Sentenza n. 94

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SENTENZA N. 94

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente    

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI

- Dott.   Cesare RUPERTO

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 425 e 71 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse:

  1) il 29 maggio 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di S.Maria Capua Vetere, nel procedimento penale a carico di Di Tella Antonio, iscritta al n. 865 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1996;

  2) il 24 aprile 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania, nel procedimento penale a carico di Quaceci Nicola, iscritta al n. 1185 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1996.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

 

  1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di S.Maria Capua Vetere premette, in fatto, che nei confronti di un imputato, al quale é stata a suo tempo provvisoriamente applicata la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario a norma dell'art. 312 cod.proc.pen., é stata pronunciata ordinanza di sospensione del procedimento a causa della sua accertata e perdurante incapacità di partecipare coscientemente al procedimento stesso. Non risulta quindi possibile procedere all'udienza preliminare, considerato che l'art. 71, comma 1, cod. proc. pen., il quale fa salva la possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere, non può trovare applicazione in ipotesi di difetto di imputabilità, essendo stata la relativa formula dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 41 del 1993. D'altra parte, osserva il giudice a quo, in pendenza della sospensione del procedimento non é possibile neppure assumere prove che potrebbero indurre ad una modifica della imputazione, considerato che al giudice é consentito assumere soltanto le prove utili al proscioglimento dell'imputato e quelle non rinviabili. Per altro verso, essendo in corso "un provvedimento cautelare", avendo il giudice sostituito la misura di sicurezza con il ricovero in struttura ospedaliera a norma dell'art. 73 del codice di rito, sussiste un interesse per l'imputato ad ottenere un provvedimento giurisdizionale che permetta di "fissare" l'imputazione, considerati i riflessi che ne scaturiscono sul piano dello status libertatis. La situazione di "stallo processuale" che ne consegue é dunque, a parere del rimettente, del tutto irragionevole, così da comportare la necessità di un "ripensamento" della decisione adottata dalla Corte nella citata sentenza n. 41 del 1993, alla luce delle modifiche normative introdotte dalla legge n. 105 del 1993, che ha ampliato i poteri decisori del giudice sopprimendo il requisito della "evidenza" che prima circoscriveva la possibilità di adottare la sentenza di non luogo a procedere. Tenuto conto, quindi, dell'indicato mutamento del quadro normativo e dei poteri riconosciuti al giudice della udienza preliminare in tema di modifica della imputazione e di qualificazione giuridica del fatto, appare possibile - osserva il giudice a quo - una "fissazione del fatto" in udienza preliminare con relativa "reintroduzione del potere di emettere sentenza di non luogo a procedere nei casi di assenza di imputabilità per infermità mentale, quantomeno nell'ipotesi in cui risulti in corso di esecuzione un provvedimento di natura cautelare". Una reintroduzione, ribadisce il rimettente, che si giustifica in considerazione della sopravvenuta inattualità degli argomenti posti a base della richiamata sentenza n. 41 del 1993. In via principale, dunque, il giudice a quo solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede - quantomeno nell'ipotesi in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare e l'imputato versi in condizioni di incapacità a partecipare al procedimento - la possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità. In via subordinata, il medesimo giudice solleva, sempre in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 71 cod. proc. pen., nella parte in cui prevede la necessità di pronunciare ordinanza di sospensione del procedimento anche nell'ipotesi in cui, pur potendosi ragionevolmente prevedere l'emissione di sentenza dibattimentale di proscioglimento per assenza di imputabilità a causa della presenza in atti di accertamento peritale attestante l'incapacità al momento del fatto, il giudice della udienza preliminare debba disporre il rinvio a giudizio.

  2. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania a sua volta solleva, in riferimento agli artt. 24 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che nel caso di persona non imputabile al momento del fatto e incapace di partecipare coscientemente al processo, non debba emettersi, da parte del giudice dell'udienza preliminare, sentenza di non luogo a procedere allorchè risulti evidente la materiale attribuibilità del fatto medesimo all'imputato. Rileva a tal proposito il giudice a quo che dal combinato disposto degli artt. 71 cod. proc. pen., operante anche nel caso di infermità mentale preesistente al fatto a seguito della sentenza n. 340 del 1992, e 425 dello stesso codice, come dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 41 del 1993, deriva senza alcuna valida ragione la sospensione indefinita del processo nonostante l'evidente sussistenza di una causa di non punibilità, con correlativa ingiustificata violazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale nonchè del diritto dell'imputato ad essere immediatamente giudicato e prosciolto. D'altra parte, osserva il rimettente, neppure verrebbe in discussione la ratio posta a fondamento della sentenza n. 41 del 1993 ove si versi in una ipotesi in cui, come nella specie, non sussista alcun dubbio sulla materiale attribuibilità del fatto all'imputato nonchè sulle relative modalità e circostanze.

  3. - In quest'ultimo giudizio ha spiegato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A parere dell'Avvocatura risulterebbero anzitutto non pertinenti i parametri invocati: non il diritto di difesa, infatti, in quanto utilizzato nella sentenza n. 41 del 1993 proprio per giungere alla conclusione opposta; non l'art. 112 della Costituzione, in quanto la sospensione del procedimento determina la sospensione del corso della prescrizione. D'altronde, rileva l'Avvocatura, l'impossibilità di dichiarare il non luogo a procedere per difetto di imputabilità e la conseguente sospensione del processo non si traduce in una "arbitraria ed indefinita sospensione sine die del rapporto processuale penale, priva di contrappesi", giacchè, come ha osservato la dottrina, l'istituto previsto dagli artt. 70 e ss. cod. proc. pen. é volto a scongiurare il rischio di creare una categoria di "eterni giudicabili", come emerge dalle verifiche periodiche previste dall'art. 72 dello stesso codice, bilanciato dalle cautele che presidiano l'azione civile e la prescrizione penale.

Considerato in diritto

 

  1. - Le ordinanze di rimessione prospettano dubbi di legittimità costituzionale parzialmente coincidenti e riferiti al medesimo quadro normativo: i relativi giudizi vanno pertanto riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

  2. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di S.Maria Capua Vetere solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede - quantomeno nell'ipotesi in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare e l'imputato versi in condizioni di incapacità a partecipare al procedimento - la possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità. Osserva a tal proposito il giudice a quo che, essendo stato soppresso dalla legge n. 105 del 1993 il requisito della "evidenza" che relegava entro angusti confini la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere, e poichè risultano, quindi, incrementati i poteri riconosciuti al giudice della udienza preliminare in tema di modifica dell'imputazione e di qualificazione giuridica del fatto, sarebbero venute meno le ragioni che indussero questa Corte a dichiarare, con la sentenza n. 41 del 1993, l'illegittimità costituzionale dell'art. 425 cod. proc. pen., proprio nella parte in cui sanciva la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità. L'irragionevolezza del sistema, osserva ancora il rimettente, é esaltata dalla disciplina che regola la sospensione del procedimento a causa della incapacità dell'imputato a partecipare coscientemente allo stesso, giacchè in tale ipotesi, non potendosi dichiarare nell'udienza preliminare il difetto di imputabilità, si determina uno "stallo processuale" che impedisce l'adozione di un provvedimento che cristallizzi l'imputazione, quantomeno ai rilevanti effetti che ne possono scaturire sul piano delle misure cautelari in corso di applicazione. In via subordinata, il medesimo giudice ha sollevato, sempre in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 71 cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce la necessità di pronunciare ordinanza di sospensione del procedimento anche nell'ipotesi in cui, pur potendosi prevedere in dibattimento la emissione di sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità, il giudice della udienza preliminare debba disporre il rinvio a giudizio.

  3. - Questione analoga é stata sollevata anche dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania. A parere del rimettente, infatti, l'art. 425 cod. proc. pen., si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 112 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, nel caso di persona non imputabile al momento del fatto e incapace di partecipare coscientemente al processo, non debba emettersi sentenza di non luogo a procedere allorchè risulti evidente la materiale attribuibilità del fatto all'imputato. Sottolinea al riguardo il giudice

a quo che, dovendosi disporre la sospensione del procedimento a norma dell'art. 71 cod. proc. pen. anche nel caso di infermità mentale preesistente al fatto a seguito della sentenza n. 340 del 1992, e non potendosi al tempo stesso pronunciare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, essendo stata la relativa formula dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 41 del 1993, nei confronti dell'infermo tunc et nunc si determina, senza alcuna valida ragione, l'indefinita sospensione del processo malgrado l'evidente sussistenza di una causa di non punibilità, con conseguente violazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale e del diritto dell'imputato ad essere immediatamente giudicato e prosciolto.

  4. - L'analisi delle considerazioni poste a fondamento della più volte richiamata sentenza n. 41 del 1993 si rivela dunque centrale agli effetti di una compiuta valutazione dei vari profili di illegittimità costituzionale che gli odierni rimettenti hanno ritenuto di sottoporre all'esame di questa Corte, sicchè é proprio da quelle considerazioni che occorre prendere le mosse per verificare se e in che misura le censure dedotte possono ritenersi pertinentemente argomentate sulla base della decisione allora adottata. In quella occasione, la Corte ritenne che la possibilità di pronunciare all'udienza preliminare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità presentasse tre distinti profili di illegittimità in riferimento ad altrettanti parametri. Si considerò, innanzitutto, che la norma - anche, ma non solo, in virtù del presupposto della "non evidenza" che allora caratterizzava l'art. 425 cod. proc. pen. - contrastasse con l'art. 24 della Costituzione, in quanto la persona non imputabile veniva ad essere per ciò solo privata del dibattimento e della conseguente possibilità di esercitare appieno il diritto alla prova sul merito della regiudicanda, con conseguente compressione del diritto di difesa che non poteva certo ritenersi bilanciata da contrapposte esigenze di economia processuale.

  Fu poi rilevato che la previsione della formula della sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità generava una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei soggetti ugualmente non imputabili, in quanto per costoro la possibilità di fruire del dibattimento e delle conseguenti garanzie veniva fatta dipendere esclusivamente dal modulo processuale adottato. "Mentre, infatti - si osservò - nei confronti del non imputabile a carico del quale si celebra l'udienza preliminare si determina una preclusione all'esercizio dei propri diritti in dibattimento, essendo il giudice chiamato a pronunciare sentenza di non luogo a procedere con la corrispondente formula, una analoga preclusione non si realizza, invece, in tutte le altre ipotesi in cui manca, come nel giudizio direttissimo e nel procedimento davanti al pretore, la fase dell'udienza preliminare, il cui svolgimento, per di più, é condizionato dall'esistenza di una richiesta che si raccorda alle scelte sul rito che l'ordinamento riserva al pubblico ministero".

  La sentenza ravvisò, infine, un contrasto con l'art. 76 della Costituzione, in quanto il difetto di imputabilità non compariva tra le cause che legittimano la sentenza di non luogo a procedere, secondo la rassegna operata nel numero 52), sesto periodo, dell'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, a differenza di quanto invece espressamente previsto per il processo minorile, la cui disposizione di rinvio, contenuta nell'art. 32, comma 1, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, venne pertanto fatta salva. Una scelta, quella del legislatore delegante, che si ritenne tutt'altro che incoerente, considerata la diversa funzione delle fasi processuali e dunque la necessità di riservare al giudice del dibattimento "la delibazione del difetto di imputabilità, postulando la stessa il necessario accertamento di responsabilità in ordine al fatto-reato che può compiutamente svolgersi solo in sede dibattimentale".

  Alla luce delle considerazioni testè sinteticamente rievocate emerge dunque con chiarezza come l'insistito richiamo dei giudici a quibus alla sopravvenuta "inattualità" di quella sentenza a seguito della novella che ha modificato la regola di giudizio dell'art. 425 cod. proc. pen., si riveli fallace, proprio perchè le ragioni della incostituzionalità non riposavano soltanto su quel presupposto normativo e sul connesso parametro di costituzionalità, con l'ovvia conseguenza di rendere l'intento che ora viene perseguito esposto alle medesime censure che indussero questa Corte a pronunciare la declaratoria di illegittimità costituzionale che i giudici rimettenti intenderebbero nella sostanza porre nel nulla, attraverso una sentenza additiva evidentemente improponibile.

  D'altra parte, questa Corte ha in più occasioni avuto modo di ribadire che la sentenza di non luogo a procedere "era e resta, anche dopo le modifiche subite dall'art. 425 del codice di procedura penale, una sentenza di tipo "processuale", destinata null'altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero", al punto da imporre l'adozione del provvedimento di rinvio a giudizio anche nelle ipotesi in cui sia stata semplicemente ritenuta la "necessità di consentire nella dialettica del dibattimento lo sviluppo di elementi ancora non chiariti" (v. sentenza n. 71 del 1996). Sicchè, anche sotto il circoscritto profilo che i rimettenti prospettano, non può certo ritenersi soluzione costituzionalmente imposta quella di prevedere una pronuncia per difetto di imputabilità non basata sul previo accertamento della responsabilità dell'imputato, ma sul ben diverso paradigma, tutto processuale, della ritenuta fondatezza della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero.

  Significativa, per altro verso, é la parcellizzazione delle ipotesi che i due giudici rimettenti prospettano come oggetto della sollecitata sentenza additiva, facendo riferimento, l'uno, al caso in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare (così dando luogo ad alternative processuali irragionevolmente differenziate a seconda dello status libertatis) e, l'altro, alla ipotesi in cui "risulti evidente la materiale attribuibilità del fatto all'imputato" (quasi che ciò basti, da un lato, ad affermare la responsabilità e, dall'altro, a rendere legittima l'esclusione di qualsiasi difesa sul punto). Una parcellizzazione, quindi, che, anche a voler prescindere dai segnalati e assorbenti profili di assai dubbia legittimità, é comunque di per sè idonea a dimostrare l'impossibilità di risolvere sul piano costituzionale una gamma quanto mai variegata di possibili opzioni, che soltanto il legislatore é abilitato a compiere. Diversa può infatti essere la disciplina in rapporto, ad esempio, alla necessità o meno di applicare misure di sicurezza, alla tipologia del rito che viene adottato o alla stessa prevedibile durata della incapacità processuale, al punto che un modello unitario non soltanto non può ritenersi costituzionalmente estrapolabile dal sistema, ma non può neppure essere teoricamente abbozzato se non scendendo sul piano di valutazioni plurime di opportunità che questa Corte non é certo abilitata a compiere.

  Le stesse considerazioni valgono, ovviamente, anche per ciò che riguarda la questione di legittimità costituzionale che il Giudice di S.Maria Capua Vetere ha sollevato in via subordinata operando sul diverso versante della sospensione del processo: in questo caso, però, l'inammissibilità del quesito é resa ancor più trasparente dalla manifesta compromissione di più valori costituzionali che un eventuale accoglimento della questione automaticamente comporterebbe. Da un lato, infatti, non si vede perchè il processualmente incapace dovrebbe essere privato - rimuovendosi la sospensione - del diritto a partecipare coscientemente alla fase della udienza preliminare, che, pure, é sede di difesa; dall'altro, neppure si comprende la ragione per la quale la sospensione del procedimento, prevista anche per la fase delle indagini preliminari, non dovrebbe aver luogo soltanto agli effetti del rinvio a giudizio e nel solo caso in cui si proceda con l'udienza preliminare, così facendo dipendere l'applicabilità di un istituto di garanzia dal momento in cui l'incapacità viene accertata e dal modello processuale adottato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara inammissibili:

  a) le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 425 e 71 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di S.Maria Capua Vetere con l'ordinanza in epigrafe;

  b) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania con l'ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1997.

Giuliano VASSALLI, Presidente e Redattore

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1997.