Ordinanza n. 338/99

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ORDINANZA N. 338

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 506 e 507 del codice di procedura penale e 151 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 31 luglio 1998 dal Pretore di Enna nel procedimento penale a carico di S. F., iscritta al n. 746 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Pretore di Enna ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, secondo comma, 76, 101, secondo comma, 102 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 506 e 507 del codice di procedura penale, nonchè dell’art. 151 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale;

  che, in particolare, il rimettente censura:

- l’art. 507 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche sulla base dell’esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero;

- l’art. 506, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il giudice possa indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi solo in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle stesse o a seguito delle letture disposte a norma degli artt. 511, 512 e 513 cod. proc. pen., e non anche in base agli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero;

- l’art. 506, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice possa rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti private già esaminati anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, e possa procedere, sulla base di detti atti, alle contestazioni ai sensi dell’art. 500, comma 1, cod. proc. pen., con eventuale acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni a norma del quarto comma di detto articolo;

- l’art. 151 disp. att. cod. proc. pen., "nella parte in cui non richiama l’art. 135 norme di attuazione che dispone che nel giudizio il giudice può ordinare l’esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (da restituire terminata l’istruzione dibattimentale) e l’inserimento nel fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni se sussiste difformità rispetto al contenuto della deposizione";

  che il rimettente premette in fatto che, al termine dell’istruttoria dibattimentale di un procedimento penale per lesioni colpose aggravate ex art. 590, secondo e terzo comma, cod. pen., il difensore della parte civile aveva chiesto la citazione quale testimone, a norma dell’art. 507 cod. proc. pen., di un soggetto che dal verbale dell’Ispettorato del lavoro, contenuto nel fascicolo del pubblico ministero, risultava presente sul luogo dell’incidente, e rileva che tale verbale non fa parte del fascicolo del dibattimento;

  che, ad avviso del rimettente - non risultando dall’istruzione dibattimentale alcun elemento da cui desumere la "assoluta necessità" dell’assunzione di tale mezzo di prova, e non potendo il giudice prendere conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, da cui potrebbe risultare l’assoluta necessità della prova – la richiesta della parte civile non può essere accolta;

  che, sulla base di tale presupposto interpretativo, il rimettente ritiene che le norme sopra menzionate, anche tenendo conto dell’interpretazione estensiva dell’art. 507 cod. proc. pen. adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 111 del 1993, contrastano con il principio di legalità (artt. 25 e 112 Cost.), nonchè con gli artt. 101, secondo comma, e 102 Cost., in quanto il giudice, a causa della mancata conoscenza di tutti gli atti del fascicolo del pubblico ministero, rimarrebbe privo della possibilità di esercitare il necessario controllo di legalità e di pervenire ad una giusta decisione; controllo che il giudice può effettivamente svolgere, mediante la conoscenza di tutti gli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari, solo quando il pubblico ministero formula richiesta di archiviazione, e non anche dopo la citazione a giudizio dell’imputato;

  che la disciplina censurata verrebbe quindi a contrastare con i principi di non dispersione della prova, della ricerca della verità e della indefettibilità della giurisdizione, quali delineati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale;

che, con particolare riferimento all’art. 506, comma 2, cod. proc. pen., il rimettente, motivando in tema di rilevanza della relativa questione, pare far riferimento ad una situazione in cui l’esigenza di rivolgere nuove domande ai testimoni già esaminati per eventualmente contestare il contenuto delle precedenti deposizioni potrebbe emergere solo dopo avere ammesso la nuova prova ex art. 507 cod. proc. pen.;

  che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, in quanto la conoscenza da parte del giudice del fascicolo del pubblico ministero verrebbe ad alterare la struttura del processo prefigurato dal legislatore e determinerebbe una grave confusione tra i ruoli che il codice di rito rispettivamente riserva al pubblico ministero e al giudice.

  Considerato che le questioni sollevate dal giudice rimettente, pur articolate sotto diversi profili, concernono sostanzialmente la mancata attribuzione al giudice del dibattimento, nell’esercizio dei poteri suppletivi previsti dagli artt. 506 e 507 cod. proc. pen., della possibilità di conoscere tutti gli atti del fascicolo del pubblico ministero;

  che, con particolare riferimento all’art. 507 cod. proc. pen., risulta palesemente erroneo l’assunto del rimettente secondo cui l’impossibilità di prendere conoscenza del verbale dell’Ispettorato del lavoro contenuto nel fascicolo del pubblico ministero gli avrebbe impedito di accertare l’assoluta necessità di assumere d’ufficio la nuova prova richiesta al termine dell’istruzione dibattimentale dalla parte civile;

  che al fine di esercitare il potere previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. il sistema delineato dal codice non presume che il giudice conosca gli atti delle indagini preliminari, bensì che sia chiamato ad operare, eventualmente sollecitato dalle parti, una valutazione che tenga conto delle emergenze risultanti dall’istruttoria dibattimentale;

che nel caso di specie, a prescindere dal contenuto del verbale dell’Ispettorato del lavoro, la richiesta della parte civile, innestata nel contesto di quanto era sino ad allora emerso nel corso del dibattimento, appariva pienamente idonea, unitamente all’eventuale esibizione ad iniziativa della stessa parte civile dell’atto dal quale la richiesta traeva spunto, a fornire al giudice gli elementi di valutazione necessari al fine di disporre la nuova prova;

che, più in generale, la disciplina in base alla quale il patrimonio di conoscenze del giudice é vincolato, salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, agli elementi acquisiti nel corso del dibattimento, corrisponde ad una delle scelte più significative e qualificanti del nuovo codice di procedura penale, che si é appunto realizzata mediante il sistema del "doppio fascicolo", al fine di evitare che gli atti raccolti durante le indagini preliminari senza il rispetto delle regole del contraddittorio ed in violazione del principio dell’immediatezza, rifluiscano nel dibattimento (v. ordinanza n. 248 del 1998 e sentenza n. 91 del 1992);

  che la soluzione auspicata dal giudice rimettente comporterebbe la vanificazione della separazione, tipica di un modello processuale che si ispira al sistema accusatorio, tra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio, facendo venire meno il carattere selettivo del patrimonio di conoscenza su cui si basa l’intervento giurisdizionale, e determinerebbe un sostanziale ritorno al sistema misto delineato dal codice di procedura penale del 1930;

  che, inoltre, l’assunto del rimettente relativo alla supposta irragionevolezza della disciplina impugnata, perchè precluderebbe al giudice del dibattimento di esercitare un effettivo controllo di legalità, attuabile invece in sede di verifica della richiesta di archiviazione mediante la conoscenza di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, é privo di fondamento, in quanto le due situazioni poste a confronto non sono utilmente comparabili: altro infatti é il controllo attribuito al giudice per le indagini preliminari in sede di richiesta di archiviazione, ove occorre assicurare l’effettiva attuazione del principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale, con la conseguente valutazione se dare o meno ingresso alla fase del giudizio, in un contesto quindi in cui il controllo di legalità attribuito al giudice non può che riguardare tutta l’attività di indagine svolta nel corso della fase; altro é la competenza del giudice del dibattimento proiettata non già e non più a verificare la legittimità dell’inazione del pubblico ministero – che ha invero ormai esercitato l’azione penale - ma ad acquisire, attraverso l’istruttoria dibattimentale, gli elementi utili per la decisione(v. anche sentenza n. 91 del 1992);

  che l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 151 disp. att. cod. proc. pen., mediante il richiamo all’art. 135 delle stesse norme, che facoltizza il giudice a prendere visione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, é palesemente priva di pertinenza, in quanto la disciplina richiamata si riferisce alla diversa situazione in cui il giudice é chiamato a decidere prima dell’apertura del dibattimento sulla richiesta di applicazione della pena e, quindi, ad emettere una decisione che, in caso di accoglimento, preclude la successiva celebrazione del dibattimento;

  che le questioni sollevate nei confronti degli artt. 507 cod. proc. pen. e 151 disp. att. cod. proc. pen. devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate;

che, infine, le questioni sollevate nei confronti dell’art. 506, commi 1 e 2, cod. proc. pen. appaiono manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto prospettate in termini ipotetici e, comunque, risultano intempestive: il rimettente rileva, infatti – peraltro motivando solo in riferimento all’art. 506, comma 2, cod. proc. pen. - che l’esigenza di citare nuovamente testimoni già esaminati é meramente eventuale, e potrebbe porsi solo al termine dell’istruzione dibattimentale, così come integrata – par di comprendere – dopo la citazione del nuovo testimone ex art. 507 cod. proc. pen.

  Visti gli artt, 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 507 del codice di procedura penale e 151 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, secondo comma, 76, 101, secondo comma, 102 e 112 della Costituzione, dal Pretore di Enna, con l’ordinanza in epigrafe;

  dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 506, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, secondo comma, 76, 101, secondo comma, 102 e 112 della Costituzione, dal Pretore di Enna, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 1999.