguardi figli naturali riconosciuti; anche in questo caso, infatti, si tratta di un minore che già ha assunto il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento e che tramite esso é conosciuto nell'ambiente sociale; la successiva adozione (in casi particolari) da parte del coniuge del genitore che ha effettuato il riconoscimento, anche mediante l'attribuzione del secondo cognome, certamente non comprime la personalità del minore.

Nè infine la norma impugnata può integrare una omessa tutela della gioventù prevista dall'art. 31, secondo comma, Cost., dovendo tale norma costituzionale essere più propriamente riferita agli istituti di legislazione sociale a protezione della famiglia e dell'infanzia, piuttosto che al novero dei diritti della persona.

5. - Va ancora aggiunto che questa Corte, con la sentenza n. 120 del 2001 (successiva all'ordinanza di rimessione), chiamata a pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, primo e secondo comma, cod. civ. in una ipotesi riguardante l'adozione fra maggiorenni, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione di cui al secondo comma, "nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l'adottato possa aggiungere al cognome dell'adottante anche quello originariamente attribuitogli", ed ha nel contempo affermato che "la precedenza del cognome dell'adottante non appare irrazionale, così come non può costituire violazione del diritto all'identità personale il fatto che il cognome adottivo preceda o segua quello originario" e che "la lesione di tale identità é ravvisabile nella soppressione del segno distintivo, non certo nella sua collocazione dopo il cognome dell'adottante".

Il principio, che é lo stesso affermato dalle precedenti sentenze della Corte n. 13 del 1994 e n. 297 del 1996, sopra ricordate, deve essere ora confermato anche per quel che riguarda l’adozione in casi particolari del minore ed il rinvio all’art. 299 cod. civ. operato dall'art. 55 della legge n. 184 del 1983, oggi impugnato; sarebbe contraria alla Costituzione una disposizione che imponesse la cancellazione, attraverso la sostituzione automatica del cognome originario, di un tratto essenziale della personalità del soggetto, mentre la scelta della posizione dei due cognomi, di per sè, non costituisce violazione del diritto della personalità del soggetto.

6. - Non sussiste perciò la violazione delle norme costituzionali indicate dal rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori; ora: Diritto del minore ad una famiglia), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 30, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di appello di Torino - sezione per i minorenni, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2002.