Sentenza n. 428 del 1995

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SENTENZA N. 428

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, promosso con ordinanza emessa il 31 marzo 1994 dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sul ricorso proposto da Labbrozzi Lanci Ludina, iscritta al n. 764 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Labbrozzi Lanci Ludina nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

uditi l'avv. Sebastiano Petrucci per Labbrozzi Lanci Ludina e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte dei conti - sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, nella parte in cui stabilisce che i ricorrenti, nei procedimenti pensionistici, (r)non possono svolgere oralmente in udienza le proprie difese e che in tal caso l'assistenza legale dei medesimi possa essere svolta solo da professionisti iscritti all'Albo degli avvocati e dei procuratori>.

Accogliendo una eccezione avanzata dalla ricorrente Ludina Labbrozzi Lanci, il giudice a quo rileva una palese disparità di trattamento fra le parti, osservando che l'art. 6, comma 4, concede all'amministrazione convenuta di stare nelle diverse fasi del giudizio con un proprio dirigente o funzionario, mentre nega al ricorrente di svolgere oralmente le proprie difese in udienza imponendogli l'ausilio di un patrocinatore.

2. - Nel nostro ordinamento giuridico è regola generale, ricorda la Corte rimettente, l'obbligo per le parti di stare in giudizio con il ministero di un professionista, che eserciti legalmente la professione di avvocato o procuratore. La norma denunciata configurerebbe dunque una deroga, nei procedimenti pensionistici, essendo autorizzati sia il ricorrente sia l'amministrazione resistente (Stato o altro ente) a costituirsi direttamente. Tuttavia, mentre per la parte pubblica è riconosciuta pienamente siffatta facoltà, per quella privata essa è limitata soltanto alla fase di presentazione del ricorso, e non anche alla discussione in udienza. Disparità di trattamento, questa, che non troverebbe adeguata giustificazione, giacchè determinerebbe una discriminazione nelle modalità di esercizio del diritto di difesa, come tale lesiva degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

3. - Si è costituita la parte privata, che ha chiesto (anche nella successiva memoria illustrativa) l'accoglimento della questione, sottolineando la violazione dei parametri costituzionali alla luce di alcune peculiarità del giudizio pensionistico che si concentrerebbe quasi sempre nella sola udienza collegiale. E ciò perchè, con l'abrogazione dell'art. 75 del r.d. del 13 agosto 1933, n. 1038, ad opera del già menzionato art. 6 del decreto-legge n. 453 del 1993, sarebbero divenuti maggiormente onerosi i compiti difensivi della parte ricorrente, alla quale mancherebbe il contributo offerto un tempo dalle conclusioni (scritte) del Procuratore generale, la cui presenza non è prevista, nel giudizio pensionistico, dalle recenti disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti. I ricorrenti, e i giudici, potrebbero dunque essere ignari, sino al giorno dell'udienza, circa la linea difensiva dell'Amministrazione, che non è tenuta in alcun modo a pronunciarsi nella fase antecedente alla discussione orale. Presentandosi direttamente in udienza, essa potrebbe proporre le più varie eccezioni e chiedere qualsiasi mezzo di prova senza incontrare preclusioni di sorta, mentre al ricorrente non è assegnato un termine per controdedurre e - qualora sia privo di un difensore tecnico - non è dato neanche di parlare.

4. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza.

Il legislatore si sarebbe avvalso, osserva l'Avvocatura, della facoltà di regolare in maniera difforme il diritto di difesa, in relazione alla posizione diversificata delle parti in conflitto che - per quanto riguarda l'Amministrazione - rifletterebbe la peculiarità dei suoi profili organizzatori. Significativo è, infatti, che l'art. 13 della legge 3 aprile 1979, n. 103, recante modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, abbia previsto alcune ipotesi di esclusione del patrocinio dell'Avvocatura fra cui talune analoghe a quella di cui all'art. 6, comma 5, denunciato. Tale norma ha carattere derogatorio, poichè consente che i ricorsi in materia pensionistica possano essere proposti anche senza patrocinio legale, così favorendo la possibilità, per le parti private, di sottoporre al controllo del giudice il provvedimento amministrativo senza alcun onere economico. Ma le parti private, osserva l'Avvocatura, non avrebbero le qualità tecniche per svolgere la difesa orale che invece, per esigenze di immediatezza, richiede un'elevata competenza tecnico- giuridica. Non vi sarebbe, perciò, lesione dei principi costituzionali nell'aver limitato l'esercizio di difesa soltanto alla fase scritta, per la quale il ricorrente può anche avvalersi dell'ausilio di persone competenti; mentre il diverso sistema garantito all'Amministrazione risponderebbe esclusivamente ad esigenze funzionali e organizzatorie.

Considerato in diritto

1. - Viene all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, del decreto-legge 15 novembre 1993, n, 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, nella parte in cui stabilisce che i ricorrenti, nei procedimenti pensionistici, (r)non possono svolgere oralmente in udienza le proprie difese e che, in tal caso, l'assistenza legale dei medesimi possa essere svolta solo da professionisti iscritti all'albo degli avvocati e dei procuratori>.

Il giudice a quo rileva infatti il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione per la disparità di trattamento fra la parte privata e l'amministrazione convenuta, essendo inibito alla prima di intervenire anche nella fase orale della discussione, ciò che invece è consentito (comma 4) all'altra.

2. - La questione non è fondata.

Il principio dell'onere del patrocinio, ovvero della difesa tecnica, incontra nel nostro ordinamento giuridico numerose eccezioni, dal vario e discusso fondamento, che non sono in contrasto, di per sè, con l'art. 24 della Costituzione (la Corte ha affermato, ad esempio, la compatibilità costituzionale della difesa avanti i conciliatori nei comuni che non erano sede di pretura: sentenza n. 118 del 1975). Eccezioni che configurano una pluralità di modelli diversamente valutabili, sotto il profilo della costituzionalità, con riferimento sia alla materia sia alla fase, o al grado, del processo (cfr. sentenze nn. 201 e 151 del 1971).

3. - La disposizione denunciata distingue nettamente la fase introduttiva del giudizio pensionistico, ove è data alle parti la possibilità dell'(r)autodifesa>, da quelle della trattazione e della discussione orale, ove tale possibilità è concessa soltanto all'Amministrazione pubblica, non al privato. Se questi voglia dunque avvalersi della facoltà di difendersi personalmente non può andare oltre la prima fase del giudizio, mentre nelle successive ha l'alternativa fra la tecnica e la "valorizzazione", ad opera dei giudici, dell'atto introduttivo.

4. - Tale disposizione non contrasta con i principi costituzionali richiamati.

Non con il parametro del diritto di difesa, atteso che, da un lato, al privato non è interdetto il ricorso alla difesa tecnica e, dall'altro, gli è dato scegliere di affidarsi al ricorso scritto (sollecitando i poteri ufficiosi del giudice) o di (r)coniugare> l'atto presentato in sede di "autodifesa" con una eventuale difesa tecnica successiva. Nè è in contrasto con il principio di uguaglianza, contenuto nell'art. 3 della Costituzione, posto che la diversità di trattamento del privato è giustificata: il funzionario dell'amministrazione è dotato di una qualificazione tecnico-giuridica, talvolta altamente specialistica, che lo legittima a stare in giudizio per conto dell'ente. E, certo, non è un caso - come si ricorda nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri - che l'art. 13 della legge 3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) consenta, in alcuni tipi di procedimenti, alle amministrazioni dello Stato, alle Regioni e agli altri enti difesi dall'Avvocatura dello Stato, di farsi rappresentare davanti ai giudici da propri funzionari (r)che siano per tali riconosciuti>, senza la corresponsione di compensi particolari. Nè può cogliersi, infine, una intrinseca irrazionalità nella scissione delle modalità di esercizio del di ritto di difesa, perchè questo può essere diversamente regolato, anche attraverso una totale o parziale eliminazione dell'onere del patrocinio, là dove ricorrano plausibili giustificazioni.

Nella specie, mentre il funzionario pubblico ((r)che sia per tale riconosciuto>) è, per le sue competenze tecnico-giuridiche, idoneo a difendere l'ente nelle varie fasi processuali, il privato tale generalmente non è (e, infatti, il ricorso introduttivo non è stato configurato come un atto personalissimo, bensì come una facoltà conferita al privato per favorire la tutela giustiziale di diritti di particolare rilievo sociale, senza per questo escludere la possibilità ch'esso venga redatto anche da un terzo).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 settembre 1995.