Sentenza n. 243/2001

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SENTENZA N. 243

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 271 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 16 giugno 2000 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di Contin Cristian ed altri, iscritta al n. 707 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di costituzione di Contin Cristian e di Contin Flavio ed altro nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2001 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Piero Longo per Contin Cristian, Alessio Morosin per Contin Flavio ed altro e l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso del procedimento penale a carico di Contin Cristian e altri, accusati – tra l’altro – del reato di associazione antinazionale (art. 271 cod. pen.), diretta a "distruggere o deprimere il sentimento nazionale inteso come coscienza dell’unità territoriale, sociale e politica dell’Italia", il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona, richiesto dal P.M. dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, ha promosso, in riferimento agli artt. 2, 18 e 21 della Costituzione, il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 271 del codice penale.

Ad avviso del rimettente, tale precetto violerebbe anzitutto l’art. 21 della Costituzione, poichè l’unico limite posto dalla Costituzione alla libera manifestazione del pensiero, quello del buon costume, non avrebbe alcuna attinenza al "sentimento nazionale".

Neppure sarebbe ipotizzabile un limite implicito alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) capace di dare fondamento alla fattispecie incriminatrice esaminata, soprattutto se di quest’ultima viene valutato il bene giuridico tutelato. Esso s’identifica con "il sentimento nazionale", vale a dire con il patriottismo, inteso come coscienza dell’unità territoriale, sociale e politica del Paese. Tale valore é stato già preso in considerazione dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 87 del 1966 che ha dichiarato illegittimo l’art. 272, secondo comma, del codice penale, il quale puniva le condotte di propaganda "per distruggere o deprimere il sentimento nazionale", un reato cioé assimilabile a quello per il quale si procede nell’odierno giudizio.

Tra la fattispecie dichiarata illegittima e quella oggetto del giudizio non vi sarebbero, secondo il rimettente, diversità tali da giustificare un diverso trattamento davanti alla giurisdizione costituzionale. Le due "attività" sarebbero dirette a perseguire le stesse finalità; inoltre, considerato che il fenomeno oggetto della censura posta dall’art. 271 copre un’area comportamentale più vasta, questo – per la parte eccedente l’area della libertà di espressione – ricadrebbe sotto altre censure penali presenti nell’ordinamento.

In conclusione, anche associazioni che si propongono la depressione o la distruzione del sentimento nazionale sarebbero lecite purchè non facciano ricorso, diretto o indiretto, alla violenza. Esse, allora, potrebbero dirsi formazioni sociali tutelabili ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.

2.— Si sono costituite, con memorie, le parti private Cristian, Flavio e Severino Contin, concludendo per l’accoglimento della questione sollevata.

Osservano gli imputati che, da tempo, la fattispecie penale non trova applicazione, ed essa é considerata – dalla dottrina – incompatibile con la Costituzione oppure tacitamente abrogata.

La norma finirebbe per punire con la sanzione penale solo un’opinione e una associazione, in violazione degli artt. 21 e 18 della Costituzione.

3.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione.

Premette l’Avvocatura che la questione é stata sollevata sulla base di un falso presupposto, costituito dall’erronea interpretazione della sentenza della Corte costituzionale n. 87 del 1966; la quale, al contrario di quanto ritenuto nell’ordinanza di rimessione, avrebbe riconosciuto meritevole di tutela il bene del "sentimento nazionale". Tale valore, infatti, avrebbe – secondo l’interventore – una sicura rilevanza costituzionale. Inoltre, la disciplina sanzionatoria stabilita dall’art. 271 del codice penale, con riferimento al limite del rispetto della legge penale stabilito, per la libertà di associazione, dall’art. 18 della Costituzione, non sarebbe affatto irragionevole nè priva di fondamento.

Considerato in diritto

1.— Viene all’esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell’art. 271 del codice penale, il quale punisce le condotte di promozione, costituzione, organizzazione e direzione delle associazioni che si propongono di svolgere o che svolgono attività dirette a distruggere o deprimere il sentimento nazionale, perchè se ne assume il contrasto con: a) l’art. 21 della Costituzione, in quanto l’unico limite posto dalla Costituzione alla libera manifestazione del pensiero, quello del buon costume, non avrebbe alcuna attinenza con il "sentimento nazionale", nè potrebbe identificarsi con la morale o la coscienza etica; b) l’art. 18 della Costituzione, perchè esso pone un limite alla libertà associativa con riferimento soltanto a quelle segrete o che perseguono scopi politici mediante organizzazioni militari, onde anche le associazioni che si propongono quale fine la depressione o la distruzione del sentimento nazionale sarebbero lecite purchè non facciano ricorso, diretto o indiretto, alla violenza; c) l’art. 2 della Costituzione, atteso che tali associazioni costituirebbero formazioni sociali ove si svolge la personalità del singolo.

2.— La questione é fondata.

3.— Il codice penale del 1930 aveva posto alcune fattispecie associative in diretta correlazione con i reati di propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale (in tal senso anche il paragrafo n. 127 della Relazione del Guardasigilli, che pone "in rispondenza" le due previsioni punitive). In particolare, appaiono chiari i collegamenti tra il primo comma dell’art. 272 e il delitto riguardante le associazioni sovversive (art. 270), nonchè tra il secondo comma della stessa disposizione e quello riguardante le associazioni antinazionali (art. 271), sia per l’identità delle espressioni usate nelle parallele figure delittuose, sia per le convergenti riflessioni dottrinarie sviluppatesi al riguardo. Esulano dalla tipicità del fatto descritto in dette disposizioni, e risultano quindi estranee al modello legale in esame, le condotte violente, diverse dalle attività di propaganda, anche se poste in essere per lo svolgimento di tali comportamenti.

Com’é noto, questa Corte, con la sentenza n. 87 del 1966, mentre ha respinto il dubbio di costituzionalità relativo al primo comma dell’art. 272 del codice penale (propaganda sovversiva), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma (propaganda antinazionale), sulla base della considerazione che "il sentimento nazionale" costituisce soltanto un dato spirituale che, sorgendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del pensiero e delle idealità, sicchè la relativa propaganda – non indirizzata a suscitare violente reazioni, nè rivolta a vilipendere la nazione o a compromettere i doveri che il cittadino ha verso la Patria, od a menomare altri beni costituzionalmente garantiti – non poteva essere vietata senza che si profilasse il contrasto con la libertà di cui all’articolo 21 della Costituzione.

4.— Va premesso che la presente questione non coinvolge il significato e la portata dei valori costituzionali della nazione e dell’unità nazionale (artt. 5, 9, 67, 87 e 98 Cost.), nè le forme di tutela che vi si possono riferire.

La questione invece concerne esclusivamente il dubbio sulla legittimità costituzionale dell’incriminazione della condotta sotto forma associativa, intesa a "distruggere o deprimere il sentimento nazionale".

Orbene, le considerazioni che hanno portato questa Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice della propaganda antinazionale (art. 272, secondo comma), forniscono sufficiente ragione per addivenire a pari conclusione – in relazione ai parametri costituzionali ora invocati – anche riguardo alla figura del reato, punito dalla norma qui denunziata che vieta le associazioni per l’attività, diretta sempre al fine di "distruggere o deprimere il sentimento nazionale".

Invero, se non é illecito penale che il singolo svolga opera di propaganda tesa a tale scopo – ove non trasmodi in violenza o in attività che violino altri beni costituzionalmente garantiti fino ad integrare altre figure criminose – non può costituire illecito neppure l’attività associativa volta a compiere ciò che é consentito all’individuo; così come é stabilito dall’art. 18 della Costituzione, che riconosce – nei limiti posti dal secondo comma – la libertà di associazione per i fini che non siano "… vietati ai singoli dalla legge penale".

La permanenza della norma censurata – essendo stata già espunta dall’ordinamento quella che considerava illecita la propaganda diretta all’identico fine perseguito perfino dalla totalità dei cittadini uti singuli – verrebbe ad incidere unicamente sulla libertà di associazione garantita dalla Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 271 (Associazioni antinazionali) del codice penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2001.