SENTENZA N. 1
ANNO 2002
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai Signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt.739, secondo
comma, e 136 e del combinato disposto degli artt.739, secondo comma, e 741 del
codice di procedura civile; dell'art. 336, secondo e terzo comma, del codice
civile; degli artt. 737, 738 e 739 del codice di procedura civile e dell'art.
336 del codice civile, promossi con ordinanze emesse il 18 dicembre 2000 dalla
Corte di appello di Torino, sezione per i minorenni, sul reclamo proposto da M.
D., iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2001 e il
20 dicembre 2000 dalla Corte di appello di Genova, sezione per i minorenni, sul
reclamo proposto da C. G., iscritta al n. 240 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie
speciale, dell'anno 2001.
Visto l'atto di costituzione di C. G.;
udito nella
camera di consiglio del 24 ottobre 2001 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto in
fatto
1. - Con
l’ordinanza iscritta al n. di ruolo 163 del 2001, pronunciata il 18 dicembre
2000 e pervenuta alla Corte il 19 febbraio 2001, la Corte d’appello di Torino,
sezione per i minorenni - nel corso del procedimento di reclamo introdotto
dalla madre di un minore avverso il decreto con cui il Tribunale per i
minorenni di Torino aveva dichiarato, ai sensi degli artt. 330, 333 e 336 del
codice civile, la decadenza del padre dalla potestà parentale, e disposto,
previo allontanamento dalla madre affidataria ex art. 317-bis del
codice civile, l’affidamento familiare del minore a cura del servizio sociale
-, ha sollevato una serie di questioni di legittimità costituzionale nei
termini di seguito indicati.
Il rimettente
riferisce che il Tribunale per i minorenni aveva nel contempo, su richiesta del
P.M., aperto un procedimento per la declaratoria della decadenza del padre
dalla potestà genitoriale, e che il giudice delegato aveva convocato il solo
padre del minore e non anche la madre, ed acquisito informazioni dai servizi
sociali ed il parere del P.M., ed aveva poi emesso il decreto reclamato,
comunicato per esteso al P.M. ed al giudice tutelare, notificato per esteso al
servizio sociale e notificato nel solo dispositivo alla madre.
Con il reclamo la
madre ha chiesto la dichiarazione di inefficacia o inesistenza del decreto
comunicatole senza motivazione, la sospensione dell’applicazione del
provvedimento, la dichiarazione di non manifesta infondatezza delle questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 133, 136 e 739 del codice di
procedura civile in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24 e 111 della
Costituzione, nella parte in cui prevederebbero che i
provvedimenti pronunciati in camera di consiglio dal tribunale per i minorenni
e reclamabili nel termine perentorio di dieci giorni siano comunicati alle
parti private limitatamente al dispositivo e non per esteso, ed in ogni caso la
riforma del provvedimento.
2.-
Questa
interpretazione - che la rimettente considera <<diritto vivente>> -
contrasterebbe:
a) con l’art. 3, primo comma, Cost.: a1) in
quanto non rispetterebbe <<il principio di ragionevolezza>>,
perchè, mentre con riferimento alla sentenza la comunicazione del solo
dispositivo avrebbe una sua ragione, in quanto servirebbe soltanto a mettere le
parti nella condizione di poter notificare la sentenza al fine della decorrenza
del termine breve di trenta giorni per l’impugnazione, nel caso dei
provvedimenti in discorso la comunicazione farebbe decorrere essa stessa il
termine di dieci giorni per il reclamo onde sarebbe necessario conoscere il
provvedimento nella sua interezza; a2) in quanto realizzerebbe -
arbitrariamente e senza una razionale giustificazione - un trattamento
differenziato rispetto alla disciplina della notificazione d’ufficio integrale
del decreto o della sentenza di adottabilità, ex artt. 15, terzo comma,
16, secondo comma, e 17, terzo comma, della legge n. 184 del 1983;
b) con l’art. 97, primo comma, Cost., perchè risulterebbe leso il principio del buon andamento
dell’amministrazione;
c) con l’art. 24, secondo comma, Cost., in
quanto il termine di dieci giorni per il reclamo, per la sua brevità, pur
congruo a consentire all’interessato l’attività di impugnazione, sarebbe invece
insufficiente, tenuto conto che l’interessato non potrebbe utilizzarlo
integralmente, dovendosi rivolgere alla cancelleria per ottenere la copia del
provvedimento: l’insufficienza sarebbe particolarmente evidente nel caso in cui
l’interessato dimori in una regione diversa da quella della sede dell’ufficio
giudiziario o all’estero;
d) con l’art. 111, secondo comma, Cost., per la violazione del principio della parità delle
parti, derivante dal fatto che il P.M. riceverebbe comunicazione integrale del
provvedimento e, quindi, potrebbe esercitare il diritto di impugnazione
conoscendone il contenuto per l’intera durata del termine di reclamo, mentre la
parte privata avrebbe conoscenza di quel contenuto solo dal momento in cui ne
ottenga copia dalla cancelleria;
e) con l’art. 111, sesto comma, Cost., in quanto la motivazione non costituirebbe un fatto
interno e dovrebbe essere portata a conoscenza delle parti subito, mentre la
conoscenza del solo dispositivo si giustificherebbe esclusivamente ove sia
previsto - come per le sentenze - un meccanismo successivo di notifiche a cura
della parte più diligente.
f) ed infine con l’art. 2 Cost.:
questo parametro viene, peraltro, evocato solo in dispositivo.
2.1.- Sulla base
di tali motivazioni la rimettente solleva la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 739, secondo comma, cod. proc. civ., <<in
relazione all’art. 136 cod. proc. civ., nella parte in cui nel diritto vivente
tali norme prevedono>> <<la comunicazione del decreto assunto dal
tribunale per i minorenni nei procedimenti camerali ablativi o modificativi
della potestà genitoriale con la forma abbreviata del biglietto di cancelleria,
anzichè la notificazione mediante consegna al
destinatario di copia per esteso conforme all’originale del decreto nelle forme
dell’art. 137 del codice di procedura civile>>.
La medesima
questione viene prospettata anche con riferimento <<al combinato disposto
degli artt. 739, comma 2, e 741 cod. proc. civ., nella parte in cui dispongono
che nei procedimenti camerali del tribunale per i minorenni ablativi e modificativi
della potestà genitoriale il termine di dieci giorni per proporre reclamo e il
termine di efficacia del decreto decorrano dalla comunicazione del decreto con
la forma abbreviata del biglietto di cancelleria, anzichè
della notificazione mediante consegna al destinatario di copia per esteso
conforme all'originale del decreto nelle forme dell’art. 137 cod. proc.
civ.>>.
Quanto alla
rilevanza della questione, la rimettente osserva che la reclamante, avendo
ricevuto soltanto la comunicazione del dispositivo del provvedimento e non
avendo potuto apprendere da tale comunicazione le ragioni del medesimo, non
avrebbe potuto preparare nel brevissimo termine di dieci giorni previsto per il
reclamo un ricorso che tenesse conto dei motivi per i quali il figlio veniva da
lei allontanato e si sarebbe limitata a proporre la questione di
costituzionalità, senza poter sviluppare le difese di merito. Dopo di che
osserva di avere autorizzato <<in passato>>, in situazioni simili,
il rilascio alla parte reclamante di copia integrale del decreto reclamato, e
concesso alla stessa un termine per completare con memoria le proprie difese.
Ma alla rimettente <<pare però giusto che, attesa la rilevanza della
questione e la frequenza con cui viene proposta dai difensori con i motivi di
impugnazione, sia
3.- La rimettente,
inoltre, solleva d’ufficio una serie di altre questioni, che investono il
secondo e il terzo comma dell’art. 336 cod. civ..
La prima questione
investe l’art. 336, secondo comma, nella parte in cui non prevederebbe
che nei procedimenti camerali ablativi o modificativi della potestà genitoriale
sia sentito anche il genitore contro cui il provvedimento non é richiesto. Ad
avviso della rimettente, questa mancata previsione aveva un significato
anteriormente alla riforma del diritto di famiglia del 1975, quando un solo
genitore (di norma il padre) era titolare della potestà, ma non si
giustificherebbe più in un regime di potestà congiunta e paritaria, in cui alla
decadenza o alla limitazione della potestà di un genitore corrisponde una
maggiore pienezza della potestà dell'altro genitore.
La limitazione
dell’audizione ad un solo genitore, violerebbe: a) l’art. 3, primo
comma, Cost., per lesione del principio di eguaglianza fra i genitori, e per
irragionevolezza della diversità rispetto alla disciplina di cui all’art. 10,
quinto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, che, per i procedimenti
limitativi o sospensivi della potestà nel corso del procedimento di
adottabilità, impone l’audizione preventiva di entrambi i genitori e, se c’é,
del tutore; b) l’art. 24, secondo comma, Cost., per lesione del
<<diritto di autodifesa, con facoltà di farsi assistere da un difensore,
del genitore non sentito e, quindi, neppure informato della procedura>>; c)
l’art. 30, primo comma, Cost., per l’esclusione di un genitore dalla
possibilità di intervenire in un procedimento relativo ai doveri e diritti
dell’altro genitore di mantenere, istruire ed educare i figli; d) l’art.
111, primo e secondo comma, Cost., per l’esclusione di <<un
contraddittorio tra le parti, i due genitori in proprio e quali legali rappresentanti
del figlio, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed
imparziale>>; e) l’art. 18, comma 1, della Convenzione sui diritti
del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata e resa
esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione
della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre
1989), che impegna lo Stato al riconoscimento nella propria legislazione del
principio per cui entrambi i genitori hanno una comune responsabilità per
l'educazione del fanciullo e per provvedere al suo sviluppo, e comporta che
entrambi debbano essere sentiti nel procedimento limitativo della potestà di
uno di essi.
La questione così
prospettata sarebbe rilevante, in quanto la madre non sarebbe stata informata e
convocata, nè in proprio nè
quale legale rappresentante del figlio, esercente la potestà ex art.
317-bis cod. civ., pur avendo richiesto di
essere sentita, ed altresì in quanto il suo reclamo contro il provvedimento
nella sua interezza comprenderebbe la disposizione di decadenza dell’altro
coniuge dalla potestà, che, dunque, apparterrebbe al thema
decidendum.
4.- Altra
questione viene poi proposta - sempre con riguardo all’art. 336, secondo comma,
cod. civ. - con riferimento alla mancata previsione (nei procedimenti camerali
ablativi o limitativi della potestà genitoriale) dell’audizione del figlio
minore, direttamente da parte del giudice se <<già grandicello>> e
tramite un rappresentante se si tratti di un <<bambino più piccolo>>.
Tale mancata
previsione violerebbe: a) <<il principio di protezione della
gioventù contenuto negli artt. 2 e 31>> secondo comma, Cost., di cui
sarebbe espressione l’ascolto del minore previsto dall’art. 12, comma 2, della
già citata Convenzione sui diritti del fanciullo, che dispone appunto l’ascolto
del minore in ogni procedura giudiziaria e amministrativa; b) <<il
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, commi 1 e 2, Cost.>>, per
la disparità di trattamento rispetto alla procedura di adottabilità, per la
quale l’art. 10, secondo e quarto comma, della legge n. 184 del 1983 prevede
che ogni provvedimento temporaneo nell’interesse del minore, salvo il caso di
urgente necessità, debba essere preceduto dall’audizione, da parte del
tribunale per i minorenni, del minore che ha compiuto dodici anni e, se
ritenuto opportuno, del minore di età inferiore. La disparità di trattamento
emergerebbe perchè per l’adozione di provvedimenti con lo stesso contenuto
(prescrizioni, allontanamento, rimozione dalla potestà) non sarebbe prevista
l’audizione del minore in ogni caso; c) l’art. 111, primo e secondo
comma, Cost., <<non essendovi un giusto processo>> laddove il
minore non venga sentito, direttamente se abbia un’età appropriata, come quella
di dodici anni stabilita dall’art. 10, quarto comma, cit. della legge n. 184
del 1983, ed altrimenti tramite un rappresentante, in modo da attuare un
contraddittorio sostanziale, e ciò indipendentemente dal fatto che egli non
possa essere ritenuto <<parte formale>>.
5.- La rimettente
prospetta poi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 336, secondo
comma, cod. civ., in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 24, secondo
comma, 30, primo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui
non prevederebbe <<a pena di nullità rilevabile
d’ufficio che i genitori e il minore che abbia compiuto gli anni dodici siano
sentiti>>, in quanto se il principio del contraddittorio ex art. 111
vale anche per i procedimenti camerali ablativi o limitativi della potestà, il
solo modo per assicurarne l’attuazione sarebbe questa previsione di nullità per
il caso di inosservanza.
6.- La rimettente
solleva poi tre ulteriori questioni di legittimità costituzionale, che
investono la disciplina prevista dall’art. 336, terzo comma, cod. civ., per i
provvedimenti ablativi o modificativi della potestà genitoriale in situazione
di <<urgente necessità>>.
La rimettente
afferma, in primo luogo, che il provvedimento reclamato é stato adottato con
implicita valutazione di sussistenza di un caso di urgente necessità (peraltro
inesistente, in quanto il procedimento sarebbe durato vari mesi e vi sarebbe
stato ritardo nella deliberazione e nel deposito del provvedimento), senza che
fossero sentiti i genitori, senza che ne fosse stabilita la durata (essendosi
riservato ad un seguito non precisato la valutazione della durata
dell’affidamento familiare) e fissandosi la convocazione della sola madre a
distanza di quasi cinque mesi.
In secondo luogo,
rileva che non può dubitarsi dell’ammissibilità di provvedimenti cautelari
temporanei a tutela del minore, <<purchè
prevedano e non procrastinino nel tempo la successiva possibilità di
contraddittorio e di difesa>>.
Su queste premesse
fonda la motivazione delle tre questioni di costituzionalità.
6.1.- La prima
questione viene prospettata denunciandosi l’art. 336, terzo comma, nella parte
in cui non prevederebbe a pena di nullità che il
provvedimento temporaneo assunto in caso di urgente necessità nell’interesse
del minore, senza l’audizione dei genitori e del minore che abbia compiuto gli
anni dodici, debba avere una durata massima stabilita dalla legge. Sottolinea
Secondo la
rimettente tale norma violerebbe: a) l’art. 3, primo comma, Cost., per
disparità di trattamento - lesiva del principio di uguaglianza - rispetto
all’ipotesi, prevista dal terzo comma dell’art. 10 della legge n. 184 del 1983,
di assunzione di provvedimenti temporanei di limitazione o sospensione della
potestà in caso di urgente necessità nel corso del procedimento di
adottabilità, in relazione alla quale la temporaneità sarebbe implicitamente
stabilita attraverso la previsione che entro un mese debba intervenire il
decreto di conferma, modifica o revoca. La disparità emergerebbe per il fatto
che si trattano diversamente provvedimenti urgenti assunti in situazioni simili
per il sol fatto dell’assunzione in procedure diverse ed il modello di cui alla
procedura di adottabilità potrebbe costituire <<un riferimento>>
per conchiudere la temporaneità del provvedimento ex art. 336, terzo
comma, cod. civ., in un periodo non superiore ad un mese, così specificandosi il
petitum inerente la questione in discorso; b)
l’art. 24, secondo comma, Cost., nonchè
l’art. 111, primo e secondo comma, Cost., in quanto un provvedimento di urgenza
con temporaneità illimitata o di lunga durata finirebbe per vanificare il
diritto di difesa ed il contraddittorio nella successiva fase processuale
<<perchè - tenuto conto che la gestione dei tempi in un processo
profondamente inquisitorio come quello di volontaria giurisdizione appartiene
all'esclusiva disponibilità del giudice - procrastina la necessità di un altro
provvedimento di conferma, modifica o revoca, determinando un consolidamento
nel tempo della situazione>>.
La questione
sarebbe rilevante in quanto, nell’ipotesi di accoglimento, il provvedimento
reclamato dovrebbe essere modificato, con la fissazione del momento finale
dell’affidamento eterofamiliare.
6.2.- La seconda
questione é prospettata con riferimento alla mancata previsione da parte
dell’art. 336, terzo comma, che il tribunale dei minorenni, dopo avere adottato
il provvedimento in caso di urgente necessità, senza audizione dei genitori e
del minore che abbia compiuto gli anni dodici, debba a pena di decadenza entro
trenta giorni, sentiti il pubblico ministero, i genitori, il tutore, il
rappresentante dell’istituto di ricovero del minore e lo stesso minore
ultradodicenne, confermare, modificare o revocare il provvedimento temporaneo
assunto. La mancata previsione della promozione di un procedimento camerale in
contraddittorio in funzione dell’adozione di <<un provvedimento definitivo
di conferma, modifica o revoca>> avrebbe determinato una prassi diffusa
per cui i provvedimenti urgenti di breve durata perderebbero efficacia
automaticamente alla scadenza <<senza che intervenga una conferma (o con
dichiarazione di non luogo a provvedere perchè la situazione si é
esaurita)>>, mentre quelli di lunga durata verrebbero frattanto
sostituiti da altri in relazione all’evoluzione del caso, senza che <<si
realizzi il diritto delle parti ad essere ascoltate e a partecipare attivamente
al procedimento con riferimento alla conferma o modifica del provvedimento di
urgenza>>.
La rimettente
prospetta un contrasto: a) con l’art. 3, primo comma, Cost.,
per irragionevole differenziazione di trattamento rispetto ancora una volta
alla disciplina del procedimento di adottabilità, e precisamente rispetto
all’art. 10, quarto e quinto comma, della legge n. 184 del 1983; b) con
gli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., per lesione
del diritto alla difesa e al contraddittorio.
La questione
sarebbe rilevante perchè alla data dell’ordinanza di rimessione il Tribunale
per i minorenni non avrebbe confermato, modificato o revocato il provvedimento
reclamato.
6.3.- La terza
questione relativa all’art. 336, terzo comma, é prospettata con riferimento
alla mancata previsione che il provvedimento temporaneo emanato in mancanza
dell’effettiva ricorrenza del caso di urgente necessità sia affetto da nullità
rilevabile d’ufficio. Tale mancata previsione, in quanto consentirebbe che il
tribunale per i minorenni adotti il provvedimento temporaneo senza sentire i
genitori ed il minorenne ultradodicenne, anche in difetto di urgente necessità,
sarebbe lesiva: a) dell’art. 24, secondo comma, Cost., in quanto
consentirebbe il sacrificio del diritto di difesa dei soggetti che dovevano
essere sentiti; b) dell’art. 111, primo e secondo comma, Cost., in
quanto sacrificherebbe il loro diritto al giusto processo; c) del
diritto di ascolto del minore, garantito dall’art. 9, comma 2, della già citata
Convenzione sui diritti del fanciullo.
La questione
sarebbe rilevante in quanto il provvedimento reclamato sarebbe stato adottato
in mancanza di urgente necessità, desumibile dal notevole lasso di tempo
impiegato per l’assunzione delle informazioni e dal lungo periodo decorso fra
la deliberazione ed il deposito del provvedimento reclamato.
7.- Con
l’ordinanza iscritta al n. di ruolo 240, pronunciata il 20 dicembre 2000 e
pervenuta alla Corte il 12 marzo 2001,
Circa l’oggetto
del giudizio a quo, la rimettente riferisce che, avendo il tribunale
fondato la sua decisione sulla relazione del servizio sociale, nella quale si
precisava che, a differenza di quanto aveva affermato la madre, il minore si
trovava bene con il padre, era ben inserito a scuola ed era curato e pulito, la
reclamante, oltre a sostenere l’infondatezza del provvedimento, nel chiederne
la riforma ha eccepito l’incostituzionalità degli artt. da
7.1.- La
rimettente, dopo avere rilevato che la procedura applicabile nel caso di specie
é quella di cui all’art. 336 cod. civ. e che il riferimento in esso contenuto
richiama e rende applicabili le norme degli artt. 737 e ss. cod. proc. civ., e
dopo avere descritto le modalità della procedura ivi disciplinata, nonchè rammentato che lo stesso tipo di procedimento é
applicabile anche nel caso in cui si debba provvedere ai sensi dell’art. 317-bis
cod. civ., osserva preliminarmente che la previsione dell’art. 111 Cost. deve
considerarsi applicabile anche al procedimento ex art. 336 cod. civ. (in
relazione agli artt. 330 e 333).
7.2.- Nel giudizio
a quo verrebbe d’altro canto in considerazione una contesa fra soggetti
che discutono fra loro sull’affidamento del figlio, nel presupposto di vantare
ciascuno una maggiore idoneità, non diversamente da quanto accade per i
genitori uniti in matrimonio in caso di separazione o di divorzio, in caso di
contrasto sull’affidamento dei figli. Onde, ancora più palese sarebbe
l’esigenza che il giudice appaia terzo ed imparziale. Viceversa, il giudice
minorile si sarebbe trasformato in procuratore e difensore dei diritti del
minore, riducendo drasticamente le garanzie, assumendo un ruolo di governo di
interessi sottratti all’autonomia privata. Di fronte alla latitudine della
norma sostanziale che individua come regola di giudizio l’apprezzamento
dell’interesse del minore e della sua lesione, <<il principio di legalità
[evidentemente inteso come regolamentazione per legge del procedimento] deve
essere reso particolarmente intenso, se si vuole mantenere il carattere
giurisdizionale del procedimento, attraverso la garanzia del rito>>. La
rimettente richiama al riguardo la sentenza della Corte europea per i diritti
dell’uomo del 15 luglio 2000 (Scozzari e
Giunta/Italia) rimarcando che essa, nell’affermare che il diritto dei genitori
a mantenere, istruire ed educare i figli é un diritto fondamentale ed ha natura
di diritto soggettivo pieno, destinato, tuttavia, a cedere sul piano
sostanziale, di fronte all’incapacità dei genitori, ha sottolineato l’esigenza
che l’affievolimento avvenga in un procedimento giudiziale che veda regolati i
poteri processuali delle parti e del giudice e consenta alle parti un controllo
pieno sulla legalità degli atti del procedimento.
7.3.- La
rimettente ricorda come la Corte costituzionale abbia talora giudicato che
anche nella procedura camerale ex artt. 737 e ss. cod. proc. civ. il
diritto di difesa potrebbe essere assicurato, nonostante la lacunosità della
disciplina.
Ma a diversa
valutazione dovrebbe indurre l’esigenza del giusto processo regolato dalla
legge, nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità e davanti ad un
giudice terzo ed imparziale, posta dal nuovo art. 111 Cost.: le parti
dovrebbero essere titolari di precise facoltà e poteri processuali e lo
svolgimento del procedimento dovrebbe essere sempre controllabile sulla base di
precise indicazioni normative e non rimesso alla discrezionalità del giudice,
cui le parti non dovrebbero soggiacere.
La procedura ex
artt. 737 e ss. cod. proc. civ. e 336 cod. civ. - in quanto sommaria e
semplificata, non regolata dalla legge nelle forme, nei tempi e nelle modalità
di svolgimento, ma affidata al contrario alla pura discrezionalità del giudice,
tanto che gli unici tratti regolati sono la proposizione <<della
domanda>> con ricorso, la nomina di un relatore, l’assunzione di
informazioni (non necessariamente nel contraddittorio delle parti), e la
decisione con decreto motivato, reclamabile davanti alla corte d’appello, ma
sempre modificabile e revocabile - sarebbe ben lontana dalla relativa
previsione costituzionale. In sede di pronuncia sull’affidamento dei figli ai
sensi dell’art. 317-bis cod. civ., la
discrezionalità del giudice riguarderebbe anche lo stesso contenuto del
provvedimento, potendo il giudice disporre l’affidamento all’uno o all’altro
dei genitori, ma anche escludere entrambi, nell’interesse del minore, dalla
potestà, nominando un tutore (mentre nel caso di genitori uniti in matrimonio,
l’affidamento ad un terzo richiederebbe gravi motivi). L’attuazione di un
embrionale contraddittorio, le cui forme, modi e tempi non sono disciplinati
dalla legge, avverrebbe con la mera convocazione dell’interessato e senza
necessità di un difensore tecnico.
D’altro canto,
l’assenza di regole poste dalla legge, ma soltanto dedotte in via di
interpretazione adeguatrice all’art. 24 Cost., lascerebbe aperta la via a prassi applicative
difformi per ogni giudice o ufficio giudiziario e ciò escluderebbe la
possibilità <<di sanzionare con la rimessione al primo giudice la
violazione, in primo grado, di regole di garanzia per la difesa>> e
<<di stabilire con certezza gli effetti della nullità di singoli
atti>>.
Poichè a seguito
della novellazione dell’art. 111 Cost. il
<<giusto processo>> non può che essere quello <<regolato
dalla legge>>, dovrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale di un
modello processuale, nel quale la decisione sui diritti, in un settore
fondamentale dell’ordinamento, é emessa a seguito di un processo le cui cadenze
sono affidate esclusivamente al giudice <<tenuto bensì a garantire i
fondamentali diritti delle parti, ma secondo modalità non predeterminate, e
rimesse al suo apprezzamento>>: la previsione di una riserva di legge
<<in un contesto tanto delicato e rilevante>> implicherebbe
<<la necessità che sia il legislatore a disciplinare le regole del
procedimento>>.
Queste complessive
considerazioni vengono ritenute dal rimettente idonee a giustificare la
prospettata questione di costituzionalità.
7.4.- In punto di
rilevanza della questione, la rimettente, dopo avere assunto che a
giustificarla potrebbe bastare il fatto che essa deve applicare la procedura ex
artt. 336 cod. civ. e 737 e ss. cod. proc. civ., ritiene di fornire indicazioni
più specifiche con riferimento al caso concreto e rileva che il primo giudice
ha fondato il suo provvedimento esclusivamente sulla relazione del servizio
sociale, senza che <<le parti>> fossero informate della richiesta
rivolta all’uopo al servizio sociale e senza che abbiano potuto prenderne
visione e formulare rilievi e contestazioni. Tale secretazione dei documenti,
peraltro, secondo il rimettente non sarebbe giustificata dalla procedura ex
art. 737 e ss. ed avrebbe <<errato sicuramente il [primo] giudice al
riguardo>> in quanto avrebbe violato <<l’art. 76 disp. att. c.c.>> [rectius
76, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile], che
consentirebbe il rilascio di copie di tutti gli atti contenuti nel fascicolo.
Tuttavia, in un procedimento regolato nei tempi e nei modi dalla legge potrebbe
essere previsto, <<ad esempio>>, uno scambio di memorie prima della
decisione, che nella specie <<avrebbe potuto indirizzare il primo giudice
ad un ripensamento e magari allo svolgimento di ulteriore attività
istruttoria>>.
Soggiunge, quindi,
la rimettente: <<Certo in questo grado, le parti, e in particolare la
reclamante hanno potuto esaminare ogni documento in atti, ma in tutta la fase
precedente non hanno potuto svolgere la loro difesa. E tuttavia non si potrebbe
superare il vizio di una prima fase in cui non si é compiutamente realizzato il
principio del contraddittorio (anche perchè questa Corte non potrebbe per
questo annullare la decisione e rimettere le parti stesse davanti al primo
giudice) e comunque l’ampia discrezionalità caratterizza pure questo
grado>>.
Manifesta, quindi,
sia la consapevolezza che il procedimento ordinario, anche dopo la riforma del
1990, non sarebbe idoneo a regolare controversie come quella al suo esame (ma,
a ben vedere, anche quelle di separazione e di divorzio) e che, de iure
condendo, il legislatore potrebbe opportunamente coniugare l’esigenza di
regole precise e predeterminate con quella di agilità e snellezza, funzionali
ad un’efficace tutela del minore, sia la consapevolezza che l’eventuale
accoglimento della questione comporterebbe un vuoto normativo. Ciononostante,
ritiene che non possa non essere rimessa alla Corte la questione della
permanenza di una procedura contrastante con l’art. 111 novellato.
Considerato in
diritto
1. - I giudizi
promossi dalle Corti di appello di Torino e di Genova riguardano entrambi
questioni di legittimità costituzionale di norme sul procedimento camerale, in
esito al quale il tribunale per i minorenni pronunzia provvedimenti ablativi o
modificativi della potestà genitoriale; essi possono pertanto essere riuniti.
2. -
3. - Al primo
gruppo appartiene anzitutto la questione concernente il combinato disposto
degli artt. 739, secondo comma, e 136 del codice di procedura civile, nella
parte in cui - secondo un asserito diritto vivente risultante
dall’interpretazione accolta dal Tribunale che ha deciso in primo grado -
prevederebbe la comunicazione del decreto del tribunale con la forma abbreviata
del biglietto di cancelleria, anzichè la
notificazione mediante consegna al destinatario di copia conforme all’originale
nelle forme dell’art. 137 cod. proc. civ..
Secondo il giudice
rimettente, tale normativa viola l’art. 2 della Costituzione (il parametro é
indicato solo in dispositivo, senza alcuna motivazione), l’art. 3, primo comma,
Cost. (per irragionevolezza, in quanto dalla comunicazione del solo dispositivo
decorre il termine di dieci giorni per proporre reclamo, in vista del quale il
provvedimento dovrebbe essere conosciuto nella sua interezza; e per
ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni sostanzialmente
simili, come la notificazione integrale del decreto o della sentenza di
adottabilità ex artt. 15, terzo comma, 16, secondo comma, e 17, terzo comma,
della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento
dei minori), l’art. 97, primo comma, Cost. (per lesione del principio del buon
andamento dell’amministrazione), l’art. 24, secondo comma, Cost. (essendo il
termine di dieci giorni per il reclamo tanto breve da ledere il diritto di
difesa), l’art. 111, secondo comma, Cost. (per violazione del principio della
parità delle parti, in quanto al P.M., a differenza che alla parte privata, il
provvedimento é comunicato integralmente), l’art. 111, sesto comma, Cost. (in
quanto la conoscenza del solo dispositivo, e non anche della motivazione, si
spiega unicamente ove sia prevista, come per le sentenze, una successiva
notifica a cura della parte più diligente).
Anche la seconda
questione del primo gruppo é prospettata - in riferimento agli stessi parametri
- nei confronti del combinato disposto degli artt. 739, secondo comma, e 741
cod. proc. civ., considerato nella parte in cui prevede che nei procedimenti
camerali in esame il termine di dieci giorni per proporre reclamo decorra dalla
comunicazione del decreto con la forma abbreviata del biglietto di cancelleria,
anzichè dalla notificazione nelle forme dell’art. 137
cod. proc. civ..
4. - Le due
questioni - delle quali la seconda si pone rispetto alla prima in rapporto di
dipendenza - possono essere esaminate congiuntamente.
Esse sono
inammissibili.
La rimettente,
pertanto, non propone una questione di legittimità costituzionale, ma un mero
dubbio interpretativo; e per di più rinunzia a ricercare la possibilità di
interpretare la norma impugnata nel senso utile ad evitare quello che, secondo
la sua prospettazione, é il contrasto con
5. - Il secondo
gruppo di questioni prospetta tre profili di incostituzionalità dell’art. 336,
secondo comma, cod. civ., che disciplina la forma
ordinaria del procedimento ablativo o modificativo della potestà genitoriale.
La norma é
anzitutto impugnata nella parte in cui - disponendo che <<nei casi in cui
il provvedimento é chiesto contro il genitore, questi deve essere
sentito>> - non prevede che sia sentito anche l’altro genitore, così
violando l’art. 3, primo comma, Cost. (per lesione del principio di eguaglianza
fra i genitori e per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla
disciplina dell’art. 10, quinto comma, della legge n. 184 del 1983, che, per i
procedimenti limitativi o sospensivi della potestà nel corso del procedimento
di adottabilità, prevede l’audizione di entrambi i genitori e del tutore),
l’art. 24, secondo comma, Cost. (per lesione del diritto di difesa del genitore
non sentito, e quindi <<neppure informato della procedura>>),
l’art. 30, primo comma, Cost. (in quanto ad un genitore é preclusa la
possibilità di intervenire nel procedimento relativo ai doveri e ai diritti
dell’altro in tema di mantenimento, istruzione ed educazione dei figli), l’art.
111, primo e secondo comma, Cost. (perchè é escluso il contraddittorio tra
genitori in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale),
l’art. 18, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New
York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27
maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del
fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989), che impegna lo Stato a
sancire la comune responsabilità dei genitori per l’educazione e lo sviluppo
del fanciullo, onde entrambi devono essere sentiti nel procedimento limitativo
della potestà di uno di essi.
6. - La questione
non é fondata, in quanto muove da un presupposto interpretativo erroneo.
Il mancato
rispetto del contraddittorio nei confronti del genitore diverso da quello
contro cui il provvedimento é richiesto viene denunciato essenzialmente in
relazione al suo diritto a partecipare al procedimento già instaurato, ma -
come emerge dall’accenno al genitore <<non informato>> - non manca
un riferimento alla fase dell’instaurazione.
Sotto quest'ultimo
aspetto, la prospettazione contraddice la stessa qualificazione del procedimento
in esame come <<bilaterale o plurilaterale>>, che il rimettente
afferma di condividere e che comporta necessariamente la garanzia del
contraddittorio, inteso come diritto di ciascuna delle parti ad essere
tempestivamente informata del procedimento.
Del resto
l’impugnato art. 336, secondo comma - secondo cui il tribunale provvede in
camera di consiglio - va letto alla luce del principio generale per cui anche
il procedimento camerale é ispirato al rispetto del contraddittorio (sentenza
n. 103 del 1985), nei sensi indicati.
Per quanto poi
specificamente concerne il contraddittorio come diritto di partecipare allo
svolgersi del procedimento, ed in particolare a quella specifica attività
istruttoria che é l’audizione ad opera del giudice, il rimettente - pur
richiamandosi alla Convenzione sui diritti del fanciullo resa esecutiva con
legge n. 176 del 1991, e quindi dotata di efficacia imperativa nell’ordinamento
interno - non considera che l’art. 9, comma 2, di essa (ai sensi del quale
tutte le parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle
deliberazioni e far conoscere le proprie opinioni) pone una disciplina
complementare rispetto alla previsione della norma impugnata (che prevede solo
l’audizione del genitore contro cui il provvedimento é richiesto), onde dal
coordinamento fra le due norme deriva, allo stato dell’evoluzione legislativa,
che nel procedimento in esame devono essere sentiti entrambi i genitori.
Della fondatezza
di queste conclusioni fornisce recente conferma l’art. 37, comma 3, della legge
26 aprile 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184,
recante "Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonchè al titolo VIII del libro primo del codice
civile"), sopravvenuta all’ordinanza di rimessione, anche se non
ancora efficace. La norma ha aggiunto nell’art. 336 cod. civ. un quarto comma,
ai sensi del quale <<Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i
genitori e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato
nei casi previsti dalla legge>>: ed é evidente come essa presupponga che
entrambi i genitori (ed il minore) siano "parti" del procedimento di
cui all’art. 336 cod. civ., e in quanto "parti" abbiano diritto di
avere notizia del procedimento e di parteciparvi.
7. - L’art. 336,
secondo comma, cod. civ., é poi impugnato per la
mancata previsione che, nei procedimenti camerali in esame, siano sentiti il
minore ultradodicenne e, se opportuno, anche quello di età inferiore, o
altrimenti i suoi genitori o il tutore.
Ne risulterebbero
violati gli artt. 2 e 31, secondo comma, Cost. (di cui é espressione l’art. 12,
comma 2, della citata Convenzione, sull’ascolto del minore in ogni procedura
giudiziaria e amministrativa), gli artt. 3, primo e secondo comma, Cost. (sotto
il profilo sia dell’irragionevolezza, sia della disparità di trattamento
rispetto alla procedura di adottabilità, per la quale l’art. 10, secondo e
quarto comma, della legge n. 184 del 1983 dispone che il tribunale per i
minorenni, prima di assumere provvedimenti temporanei nell’interesse del
minore, deve, salvo il caso di urgente necessità, sentire il minore dodicenne
e, se opportuno, quello di età inferiore), e l’art. 111, primo e secondo comma,
Cost. (<<non essendovi un giusto processo>> se il minore non venga
sentito, direttamente o tramite un rappresentante).
8. - La questione
non é fondata, in quanto muove ancora una volta da una premessa interpretativa
erronea.
L’art. 12 della
citata Convenzione - disposto al comma 1 che il fanciullo capace di
discernimento ha diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni
questione che lo interessa - soggiunge al comma 2 che <<A tal fine, si
darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni
procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia
tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con
le regole di procedura della legislazione nazionale>>.
Tale prescrizione,
ormai entrata nell’ordinamento, é idonea ad integrare - ove necessario - la
disciplina dell’art. 336, secondo comma, cod. civ.,
nel senso di configurare il minore come <<parte>> del procedimento,
con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa
nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 cod. proc. civ. (cfr.
ordinanza n. 528
del 2000).
Ed é ancora una
volta rilevante il richiamo alla recente legge n. 149 del 2001, dalla quale -
come già notato al n. 7 - chiaramente si evince l’attribuzione al minore (nonchè ai genitori) della qualità di parte, con tutte le
conseguenti implicazioni.
9. - Infine l’art.
336, secondo comma, cod. civ. é impugnato in quanto non prevede <<a pena
di nullità rilevabile d’ufficio che i genitori e il minore che abbia compiuto
gli anni dodici siano sentiti>>.
Tale mancata
previsione violerebbe gli artt. 2, 3, secondo comma, 24, secondo comma, 30,
primo comma e 111, primo e secondo comma, Cost.,
poiché il principio del contraddittorio ex art. 111 Cost. vale anche per
i procedimenti camerali ablativi o limitativi della potestà e la sua
inosservanza impone la previsione di nullità.
La questione, in
quanto dipendente dalle precedenti, resta assorbita, pur dovendosi rilevare che
compete al rimettente stabilire, applicando le norme generali sulle nullità
processuali civili, quali conseguenze esplichi sul provvedimento reclamato
l’inosservanza dell’art. 336, secondo comma, interpretato nel senso sopra
precisato.
10. - Il terzo
gruppo di questioni proposte dalla Corte d’appello di Torino concerne - sotto
tre distinti profili - l’art. 336, terzo comma, cod. civ.,
secondo cui <<In caso di urgente necessità il tribunale può adottare,
anche d’ufficio, provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio>>.
11. - La norma é
anzitutto impugnata per la parte in cui non prevede che il provvedimento
temporaneo assunto in caso di urgente necessità nell’interesse del minore
(senza l’audizione dei genitori e del minore che abbia compiuto dodici anni)
abbia, a pena di nullità, una durata massima, individuabile in trenta giorni.
Secondo il giudice
rimettente, questa mancata previsione viola l’art. 3, primo comma, Cost. (per
ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai provvedimenti urgenti di
limitazione o sospensione della potestà nel corso del procedimento di
adottabilità, che l’art. 10, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 considera
implicitamente temporanei, prevedendo l’intervento entro un mese del decreto di
conferma, modifica o revoca), e gli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e
secondo comma, Cost. (perchè un provvedimento urgente di durata illimitata
vanifica il diritto di difesa ed il contraddittorio nella fase processuale
successiva).
In secondo luogo,
la norma é impugnata in quanto non prevede che il tribunale per i minorenni,
dopo avere provveduto in via di urgenza senza sentire genitori e minore
ultradodicenne, debba entro trenta giorni, a pena di decadenza, provvedere in
contraddittorio per confermare, modificare o revocare il provvedimento.
Ad avviso della
Corte rimettente, tale mancata previsione viola l’art. 3, primo comma, Cost.
(per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina del
procedimento di adottabilità di cui al citato art. 10 della legge n. 184 del
1983), e gli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost. (per
lesione dei diritti di difesa e del contraddittorio).
12. - Le due
questioni sono inammissibili.
Il giudice a
quo - pur dubitando che la disciplina del procedimento urgente in materia
di potestà genitoriale, di cui al terzo comma dell’art. 336 cod. civ., sia conforme ai parametri evocati - non ha valutato la
possibilità di dare della norma impugnata un’interpretazione idonea a porla al
riparo dai dubbi di legittimità costituzionale sottoposti al giudizio di questa
Corte. In particolare, non ha verificato se - come pure si é sostenuto in
giurisprudenza e in dottrina - il procedimento in esame, attesa la sua natura
<<cautelare>> rispetto a quello <<ordinario>> di cui al
secondo comma del medesimo art. 336 cod. civ., non
possa ritenersi assoggettato alla disciplina del procedimento cautelare
uniforme dettata dagli artt. 669-bis e ss. cod. proc. civ. (applicabile,
in quanto compatibile, a tutti i provvedimenti cautelari previsti dal codice
civile: art. 669-quaterdecies), con la conseguenza che anche il
provvedimento urgente previsto dalla norma impugnata dovrebbe ritenersi
regolato dal secondo e dal terzo comma dell’art. 669-sexies.
Il silenzio sul
punto dà luogo ad un difetto di motivazione dell’ordinanza.
13. - Sotto un
terzo profilo l’art. 336, terzo comma, cod. civ. é impugnato in quanto - non
prevedendo la nullità rilevabile d’ufficio del provvedimento temporaneo emanato
in difetto del presupposto dell’urgente necessità - consentirebbe al tribunale
per i minorenni di adottare provvedimenti temporanei senza sentire i genitori
ed il minorenne ultradodicenne, così violando l’art. 24, secondo comma, Cost.
(per il sacrificio del diritto di difesa dei soggetti che dovevano essere
sentiti), l’art. 111, primo e secondo comma, Cost. (per la lesione del diritto
di questi soggetti al giusto processo), e infine il diritto di ascolto del
minore, garantito dall’art. 9, comma 2, della citata Convenzione sui diritti
del fanciullo.
14. - La questione
- indipendentemente dalle implicazioni desumibili dai rilievi di cui al n. 12 -
é inammissibile, non ponendo un problema di legittimità costituzionale, ma di
mera interpretazione.
Infatti - poichè l’art. 336, terzo comma, cod. civ. prevede la
possibilità di adottare provvedimenti temporanei solo in caso di
<<urgente necessità>> - la questione se il difetto di tale
requisito comporti o meno nullità attiene all’interpretazione della norma
impugnata, alla luce dell’art. 156 cod. proc. civ., che spetta al giudice a
quo.
15. -
Il giudice
rimettente - premesso che tali procedimenti mirano alla risoluzione di
conflitti fra genitori esercenti la potestà e quindi incidono sulle loro
posizioni soggettive, aventi rango di veri e propri diritti, meritevoli di
tutela al pari di quelli del minore - ritiene che l’applicabilità del rito
camerale violi l’art. 111 Cost., in relazione al principio per cui il
<<giusto processo>> deve essere regolato dalla legge, per l’assenza
in quel rito di una precisa e puntuale disciplina dei poteri del giudice e
delle parti, cui non potrebbe ovviare un’interpretazione adeguatrice
ex art. 24 Cost., che lascerebbe aperta la via a prassi applicative
difformi per ogni ufficio giudiziario, onde il giudice del reclamo non potrebbe
nè sanzionare con la rimessione al primo giudice la
violazione in primo grado <<di regole di garanzia per la difesa>>, nè <<stabilire con certezza gli effetti della nullità
di singoli atti>>.
16.- La questione
é inammissibile.
Il giudice
rimettente - il quale afferma esplicitamente che la normativa impugnata non é
suscettibile di essere interpretata in senso conforme a Costituzione - non
motiva adeguatamente le ragioni di tale suo convincimento.
Quanto alle
eventuali prassi distorsive, esse si risolverebbero in errori cui rimedierebbe
in sede di reclamo il controllo dei provvedimenti emessi in prima istanza (come
del resto fa la stessa ordinanza per la prassi della secretazione delle
relazioni dei servizi sociali, riguardo alla quale esplicitamente individua la
norma che la vieta).
D’altro canto, la
tesi dell’impossibilità, per il giudice del reclamo, di sanzionare con la
rimessione del procedimento al primo giudice la violazione di regole poste a
garanzia del diritto di difesa verificatesi in primo grado, non considera che,
nell’ordinamento processuale civile, la rimessione al primo giudice é fenomeno
limitato ai casi previsti dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., onde
corrisponde ai principi che il giudice del reclamo, constatata una violazione
in prima istanza delle regole del contraddittorio o del diritto di difesa non
riconducibile ai casi di rimessione espressamente previsti, adotti una nuova
decisione rispettosa di quelle regole.
Infine, la tesi
dell’impossibilità per il giudice del reclamo di stabilire con certezza la
nullità di singoli atti postula un sistema di nullità degli atti del processo
civile necessariamente correlato a specifiche previsioni normative, e perciò
diverso da quello in vigore, così come risulta dal secondo e terzo comma
dell’art. 156 cod. proc. civ..
Dalla rilevata
insufficienza di motivazione discende l’inammissibilità della questione.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 739, secondo comma, e 136 e del combinato disposto degli artt. 739,
secondo comma, e 741 del codice di procedura civile, sollevate dalla Corte
d’appello di Torino, sezione per i minori, in riferimento agli artt. 2, 3,
primo comma, 24, secondo comma, 97, primo comma, e 111, secondo e sesto comma,
della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 336, secondo comma, del codice civile, sollevate dalla
Corte d’appello di Torino, sezione per i minorenni, in riferimento agli artt.
3, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 30, primo comma, 31, secondo
comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 336, terzo
comma, del codice civile, sollevate dalla Corte d’appello di Torino, sezione
per i minorenni, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma,
111, primo e secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in
epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 737, 738 e
739 del codice di procedura civile e 336 del codice civile, sollevata dalla
Corte d’appello di Genova, sezione per i minorenni, in riferimento all’art. 111
della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16
gennaio 2002.
Cesare RUPERTO,
Presidente
Franco BILE,
Redattore
Depositata in
Cancelleria il 30 gennaio 2002.