Sentenza n. 223 del 1996

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SENTENZA N. 223

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, e della legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato stesso, promosso con ordinanza emessa il 20 marzo 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Venezia Pietro contro il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 404 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione di Venezia Pietro e del Governo degli Stati Uniti d'America, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 28 maggio 1996 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

uditi gli avvocati, Mario Salerni per Venezia Pietro, Giuseppe Frigo e Giorgio Luceri per il Governo degli Stati Uniti d'America, e l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Avverso il decreto del Ministro di grazia e giustizia del 14 dicembre 1995, con cui si concede al Governo degli Stati Uniti l'estradizione del cittadino italiano Pietro Venezia, raggiunto da provvedimento restrittivo emesso il 30 dicembre 1993 dal Giudice della contea di Dade (Florida) con l'imputazione di omicidio di primo grado, l'estradando proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio volto a ottenere l'annullamento, previa sospensione, del citato decreto.

A fondamento dell'azione, il ricorrente deduceva l'illegittimità del decreto ministeriale per l'incostituzionalità sia dell'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, sia della legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui ratifica e dà esecuzione all'art. IX del trattato stesso.

2. -- Disattese le eccezioni sul difetto di giurisdizione prospettate dall'Avvocatura dello Stato, il Tribunale adito sospendeva in via provvisoria il decreto ministeriale impugnato e con provvedimento contestuale promoveva, in relazione agli artt. 2, 3, 11 e 27, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, e della legge n. 225 del 1984, nella parte in cui ratifica e dà esecuzione all'art. IX del citato trattato di estradizione.

2.1. -- Osserva il collegio rimettente che il decreto impugnato non va ascritto al novero degli atti politici e, dunque, è sottoposto al sindacato del giudice amministrativo. Esso verrebbe a concludere due autonome fasi procedimentali distinte l'una dall'altra, ancorché unite da un nesso di presupposizione, e non v'è dubbio che l'autorità amministrativa esplichi una propria attività di valutazione. Sì che la giurisdizione amministrativa verrebbe a radicarsi sul provvedimento finale, anche se non la si voglia estendere al riesame della sussistenza delle condizioni richieste per l'accoglimento della domanda di estradizione, accertate dal giudice ordinario ai sensi dell'art. 704 del codice di procedura penale. Con altrettanta autonomia, il giudice amministrativo potrebbe conoscere le censure inerenti alla legittimità delle fonti normative su cui si basa l'esercizio del potere ministeriale, spettandogli di verificare i presupposti di legittimità dell'atto amministrativo alla luce di quanto dispongono gli artt. 24 e 113 della Costituzione.

2.2. -- Motivando specificamente sulla rilevanza, il Tribunale amministrativo del Lazio ricorda l'orientamento della Corte costituzionale sull'ammissibilità della questione sollevata dal giudice rimettente che sospenda l'atto impugnato, in via provvisoria, sino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalità (cfr. sentenza n. 440 del 1990 e ordinanza n. 24 del 1995). La questione sarebbe quindi rilevante ai fini della decisione sulla domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, che sembrerebbe - prima facie - immune da vizi di eccesso di potere e procedimentali, in quanto congruamente motivato circa l'affidabilità delle garanzie fornite dal Governo degli Stati Uniti di non infliggere la pena capitale all'estradando e, comunque, di non darvi esecuzione.

Detto provvedimento si palesa illegittimo, perché adottato in base a disposizioni ritenute incostituzionali. La possibilità di estradare un cittadino italiano affinché venga sottoposto da parte dello Stato richiedente a un processo per un reato punito con la pena capitale - quantunque subordinata a garanzie o assicurazioni sufficienti in ordine alla mancata irrogazione o esecuzione di essa - sarebbe in conflitto con i principi fondamentali della Costituzione, quale che sia la natura delle assicurazioni fornite. Di qui, la non manifesta infondatezza della questione.

2.3. -- Viene innanzitutto in rilievo, ad avviso del rimettente, l'art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali vi è certo quello alla vita, la cui assolutezza è stata sottolineata da questa Corte nella sentenza n. 54 del 1979. Nel contempo va ricordato che con specifico riferimento all'art. 11 - ove si consente l'estradizione sub condicione - il Governo italiano ha apposto riserva alla convenzione europea di estradizione ratificata con la legge 30 gennaio 1963, n. 300, impegnandosi a negare la concessione per i reati punibili dalla legge dello Stato richiedente con la pena capitale.

2.4. -- Vi sarebbe lesione, altresì, dell'art. 27 della Costituzione per il rischio di valutazioni soggettive difformi, in momenti storico-politici diversi, poiché la clausola denunciata affida all'apprezzamento discrezionale del Ministro di grazia e giustizia - secondo criteri non definiti - il giudizio sulle assicurazioni fornite dallo Stato richiedente, le quali non presentano quel carattere di certezza che i menzionati parametri costituzionali impongono, fondandosi la garanzia soltanto sulla capacità dell'organismo governativo che ha contratto l'impegno di esigerne il rispetto. Né in proposito suffraga il richiamo all'art. VI della Costituzione degli Stati Uniti d'America, giacché manca nel trattato un presidio di effettività per tali garanzie, non essendo il Governo federale vincolato a particolari forme o tipi di assicurazione, che incontrerebbero, d'altronde, un limite nell'autonomia dei singoli Stati.

Il giudice a quo invoca quindi l'art. 3, sotto il profilo dell'uguaglianza, che sarebbe vulnerato per il diverso atteggiamento che lo Stato italiano ha assunto nello stipulare convenzioni con altri Paesi - da ultimo con la Romania, l'Ungheria e il Marocco - nelle quali si è stabilito un vincolo diretto per il giudice dello Stato richiedente a non irrogare, o a non eseguire, la pena di morte. E infine deduce il contrasto con l'art. 11 della Costituzione, sottolineando ch'esso consente "limitazioni di sovranità" solo in quanto "necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni".

3. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza.

3.1. -- La questione sarebbe inammissibile, poiché il sindacato sulla legittimità dell'atto amministrativo di concessione dell'estradizione è circoscritto alla decisione dell'autorità governativa e non può estendersi alla fase giurisdizionale svoltasi davanti alla corte d'appello competente per territorio e, poi, dinanzi alla Corte di cassazione in sede d'impugnazione nel merito. Le due decisioni non potrebbero sovrapporsi, spettando all'autorità giudiziaria l'esame dei requisiti previsti dalla legge e dalla convenzione internazionale, e inerendo al Ministro il compito di vagliare, in base a considerazioni di natura politica (anche contingenti) circa lo stato delle relazioni diplomatiche con il Paese richiedente, se concedere l'estradizione. Il rapporto fra i due momenti, giurisdizionale e politico-amministrativo, sarebbe chiaramente enunciato dall'art. 701 del codice di procedura penale.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non poteva espandere il proprio sindacato alla pronuncia sui diritti dell'estradando già apprezzati dall'autorità giudiziaria: doveva limitarsi a giudicare degli interessi legittimi vantati da costui con riguardo alla salvaguardia del giusto procedimento e alla legittimità delle valutazioni di ordine politico compiute dal Ministro; né potrebbe avere cognizione delle censure sulle fonti normative sottostanti all'atto impugnato. Può infatti dubitare, ad avviso dell'Avvocatura, soltanto delle fonti che attribuiscono discrezionalità al Ministro, mentre il collegio rimettente pone in discussione il provvedimento di estradizione, richiamando i diritti soggettivi dell'estradando, fra cui quello alla vita già esaminato dal giudice ordinario.

3.2. -- Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, e il richiamo alla sentenza n. 54 del 1979 di questa Corte non pertinente: la norma denunciata in quella circostanza consentiva l'estradizione senza alcuna limitazione o cautela anche per i reati sanzionati con la pena capitale; mentre quella oggetto della presente censura postula garanzie che la condanna a morte non sarà irrogata, o eseguita, qualora sia concessa l'estradizione. Del pari irrilevante sarebbe il riferimento alla espressa riserva apposta dall'Italia alla convenzione europea di estradizione, in quanto anteriore al trattato con gli Stati Uniti.

La norma censurata ricollega il provvedimento di estradizione alla sussistenza di parametri certi, obiettivi e autovincolanti che - a giudizio della Corte di cassazione - sono riscontrabili nell'impegno assunto dal Governo federale statunitense con le peculiari caratteristiche dell'obbligazione internazionale, resa vincolante nei confronti dello Stato federato dall'art. VI della Costituzione del 1787. D'altronde, analoga situazione si verifica anche nel nostro ordinamento, allorché si ottenga l'estradizione soltanto per alcuni reati: in tale ipotesi l'art. 720 del codice di procedura penale vincola l'autorità giudiziaria alle condizioni poste dallo Stato estradante, e liberamente accettate. L'obbligo internazionale è dunque recepito in una norma interna, mentre nell'ordinamento statunitense il rispetto di esso sarebbe assicurato - in ragione della struttura federale - direttamente dalla norma costituzionale. Nel caso di specie - è quanto rileva la Corte di cassazione - "la sanzione capitale deve aversi come non più esistente o comunque inoperante".

Non vi sarebbe lesione, pertanto, degli indicati parametri costituzionali.

L'art. 27, quarto comma, della Costituzione, non si può leggere, infatti, al di fuori del sistema, ma deve coordinarsi sia con l'art. 26 - pertinente nella sua specificità - sia con gli artt. 10 e 11, che conferiscono rango costituzionale ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, fra cui l'antico e consolidato pacta sunt servanda. Il divieto della pena di morte non può quindi porre in crisi quella fondamentale forma di collaborazione giudiziaria internazionale che si attua mediante l'estradizione. Significativamente, l'art. 26 della Costituzione consente l'estradizione del cittadino "ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali", escludendola per i reati politici.

Assolutizzando il divieto per i reati puniti con la pena capitale, si verrebbe a configurare un diritto di asilo o, quanto meno, un ingiustificato diritto a essere assoggettati alla giurisdizione penale italiana per i reati di maggiore gravità (art. 9 del codice penale), e ciò in aperta elusione, secondo l'Avvocatura, del principio della territorialità della legge penale.

4. -- Destinatario di notifica tanto da parte del giudice a quo quanto da parte del ricorrente, il Governo degli Stati Uniti - che assume di essere titolare dell'interesse alla legittimità del provvedimento di estradizione - si è costituito, concludendo per l'infondatezza della questione limitatamente alla legge di ratifica e di esecuzione del trattato di estradizione.

4.1. -- Nel merito, si richiamano le argomentazioni svolte dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri sul punto della vincolatività dell'impegno assunto mediante assicurazioni dallo Stato richiedente; e si sottolinea che - in base all'art. I, sezione X, della Costituzione statunitense - gli Stati federati non possono sottoscrivere trattati internazionali, di esclusiva competenza dell'Autorità federale, e sono obbligati a osservarne le disposizioni, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte Suprema federale. Sì che le assicurazioni fornite dal Governo degli Stati Uniti con le note verbali del 28 luglio 1994, 24 agosto 1995 e 12 gennaio 1996 sono da considerare vincolanti per lo Stato della Florida e i suoi giudici. In caso di violazione, il Governo degli Stati Uniti attiverà i rimedi necessari, sino a provocare l'intervento della Corte federale.

5. -- Si è costituita anche la parte privata, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate. L'estradando osserva che il trattato fra l'Italia e gli Stati Uniti non fornisce adeguata tutela all'imputato di un reato punibile, nel territorio degli Stati Uniti, con la pena di morte; mentre più ampie garanzie si riscontrano, ad esempio, nel trattato fra l'Italia e il Marocco, ov'è prevista la sostituzione della pena capitale con quella stabilita, nel nostro Paese, per il medesimo reato. Non vi sarebbe quindi ragionevole certezza circa la mancata irrogazione o non esecuzione della pena di morte, giacché l'art. VI della Costituzione statunitense coprirebbe i trattati fra gli Stati dell'Unione e non quelli internazionali, fra i quali rientra il trattato di estradizione.

Considerato in diritto

1. -- Viene all'esame della Corte, in relazione agli artt. 2, 3, 11 e 27, quarto comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, e della legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato ora citato, ove si prevede l'estradizione anche per i reati puniti con la pena capitale a fronte dell'impegno assunto dal Paese richiedente - con garanzie ritenute sufficienti dal Paese richiesto - a non infliggere la pena di morte o, se già inflitta, a non farla eseguire.

2. -- E' ammissibile la costituzione del Governo degli Stati Uniti d'America, in quanto parte legittimata a resistere nel giudizio a quo, come risulta dal ricorso del Venezia - notificato all'Ambasciata degli Stati Uniti in Italia - e dalle ordinanze di rimessione e di sospensione adottate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ritualmente comunicate. Al profilo formale corrisponde la titolarità dell'interesse sostanziale, sia con riguardo all'oggetto della controversia di merito, sia con riferimento all'incidente di costituzionalità su norme che sono a fondamento della richiesta e del provvedimento di concessione dell'estradizione, una delle quali è quella che dà esecuzione al trattato di cui il Governo degli Stati Uniti è contraente.

3. -- Occorre quindi valutare se la questione sia ammissibile perché sollevata nell'ambito di un giudizio, pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, riguardante la legittimità del decreto con cui il Ministro di grazia e giustizia ha concesso l'estradizione di Pietro Venezia su richiesta del Governo degli Stati Uniti d'America. L'Avvocatura dello Stato osserva, in proposito, che tale giudizio verte sull'interesse legittimo dell'estradando al corretto esercizio del potere politico-amministrativo del Ministro e non sul diritto soggettivo, quello alla vita, già considerato dal giudice ordinario, con competenza esclusiva, in duplice grado (Corte d'appello e, in sede di impugnazione estesa al merito, Corte di cassazione). Né verrebbero in rilievo le disposizioni denunciate, poiché attengono alla giurisdizione ordinaria rispetto alla quale il decreto ministeriale appare un diaframma insormontabile.

3.1. -- L'eccezione va disattesa.

L'art. 697 del codice di procedura penale stabilisce che la consegna d'una persona a uno Stato estero può aver luogo soltanto mediante estradizione; e l'art. 698, comma 2, prevede garanzie processuali e procedimentali per i fatti puniti con la pena di morte dalla legge dello Stato estero, subordinando la concessione del provvedimento di estradizione alla decisione del giudice ordinario circa le assicurazioni fornite dal Paese richiedente, e alla successiva valutazione del Ministro di grazia e giustizia su di esse.

Il decreto impugnato davanti al giudice amministrativo ha considerato, in relazione al diritto alla vita dell'estradando, le assicurazioni fornite dallo Stato estero. Ha dunque rilevanza il dubbio di costituzionalità riguardante l'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, poiché esso attribuisce un potere al Ministro che, nella specie, ne ha fatto uso; e ha rilevanza, altresì, quello che concerne la legge di esecuzione del trattato, n. 225 del 1984, poiché in forza di essa sono investite le due autorità (giudiziaria e amministrativa) indicate nel citato art. 698.

Né può sostenersi che il giudice a quo avrebbe invocato diritti soggettivi esclusi dalla propria cognizione: il sindacato di legittimità del provvedimento impugnato - condotto sul piano dell'osservanza delle leggi che regolano l'azione ministeriale - non può non compiersi, infatti, anche con riguardo alla legalità costituzionale, che è, anzi, il primo doveroso controllo da parte di ogni giudice dello Stato. Controllo di legalità che, tuttavia, non può intendersi limitato ai principi dell'azione amministrativa in senso stretto se, e in quanto, essa insista su beni o interessi tutelati (in massimo grado) dalla Costituzione. Di qui, l'ammissibilità della questione.

4. -- Nel merito la questione è fondata.

Il divieto della pena di morte ha un rilievo del tutto particolare - al pari di quello delle pene contrarie al senso di umanità - nella prima parte della Carta costituzionale. Introdotto dal quarto comma dell'art. 27, sottende un principio "che in molti sensi può dirsi italiano" - sono parole tratte dalla relazione della Commissione dell'Assemblea costituente al progetto di Costituzione, nella parte dedicata ai rapporti civili - principio che, "ribadito nelle fasi e nei regimi di libertà del nostro Paese, è stato rimosso nei periodi di reazione e di violenza", configurandosi nel sistema costituzionale quale proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti dall'art. 2.

L'assolutezza di tale garanzia costituzionale incide sull'esercizio delle potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici dell'ordinamento repubblicano, e nella specie su quelle potestà attraverso cui si realizza la cooperazione internazionale ai fini della mutua assistenza giudiziaria. Sì che l'art. 27, quarto comma, letto alla luce dell'art. 2 della Costituzione, si pone quale essenziale parametro di valutazione della legittimità costituzionale della norma generale sulla concessione dell'estradizione (art. 698, comma 2, del codice di procedura penale), e delle leggi che danno esecuzione a trattati internazionali di estradizione e di assistenza giudiziaria.

5. -- Questa Corte ha già affermato che il concorso, da parte dello Stato italiano, all'esecuzione di pene "che in nessuna ipotesi, e per nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo di pace" è di per sé lesivo della Costituzione (sentenza n. 54 del 1979). Il punto ora in esame è se rappresentino un rimedio adeguato le "garanzie" o "assicurazioni" previste dal citato art. 698, comma 2, e dalla legge 26 maggio 1984, n. 225, di ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione fra il Governo della Repubblica italiana e quello degli Stati Uniti d'America firmato a Roma il 13 ottobre 1983; e in particolare se sia conforme alla Costituzione detta legge, nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato stesso, ove si stabilisce che l'estradizione sarà negata qualora il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi della Parte richiedente. Salvo che quest'ultima "non si impegni con garanzie ritenute sufficienti dalla Parte richiesta a non fare infliggere la pena di morte oppure, se inflitta, a non farla eseguire".

Come già si è detto, il procedimento delineato dall'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, si impernia su un duplice vaglio espletato, caso per caso, dall'autorità giudiziaria e dal Ministro di grazia e giustizia circa la "sufficienza" delle predette garanzie. L'estradizione è dunque concessa (o negata) in seguito a valutazioni svolte dalle autorità italiane sulle singole richieste con accertamenti nei limiti indicati. Tale soluzione offre, in astratto, il vantaggio di una politica flessibile da parte dello Stato richiesto, e consente adattamenti, nel tempo, in base a considerazioni di politica criminale; ma nel nostro ordinamento, in cui il divieto della pena di morte è sancito dalla Costituzione, la formula delle "sufficienti assicurazioni" - ai fini della concessione dell'estradizione per fatti in ordine ai quali è stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato estero - non è costituzionalmente ammissibile. Perché il divieto contenuto nell'art. 27, quarto comma, della Costituzione, e i valori ad esso sottostanti - primo fra tutti il bene essenziale della vita - impongono una garanzia assoluta.

Non hanno fondamento i dubbi della parte privata sulla sussistenza di rimedi giudiziari nell'ordinamento statunitense a tutela della vincolatività dei trattati internazionali stipulati dal Governo federale, e non è in questione l'interpretazione dell'art. VI della Costituzione statunitense. Il punto che qui rileva non è quello dei rimedi contenuti nell'ordinamento straniero, bensì l'intrinseca inadeguatezza del meccanismo adottato dal codice di procedura penale e dalla legge di esecuzione del trattato in esame rispetto al canone costituzionale: l'assolutezza del principio costituzionale richiamato viene infirmata dalla presenza di una norma che demanda a valutazioni discrezionali, caso per caso, il giudizio sul grado di affidabilità e di effettività delle garanzie accordate dal Paese richiedente.

6. -- Si impone dunque la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale, e della legge n. 225 del 1984, nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato di estradizione tra il Governo italiano e quello degli Stati Uniti d'America, per contrasto con gli artt. 2 e 27, quarto comma, della Costituzione. Va da sé che resta applicabile il rimedio predisposto dall'art. 9, terzo comma, del codice penale, in ottemperanza agli obblighi alternativi che gravano sullo Stato (consegnare o punire): a richiesta del Ministro di grazia e giustizia, sono puniti secondo la legge italiana i colpevoli di delitti commessi in territorio estero, sanzionati con almeno tre anni di reclusione, allorché l'estradizione non sia stata o non possa essere concessa (sentenza n. 54 del 1979, n. 7 del Considerato in diritto).

Sono assorbite le censure mosse in riferimento agli artt. 3 e 11 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 698, comma 2, del codice di procedura penale;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del trattato di estradizione ora citato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1996.