SENTENZA N. 229
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
-
Cesare RUPERTO, Presidente
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Fernando SANTOSUOSSO
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Massimo VARI
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Riccardo CHIEPPA
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Gustavo ZAGREBELSKY
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Valerio ONIDA
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Carlo MEZZANOTTE
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Fernanda CONTRI
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Piero Alberto CAPOTOSTI
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Annibale MARINI
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Franco BILE
-
Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia, riapprovata il 1° febbraio
2000 (Indennizzo forfetario spettante ai Coordinatori dei servizi sociali,
soppressione delle Comunità montane e modalità istruttorie delle domande di
agevolazione per le iniziative finanziate dal Fondo regionale per lo sviluppo
della montagna), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
ministri, notificato il 24 febbraio 2000, depositato in cancelleria il 3 marzo
2000 e iscritto al n. 9 del registro ricorsi 2000.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito
nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi l’avvocato
dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione
Friuli-Venezia Giulia.
1.
- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della delibera legislativa n. 86-ter (Indennizzo forfetario spettante ai Coordinatori dei servizi
sociali, soppressione delle Comunità montane e modalità istruttorie delle
domande di agevolazione per le iniziative finanziate dal Fondo regionale per lo
sviluppo della montagna), riapprovata dal Consiglio regionale del
Friuli-Venezia Giulia nella seduta del 1° febbraio 2000.
2.
- La disposizione impugnata prevede, al comma 1, che,
a partire dal 1° luglio 2000, le comunità montane disciplinate dalle vigenti
leggi regionali del Friuli-Venezia Giulia siano soppresse, e che le loro
funzioni vengano trasferite ad altri enti, che avrebbero dovuto essere
individuati con legge regionale da approvarsi entro il 29 febbraio 2000, la
quale avrebbe dovuto disciplinare anche i rapporti patrimoniali ed
economico-finanziari tra le comunità montane e gli enti interessati, oltre a
disporre l’assegnazione del personale. Al comma 2 si
prevede che il Presidente della giunta regionale, dietro deliberazione della
stessa, nomini un commissario liquidatore per ciascuna comunità montana, su
proposta dei sindaci dei comuni facenti parte delle rispettive comunità,
formulata in una assemblea appositamente convocata ai sensi del comma 3 dello
stesso articolo.
3.
- Il Governo lamenta la violazione, da parte dell’art. 2
della citata delibera legislativa: a)
degli artt. 4, 5, 6 e 59 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), come modificato dall’art.
5 della legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2 (Modifiche ed integrazioni
agli statuti speciali per la Valle d’Aosta, per la Sardegna, per il
Friuli-Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adige); b) degli artt. 5 e 128 della Costituzione; c) dell’art. 2 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni); d) dei principi di riforma
economico-sociale e delle norme fondamentali espressi dagli artt. 28 e 29 della
legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), come
modificati dall’art. 7 della legge 3 agosto 1999, n. 265 (Disposizioni in
materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla
legge 8 giugno 1990, n. 142).
3.1.
- Osserva il ricorrente che l’art. 5 della citata
legge costituzionale n. 2 del
Tale
potestà non si estenderebbe però fino a includere la
disciplina delle comunità montane, perché la suddetta disposizione deve essere
letta congiuntamente all’art. 58 (rectius, 59) e all’art. 5 dello statuto. La prima delle
norme richiamate, nell’elencare gli «enti locali», non indica le comunità
montane: la potestà legislativa di ordinamento degli enti locali, attribuita in
via esclusiva alla Regione, non comprenderebbe pertanto la disciplina degli
enti che non siano espressamente indicati. Inoltre, l’art. 5
dello statuto, nella elencazione delle materie nelle quali la Regione ha
potestà legislativa concorrente, fa riferimento a «Enti di carattere locale o
regionale» diversi dal comune e dalla provincia, e anche tale formulazione
porterebbe a escludere che la previsione dell’art. 4 sia da intendere come
comprensiva di tutti gli enti locali. Neppure – afferma il ricorrente –
potrebbe essere invocata a sostegno della scelta operata dal legislatore
regionale la definizione delle comunità montane, fornita dall’art. 28 della legge n. 142 del 1990, quali «enti locali ...
costituiti tra comuni», posto che tale legge non ha rango costituzionale.
La potestà di «ordinamento» degli enti locali, anche qualora fosse accolta un’interpretazione estensiva dell’art. 4 dello statuto, non potrebbe comunque spingersi sino ad ammettere la soppressione degli stessi, cosicché sarebbe ammissibile solo un intervento legislativo regionale inteso ad ampliare o a ridefinire le competenze della comunità montana.
3.2. - A differenza della disciplina delle province e dei comuni, attribuita in via esclusiva al legislatore regionale sulla base degli artt. 4 e 59 dello statuto, la regolamentazione delle comunità montane, non espressamente considerate in tali disposizioni, sarebbe ammessa – prosegue il ricorrente – solo nei limiti dell’art. 6 dello statuto (che conferisce alla Regione potestà legislativa integrativa ed attuativa, tra le altre, nelle materie «per le quali le leggi dello Stato attribuiscano alla Regione questa facoltà»), integrato nel caso di specie dalle previsioni dell’art. 28 della legge n. 142 del 1990, come modificato dall’art. 7 della legge n. 265 del 1999.
Gli
artt. 28 e 29 della legge di ordinamento delle
autonomie locali riconoscono infatti nella comunità montana un ente locale
dotato di autonomia, sia individuandola quale destinataria diretta di
«interventi speciali per la montagna» disposti dall’Unione europea e dalle
leggi statali, sia attribuendole la competenza ad indicare «gli strumenti
idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socio-economico» definiti
anche dall’Unione europea e dallo Stato, che concorrono finanziariamente alla
loro realizzazione; su tale quadro normativo è intervenuto l’art. 7 della legge
n. 265 del 1999 rafforzando, ad avviso del ricorrente, le comunità montane,
mediante l’attribuzione ad esse di funzioni proprie, distinte da quelle dei
comuni.
In
questo contesto alle regioni sarebbe riconosciuta dal
legislatore statale non la potestà di sopprimere tali enti bensì la competenza
a dettare per essi una disciplina positiva, mediante l’introduzione di regole
di dettaglio negli ambiti elencati al comma 4 dell’art. 28 (modalità di
approvazione dello statuto, procedure di concertazione, disciplina dei piani
zonali e dei programmi annuali, criteri di ripartizione tra le comunità montane
dei finanziamenti regionali e di quelli dell’Unione europea, ed infine rapporti
con gli altri enti operanti nel territorio), oltre a quelli diffusamente
richiamati negli altri commi dello stesso articolo.
Sia
la legge n. 142 del 1990 che la legge n. 265 del 1999, conclude
il ricorrente, conterrebbero una puntuale indicazione di principi relativi alla
istituzione ed alle funzioni delle comunità montane, principi ai quali la
potestà legislativa della Regione deve conformarsi, restando perciò escluso che
essa «possa sopprimere con disposizione generale tutte le comunità montane
operanti nel suo ambito territoriale».
4. - Si è costituita in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della giunta regionale, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
4.1.
- La difesa della Regione valuta in primo luogo la condizione che ritiene
preliminare rispetto alla definizione della questione di legittimità
costituzionale: l’ampiezza della potestà legislativa regionale in materia di
«ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», quale risulta dall’art. 4, numero 1-bis, dello statuto
speciale.
Sarebbero
prive di fondamento giuridico le affermazioni del
ricorrente, secondo le quali la potestà legislativa in tal modo conferita per
un verso non comprenderebbe le comunità montane, per l’altro – pur essendo
espressamente disposta da una fonte di rango costituzionale – vedrebbe definiti
i propri contenuti e i propri limiti ad opera di una legge ordinaria. Al
contrario, rileva la Regione, la potestà legislativa di cui all’art. 4, numero 1-bis,
dello statuto speciale, è da ritenersi «testualmente e chiaramente riferita a tutti
gli enti locali esistenti sul territorio regionale», per cui la prospettazione che si ricava dal ricorso statale sarebbe
«palesemente lesiva» dell’autonomia costituzionalmente garantita alla Regione
Friuli-Venezia Giulia.
Tale
tentativo di «sottovalutazione» della competenza legislativa regionale risulterebbe anche dal collegamento, proposto dal Governo,
tra il citato art. 4, numero 1-bis, e
gli artt. 5 e 59, disposizioni queste che risulterebbero estranee, per il loro
contenuto, alla questione di legittimità costituzionale.
4.2. - La Regione richiama poi la sentenza n. 415 del 1994 della Corte costituzionale, sostenendo che in essa è stata chiarita la portata innovativa della legge costituzionale n. 2 del 1993, la quale «disegna il quadro delle competenze delle regioni ad autonomia speciale in materia di enti locali», conferendo loro una potestà legislativa con «carattere di esclusività». La modifica dello statuto richiederebbe all’interprete una lettura del quadro normativo di riferimento tale da renderlo coerente con la disposizione (l’art. 4, numero 1-bis, dello statuto) che attribuisce alla Regione potestà legislativa esclusiva in materia.
Seguendo
tale linea interpretativa, la tesi della piena competenza legislativa risulterebbe confermata anche dal decreto legislativo n. 9
del 1997 che, imponendo alla Regione il rispetto degli artt. 5 e 128 della
Costituzione, rende «identica» la potestà legislativa regionale in materia di
ordinamento degli enti locali a quella del legislatore statale, in quanto
entrambe sarebbero assoggettate ai medesimi vincoli e principi, stabiliti a
livello costituzionale.
Ad
analoghe conclusioni condurrebbe l’esame comparativo delle disposizioni in
materia contenute negli altri statuti speciali, considerato
che la legge costituzionale n. 2 del 1993 – nell’interpretazione fornita
dalla Corte costituzionale – privilegia il criterio di maggiore ampiezza delle
attribuzioni e di sostanziale uniformità di disciplina nelle regioni a statuto
speciale.
4.3.
- La Regione resistente ritiene inoltre non condivisibile la prospettazione, svolta dal Governo, dell’esistenza di
vincoli alla potestà legislativa regionale derivanti dalla legislazione statale
in materia di enti locali, che conterrebbe norme fondamentali e principi di
riforma economico-sociale relativi anche alle comunità montane. Queste, al
contrario, non sono in alcun modo previste né disciplinate dalla Costituzione,
trovando una definizione espressa solo agli artt. 28 e
29 della legge n. 142 del 1990: si tratta perciò di enti non obbligatori, la
cui esistenza non può essere ricondotta né ad un principio generale
dell’ordinamento giuridico né a norme fondamentali di riforma
economico-sociale.
Pertanto la Regione Friuli-Venezia Giulia, nell’esercizio della potestà di ordinamento degli enti locali, sarebbe vincolata unicamente dalla tipologia espressamente prevista dalla Costituzione (art. 114); inoltre la stessa legislazione statale che ad avviso del ricorrente porrebbe norme di principio inderogabili dalla legislazione regionale, indica, come forme necessarie di ordinamento delle comunità locali, soltanto i comuni e le province (art. 2 della legge n. 142 del 1990): le comunità montane sarebbero perciò soltanto un «possibile strumento ordinamentale ed organizzativo per la valorizzazione delle zone montane». Neppure sarebbe possibile ricavare dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), un argomento nel senso della necessità dell’istituto in esame, ove si consideri che questa legge (all’art. 1) richiama le comunità montane in un contesto di generica definizione dell’ente locale.
A
sostegno delle proprie argomentazioni, la difesa della Regione richiama l’art. 2 del decreto legislativo n. 9 del 1997, che attribuirebbe
alle regioni il più ampio potere di allocare le funzioni pubbliche agli enti
locali nel territorio regionale, mentre l’analogo potere riservato allo Stato
(art. 4) avrebbe carattere eccezionale, perché risponderebbe a interessi
nazionali e dunque non potrebbe «che riguardare enti locali “obbligatori e
necessari” dell’ordinamento della Repubblica».
I
richiami contenuti nel ricorso a disposizioni dello statuto sarebbero perciò
impropri, dovendosi leggere, interpretare ed applicare
tali disposizioni alla luce della sostanziale modifica introdotta dalla legge
costituzionale n. 2 del
4.4.
- Sarebbero inoltre infondate le argomentazioni poste dal ricorrente a sostegno
della natura obbligatoria delle comunità montane. La legge n. 265 del 1999,
modificando l’art. 28, comma 3, della legge n. 142 del
1990, ne avrebbe infatti delegificato l’istituzione, prevedendo una riserva di
legge regionale solo per l’individuazione degli ambiti e delle zone omogenee;
la stessa esistenza delle comunità montane sarebbe divenuta meramente
eventuale, poiché la citata legge (art. 28, comma 6) consente la fusione dei
comuni montani il cui territorio coincide con quello di una comunità montana,
prevedendo in tal caso lo scioglimento della comunità contestualmente
all’istituzione del nuovo comune e l’assegnazione a quest’ultimo delle funzioni
e delle risorse attribuite alla comunità montana in base a norme dell’Unione
europea, statali e regionali. In definitiva, la valorizzazione dei territori
montani perseguita dall’art. 7 della legge n. 265 del
1999 non si traduce affatto, secondo la Regione, nella obbligatorietà della
comunità montana.
Neppure
varrebbe, a dimostrare la natura obbligatoria di tali istituti, la circostanza
che di essi si avvalgono lo Stato e l’Unione europea per il perseguimento di
obiettivi di sviluppo socio-economico o per la realizzazione di programmi di intervento: sarebbe «del tutto pacifico ed
incontestabile» che il raggiungimento di tali obiettivi non è ostacolato in
ambito regionale dall’inesistenza delle comunità montane. Lo stesso art. 28, comma 3, nella parte in cui dispone il trasferimento
delle funzioni e delle risorse dalla disciolta comunità montana al comune
istituito per fusione, non esclude che lo Stato e l’Unione europea possano
avvalersi di altri soggetti, al pari di quanto avviene attualmente per le
comunità montane.
5. - In
prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una
memoria nella quale rileva che non risulta essere
stata approvata nel termine previsto dalla delibera impugnata (29 febbraio 2000)
la legge regionale che avrebbe dovuto indicare gli enti destinatari delle
funzioni delle comunità montane, né risulta «che la Regione abbia sinora ridisciplinato organicamente la materia». La legge
impugnata, determinando una successione nel tempo tra la soppressione delle
comunità montane e il trasferimento ad altri enti delle loro funzioni,
produrrebbe incertezze riguardo alla normativa applicabile e l’eventualità di
un blocco dell’attività amministrativa: la proposizione del ricorso da parte
del Governo avrebbe «in pratica, evitato una pregiudizievole prolungata
incertezza e precarie gestioni commissariali».
6.
- Anche la Regione ha depositato una memoria illustrativa, nella quale ribadisce le considerazioni svolte nell’atto di
costituzione, in particolar modo soffermandosi sull’inesistenza di un principio
di riforma economico-sociale che, vincolando la potestà legislativa regionale,
imponga la necessaria istituzione delle comunità montane.
1. – Il
Presidente del Consiglio dei ministri ricorre contro l’art. 2
della delibera legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvata il 29
luglio 1999 e riapprovata dal Consiglio regionale sul rinvio del Governo il 1°
febbraio 2000 (Indennizzo forfetario spettante ai Coordinatori dei servizi
sociali, soppressione delle Comunità montane e modalità istruttorie delle
domande di agevolazione per le iniziative finanziate dal Fondo regionale per lo
sviluppo della montagna).
L’impugnato art. 2 dispone, al comma 1, che «le Comunità montane della Regione previste dalle attuali leggi regionali sono soppresse, con decorrenza dall’1 luglio 2000. Le relative funzioni saranno trasferite agli Enti individuati con successiva legge regionale da approvarsi entro il 29 febbraio 2000, la quale provvederà anche a disciplinare i rapporti patrimoniali ed economico-finanziari tra le Comunità montane e gli Enti interessati, nonché l’assegnazione del personale». Nei successivi commi 2 e 3 dello stesso articolo si prevede la nomina di un commissario liquidatore per ciascuna comunità montana e si disciplinano le procedure relative.
Ad
avviso del ricorrente, la norma impugnata contrasterebbe con gli artt. 4, 5, 6 e 59 dello statuto speciale della Regione (legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1; modificato dall’art. 5 della legge
costituzionale 23 settembre 1993, n. 2); con gli artt. 5 e 128 della
Costituzione; con l’art. 2 del decreto legislativo di attuazione 2 gennaio
1997, n. 9, e con i principi di riforma economico-sociale e con le norme
fondamentali contenuti negli artt. 28 (come sostituito dall’art. 7 della legge
3 agosto 1999, n. 265) e 29 della legge 8 giugno 1990, n. 142 [ora artt. 27 e
28 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali)].
2. – La questione non è fondata.
2.1.
– L’art. 4, numero 1-bis, dello statuto speciale prevede la competenza legislativa della
Regione in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative
circoscrizioni», da esercitarsi, secondo l’incipit
del medesimo articolo, «in armonia con la Costituzione, con i principi
generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, con le norme fondamentali
delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato,
nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni».
Il numero 1-bis
dell’art. 4 è stato introdotto dall’art. 5 della legge
costituzionale n. 2 del 1993 (Modifiche ed integrazioni degli statuti speciali
per la Valle d’Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e per il
Trentino-Alto Adige), una legge che «disegna il quadro delle competenze delle
regioni ad autonomia speciale (eccezione fatta per la Sicilia) in materia di
enti locali, privilegiando il criterio di maggiore ampiezza e di sostanziale
uniformità laddove era in precedenza vigente una disciplina piuttosto riduttiva
ed eterogenea» (sentenza
n. 415 del 1994). Da tale legge, «la competenza delle regioni a statuto
speciale in materia di ordinamento di enti locali acquista il carattere di esclusività e viene ad essere definita con formula identica
in tutti gli statuti speciali», con ciò rimuovendo, secondo una delle finalità
dell’intervento del legislatore costituzionale, «l’originaria diversità di
regime giuridico delle regioni ad autonomia speciale in materia di enti locali»
(citata sentenza
n. 415 del 1994): affermazione che abbraccia tutte le regioni ad autonomia
speciale e che si comprende considerando che la Regione siciliana già era
dotata di una «competenza esclusiva» nella stessa materia, a norma dell’art.
15, terzo comma, dello statuto, pur con le particolarità derivanti dalla
disciplina delle «province siciliane», configurate come liberi consorzi
comunali.
In attuazione della nuova previsione statutaria, dopo
e in conseguenza dell’innovazione introdotta con la legge costituzionale n. 2
del 1993, è stato emanato il decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni).
L’art. 2 di tale decreto stabilisce che «la regione,
nel rispetto degli articoli 5 e 128 della Costituzione, nonché dell’articolo 4
dello statuto di autonomia, fissa i principi dell’ordinamento locale e ne
determina le funzioni, per favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli
enti locali».
Secondo la più recente disciplina in materia [art. 28 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)], le comunità montane
sono «unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani». Esse
rappresentano un caso speciale di «unioni di comuni» (art. 32
del decreto legislativo n. 267 del 2000), create in vista della valorizzazione
delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto
non consentirebbe la frammentazione dei comuni montani, «funzioni proprie»,
«funzioni conferite» e funzioni comunali. Nella successione della disciplina
legislativa in materia, è rimasta ferma l’originaria configurazione delle
comunità montane quali enti locali, proiezioni dei comuni che a esse fanno
capo, già risultante, nell’essenziale, dall’art. 4 della
legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (Nuove norme per lo sviluppo della montagna),
confermata e precisata dalla legislazione successiva, in particolare dall’art.
28 della legge n. 142 del 1990, nella sua versione originaria e in quella
modificata dalla legge n. 265 del 1999 (Disposizioni in materia di autonomia e
ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n.
142).
Da questa loro configurazione deriva un duplice
corollario. In primo luogo, le comunità montane entrano nel novero degli «enti
locali», precisamente quali «altri enti locali» a norma degli artt. 118, primo
e terzo comma, e 130, primo comma, della Costituzione.
Esse, secondo la legislazione statale, insieme ai comuni e alle province sono
destinatarie della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative che
non ne richiedono l’esercizio a livello regionale (art. 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112) e
contribuiscono a comporre il sistema delle autonomie sub-regionali, pur senza
assurgere a enti costituzionalmente o statutariamente necessari, quali sono -
secondo gli artt. 114 e 128 della Costituzione e 59, primo comma, dello statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia – soltanto le province e i comuni.
In secondo luogo, «enti locali» di tale natura, costituiti a
partire dalle autonomie comunali per l’esercizio di funzioni comuni,
costituiscono essi stessi strumenti organizzativi del sistema delle autonomie
locali. Onde, in breve, si può dire trattarsi di «ordinamento» di enti locali
tramite enti locali.
Data dunque questa qualificazione delle comunità
montane, la potestà legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia
non deve ritenersi fondata né sull’art. 27 del decreto
legislativo n. 267 del 2000 - disposizione che prevede la disciplina
legislativa regionale su diversi aspetti particolari di organizzazione delle
comunità stesse ma che, anche per l’espressa previsione dell’art. 1, comma 2,
del medesimo decreto legislativo, non si applica alle regioni a statuto
speciale, se incompatibile con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle
relative norme di attuazione – nè sull’art. 6, numero
3), dello statuto – norma che attribuisce alla Regione la facoltà di adeguare
alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica,
tramite norme di integrazione e di attuazione nelle materie indicate da queste
ultime leggi – bensì direttamente sull’art. 4, numero 1-bis, dello statuto speciale il quale per l’appunto indica, tra le
competenze legislative «esclusive» della Regione, l’«ordinamento degli enti
locali».
2.2. – Priva di pregio è l’argomentazione del
ricorrente che, dal citato art. 59 dello statuto («Le
Province ed i Comuni della Regione sono enti autonomi»), vorrebbe inferire una
ricostruzione restrittiva della competenza legislativa regionale indicata
nell’art. 4, numero 1-bis, dello
statuto stesso, tale da escludere dagli «enti locali» ivi menzionati tutti gli
enti diversi dalle province e dai comuni, cioè, per quanto riguarda la presente
questione di costituzionalità, le comunità montane. Con questa
affermazione viene ignorata non solo la natura di tali comunità ma anche
l’esistenza, tanto nelle regioni ad autonomia comune quanto in quelle a statuto
speciale, accanto agli enti locali costituzionalmente necessari, di enti
costituzionalmente non necessari, ma non per questo da escludersi dalla
categoria degli enti locali. Al che si potrebbe aggiungere la stranezza di un
ente - la comunità montana - che, se istituito fuori della Regione
Friuli-Venezia Giulia, è «ente locale» (art. 27, comma 1,
del decreto legislativo n. 267 del 2000, già citato) ma non lo sarebbe se
istituito entro la Regione medesima. Una tanto arbitraria distribuzione di
qualificazioni farebbe torto alla ragionevolezza di qualunque sistema giuridico.
E’ poi da escludere ogni valore probante, nel senso
dell’inesistenza di una competenza legislativa primaria relativamente
alle comunità montane, all’accenno che il ricorrente fa alla competenza
legislativa di cui all’art. 5, numero 8), dello statuto: competenza non
esclusiva ma ripartita, tale da incontrare perciò, oltre ai limiti generali
previsti dall’art. 4, anche quello dei principi fondamentali stabiliti dalle
leggi dello Stato nelle singole materie. La stessa dizione statutaria («Enti
aventi carattere locale o regionale per i finanziamenti delle attività
economiche nella Regione», e non – secondo la formula, erronea per
incompletezza, riportata nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri:
«ordinamento degli Enti aventi carattere locale o regionale») dimostra, senza
necessità di spiegazione alcuna, la non pertinenza della disposizione alla
materia degli enti locali attribuita alla competenza legislativa esclusiva
della Regione dall’art. 4, numero 1-bis, del suo statuto.
3. – Così chiarita la riconducibilità della materia in
esame all’«ordinamento degli enti locali» di cui all’art. 4,
numero 1-bis, dello statuto speciale,
si tratta di valutare ora la disposizione oggetto del ricorso del Presidente del
Consiglio dei ministri dal punto di vista dei limiti che l’esercizio della
competenza legislativa della Regione incontra in tale materia: limiti
consistenti in quelli che l’art. 4 dello statuto di autonomia prevede per
l’esercizio della potestà legislativa regionale «primaria» e che il già
ricordato decreto legislativo n. 9 del 1997, emanato in conseguenza e
attuazione dell’anzidetto numero 1-bis
dell’art. 4, richiama in generale, indicando altresì specificamente il rispetto
degli artt. 5 e 128 della Costituzione.
Circa la posizione della regione nel sistema delle
autonomie territoriali, si deve innanzitutto riaffermare, anche in riferimento alle regioni ad autonomia speciale, tanto più
dopo la riforma operata dalla legge costituzionale n. 2 del 1993, ciò che
questa Corte ebbe a riconoscere, in sintesi generale, quanto alle regioni a
statuto ordinario: avere l’ordinamento vigente provveduto, attraverso una serie
di interventi legislativi in attuazione dell’art. 5 e della IX disposizione
transitoria e finale della Costituzione, ad assicurare gli strumenti di un
organico raccordo funzionale tra gli enti locali e tra questi e la regione,
necessari in presenza dell’espansione dei poteri di autonomia riconosciuti agli
enti locali infraregionali, e avere configurato la
regione stessa come «centro propulsore e di coordinamento dell’intero sistema
delle autonomie locali» (sentenza n. 343 del
1991). Tale ruolo, relativamente alle regioni ad
autonomia ordinaria, risultava, in particolare, dall’art. 3 della legge n. 142
del 1990 e risulta oggi dall’art. 4 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
relativamente alle regioni ad autonomia speciale, esso è implicito nella loro
attuale competenza in materia di ordinamento degli enti locali.
In questa prospettiva, non può essere negato alla
Regione Friuli-Venezia Giulia, nell’esercizio della sua potestà legislativa
esclusiva di «ordinamento degli enti locali», il potere di valutare le esigenze
di coordinamento e di esercizio integrato delle funzioni degli
enti locali e di prevedere, se del caso, gli strumenti congruenti allo scopo,
compresa tra questi l’istituzione di altri enti locali non necessari, quali
sono per l’appunto le comunità montane, proiezioni organizzative e funzionali
degli enti locali necessari. E, naturalmente, tale valutazione comporta, come
aspetto complementare del medesimo potere di apprezzamento, il potere di
sopprimere quegli stessi enti, una volta ritenuta l’inutilità
della loro sopravvivenza, ai fini per i quali siano stati istituiti.
Tale potere, peraltro, non è assoluto, l’esercizio
della potestà legislativa regionale esclusiva dovendo essere, tra l’altro, «in
armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico
della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali».
Tanto la concreta istituzione quanto la soppressione
delle comunità montane comportano un’intromissione
nell’originaria autonomia organizzativa e funzionale dei comuni interessati,
autonomia che è garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione non solo nei
confronti dello Stato e delle regioni ad autonomia ordinaria, ma altresì nei
confronti delle regioni ad autonomia speciale (e infatti, a tali articoli della
Costituzione fa ovvio riferimento anche il citato decreto legislativo n. 9 del
1997). Il coordinamento tra la competenza regionale esclusiva in materia di
ordinamento degli enti locali e l’originaria posizione costituzionale di
autonomia di questi ultimi comporta – analogamente a quanto questa Corte già
ebbe a statuire nella sentenza n. 83 del
1997, in riferimento a competenze comunali aventi
diretto fondamento nell’art. 128 della Costituzione – che le determinazioni
regionali relative alla creazione o alla soppressione delle comunità montane,
per le conseguenze concrete che ne derivano sul modo di organizzarsi e sul modo
di esercitarsi dell’autonomia comunale, debbano necessariamente coinvolgere gli
stessi comuni interessati, con modalità che la legge regionale deve prevedere
per assicurare la necessaria efficacia della partecipazione comunale.
Dell’anzidetto principio di coinvolgimento degli enti
locali infraregionali nelle determinazioni regionali
«di ordinamento» sono espressione tanto l’art. 3 del
decreto legislativo n. 112 del 1998, quanto l’art. 4 del decreto legislativo n.
267 del 2000. Nel prevedere che le regioni ad autonomia ordinaria adottino la
legge di allocazione delle funzioni tra i diversi livelli del governo locale e
regionale, anche di natura associativa, il legislatore nazionale ha stabilito
che le regioni stesse istituiscano strumenti e procedure di raccordo e
concertazione, anche permanenti, con gli enti locali (commi 2
e 5 dell’art. 3 del decreto legislativo n. 112). Sia questo un principio
generale dell’ordinamento o una diretta conseguenza dei principi risultanti
dagli artt. 5 e 128 della Costituzione, ovvero l’una e
l’altra cosa, la conseguenza comunque è che tale principio vale anche nei
confronti delle determinazioni in materia di soppressione delle comunità
montane assunte dalle regioni ad autonomia speciale, nell’esercizio della loro
competenza in materia di ordinamento degli enti locali.
In sintesi: alla Regione
Friuli-Venezia Giulia il potere di (istituire o) sopprimere le comunità
montane; ai comuni interessati, l’effettiva
partecipazione all’esercizio di tale potere.
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
invece che la soppressione delle comunità montane sia, come tale, vietata dagli artt. 28 (come sostituito dall’art. 7 della
legge n. 265 del 1999) e 29 della legge n. 142 del 1990 (ora, artt. 27 e 28 del
decreto legislativo n. 267 del 2000), dai quali si dovrebbe trarre un principio
generale dell’ordinamento, o una norma fondamentale di riforma
economico-sociale, che fisserebbe le comunità montane come elementi costitutivi
necessari dell’«ordinamento degli enti locali». Tanto più - si aggiunge - in quanto le comunità montane sono chiamate a perseguire gli
obbiettivi e ad attuare gli interventi speciali per la montagna stabiliti
dall’Unione europea e dalle leggi statali (art. 28 del decreto legislativo n.
267 del 2000). L’art. 7 della legge n. 265 del 1999
(ora confluito nell’art. 27 del decreto legislativo n. 267 del 2000),
prevedendo poi l’esistenza di funzioni proprie delle comunità montane, accanto
a quelle loro «conferite», e attribuendo alla legge regionale solo compiti
limitati di disciplina organizzativa, confermerebbe, con la natura necessaria
di tali enti, l’inesistenza di un potere regionale rivolto alla loro
soppressione.
Ma entrambe
queste prospettazioni non possono essere accolte.
Innanzitutto - richiamata la natura di ente non
costituzionalmente necessario della comunità montana e la riserva di competenza
esistente a favore della potestà legislativa delle regioni ad autonomia
speciale, anche in forza dell’espressa disposizione dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del
Quanto alla pretesa di far derivare il divieto di
soppressione delle comunità montane dall’indefettibilità delle funzioni
necessarie all’attuazione dei programmi e al perseguimento degli obbiettivi di sviluppo delle zone montane stabiliti da atti
dell’Unione europea e da leggi dello Stato (art. 28 del decreto legislativo n.
267 del 2000), conformemente alla norma di programma contenuta nell’art. 44,
secondo comma, della Costituzione, basta rilevare in contrario che le comunità
montane sono soltanto uno dei possibili strumenti organizzativi, previsti
nell’ambito del sistema dei poteri locali. Tali funzioni, di per sé, bene
possono essere allocate altrimenti, in base alle particolarità delle situazioni
locali, apprezzate dal legislatore regionale nell’esercizio discrezionale del
suo potere legislativo in tema di «ordinamento degli enti locali», senza che da
ciò l’esercizio di tali funzioni possa dirsi compromesso.
5. – Non può infine trovare ingresso nel presente
giudizio, in quanto non dedotta nel ricorso ma
introdotta successivamente a esso, la censura mossa allo stesso art. 2 della
delibera legislativa, nella parte in cui prevede una successione temporale tra
la soppressione delle comunità montane (prevista con decorrenza 1° luglio 2000)
e il trasferimento ad altri enti delle loro funzioni (a opera di una legge
regionale da approvarsi entro il 29 febbraio 2000), successione nella quale,
per la possibile inottemperanza a tale ultimo termine, può inserirsi uno iato,
foriero di incertezze normative, se non anche di paralisi amministrativa.
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2 della delibera legislativa della Regione
Friuli-Venezia Giulia approvata il 29 luglio 1999 e riapprovata il 1° febbraio
2000 (Indennizzo forfetario spettante ai Coordinatori dei servizi sociali,
soppressione delle Comunità montane e modalità istruttorie delle domande di
agevolazione per le iniziative finanziate dal Fondo regionale per lo sviluppo
della montagna), sollevata, in riferimento agli artt. 5 e 128 della
Costituzione e agli artt. 4, 5, 6 e 59 della legge costituzionale 31 gennaio
1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
Cesare
RUPERTO, Presidente
Gustavo
ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata
in Cancelleria il 6 luglio 2001.