Sentenza n. 281/2000

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SENTENZA N. 281

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), promosso con ordinanza emessa il 5 settembre 1998 dal Pretore di Biella nel procedimento civile vertente tra Cavaglià s.r.l. e la Provincia di Biella, iscritta al n. 785 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visti l'atto di costituzione della Cavaglià s.r.l. nonché l'atto di intervento della Regione Piemonte;

udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l'avvocato Raffaele Izzo per la Cavaglià s.r.l. e l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Piemonte.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Investito dell’opposizione avverso la sanzione pecuniaria inflitta ad una società esercente attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Piemonte per avere conferito nei propri impianti rifiuti speciali prodotti al di fuori di quella regione, il Pretore di Biella, con ordinanza del 5 settembre 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), in riferimento agli articoli 3, 11, 32, 41, 117 e 120 della Costituzione.

Secondo il Pretore, la disposizione regionale, che pone il divieto di smaltire, “presso le discariche per rifiuti speciali e speciali tossici e nocivi operanti o individuate sul territorio piemontese”, rifiuti di ogni tipologia provenienti da altre regioni, viola una serie di principi fondamentali della legislazione statale, fissati nel loro insieme, in attuazione della normativa comunitaria, dagli articoli 5, 11, 18 e 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio). In particolare, secondo il rimettente, sarebbero violati i principi secondo cui lo smaltimento dei rifiuti deve essere realizzato attraverso un sistema di impianti integrato a livello nazionale e deve avvenire nell’impianto appropriato più vicino al luogo della loro produzione, il quale, come rileva il Pretore di Biella, potrebbe trovarsi in una regione diversa da quella nella quale i rifiuti risultano prodotti. Sarebbe altresì violato il principio, posto espressamente dall’art. 5, lettera a) del d. lgs. n. 22 del 1997, secondo cui l’obbiettivo della autosufficienza dello smaltimento “in ambiti territoriali ottimali”, e comunque all’interno della stessa regione di produzione, è limitato ai soli “rifiuti urbani non pericolosi”, mentre la norma regionale, secondo il Pretore, prevede un divieto “totale e assoluto”.

Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma regionale, in quanto comporta un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Piemonte rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione e violerebbe anche l’art. 11, poiché i principi fondamentali della legislazione statale con cui essa sarebbe in contrasto, costituiscono il frutto del recepimento nell’ordinamento interno di normative comunitarie. Il rimettente considera ancora che, a causa del danno alla salute derivante dalla inosservanza del principio di prossimità nello smaltimento, sarebbe vulnerato anche l’art. 32 della Carta fondamentale, nonché gli articoli 41 e 120 in ragione dei “limiti ed impedimenti all’esplicarsi di una attività economica”, posti indebitamente dalla disposizione impugnata.

2. ¾ E’ intervenuta la Regione Piemonte, in persona del suo Presidente, chiedendo che la questione di costituzionalità sia dichiarata manifestamente infondata.

La Regione osserva che la direttiva comunitaria 91/156/CEE prevede l’adozione da parte degli Stati membri di programmi di gestione di rifiuti che ne limitino i movimenti e che la norma regionale non può considerarsi incostituzionale proprio perché “il fine di ridurre il movimento dei rifiuti ben può essere raggiunto imponendo il divieto di smaltimento di rifiuti provenienti da altre Regioni”, in applicazione dei principi di autosufficienza e di prossimità nella fase di smaltimento.

La difesa della Regione considera inoltre che l’art. 22 del decreto legislativo n. 22 del 1997 attribuisce alla competenza regionale la pianificazione e la programmazione degli impianti di smaltimento per i rifiuti speciali e pericolosi, e che queste competenze sarebbero vanificate dall’ingresso in regione di rifiuti di provenienza extraregionale. Né vi sarebbe compressione irragionevole della libertà di iniziativa economica in quanto la norma opererebbe un adeguato bilanciamento fra l’interesse privato e quello della collettività alla tutela dell’ambiente e della salute.

In una memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ricorda che la giurisprudenza comunitaria ha stabilito il principio secondo cui “spetta a ciascuna regione, comune o altro ente locale adottare le misure adeguate al fine di garantire l’accoglimento, il trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti”, e considera che la Corte, con la decisione n. 196 del 1998, ha ritenuto infondata una analoga questione di costituzionalità. Secondo la difesa della Regione, per quanto attiene ai principi della prossimità e dell’autosufficienza nello smaltimento, non può farsi alcuna distinzione fra rifiuti pericolosi e non pericolosi, in primo luogo perché gli articoli 11 e 26 dello stesso decreto legislativo n. 22 del 1997 – richiamati dal giudice a quo proprio per dimostrare la necessità di una gestione dei rifiuti pericolosi integrata a livello nazionale e non a livello regionale– sono disposizioni che incidono invece sull’intera tipologia dei rifiuti; in secondo luogo perché “non può essere adottato un regime meno rigoroso per sostanze con maggiori potenzialità lesive, delle quali per ragioni di sicurezza occorre limitare, e non certo favorire i trasferimenti”.

3. ¾ Si è costituita in giudizio la Società Cavaglià, ricorrente nel giudizio principale, chiedendo l’accoglimento della questione di costituzionalità.

La parte privata considera che la norma impugnata riguarda i rifiuti speciali ed i rifiuti pericolosi, e che la circostanza vale a differenziare il caso di specie da quello deciso dalla Corte con la sentenza n. 196 del 1998. A suo avviso, il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale - che “costituisce la tipica applicazione del principio di autosufficienza, astratto dal principio di prossimità” e viene ragionevolmente limitato dall’art. 5 del decreto legislativo n. 22 del 1997 ai soli rifiuti urbani non pericolosi - è invece del tutto illogico in materia di rifiuti speciali e pericolosi, le cui qualità e quantità non sarebbero prevedibili, e rispetto ai quali “dato il grado di specializzazione necessaria, non è concepibile una rete di impianti di smaltimento così capillare e diffusa come per i rifiuti urbani”. Poiché per queste tipologie di rifiuti il principio di autosufficienza andrebbe quindi contemperato con quello di prossimità, la norma regionale sarebbe - oltre che in contrasto con i principi della disciplina statale e comunitaria - anche irragionevole a causa dell’assoluta prevalenza data al principio di autosufficienza.

In una memoria presentata in prossimità della pubblica udienza, la società costituita sottolinea in particolare che nel regolamento 259/93/CEE le limitazioni alla circolazione dei rifiuti sono inserite nel titolo II, relativo alle “spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità”, restando quindi “esclusi i trasferimenti di rifiuti all’interno degli Stati membri”. Inoltre considera che il divieto contenuto nella norma impugnata potrebbe avere come conseguenza un aumento anziché una diminuzione della circolazione dei rifiuti, e neanche terrebbe conto del principio comunitario che deroga rispetto ai rifiuti pericolosi il principio dell’autosufficienza. Ne conseguirebbe, secondo la parte privata, la lesione di quegli stessi valori ambientali che la norma vorrebbe proteggere, per la possibilità che non tutte le regioni dispongano di impianti attrezzati per smaltire qualunque tipo di rifiuti speciali o pericolosi.

Considerato in diritto

1. ¾ La questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, concerne l'art. 18, comma 1, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59, che stabilisce che presso le discariche per i rifiuti speciali "tossici e nocivi" (attualmente denominati "pericolosi") della Regione è vietato smaltire i rifiuti di qualunque tipologia provenienti da altre Regioni.

Tale norma, secondo il giudice rimettente, contrasterebbe innanzi tutto con l'art. 117 della Costituzione per la violazione dei principi fondamentali della legislazione statale fissati, in attuazione della normativa comunitaria, dagli artt. 5, 11, 18 e 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, i quali prescrivono che lo smaltimento dei rifiuti, realizzato attraverso un sistema integrato, deve avvenire in uno degli impianti appropriati più vicini.

La stessa norma, inoltre, secondo il giudice a quo, entrerebbe in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione per lo sfavorevole trattamento imposto alle imprese esercenti attività di smaltimento nella Regione Piemonte; con l'art. 11, in quanto la violazione dei principi fondamentali della legislazione statale attuativa della normativa comunitaria si risolverebbe anche in una lesione di questa ultima; con l'art. 32, per il danno alla salute che potrebbe derivare dalla inosservanza del principio della "prossimità" nello smaltimento, ed infine con gli artt. 41 e 120 per i "limiti ed impedimenti all'esplicarsi di un'attività economica" determinati appunto dalla norma regionale censurata.

2. ¾ La questione è fondata.

La disposizione regionale censurata va esaminata alla luce di un complesso quadro normativo, che si incentra, in particolare, sul decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che disciplina la "gestione dei rifiuti" mediante norme che si autoqualificano principi fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, nonché "norme di riforma economico-sociale" nei confronti delle regioni a statuto speciale.

Questa Corte ha già individuato (sentenza n. 196 del 1998) nel decreto n. 22 del 1997, in relazione alla questione del divieto di smaltimento dei rifiuti extraregionali, il principio della necessità di una pianificazione che realizzi, attraverso una rete integrata ed adeguata di impianti, idonea a "ridurre i movimenti" dei rifiuti, "l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi" in ambiti territoriali ottimali, che ordinariamente coincidono con quelli delle province della regione di produzione. Il principio dell'autosufficienza è oggi del tutto pacifico rispetto alla medesima tesi accolta nella indicata sentenza n. 196 del 1998, in quanto è ormai divenuto pienamente applicabile l'art. 5, comma 5, che appunto stabilisce che "dal 1° gennaio 1999 è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti".

Alla luce del criterio dell'autosufficienza, così interpretato, e considerando altresì che i piani regionali debbono anche prevedere fabbisogni ed impianti necessari ad assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno dei predetti ambiti territoriali ottimali (art. 22, comma 3, lettere b e c), il divieto di smaltimento dei rifiuti extraregionali appare dunque sicuramente applicabile a quelli urbani non pericolosi, mentre per altre tipologie di rifiuti il problema è più complesso. A questo proposito, va, innanzi tutto, rilevato che secondo lo stesso decreto n. 22 -come, del resto, anche secondo il previgente d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive CEE n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi)- la gestione dei rifiuti deve essere disciplinata in modo che, da un lato, sia assicurata un'elevata protezione dell'ambiente e anche della salute pubblica, tenendo conto, in particolare, della "specificità dei rifiuti pericolosi" (art. 2, comma 1); dall'altro lato sia consentito lo smaltimento in uno degli "impianti appropriati" più vicini, tenendo conto della necessità di "impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti" (art. 5, comma 3, lettera b).

A quest'ultimo riguardo va tenuto presente che la recente direttiva comunitaria 1999/31/CE del 26 aprile 1999 ha, tra l'altro, sottolineato la necessità di definire chiaramente "i tipi di rifiuti che vanno accettati nelle varie categorie di discariche", prevedendo rigorose barriere geologiche ed artificiali contro l'inquinamento del suolo, delle acque freatiche e delle acque superficiali afferenti a ciascuna delle varie categorie di discarica e disponendo che l'ammissione di taluni rifiuti pericolosi "stabili e non reattivi" in discariche per rifiuti non pericolosi deve essere subordinata a rigidi criteri di valutazione del "comportamento del colaticcio" di tali rifiuti (art. 6, lettera c, iii). In particolare, secondo la stessa direttiva, va evitato sia che i rifiuti "reagiscano tra di loro e con la roccia" (Allegato II, 1), sia che i rifiuti pericolosi siano depositati in aree destinate ai rifiuti non pericolosi biodegradabili (art. 6, lettera c, iii).

Da questo quadro normativo emerge dunque che mentre per i rifiuti urbani non pericolosi il principio dell'autosufficienza è pienamente applicabile, anche sotto il profilo del divieto di smaltimento di quelli extraregionali, in quanto l'ambito territoriale ottimale per lo smaltimento è logicamente limitato e predeterminabile in relazione ai luoghi di produzione, per i rifiuti pericolosi si deve invece ritenere prevalente, proprio in ragione delle loro caratteristiche, il diverso criterio della necessità di impianti appropriati e "specializzati" per il loro smaltimento. In materia allo Stato è riservata la competenza a definire i criteri generali e le norme tecniche di gestione (art. 18, comma 1, lettera b e comma 2, lettera a). Ed in questo senso il regolamento del Ministero dell'ambiente 11 marzo 1998, n. 141 ha previsto specifici criteri di identificazione dei rifiuti pericolosi al fine del loro smaltimento in discarica, così da rendere possibile la valutazione, sul piano operativo, della compatibilità della tipologia dell'impianto di smaltimento con il materiale da conferire.

Alla luce di queste considerazioni non appare quindi logicamente predeterminabile, rispetto ai rifiuti pericolosi, un ambito territoriale ottimale, quale potrebbe, in astratto, essere quello regionale, in quanto, da un lato, la produzione di rifiuti pericolosi, che generalmente deriva da processi industriali, è connessa a localizzazioni non necessariamente omogenee e comunque non facilmente prevedibili; dall'altro lato, la realizzazione di impianti specializzati per questo tipo di smaltimento comporta oneri di individuazione di siti appropriati e di relativa costruzione particolarmente gravosi, soprattutto in rapporto al quantitativo da smaltire. Il principio dell'autosufficienza non sembra pertanto facilmente attuabile in questo settore, dovendosi così ricorrere al concorrente criterio, egualmente previsto dal legislatore, della specializzazione dell'impianto di smaltimento, integrato comunque dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, in modo da ridurre, il più possibile, la movimentazione dei rifiuti.

Tutto ciò porta dunque ad escludere che anche per i rifiuti pericolosi possa essere attuato il divieto di smaltimento di quelli extraregionali, poiché è vero che la movimentazione dei rifiuti, di per sé può costituire un rischio ambientale, ma è altrettanto vero che smaltire rifiuti pericolosi in discariche non compatibili o, peggio, consentire il loro deposito ed accumulo in aree non idonee risulta sicuramente più nocivo per l'ambiente e anche per la salute pubblica. Un'adeguata ponderazione tra questi due rischi, indipendentemente dal fatto che il rifiuto è pur sempre considerato dalla normativa comunitaria un "prodotto", in quanto tale tutelato, in linea di principio, dalla libertà di circolazione delle merci, dimostra l'irrazionalità del divieto imposto dalla disposizione censurata di smaltimento di rifiuti pericolosi di provenienza extraregionale, in quanto si tratta di una scelta che si pone in contrasto, tenendo conto della "specificità" dei rifiuti pericolosi, con le finalità di protezione dell'ambiente e della salute umana, le quali, ai sensi dell'art. 2 del citato decreto n. 22 del 1997, debbono ispirare anche la disciplina regionale della gestione dei rifiuti.

3. ¾ La prospettata interpretazione delle norme di principio contenute nel decreto n. 22 del 1997 appare, d'altronde, coerente anche con i principi della normativa comunitaria in materia. Ed infatti, in una fattispecie assai simile a quella in esame, la Corte di giustizia della Comunità europea, interpretando la direttiva 84/631/CEE, ha avuto modo di stabilire che era incompatibile con il diritto comunitario allora vigente il divieto imposto dalla Regione Vallonia del Belgio di smaltimento nel proprio territorio di rifiuti pericolosi provenienti da altre regioni, mentre non lo era con riferimento ad altri tipi di rifiuto, in quanto esigenze imperative attinenti alla protezione dell'ambiente giustificano misure limitative della libertà di circolazione delle merci (Corte di giustizia, sentenza 9 luglio 1992, causa C-2/90).

Le modifiche alla normativa comunitaria introdotte, in particolare dal regolamento CEE n. 259/93, nonché dalle direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE, delle quali il citato decreto n. 22 del 1997 costituisce appunto attuazione, non hanno mutato significativamente il quadro di riferimento, giacché, pur rafforzandosi la complessiva tendenza, a livello comunitario, all'adozione di misure restrittive alla circolazione dei rifiuti, ciò avviene in modo diversificato per le varie tipologie, in ogni caso conservando valenza prioritaria la protezione delle risorse naturali e della salute. E proprio in questo contesto di tutela ambientale si spiega il regime speciale riservato ai rifiuti pericolosi, come tra l'altro dimostra il decimo "considerando" del regolamento n. 259/93, che, pur autorizzando gli Stati a introdurre "disposizioni per vietare del tutto o in parte le spedizioni di rifiuti destinati allo smaltimento", espressamente eccettua dal divieto il "caso di rifiuti pericolosi prodotti nello Stato membro di spedizione in quantitativi così limitati da rendere antieconomico prevedere nuovi impianti specializzati per lo smaltimento in tale Stato". O come anche dimostra l'art. 6 della citata direttiva 91/689/CEE, che, nel quadro di misure di controllo sulla raccolta, trasporto e deposito temporaneo di rifiuti pericolosi, dispone che "le autorità competenti elaborano, separatamente o nell'ambito dei propri piani generali di gestione dei rifiuti, piani di gestione dei rifiuti pericolosi".

4. ¾ In definitiva, le considerazioni che precedono dimostrano che il divieto di smaltimento per i rifiuti pericolosi di provenienza extraregionale imposto dalla norma impugnata contrasta con l'art. 117 della Costituzione per violazione dei principi fondamentali della legislazione statale contenuti nel decreto legislativo n. 22 del 1997. L'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sotto questo profilo assorbe gli ulteriori profili di censura.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14 luglio 2000.