Sentenza n. 272 del 1996

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SENTENZA N. 272

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Umbria notificato il 16 dicembre 1995, depositato in cancelleria il 23 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del provvedimento della Commissione di controllo - Commissariato del Governo nella Regione dell'Umbria - adottato nella seduta del 18 ottobre 1995, prot. 9501071, n. ord. 264, con cui è stata annullata la deliberazione della Giunta regionale dell'Umbria n. 7454 del 6 ottobre 1995 avente ad oggetto "Prelievo della specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n. 409/1979", ed iscritto al n. 37 del registro conflitti 1995.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1996 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'avvocato Lorenzo Migliorini per la Regione Umbria e l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione Umbria ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al provvedimento con il quale la Commissione di controllo sugli atti della Regione, nella seduta del 18 ottobre 1995 (prot. 9501071, n. ord. 264), ha annullato la delibera della Giunta regionale (n.7454 del 6 ottobre 1995) avente ad oggetto "Prelievo della specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n.409/1979".

Sostiene la ricorrente che il provvedimento dell'organo di controllo del quale viene chiesto l'annullamento lede la sua competenza in materia di caccia, violando l'art. 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 99 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonché all'art. 1, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui recepisce l'art. 9, punto 1, lettere a) e c) della direttiva stessa.

Assume, più in particolare, la Regione Umbria che la Giunta, con la delibera di cui trattasi, avrebbe fatto applicazione, per la specie del fringuello, del regime di deroga previsto dalla richiamata disposizione comunitaria, che consente, in relazione a particolari finalità e secondo determinate modalità, il prelievo di alcune specie di uccelli non incluse nell'allegato II/1 e II/2 della menzionata direttiva.

Rammentato, inoltre, che la delibera, nel ricalcare quella già adottata nell'anno 1994, è stata preceduta da una puntuale attività istruttoria, ivi compresa l'acquisizione del parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, il ricorso osserva che l'annullamento operato dall'organo di controllo si fonda sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 1993 che, in relazione all'art. 18 della legge n. 157 del 1992, ha escluso il fringuello dalle specie cacciabili.

Nel rilevare l'improprietà del richiamo fatto dalla Commissione di controllo alla sentenza della Corte costituzionale n. 117 del 1994, al fine di sostenere che la tutelabilità delle specie migratrici sarebbe riservata all'Unione europea e agli Stati membri, la Regione è dell'avviso che la disciplina dell'art. 18, comma 1, lettera b), della legge n. 157 del 1992, sulla quale verte detta sentenza, non abbia a che vedere con la questione oggetto della presente controversia, per la quale rileva invece l'art. 1, comma 4, della medesima legge, che dichiara espressamente di recepire le direttive ivi indicate, fra cui la direttiva 79/409/CEE; quest'ultima, a sua volta, prevede all'art. 9 un potere di deroga che, ad avviso della ricorrente, sussisterebbe a prescindere dall'elenco delle specie cacciabili di cui all'art. 18 citato, ed è anzi regolato proprio con riguardo alle specie non cacciabili.

Osservato, altresì, che il d.P.C.m. 22 novembre 1993, riducendo l'elenco delle specie cacciabili, non ha sicuramente inteso, né potuto disciplinare il potere di deroga di cui al predetto art. 9 della direttiva, il ricorso reputa la deroga medesima immediatamente operativa, in ragione della sua puntuale disciplina, sicché il problema si risolve, ad avviso della ricorrente, nello stabilire se il potere stesso, come disciplinato dall'art. 9, rientri nella competenza dello Stato o della Regione.

A questo riguardo, il ricorso, nell'escludere che la legge quadro n. 157 del 1992, pur recependo l'art. 9 della direttiva, abbia disciplinato il potere di deroga ovvero lo abbia riservato allo Stato, assume che il medesimo rientri nelle funzioni spettanti alle Regioni in base agli artt. 6 e 99 del d.P.R. n. 616 del 1977, come del resto riconosciuto espressamente dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, con circolare n. 16 del 15 luglio 1994. Rilevato, altresí, che la Commissione di controllo, sia pure in via ipotetica e subordinata, "ha censurato il modo di esercizio di tale potere sulla base di argomentazioni prive di serio fondamento e chiaramente volte a rivendicare, sotto altro profilo, la competenza dello Stato in materia", si deduce, anche sotto questo ulteriore aspetto, l'illegittimità dell'atto di controllo, il quale non considera che il potere di deroga è già stato esercitato nella scorsa stagione venatoria, e che, dai risultati acquisiti, è apparso evidente che il prelievo è avvenuto in piccola quantità.

2.-- Nel giudizio di fronte alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, osservando, in primo luogo, che avverso il medesimo atto della Commissione di controllo la Regione Umbria ha anche proposto ricorso dinanzi al competente Tribunale amministrativo regionale. Il conflitto dovrebbe essere dichiarato, pertanto, inammissibile, "occorrendo [...] lasciare alla giurisdizione amministrativa la cognizione delle doglianze riguardanti il corretto esercizio del potere di controllo da parte della predetta Commissione", giacché il disposto annullamento della delibera regionale è stato pronunciato sul fondamento di un ritenuto illegittimo esercizio del potere di deroga e non a causa di una radicalmente negata competenza regionale.

In ogni caso, il conflitto dovrebbe essere dichiarato infondato, atteso che l'atto in relazione al quale è proposto non implica alcuna lesione o invasione delle competenze regionali.

A ritenere, poi, che la Regione disponga di una competenza ad attivare le deroghe ammesse dalla direttiva comunitaria, una simile attribuzione non potrebbe non essere circoscritta dalle rigorose condizioni scaturenti dalla direttiva. Si segnala, altresí, la pendenza dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee di una questione pregiudiziale sollevata dal TAR Veneto, avente ad oggetto proprio l'interpretazione dell'art. 9 della direttiva 79/409/CEE.

3.-- In prossimità dell'udienza, l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, con allegata la sentenza della Corte di giustizia del 7 marzo 1996; sentenza che, ad avviso dell'Avvocatura stessa, confermerebbe la legittimità dell'atto della Commissione e la fondatezza dei rilievi mossi alla delibera della Giunta regionale. A questo proposito significativi sarebbero i passaggi della sentenza relativi alla necessità di applicare le norme nazionali alla luce della direttiva; alla necessità che la disciplina comunitaria delle deroghe sia tradotta in disposizioni interne precise; alle condizioni vincolanti in presenza delle quali la deroga può essere disposta; alla necessità che i provvedimenti che dispongono le deroghe contengano riferimenti circostanziati in ordine ai presupposti e alle modalità delle medesime.

Considerato in diritto

1.-- Forma oggetto del conflitto in esame la decisione della Commissione di controllo sull'amministrazione della Regione Umbria del 18 ottobre 1995 (prot. n. 9501071, n. ord. 264), mediante la quale è stata annullata la deliberazione della Giunta regionale n. 7454 del 6 ottobre 1995, avente ad oggetto "Prelievo della specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n. 409/1979".

Tale annullamento è stato disposto con riferimento a due profili, concernenti: a) la riserva all'Unione europea ed agli Stati membri della tutelabilità delle specie migratrici, secondo una valutazione che, per quanto attiene alle esigenze di protezione del fringuello, è già stata fatta dallo Stato con l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 1993 che, adottato sulla base dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, ha escluso il fringuello stesso dalle specie cacciabili; b) l'illegittimo esercizio del potere da parte della Regione "anche nella eventuale (non riconosciuta) ipotesi dell'esistenza di un potere di deroga" al divieto di caccia, in capo alla Regione stessa.

Ad avviso della ricorrente, l'atto di controllo, così come motivato, sarebbe invasivo della competenza regionale in materia di caccia, quale risulta dall'art. 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 99 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonché all'art. 1, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui recepisce l'art. 9, punto 1, lettere a) e c), della direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE).

2.-- Va esaminata, anzitutto, l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dall'Avvocatura dello Stato, la quale assume che "il disposto annullamento della delibera regionale è stato pronunciato sul fondamento di un ritenuto illegittimo esercizio del potere di 'deroga' da parte della Regione ricorrente; non quindi a causa di una radicalmente negata competenza regionale".

In proposito, è da rammentare che la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 327 del 1990) ha affermato l'ammissibilità dei conflitti sollevati nei confronti degli atti emanati dall'organo di controllo sull'amministrazione regionale quando la motivazione di tali atti risulti fondata sull'asserito difetto di competenza della Regione, ai sensi della normativa costituzionale sulla competenza. In questi casi, infatti, la giurisdizione in tema di conflitti opera su un piano diverso, per presupposti e finalità, da quello proprio della giurisdizione amministrativa, dal momento che, nella prima, a differenza che nella seconda, viene in gioco soltanto il profilo del disconoscimento o della menomazione di una competenza dell'ente controllato conseguente all'illegittimo esercizio della funzione di controllo, mentre il giudizio risulta orientato, prima che in direzione dell'annullamento dell'atto, a definire nei loro aspetti relazionali le sfere di attribuzione rispettivamente garantite dalla disciplina costituzionale al controllante ed al controllato.

Alla luce di tale criterio, l'eccezione non può essere accolta in quanto, dalla lettura del provvedimento oggetto del conflitto, si evince che il motivo dell'annullamento dell'atto della Regione sta nel disconoscimento del potere della medesima, mentre, solo in via ipotetica, ne viene censurato il cattivo esercizio, per l'"eventuale (non riconosciuta) ipotesi dell'esistenza" del potere stesso.

E' evidente, dunque, che l'atto della Commissione di controllo si caratterizza essenzialmente come atto di negazione della competenza regionale, senza che assumano rilievo le ulteriori considerazioni, del tutto ipotetiche e concettualmente incompatibili con la denegata sussistenza dell'attribuzione stessa.

3.-- Nel merito il ricorso è infondato.

Nel rivendicare a sé il potere di apportare deroghe al generale regime di protezione degli uccelli selvatici, previsto dalla direttiva 79/409/CEE, la ricorrente dà per scontate due premesse: l'una, secondo la quale "la deroga di cui all'art. 9 della direttiva stessa costituisce eccezione ai divieti ed essendo puntualmente disciplinata è da considerarsi immediatamente operativa a prescindere dal recepimento espresso"; l'altra, secondo la quale "la legge quadro n. 157 del 1992, pur recependo l'art. 9 della direttiva su cui si fonda il potere di deroga, non lo disciplina, né lo riserva allo Stato" per cui il medesimo potere dovrebbe ritenersi ricompreso nel quadro delle attribuzioni costituzionali della Regione, quali derivanti dagli artt. 6 e 99 del d.P.R. n. 616 del 1977.

4.-- La valutazione del fondamento della tesi sopra riferita richiede, perciò, la verifica del contenuto sia della direttiva, sia della legge che ad essa ha dato attuazione. Sul primo punto, è da rilevare che la direttiva in parola prevede, per la conservazione degli uccelli selvatici, nonché per la protezione, gestione e regolazione delle specie (art. 1), una pluralità di misure a carico degli Stati membri della Comunità, in forma per lo più di divieti e limitazioni (artt. 5, 6, 7 e 8), alle quali fa riscontro l'elencazione (allegato II, al quale si riferisce l'art. 7) anche delle specie che possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale, tra le quali, peraltro, non è ricompreso il fringuello.

Trattasi di un regime che la stessa direttiva consente di superare mercè il ricorso al potere di deroga che l'art. 9 riconosce agli Stati membri, in presenza di determinate ragioni d'interesse generale ivi specificate, nell'osservanza di precise condizioni e modalità, e "sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti".

La stessa possibilità lasciata agli Stati di perseguire con altri mezzi il medesimo risultato al quale il potere stesso è preordinato consente di pervenire ad una prima conclusione e cioè che la disposizione di cui trattasi può considerarsi sì operativa, ma solo nel senso di legittimare le Autorità nazionali ad adottare, ove lo ritengano, provvedimenti di deroga alle norme protettive delle specie, verificando che ricorrano le situazioni ipotizzate dall'art. 9 e apprestando, nell'attuazione di detto articolo, in armonia con quanto indicato dalla stessa giurisprudenza comunitaria, specifiche misure che comportino un circostanziato riferimento agli elementi di cui ai nn. 1 e 2 della disposizione stessa (così in ultimo, la sentenza 7 marzo 1996, C-118/94).

5.-- Il problema, come nota, del resto, la stessa ricorrente, si risolve dunque nello stabilire a chi competa l'attivazione di detto potere di deroga nell'ordinamento interno, alla luce soprattutto di quanto è possibile desumere dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", che, nel contenere, all'art. 1, comma 4, una espressa dichiarazione per effetto della quale la direttiva è integralmente recepita ed attuata "nei modi e nei termini previsti" dalla legge stessa, conferisce alle "Regioni a statuto ordinario", il compito di "emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità" alla legge medesima, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie (art. 1, comma 3).

Detta legge, nell'ambito della quale le Regioni risultano destinatarie di funzioni in materia di pianificazione faunistico-venatoria (artt. 9 e 10), di gestione programmata della caccia (art. 14) nonché di controllo della fauna selvatica (art. 19), affida l'individuazione delle specie cacciabili "ai fini dell'esercizio venatorio" ad un apposito elenco, contenuto nell'art. 18; elenco al quale, secondo quanto previsto al comma 3, possono essere disposte "variazioni" con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'agricoltura e delle foreste, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, "in conformità alle vigenti direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali sottoscritte, tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio".

Quest'ultima disposizione, sulla base della quale è stato emanato il d.P.C.m. 22 novembre 1993 -- cioè l'atto con il quale lo Stato, escludendo il fringuello dalle specie cacciabili, ha, secondo l'organo di controllo, esercitato il potere ad esso spettante in via esclusiva di tutela delle specie stesse -- vale ad integrare un quadro ordinamentale sostanzialmente non contraddetto dalla disciplina che la stessa ricorrente ha introdotto in materia, con la legge regionale 17 maggio 1994, n. 14, il cui art. 1 richiama espressamente "il comma 4, art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, con particolare riferimento alle direttive comunitarie n. 79/409 del 2 aprile 1979, n. 85/411 del 25 luglio 1985 e n. 91/244 del 6 marzo 1991". Tale quadro porta a ritenere che, nell'assetto attualmente dato dal legislatore nazionale all'attività venatoria e per i fini della stessa, i divieti posti dalla direttiva in tema di specie cacciabili sono suscettibili di modifica solo nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie medesime, riservato allo Stato dall'art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992. E', per contro, compito delle Regioni, "sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica", pubblicare "entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3 e con l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria" (art. 18, comma 4).

Detta soluzione -- in armonia con le esigenze di tutela delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico che, appartenendo in gran parte alle specie migratrici, costituiscono un patrimonio comune e un problema ambientale tipicamente transnazionale -- trova il sostegno della precedente giurisprudenza di questa Corte. Già in passato, infatti -- e sia pure nell'ambito di un diverso contesto di disciplina (in riferimento alla legge quadro n. 968 del 1977) -- la Corte stessa ha ritenuto che l'individuazione delle specie cacciabili costituisce un interesse unitario (sentenza n. 577 del 1990; sentenza n. 1002 del 1988), a fronte del quale va riconosciuta alle Regioni la facoltà di modificare l'elenco delle specie medesime, soltanto nel senso di "limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia" (sentenza n. 1002 del 1988).

Né delle conclusioni alle quali occorre pervenire la Regione ricorrente ha motivo di dolersi, anche a tener presente -- in relazione alle sue competenze in materia di caccia, di cui all'art. 117 della Costituzione e all'art. 99 del d.P.R. n. 616 del 1977 -- l'art. 6 del medesimo d.P.R. n. 616 del 1977, che trasferisce alle Regioni le funzioni amministrative relative all'attuazione delle direttive fatte proprie dallo Stato con legge che indica espressamente le norme di principio. Infatti, secondo quanto già affermato dalla Corte, qualora l'attuazione o l'esecuzione di una direttiva comunitaria metta in questione una competenza legislativa o amministrativa spettante ad un soggetto titolare di autonomia costituzionale, compete di norma ad esso agire in attuazione o in esecuzione, naturalmente entro l'ambito dei consueti rapporti con lo Stato e dei limiti costituzionalmente previsti nelle diverse materie di competenza regionale; ma lo Stato rimane comunque abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli, a seconda della natura della competenza regionale, per far valere gli interessi unitari di cui esso è portatore (sentenza n. 126 del 1996).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato e per esso alla Commissione di controllo sugli atti della Regione Umbria annullare la delibera della Giunta Regionale n. 7454 del 6 ottobre 1995, avente ad oggetto "Prelievo della specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n. 409/1979".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della consulta, l'11 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.