Sentenza n. 381 del 1995

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SENTENZA N. 381

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 6 giugno 1994 dal Pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Ferrero Federico, iscritta al n. 544 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1994;

2) ordinanza emessa il 18 ottobre 1994 dal Pretore di Padova, sezione distaccata di Piove di Sacco, nel procedimento penale a carico di Bartolami Stefano, iscritta al n. 707 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 giugno 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza del 6 giugno 1994 (r.o. n. 544/94), il Pretore di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 76 e 111 della Costituzione, dell'art. 513 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede che, qualora l'imputato o le persone indicate nell'art. 210 c.p.p. si avvalgano della facoltà di non rispondere, sia data lettura anche dei verbali delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria in sede di interrogatorio delegato dal p.m. ex art. 370.1 del c.p.p.".

Il giudice remittente premette che, in sede di esame di persona imputata in procedimento connesso avvalsasi della facoltà di non rispondere, il pubblico ministero ha chiesto di dare lettura delle dichiarazioni da essa rese alla polizia giudiziaria, in sede di interrogatorio delegato, ma che tale richiesta non può essere accolta in base al disposto dell'art. 513 del codice di procedura penale.

Ciò posto, ad avviso del giudice a quo, tale preclusione viola, da un lato, gli artt. 3 e 111 della Costituzione, per ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad atti con identica valenza probatoria che vengono invece acquisiti al fascicolo del dibattimento se utilizzati per le contestazioni (art. 503, comma 5, del codice di procedura penale), con conseguente perdita di fonti di prova tale da influire anche sull'obbligo costituzionale di motivazione delle sentenze; dall'altro, l'art.76 della Costituzione, per contrasto con la legge delega n. 81 del 1987, la cui direttiva n. 76 prevede, all'ultimo periodo, "una specifica diversa disciplina per gli atti assunti dal pubblico ministero di cui è sopravvenuta una assoluta impossibilità di ripetizione".

2.1. -- Con ordinanza del 18 ottobre 1994 (r.o.n. 707/94), il Pretore di Padova -- sezione distaccata di Piove di Sacco -- ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 109 e 112 della Costituzione, dell'art. 513 del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente che, nel caso in cui imputato o persona indicata dall'art. 210 c.p.p. sia contumace o assente o si rifiuti di sottoporsi all'esame, sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dal soggetto alla polizia giudiziaria, nel corso delle indagini preliminari, alla presenza del difensore ex art. 350.3 del c.p.p.".

Il giudice remittente premette che, in sede di esame di persona imputata in procedimento connesso avvalsasi della facoltà di non rispondere, il pubblico ministero ha chiesto di dare lettura delle dichiarazioni da essa rese, in sede di sommarie informazioni, alla polizia giudiziaria, ma che tale richiesta non è allo stato accoglibile ai sensi dell'art. 513 del codice di procedura penale (pur dopo la sentenza di questa Corte n. 254 del 1992). Ciò posto, ad avviso del giudice a quo, quest'ultima norma contrasta con l'art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento in tema di letture, non giustificata dall'identità dell'interrogante (tanto più alla luce delle modifiche apportate all'art. 503, comma 5, del codice di procedura penale); con l'art. 109 della Costituzione, in quanto il pubblico ministero si vede contrastato nell'utilizzazione della polizia giudiziaria anche per atti legittimi e necessari perchè il nuovo processo penale possa utilmente funzionare; infine, con l'art. 112 della Costituzione, in quanto si determina una perdita di fonti di prova ritualmente acquisite, senza che ciò sia giustificato dalla tutela di alcun confliggente diritto.

2.2. -- È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, già decisa con sentenza n. 476 del 1992.

                                                                                                        Considerato in diritto     

1. -- Le questioni sollevate con le ordinanze di rimessione hanno ad oggetto la medesima norma di legge, per cui i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2.1. -- Con ordinanza del 6 giugno 1994 (r.o. n. 544 del 1994), il Pretore di Padova, nel corso di un dibattimento nel quale una persona imputata in procedimento connesso si è avvalsa della facoltà di non rispondere ai sensi dell'art. 210 del codice di procedura penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice medesimo (in particolare la censura deve intendersi riferita, in aderenza alla fattispecie, al comma 2), nella parte in cui non prevede che, verificandosi la indicata evenienza, possa darsi lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dalle suddette persone alla polizia giudiziaria in sede di interrogatorio da questa effettuato su delega del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 370 del codice di procedura penale.

Ad avviso del remittente, la norma viola, da un lato, gli artt. 3 e 111 della Costituzione per ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad atti con identica valenza probatoria (il riferimento è all'art.503, comma 5, del codice di procedura penale, il quale prevede l'acquisizione al fascicolo del dibattimento, se utilizzate per le contestazioni, delle dichiarazioni assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero), con conseguenze anche sull'obbligo di motivazione delle sentenze; dall'altro, l'art. 76 della Costituzione, per contrasto con la direttiva n. 76 della legge di delega n. 81 del 1987.

2.2. -- La questione non è fondata, in quanto, a seguito della sentenza di questa Corte n. 60 del 1995 (successiva all'ordinanza di rimessione), la medesima deve ormai intendersi chiaramente risolta nel senso auspicato dal remittente.

Con la predetta pronuncia, infatti, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 513, comma 1, del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede che il giudice, ricorrendone le condizioni, disponga che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni dell'imputato assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero".

A tale conclusione la Corte è pervenuta sulla base della essenziale considerazione che l'interrogatorio effettuato dalla polizia giudiziaria a ciò delegata si svolge (così come, del resto, avviene per gli altri atti delegabili, ai sensi dell'art. 370, comma 1, del codice di procedura penale) con le stesse modalità garantistiche di quello compiuto personalmente dal pubblico ministero, ed è anzi assistito dall'ulteriore garanzia della presenza obbligatoria del difensore. Ne derivava una irrazionale disparità di disciplina nel regime di utilizzazione processuale, in deroga al criterio di assimilazione seguito nello stesso codice (cfr. il citato art. 503, comma 5), tra atti diretti ed atti delegati.

Ciò posto, appare evidente l'immediato riflesso di tale pronuncia sulla disciplina dettata dall'impugnato comma 2 dell'art. 513 del codice di procedura penale -- relativo, come detto sopra, all'esame delle persone indicate nell'art. 210 --, il quale rinvia al comma precedente in ordine alla individuazione del novero delle dichiarazioni rese prima del dibattimento, dei cui verbali, ricorrendone i presupposti (tra i quali, a seguito della sentenza n. 254 del 1992 di questa Corte, anche l'essersi avvalsi della facoltà di non rispondere), può essere disposta la lettura.

Del resto, come questa Corte ha evidenziato nella sentenza da ultimo citata, dalla circostanza che, in presenza di procedimenti connessi o collegati, si addivenga o meno al simultaneus processus non possono derivare disparità di regime in tema di lettura, e quindi di utilizzabilità, delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari dagli imputati di detti procedimenti.

3.1. -- Con ordinanza del 18 ottobre 1994 (r.o. n. 707 del 1994), il Pretore di Padova, sezione distaccata di Piove di Sacco, nel corso di un dibattimento in cui una persona imputata in procedimento connesso si è avvalsa della facoltà di non rispondere ai sensi dell'art. 210 del codice di procedura penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice medesimo (anche in questo caso la censura deve intendersi riferita specificamente al comma 2), nella parte in cui non prevede che, verificandosi detta evenienza, sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dalle indicate persone alla polizia giudiziaria in sede di assunzione di sommarie informazioni ai sensi dell'art. 350 del codice di procedura penale, con l'assistenza del difensore.

Ad avviso del remittente, la norma viola gli artt. 3 (per disparità di trattamento probatorio non giustificata, data la presenza del difensore, dall'identità del soggetto interrogante, polizia giudiziaria o pubblico ministero), 109 (in quanto il pubblico ministero "si vede contrastato nell'utilizzazione della polizia giudiziaria") e 112 della Costituzione (poichè ne deriva una perdita di fonti di prova non motivata da esigenze di tutela di alcun confliggente diritto).

3.2. -- La questione è manifestamente infondata.

Con sentenza n. 476 del 1992 (seguita dalle ordinanze nn. 176 e 338 del 1993), questa Corte ha dichiarato non fondate (e poi manifestamente infondate) analoghe questioni, sia pure specificamente relative all'art. 513, comma 1, del codice, sulla base della considerazione che la norma citata, escludendo dalla possibilità di lettura le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria ex art. 350 del codice di procedura penale, non è certamente irragionevole, data la sostanziale differenza, sotto l'angolo visuale delle garanzie difensive dell'imputato, tra tale atto d'indagine della polizia giudiziaria e l'interrogatorio effettuato dal pubblico ministero, soltanto quest'ultimo essendo soggetto alla disciplina garantistica di cui all'art. 65 del codice. Si è poi aggiunto che, proprio perchè la norma in esame attiene, come s'è detto, al tema delle garanzie difensive dell'imputato, il richiamo ad altri parametri costituzionali (quali, in quelle occasioni, gli artt. 24 e 112) risulta inconferente.

Ciò posto, appare evidente che le anzidette argomentazioni non possono non valere anche per il caso ora in esame, nel quale non è ravvisabile alcun argomento nuovo che possa indurre a diverse conclusioni (il richiamo all'art. 109 della Costituzione è del tutto fuori luogo), e tenuto conto di quanto detto sopra in ordine alla identità di disciplina che, sul punto in discussione, deve sussistere tra il primo e il secondo comma dell'art. 513 del codice di procedura penale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 111 della Costituzione, dal Pretore di Padova con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 109 e 112 della Costituzione, dal Pretore di Padova, sezione distaccata di Piove di Sacco, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1995.