Sentenza n. 5/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 5

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI  

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 82, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), dell’art. 47 della medesima legge 21 novembre 1991, n. 374 e dell’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1998 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra la G.V.P. s.r.l. e Luciano Costantini, iscritta al n. 290 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale l’opponente aveva conferito la procura per la rappresentanza e difesa in giudizio ad un laureato in giurisprudenza iscritto nel registro dei praticanti avvocati ammesso ad esercitare il patrocinio davanti alle preture del distretto, il Pretore di Milano, con ordinanza emessa il 26 gennaio 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale: dell’art. 82, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace); dell’art. 47 della medesima legge 21 novembre 1991, n. 374; dell’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore). Queste disposizioni, complessivamente considerate, renderebbero ammissibile, secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente e che il giudice rimettente condivide, il patrocinio e la difesa, per tutte le cause di competenza del pretore, ad opera di un praticante avvocato abilitato dal competente ordine professionale.

  Il Pretore di Milano ritiene che consentire l’esercizio del patrocinio, per cause che possono presentare notevoli difficoltà tecniche, ai praticanti avvocati, i quali non hanno ancora superato l’esame di Stato prescritto per l’esercizio della professione, possa essere in contrasto con il diritto di difesa in giudizio (art. 24, secondo comma, Cost.), giacchè non sarebbe assicurata una difesa tecnica adeguata alle conseguenze permanenti che possono derivare alle parti, tanto più che il valore delle cause di competenza del pretore é stato decuplicato (art. 8 cod. proc. civ., nel testo sostituito dall’art. 3 della legge 26 novembre 1990, n. 353 e successive modificazioni). Inoltre consentire tale rappresentanza e difesa in giudizio contrasterebbe con l’art. 33, quinto comma, della Costituzione, che prescrive, appunto, l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, e determinerebbe, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, una irragionevole disparità nel trattamento di situazioni analoghe. Difatti nelle altre professioni, per il cui esercizio é egualmente prescritto il superamento di un esame di Stato, non si ammette che i praticanti, neppure temporaneamente e per questioni di minore importanza, possano svolgere autonomamente la relativa professione; inoltre situazioni analoghe verrebbero trattate in modo irragionevolmente diverso giacchè, a seguito della prevista soppressione delle preture, alcune cause pendenti davanti al pretore verranno decise da tale giudice, davanti al quale saranno ammessi al patrocinio i praticanti avvocati, mentre altre saranno proseguite dinanzi al giudice unico, davanti al quale, secondo il giudice rimettente, tale patrocinio non sarà ammesso.

  Il Pretore di Milano richiama la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto necessario un controllo di idoneità tecnica, quando la legge riserva l’esercizio di un’attività professionale a determinati soggetti iscritti in un albo sulla base di requisiti culturali. Lo stesso giudice ricorda che é stata dichiarata la illegittimità costituzionale sia delle norme che ammettevano al patrocinio legale nei giudizi davanti al pretore soggetti per i quali non vi era un precedente controllo di idoneità tecnica, costituito dall’esame di Stato o da un equipollente di esso (sentenza n. 127 del 1985), sia delle norme che ammettevano al patrocinio legale dinanzi alle preture soggetti pur qualificati (notai o laureati in legge), per i quali tuttavia mancava un vaglio della specifica idoneità tecnica richiesta per la professione forense (sentenza n. 202 del 1987).

  La questione di legittimità costituzionale é ritenuta rilevante per la definizione del procedimento pendente dinanzi al giudice rimettente, giacchè dalla soluzione di essa dipenderebbe la validità della procura conferita al praticante avvocato e, di conseguenza, la eventuale irrevocabilità del decreto ingiuntivo per il quale é stata proposta opposizione.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Milano investe la norma che consente ai praticanti avvocati, dopo un anno dalla iscrizione nell’apposito registro speciale tenuto dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, di essere ammessi ad esercitare il patrocinio, per un periodo non superiore a sei anni, davanti alle preture del distretto.

Questa disciplina é dettata dall’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), quale risulta dal testo prima sostituito dall’art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406 (Modifiche alla disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli esami per la professione di procuratore legale) e poi modificato, solo per la durata del patrocinio consentito ai praticanti, dall’art. 10 della legge 27 giugno 1988, n. 242 (Modifiche alla disciplina degli esami di procuratore legale). La stessa disciplina sarebbe, ad avviso del giudice rimettente, tuttora vigente, non essendo stata abrogata nè dall’art. 82, terzo comma, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (che, salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, stabilisce che anche davanti al pretore le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente), nè dall’art. 47 della stessa legge (che, nel contesto della istituzione del giudice di pace, abroga norme incompatibili con la nuova disciplina), disposizioni, anche queste, denunciate dal giudice rimettente.

Il Pretore di Milano ritiene che la norma che consente l’esercizio del patrocinio da parte dei praticanti avvocati sia in contrasto: a) con il diritto inviolabile di difesa in giudizio (art. 24, secondo comma, Cost.), che implica un’adeguata difesa tecnica; b) con la prescrizione di un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale (art. 33, quinto comma, Cost.); c) con il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), giacchè per un verso sarebbe irragionevole la disparità di trattamento rispetto ad altre professioni, per il cui esercizio é richiesta l’iscrizione in un albo professionale ed i cui praticanti non possono svolgere autonomamente la professione, sia pure per un tempo determinato e per questioni di minore importanza; per altro verso, a seguito della prevista soppressione delle preture, la disciplina della difesa e la sua adeguatezza sarebbero diverse per cause analoghe, essendo solo per alcune di esse ammesso il patrocinio dei praticanti a seconda che vengano attribuite alla cognizione di giudici diversi.

2. - La questione di legittimità costituzionale é da considerare riferita esclusivamente all’art. 8 dell’ordinamento della professione di avvocato (regio decreto-legge n. 1578 del 1933), il solo che consente di ammettere alla rappresentanza e difesa in giudizio, a determinate condizioni, i praticanti avvocati, mentre invece le altre disposizioni denunciate non disciplinano tale situazione.

3. - La questione, così come é stata prospettata, non é fondata.

La legge può riservare agli iscritti in appositi albi l’esercizio di determinate professioni, che presuppongono una particolare capacità tecnica ed il cui esercizio richiede, per assicurare il corretto svolgimento dell’attività professionale, sia a garanzia della collettività che a protezione dei destinatari delle prestazioni, una specifica idoneità (sentenze n. 456 del 1993, n. 29 del 1990 e n. 77 del 1964). Per l’abilitazione all’esercizio professionale é prescritto un esame di Stato (art. 33, quinto comma, Cost.), che consente di verificare l’idoneità tecnica di chi, avendo i requisiti richiesti, intenda accedere alla professione ottenendo l’iscrizione nell’apposito albo. Il legislatore può stabilire che in taluni casi si prescinda dall’esame di Stato (sentenza n. 127 del 1985) quando vi sia stata in altro modo una verifica di idoneità tecnica e sussistano apprezzabili ragioni che giustifichino l’eccezione.

In base a questi criteri la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto priva di razionale giustificazione l’ammissione al patrocinio davanti al pretore, senza limiti di tempo ed al di fuori di ogni esigenza apprezzabile, di persone diverse dagli avvocati e procuratori, non preventivamente sottoposte al controllo di idoneità tecnica costituito dall’esame di Stato o da un equipollente di esso. Si é così ritenuto di escludere che possano esercitare la professione forense, sia pure nei limiti di competenza del pretore, patrocinatori ed esercenti altre attività professionali, quale quella notarile, che, pur in possesso di un titolo culturale o di una qualifica professionale, mancano dell’indispensabile vaglio della specifica idoneità tecnica, che deve caratterizzare l’attività professionale forense (sentenze n. 202 del 1987 e n. 127 del 1985).

4. - La disposizione denunciata consente di ammettere i laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica professionale ed hanno frequentato per un anno lo studio di un avvocato, ad esercitare per non più di sei anni il patrocinio davanti alle preture del distretto nel quale é compreso l’ordine degli avvocati nel cui registro essi sono iscritti. L’ammissione al patrocinio, per un tempo determinato e per questioni di limitata competenza, si inserisce nel sistema della pratica forense, che deve essere lodevolmente e proficuamente esercitata per almeno due anni consecutivi, per partecipare agli appositi esami, superati i quali é possibile conseguire l’iscrizione nell’albo professionale.

La pratica deve essere svolta presso lo studio e sotto il controllo di un avvocato; ma, dopo un anno, può essere anche svolta al di fuori dello studio, esercitando, appunto, il patrocinio davanti alle preture e trattando un determinato numero di questioni (art. 8 del d.P.R. 10 aprile 1990, n. 101).

  Il dubbio di legittimità costituzionale proposto dal Pretore di Milano non investe la durata dell’esercizio del patrocinio da parte del praticante, ma riguarda esclusivamente la possibilità che tale patrocinio possa, per un tempo determinato, aver luogo.

  La disciplina della pratica forense prevede che essa "comporti sempre il compimento delle attività proprie della professione", che comprendono la predisposizione e redazione di atti processuali (art. 2 e 6 del d.P.R. n. 101 del 1990), giacchè il compimento di tali atti costituisce un elemento della formazione professionale. Ciò che inizialmente per almeno un anno avviene sotto il controllo e con la responsabilità di un avvocato. Solo dopo questo primo periodo di tirocinio, la pratica, con il compimento degli atti propri della professione che essa comporta, può essere continuata mediante l’autonoma trattazione di almeno venticinque procedimenti all’anno (art. 8 del d.P.R. n. 101 del 1990). E’ da ritenere che la temporanea e limitata ammissione al patrocinio che tale pratica comporta presupponga una previa verifica e valutazione, da parte dello stesso ordine professionale, del tirocinio già svolto (artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 101 del 1990).

  Questo sistema non configura una deroga alla regola dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale, giacchè consente una attività, soggetta al controllo dell’ordine professionale, compresa nell’ambito della pratica forense e che si giustifica nei limiti in cui essa sia preordinata agli esami di abilitazione; sicchè in ogni caso deve essere disposta la cancellazione dall’apposito registro, se gli esami non vengano superati nel termine previsto.

  Non é dunque violato l’art. 33, quinto comma, della Costituzione. Nè é leso il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.), giacchè la parte che conferisce il mandato ad un praticante avvocato, si avvale della difesa tecnica di un soggetto che, sulla base di determinati requisiti, é stato, sia pure temporaneamente, ammesso al patrocinio. Infine la configurazione del patrocinio, per un tempo determinato e per questioni di limitata competenza, come elemento della pratica professionale forense, esclude la denunciata violazione del principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.). Non può, difatti, essere effettuato utilmente il raffronto con le discipline di altre professioni, peraltro neppure specificate nell’ordinanza di rimessione, prendendo in esame uno solo degli elementi che caratterizzano le attività preordinate all’accesso alla professione. Nè, infine, hanno alcun fondamento le situazioni denunciate in relazione al patrocinio dei praticanti avvocati dinanzi al giudice unico, patrocinio al quale essi continueranno ad essere ammessi limitatamente ai procedimenti in precedenza attribuiti alla competenza del pretore (art. 246 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 82, terzo comma, del codice di procedura civile, come sostituito dall’art. 20 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), dell’art. 47 della medesima legge 21 novembre 1991, n. 374 e dell’art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 33, quinto comma, della Costituzione, dal Pretore di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.